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Autore: Mary P_Stark    29/09/2014    5 recensioni
Autumn Hamilton, Guardiano dell'Aria e fratello ribelle del clan guidato dal serioso Winter, vive ormai stabilmente da tempo a Tulsa, la patria dei Tornado. A guida di un gruppo di Cacciatori di Tornado, studia il sistema di poterli governare, controllare, esaminare senza pericolo. La sua vita procede apparentemente liscia come l'olio, lontana dagli affetti che tanto l'avevano ferito anni addietro, anche se l'incontro recente con Summer ha lasciato strascichi nel suo animo. Possibile che il suo odio per Winter sia stato inutile, vano? Autumn non lo crede, ma il tarlo del sospetto è ormai presente dentro di lui, e sarà Melody ad aiutarlo, in principio in modo del tutto inconsapevole, a venire a capo di questo mistero. E, al tempo stesso, a riportarlo a una vita vera, una vita che vale la pena di essere vissuta. Ma ombre oscure sono in agguato, e per Autumn e Melody non sarà così semplice scoprire la nuova via per la felicità, così come per gli altri gemelli Hamilton. -QUARTA PARTE DELLA SAGA "THE POWER OF THE FOUR" - Riferimenti alla storia presenti nei racconti precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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8.
 
 
 
 
Si era portato a letto Melody.

No, a voler essere del tutto onesti, l'aveva divorata.

In barba a tutte le sue bellissime regole di comportamento, ora evidentemente inutili, aveva fatto sesso sfrenato con la sua coinquilina.

Ed era più che certo che, se Robin lo fosse venuto a sapere, l'avrebbe evirato.

Cristo! Si era portato a letto sua nipote!

Ma, per quanto ci pensasse, per quanto si sentisse un idiota, sapeva benissimo che avrebbe rifatto ogni cosa avvenuta in quella strana notte.

Il suo profumo, la sua voce, il suo comportamento, tutto gli era entrato nel sangue giorno per giorno, come un lenitivo contro il dolore, come una droga somministrata sottopelle un po' alla volta.

Niente di lei gli ricordava Erin, eppure sentiva per Melody un trasporto, un coinvolgimento tali da offuscare i ricordi dell'unica donna che lui avesse mai realmente amato.

Certo, nella sua scapestrata gioventù universitaria, c'erano state molte donne, ma nessuna l'aveva mai veramente toccato.

Quando si era trasferito a Tulsa, aveva preferito fare vita monastica, dedicandosi unicamente al lavoro.

E a fare il cavalier servente, come lo aveva simpaticamente accusato Melody.

Sospirò tremulo al solo pensare al suo nome, lei che ora stava dormendo placida e accoccolata nel suo letto, avvolta dalle lenzuola sfatte e il copriletto colorato.

Si era alzato presto per farsi una doccia ma, quando l'acqua bollente aveva sfiorato la sua pelle, il profumo di gardenia di Melody si era levato dal suo corpo, a ricordo di ciò che avevano condiviso.

E la sensazione di sollievo provata all'idea di fare un bagno caldo, era stata sostituita dall'ansia di tornare da lei, tra quelle lenzuola, a condividere i suoi spazi e la sua aria.

Il suo profumo.

Passandosi una mano tra i corti capelli scuri, Autumn si chiese cosa diamine gli fosse successo.

Da quando in qua perdeva la testa per una ragazzina?

Certo, sette anni di differenza non erano un dramma, visto che erano entrambi maggiorenni e vaccinati, ma gli sembrava quasi di avere abusato di lei.

Coda di paglia, brontolò la sua vocetta interiore, sapendo bene da dove venissero quegli scrupoli.

Teneva così tanto all'amicizia di Robin da temere che, quel fatto apparentemente increscioso, potesse rovinarla per sempre.

Ma non resisteva proprio a starle lontano, ora che aveva scoperto ogni parte di lei, ogni suo più intimo segreto.

