PROLOGO
Novembre 2004
-Puzzle?- chiesi alzando lo sguardo dal foglio e osservando il paesaggio ricostruito e incorniciato proprio al di sopra della tua scrivania.
-Si. mi piacciono.- rispondesti semplicemente, alzandoti dal letto con un movimento non molto agile. Anzi...fu proprio una goffa capriola. Facendo anche cadere il libro di storia su cui stavi ripassando. Mi morsi la lingua per non ridere, sapendoti piuttosto permalosa. Tuttavia dovesti accorgerti lo stesso della mia ilarità, perché gonfiasti le guance paffute sbuffando.
-Allora, questa versione?-
-Non capisco perché devi continuare a torturarmi, quando alla fine sai già di volermi troppo bene per non passarmela...- commentai sarcastico, stiracchiandomi e mantenendomi in equilibrio precario sulla sedia. Sarei potuto cadere anch’io, quella volta, ora che ci penso. Forse questo l’avresti trovato buffo anche tu.
-Conosci i patti. Devi almeno provarci, prima...-
-Comunque è roba da sfigati.-
-Il latino? Ne sono consapevole.- rispondesti.
-I puzzle, intendevo...non sono una noia?- chiesi, mettendomi di nuovo seduto composto e voltandomi verso di te. Probabilmente solo per coprire col braccio la mia improbabile traduzione in cui “i fanciulli sedevano sui pini”. Avevo pur sempre un orgoglio, diamine!
-Scherzi? Sono rilassanti. I miei preferiti sono i milk puzzle.-
-Milk puzzle?-
-Puzzle completamente bianchi. Sono il livello estremo di difficoltà di un puzzle.-
Strabuzzai gli occhi. In quel momento considerai seriamente l’ipotesi dei miei amici, secondo cui venivi da un altro pianeta. Il modo tranquillo con cui avevi pronunciato quelle parole, con aria convinta, fugava qualsiasi sospetto di uno scherzo.
-Ma sul serio esiste una roba del genere? La versione inutile dell’inutilità. Almeno i puzzle normali ti danno la soddisfazione di completare un disegno...e poi quanto diavolo di tempo deve volerci per completarne uno?-
-Almeno un mesetto, se ti ci metti due ore al giorno.- rispondesti, con la sicurezza di chi l’aveva fatto. -In ogni caso non sono inutili. La funzione di un puzzle è proprio quella di far passare il tempo, quindi direi che quelli bianchi sono, al contrario, i più adatti allo scopo.