O quasi.

C'erano cicatrici sul suo corpo che, durante l'amplesso, aveva solo vagamente notato ma che ora, a mente lucida, lo incuriosivano.

Certo, con tutti gli sport estremi che aveva sul suo carnet, era probabile che più di una volta avesse visitato il pronto soccorso.

Ugualmente, voleva sapere cos'aveva combinato.

Voleva sapere tutto di lei.

“Dio, Erin... che sto facendo?” sussurrò lui, uscendo dal box doccia in una nuvola di vapore.

Le scure e lucide mattonelle erano opacizzate dal vapore, in quel momento… ma nulla avrebbe potuto ricreare naturalmente ciò che gli si parò innanzi in quell’istante.

Sotto i suoi occhi sconcertati e sì, terrorizzati, il vapore formatosi con il calore dell'acqua prese le sembianze di una donna... di una donna che lui conosceva molto bene.

“Cristo santo!” esclamò, scivolando sul pavimento umido, finendo così gambe all'aria e con ben poca grazia.

La figura di donna rise, o almeno a Autumn parve così, perché della sua risata non udì nulla, ne vide solo i risultati.

Il viso nebuloso divenne più chiaro, i tratti più importanti, e l'uomo riuscì quasi a scorgerne il contorno dei denti, messi in evidenza da quella bocca dalle labbra sottili.

Sì, non poteva essere che Erin, nelle sue nuove vesti di fata della bruma.

E questo lo portò anche a un secondo, più imbarazzante pensiero.

Era nudo come un bruco nel bel mezzo del suo bagno, con le chiappe sul pavimento e la schiena piantata contro la porta di vetro del box doccia.

Davvero una situazione idilliaca.

In fretta, afferrò il primo salviettone utile e se lo gettò sulle parti intime, giusto per salvare le apparenze.

Accigliato, poi, ringhiò: “Scusa, eh, ma di tutte le volte in cui avresti potuto apparirmi in questi anni, proprio questo scegli?!”

Lei rise ancora, scrollando le spalle con la solita noncuranza e Autumn, nonostante tutto, si ritrovò a sorriderle complice.

Ricordava ancora alla perfezione ogni suo vizio, ogni suo più piccolo gesto, e trovarsela lì, nel bagno, in quella strana forma, lo fece sentire … a posto. Intero.

Non più menomato da qualcosa che gli era sempre parso mancasse.

La fata che era Erin si volse a mezzo e, con un dito di vapore, tracciò alcune parole sul vetro appannato, così che Autumn potesse capire il motivo della sua visita.

Rialzatosi, e sistemato il salviettone intorno alla vita, l'uomo lesse il suo breve, conciso messaggio e, accigliato, ringhiò: “Non devi essere contenta che io abbia trovato qualcuno da amare. Io non amo Melody.”

La fata lo fissò scettica, scosse il capo con aria esasperata e cancellò il suo messaggio per scrivere altro.

Sai di essere testardo, vero?

“Essere irlandese è sinonimo di testardaggine. Dovresti saperlo anche tu, fata, visto che la sei per nascita” brontolò Autumn, intrecciando le braccia robuste sul petto.

Non ha senso rimuginare su un passato che non c'è mai stato. Non puoi bloccarti al giorno in cui ti innamorasti di me!

“E perché non dovrei farlo? Io ti amavo, Erin!”

Se non ascolti neppure le tue parole, non so come aiutarti, Autumn, e mi spiace molto.

“Nessuno mi può aiutare, Erin. Se a suo tempo io fossi stato il Primogenito, ti avrei amata come meritavi, e non avresti dovuto vivere al fianco di un uomo che amava un'altra donna.”

Il suo tono fu così amaro che Erin scrollò le spalle, sconsolata.

Anch'io amavo qualcun altro, e Win lo sapeva perfettamente.

“Cosa?!” esclamò Autumn, trasalendo visibilmente.

Fummo chiari fin dall'inizio, Autumn. Non ci furono mai segreti tra noi, per questo io sapevo di Kimmy. Ero addolorata per Winter, perché era intrappolato assieme a me in un matrimonio che nessuno dei due aveva voluto, ma lui fu gentile e generoso. Mi ascoltò, parlammo a lungo del ragazzo che avevo lasciato in Irlanda per raggiungere l'America e mi promise che, con tutto se stesso, avrebbe cercato di rendermi felice. E lo fece.

“Come potevi essere felice?”

Come poteva Lui essere felice? Chiediti anche questo, Autumn. Comincia a capire quanti e quali sacrifici ha fatto tuo fratello, non fossilizzarti solo sull'amore che provasti per me tanti anni fa.

Autumn reclinò il capo, cocciuto, e non disse nulla.

Erin, sospirando muta, continuò a scrivere la sua arringa sul vetro.

Dai colpe a Winter che lui non merita, e non starò più zitta, ormai. Meritate entrambi di vivere felici, ma solo uniti potete farlo! Parla con lui, chiarisciti! E accetta l'amore che provi per quella ragazza! Te lo meriti!

“Ma io ti amavo...” singhiozzò lui, crollando a terra in ginocchio.

Ascoltati, Autumn, e capirai da solo.

Dopo aver scritto quell'ultimo messaggio, Erin aprì la finestra del bagno e si lasciò trasportare dall'aria corrente fuori dalla stanza, perché il cognato potesse sfogare da solo il proprio dolore.

 
§§§

Stiracchiandosi nel letto matrimoniale di Autumn, Melody sorrise sonnacchiosa nello svegliarsi e, soddisfatta, scrutò il suo corpo sonnolento e soddisfatto.

I baci di Autumn avevano lasciato segni un po' ovunque, a memento della frenesia di quel loro primo amplesso.

Non le spiaceva avere il suo marchio sulla pelle, specialmente dopo aver dubitato tanto su quell'esito.

Non le ci era voluto molto per innamorarsi di lui.

Le era bastato guardarlo all'opera, ammirare la passione per il lavoro che svolgeva, o scrutarlo trasognata quando si prendeva cura di Storm. O di lei.

Era un uomo buono, burbero e ruvido come carta vetrata, a volte, ma gentile di cuore e generoso.

E lei non aveva avuto scampo alcuno, quando lui si era presentato dinanzi alla camera che la ospitava, il giorno stesso del suo arrivo, con lenzuola nuove e del suo colore preferito.

Quale altro uomo si sarebbe preso tante premure? Nessuno, a suo dire.

Solo Autumn. Il suo Autumn.

Almeno, era suo nel cuore che le batteva a tamburo nel petto.

Ma sapeva bene che quello di Autumn era ancora impegnato con un fantasma.

Al momento, però, non le importava, specialmente considerando la telefonata che aveva ricevuto solo la sera precedente.

Se quello che le avevano riferito era vero, e definitivo, non avrebbe mai condannato Autumn a quel genere di tortura.

Si sarebbe limitata a prendere quello che veniva da quel breve interludio passato con lui e, una volta terminata la sua tesi, si sarebbe ritirata nell'ombra.

A soffrire, probabilmente.

Ma l'avrebbe lasciato stare, non l'avrebbe trascinato con lei nell'abisso.

Non lo meritava davvero, visto che lui era riuscito a farle depennare l'ultimo punto della lista.

Sorridendo, si levò da letto e si infilò la maglia bianca di Autumn, che raggiungeva più della metà delle cosce e, passatasi una mano tra i capelli trasandati, andò in bagno.

Lì, trovò i resti di una doccia bollente e di uno specchio completamente imbrattato di ditate – ma che faceva, Autumn, in bagno? – e, scrollate le spalle, aprì l'acqua e si buttò sotto il soffione.

Ne uscì una ventina di minuti dopo, calda e profumata e, tutta sorridente, si diresse in cucina, dove trovò Autumn abbigliato solo con un salviettone, intento a preparare delle frittelle dolci.

Vederlo lavorare ai fornelli mezzo nudo era qualcosa di… saporitamente squisito. Veniva voglia di mordicchiarlo su quelle spalle ampie.

O da qualche altra parte.

“Buongiorno” mormorò lei, baciandogli un bicipite prima di avvolgerlo alla vita con le braccia.

Lui si volse a mezzo e, sorridendole sghembo, le diede un bacetto sulla fronte per poi attirarsela vicino, contro il petto.

Melody ne fu felice e, simile a un koala, lo avvolse stretto.

“Meno male. Pensavo ti fossi pentito di quel che è successo.”

“Sarebbe un po' da idioti, visto che l'abbiamo fatto tre volte di seguito.”

La giovane sorrise deliziata al solo ricordo e Autumn, nonostante tutto, ghignò soddisfatto. Era bello pensare di averla soddisfatta, e di poter farla sorridere in quel modo al solo pensiero di quello che avevano condiviso.

“Non sapevo bene come ti saresti sentito, visto quello che provi per Erin” mormorò lei, reclinando il capo per appoggiare l'orecchio in prossimità del suo cuore.

Era vagamente agitato, ma non pareva in ansia.

“L'amavo...” sussurrò distrattamente lui, rigirando una delle frittelle. Altre sei erano già pronte su un piattino di porcellana rossa.

“Allora, va bene” assentì Melody, sollevandosi in punta di piedi per baciarlo sulle labbra.

“Come?” esalò lui, vagamente confuso.

Lei si scostò, iniziò a preparare la tavola per la colazione, disponendo le tovagliette blu che tanto le piacevano.

Quando ebbe lasciato passare abbastanza tempo tra quella domanda confusa e la sua risposta, asserì: “Hai parlato al passato, quindi so di non aver ferito i tuoi sentimenti, o quelli della persona che hai amato.”

Ascoltati, Autumn, e capirai da solo.

Le parole di Erin gli rimbalzarono nella mente come il suono di un gong e, di colpo, tutto fu chiaro.

Melody, ciò che aveva sentito per lei fin da quando si erano visti la prima volta, il sentimento divorante che era cresciuto nel suo animo giorno dopo giorno, la decisione di portarlo a galla. Tutto.

Mollando padella e spatola, Autumn la raggiunse in due brevi falcate e, preso il suo viso tra le mani, lo sollevò delicatamente per baciarla, pieno di gratitudine e di sollievo.

Aveva amato Erin. Stava tutto in quelle tre, semplici parole.

Non aveva tradito la sua memoria, perché il suo cuore era già libero da tempo dal suo amore per lei.

Come gli aveva detto Erin, quel nuovo sentimento era puro e reale, non era frutto della sua fantasia, e non doveva averne paura, né provare ribrezzo per esso.

Amava Melody. Ed Erin era felice per lui.

Affondando in lei con rinnovata gioia, Autumn la sentì ridere lieta e vagamente sorpresa sotto la sua bocca.

Con una risata carica di rinnovata fiducia, la strinse a sé e mormorò contro la sua spalla: “Grazie. Grazie.”

“E di che?” rise lei, replicando con entusiasmo all'abbraccio.

“Di esserci.”

Disse solo questo, ma a Melody bastarono queste due semplici parole per crollare nell'abisso più nero.

Non era previsto che lui si innamorasse di lei, ma quello che aveva appena detto non poteva che voler dire questo.

Aveva sperato che Autumn non si lasciasse coinvolgere così tanto, che fosse suo malgrado più superficiale di così... anche se il solo pensarlo la fece sentire un'idiota.

Ormai, avrebbe dovuto saperlo che lui era tutto, tranne che una persona superficiale.

Cosa doveva fare, a questo punto?

Allontanarsi, ferirlo, fargli credere che fosse una ragazza leggera?

Nessuna di quelle ipotesi le piacque, perché lei non era così.

Ma non voleva neppure distruggerlo, perché sapeva bene che, quello a cui andava incontro, lo avrebbe spezzato.

Non voleva, eppure... non era in grado di separarsi da quelle braccia forti, da quel cuore pulsante, da quell'amore che aveva appena scoperto di provare.

Che Dio l'assistesse, non voleva separarsi da Autumn!

 
∞∞∞

Il pugno arrivò senza preavviso.

Ma, come razionalizzò Autumn quando riuscì a riconnettere il cervello, fu ben meritato.

Perché non è l'idea più felice del mondo quella di farsi vedere, fuori casa, con le mani sul sedere della nipote del tuo migliore amico.

Nel caricare il pick-up con le loro attrezzature, Melody si era comportata in maniera un po' civettuola e Autumn, giusto per renderle la pariglia, l'aveva bloccata contro il cassone in posa assai mascolina.

Lei aveva riso, lui si era spinto un po' più in là... e il pugno era arrivato silenzioso quanto micidiale.

E ora si ritrovava a terra, stordito come se una muta di bufali lo avesse investito, mentre le urla isteriche di Melody si confondevano coi ringhi di Storm e gli insulti di Robin.

Controllando con movimenti cauti che la mandibola fosse ancora al suo posto, Autumn si mise seduto, giusto il tempo di vedere Melody scaricare un pugno sulla pancia prominente dello zio.

Il colpo, evidentemente, andò a segno, perché Robin indietreggiò con aria accigliata e dolorante.

La nipote, al tempo stesso, si parò dinanzi a Autumn in posizione di difesa, dimostrando una conoscenza delle arti marziali maggiore di quanto lui non si aspettasse.

La ragazza sapeva il fatto suo, accidenti a lei!

“Oooh, andiamo, cricetino, non fare la sbruffona con me. Piantala di minacciarmi a quel modo, neanche fossi Keanu Reeves in Matrix!” brontolò Robin, tenendosi protettivamente la pancia contusa.

“Keanu è una schiappa, al mio confronto” ringhiò Melody, tutta sibili feroci e aria furente. “Non osare toccare Autumn! Ha tutto il diritto di toccarmi, è chiaro?!”

Robin si gonfiò come un tacchino, la faccia gli divenne paonazza e, simile a un’oca starnazzante, esclamò: “No che non ne ha il diritto! Lui sapeva che non avrebbe dovuto toccarti! Me l'aveva promesso!”

“Beh, non è colpa sua. Ci ho pensato io a condurlo sulla via della perdizione!” sbottò Melody, infuriata al pari dello zio. “Lui si è sempre comportato benissimo. Sono stata io che l'ho adescato.”

“Cricetino...” si lagnò Robin, fissando in alternanza Melody e Autumn che, nel frattempo, si era rimesso in piedi e fissava il suo vecchio amico con aria guardinga.

“Non ho più sei anni, zio Rob, non ha senso che mi chiami così. Sono una donna adulta e maggiorenne da un bel po', e posso prendermi tutti gli amanti che voglio. Scusa, ma non sei felice che abbia scelto proprio un uomo che stimi?”

Quell'arringa spudorata fece rabbrividire Robin che, grattandosi la zazzera che aveva sulla testa, esalò infelice: “Ti prego, non mettere  le parole ‘amante’ e ‘uomo’ nella stessa frase. Non lo sopporto!”

“Beh, ti converrà abituarti, perché Autumn è il mio uomo e il mio amante” sbottò Melody, abbracciando l’uomo dei suoi desideri con aria protettiva.

Robin li guardò assieme, scrutò gli occhi decisi della nipote e quelli amorevoli e protettivi di Autumn e, senza poter più dire nulla, esalò un sospiro sconfitto.

Storm riuscì a rilassarsi quanto bastò per raggiungere il suo vecchio amico e Rob, nel passargli una mano sulla testa, mormorò: “Ti ho fatto spaventare, eh, Storm? Ma il tuo padrone mi ha fatto proprio incazzare di brutto.”

“Scusa, Robin. So che non avrei dovuto, ma...” asserì Autumn, subito azzittito da un'occhiataccia dell'amico.

“Me l'avevi promesso, altrimenti non avrei mai permesso che lei venisse qui da te.”

Ricordargli la parola data non aiutò Autumn a sentirsi meglio, ma ancora Melody intervenne in sua difesa.

“Zio, ti ho già detto che Autumn non ha colpa. Inoltre, vuoi davvero togliermi quello che desidero?”

Robin aggrottò la fronte, a quelle parole, e replicò: “Questo è giocare sporco, Mel.”

“Me lo posso permettere, e tu lo sai” sbuffò lei, lasciando andare Autumn per tornare dallo zio. “Senti, puoi accettarlo e darci una mano quando arriveranno i tornado, oppure mettere il muso e mandarci al diavolo entrambi. Scegli tu. Ma un fatto non cambierà; io sto con Autumn, finché a entrambi starà bene, e questo vuol dire che mi vedrai baciarlo, o che vedrai lui palpeggiarmi, se gli va. Ce la fai a sopportarlo?”

Autumn ebbe il buongusto di starsene zitto e buono vicino al pick-up mentre Robin, da viola che era in viso, tornò pian piano a riprendere una colorazione umana.

Quando infine sospirò, l’uomo asserì di malavoglia: “Sei adulta, e so che Autumn è un brav'uomo. Ma stai attenta, cara.”

“Nei limiti del possibile” assentì lei.

Robin allora si avvicinò a Autumn, che rimase vigile e attento e, dopo un attimo di tensione, gli allungò una mano in segno di pace.

“Hai tra le mani la mia nipotina. Sai già cosa ti farò, se la farai soffrire.”

“Mi reputo debitamente avvisato. Ma non è mia intenzione ferirla, poco ma sicuro” dichiarò Autumn, stringendo la mano dell'amico.

Melody li fissò turbata, ben sapendo che non sarebbe stato certo lui a farle del male, bensì il contrario.

Ma era troppo egoista per rinunciare a qualcosa di tanto bello e forse,  dopotutto, ogni cosa sarebbe andata per il meglio.

Il cellulare di Autumn scelse proprio quel momento per squillare e lui, estrattolo dalla tasca anteriore dei jeans schiariti, accettò la chiamata e disse: “Ehi, Miranda! Ciao! Qual buon vento, a stóirin?”

“Vento buono, Autumn. Ho avuto un maschietto, e lo abbiamo chiamato Anthony, in onore di tuo padre” disse la donna con voce orgogliosa e sognante.

Gli occhi del Dominatore dell’Aria si sgranarono di sorpresa – era stato troppo preso da Melody, per controllare – e, con un sorriso di pura gioia, mormorò: “Le fate canteranno in coro la tua gloria, Miranda, e io accenderò una candela per il tuo cucciolo, che onorerò e benedirò. Siate lieti, la nuova stella è sorta, il nuovo sole è nato.”

Melody, che stava ascoltando distrattamente la telefonata, si sorprese per quelle parole così sentite e calorose e, curiosa, si chiese con chi stesse parlando, e chi fosse questa Miranda.

Un’amica? Una vecchia amante? Di sicuro, Autumn sembrava esserle molto affezionato.

“Tu ci onori, Guardiano dell'Aria. Saremmo felici se tu potessi vedere di persona il nostro piccolo e...”

Già sul punto di dire altro, Miranda venne bloccata dal singulto strozzato emesso da Autumn che, irrigidendosi di colpo, strinse la mano libera a pugno, poggiandola sul cuore, e sibilò: “Che diavolo stanno combinando?”

“Cosa succede, Autumn?” si preoccupò immediatamente Miranda, al pari di Melody e Robin, che lo fissarono confusi.

“Passami Colin. Subito.”

Il tono perentorio dell’uomo costrinse la neomamma a non porre ulteriori domande e, nel giro di pochi attimi, il marito di lei fu al telefono.

“Ehi, amico, che c'è?”

“Porta Mir’ lontano da lì. Andate da tua zia, a Temair. Non è sicuro rimanere a Dublino. Non adesso” lo mise in guardia Autumn, guardandosi intorno con espressione accigliata.

Qualcosa non andava, se lo sentiva nelle ossa.

Qualcosa di molto grosso.

Non appena inquadrò gli sguardi dubbiosi di Melody e Robin, si allontanò perché non sentissero il resto della conversazione.

C’erano troppe cose che avrebbe dovuto spiegare, e non era decisamente il momento.

“Vuoi spiegarmi che succede, Autumn?” gli domandò Colin, ora veramente turbato.

“Colin, c'è qualcosa che non quadra nelle energie che circondano il castello della nonna. Sta combinando qualcosa che non mi piace, soprattutto perché non riesco a entrare per curiosare. Andatevene immediatamente. A Temair, le reti di potere sono abbastanza forti, e vi terranno al riparo dai contraccolpi energetici che potrebbero eventualmente svilupparsi dal castello.”

“Così mi preoccupi” mormorò torvo Colin.

“Credimi, io lo sono più di te. Non ho idea di cosa stiano combinando là dentro, ma non mi piace per nulla quello che percepisco e, soprattutto, quello che non riesco più a percepire. Ora indagherò anche da...”

Non riuscì a terminare la frase.

Il suo Elemento, così come le correnti energetiche del suo corpo, andarono letteralmente in tilt e, come una marionetta privata dei suoi fili, crollò a terra senza forze.

Una folata di vento senza controllo si sprigionò dal suo corpo, mandando a gambe all’aria sia Robin che Melody, impreparati a un simile evento spontaneo quanto improbabile.

Solo la fortuna gli impedì di perdere i sensi, ma il contraccolpo psichico fu tremendo, quando tutto tornò alla normalità.

Il tutto durò solo qualche secondo, ma a Autumn parve un’eternità.

Portandosi le mani al petto, quasi gli avessero strappato il cuore dal corpo, mollò la presa sul cellulare e ringhiò per il dolore.

Si torse sul prato come se lo stessero dilaniando, la voce di Colin che filtrava dal cellulare a volersi sincerare sulle condizioni dell’amico.

Tutto inutile. Autumn non avrebbe potuto rispondergli neppure volendo.

Non aveva fiato nei polmoni per parlare.

Melody, pur sconvolta da ciò che aveva visto e che era appena successo, si rialzò in fretta da terra e lo raggiunse di corsa.

Afferrò il cellulare, disse in fretta due parole all’interlocutore per metterlo in attesa e, con mani tremanti, sfiorò le spalle rattrappite di Autumn.

Accucciatasi al suo fianco, preoccupata e bianca come un lenzuolo, lo strattonò dolcemente per farlo voltare e, spaventata dal suo pallore, esclamò: “Autumn! Parlami, che c'è?”

“Sto... bene... tranquilla” balbettò lui, percependo i propri poteri tornare alla normalità dopo quella scossa improvvisa e violenta.

Che diavolo stava succedendo?

“Non mi sembra. Sei più bianco dei miei capelli!” cercò di ironizzare lei, sorridendogli sghemba.

A fatica, grazie soprattutto all’aiuto di Melody, Autumn riuscì in qualche modo a mettersi seduto sull’erba.

Le diede un bacetto sul naso a punta prima di notare Robin a pochi passi da loro, pallido a sua volta e veramente preoccupato per lui. Oltre che confuso all’inverosimile.

Cos’era accaduto in quegli attimi? Cosa si era sprigionato da lui?

“E' okay, amico. Non sverrò” lo rassicurò, rimettendosi in piedi grazie all'aiuto di Melody.

Recuperato il cellulare, calmò anche le ansie di Colin e disse: “Chiama Sean e digli di raggiungervi. Non siete al sicuro, non in un luogo all’interno della rete di energia di nonna e soci. Andatevene. Porta via il piccolo da lì e nascondetevi, per la Dea!”

“Lo faremo, stai tranquillo” assentì Colin. “Ma chiamami più tardi, per farmi sapere se stai bene. Miranda, altrimenti, mi ammazzerà.”

Autumn sorrise sghembo, ma promise di chiamare.

Un attimo dopo aver terminato la telefonata con Colin, il cellulare trillò di nuovo e l’uomo, imprecando tra i denti, accettò la chiamata.

“Dimmi che stai bene, Spry, o giuro che parto per l'Irlanda domani stesso e ammazzo tutti.”

“Ho un po' di emicrania, ma la botta è stata forte. Ma che è successo?” mormorò stancamente la donna, in sottofondo la voce di Max che confortava la piccola Sunshine.

L'idea che la nipote potesse aver visto la madre stare male, fece così infuriare Autumn da fargli perdere completamente il controllo... e l'assennatezza.

Si dimenticò di chi vi fosse vicino a lui e, furente, ringhiò: “Strangolerei la nonna seduta stante... se solo mi permettesse di entrare. Sta facendo qualcosa al castello, lo sento.”

“Summer ti ha già...” iniziò col dire Spring, quando il telefono in casa di Autumn cominciò a squillare.

Melody lo fissò con mille domande nello sguardo ma, dopo un attimo, corse all'interno dell'abitato per rispondere e, dalla finestra, annuì al suo indirizzo.

“A quanto pare, Mel sta parlando con Summer” dichiarò Autumn, sempre più furibondo.

“Questa faccenda non mi piace. Ora ne parlo anche con Win perché, se la nonna sta giocando con i nostri poteri, la cosa si fa veramente seria. La zia ha già deciso di tornare a Dublino per chiedere spiegazioni, comunque attenderà il responso di Winter.”

Pur accigliandosi, Autumn annuì e disse: “Sì, parlatene con lui e poi riferiscimi.”

Silenzio.

E un singulto strozzato.

“Sei sicuro di star bene? Sei veramente Autumn?”

“Piantala, Spry, è una cosa seria. Qui sta succedendo qualcosa di maledettamente pericoloso, e i miei screzi con Winter possono passare tranquillamente sotto l'uscio, per i miei gusti.”

“Ricordati di cosa hai detto, quando te lo rinfaccerò.”

“Non sei la prima donna, oggi, a dirmi una cosa simile” sorrise Autumn, salutandola.

Quando vide tornare Melody, torva in viso e con le braccia conserte, seppe di essere nei guai.

“Quand'è che ci vorresti spiegare cosa sta succedendo? Perché tua sorella mi ha chiesto se puoi ancora sentire lei e John? E non credo che intendesse dire con le tue orecchie.

“Cristo, Summ!” si lagnò lui, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. “Lei e la sua linguaccia.”

“E potresti anche spiegarci perché, dal tuo corpo, si è formato un piccolo tornado che ci ha stesi come birilli?” aggiunse Robin, più che confuso.

“Entriamo in casa. E' una storia, molto, molto lunga” sospirò Autumn, arcuando in avanti le spalle, l’idea stessa di parlare di ciò che era più pesante dell’intero globo.

Ma cosa poteva fare, a quel punto?






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N.d.A.: direi che c'è parecchia carne al fuoco, e so che avrete un sacco di domande su Melody, ma non posso rispondere, o rovinerei l'atmosfera. Perdonatemi. :-)
  
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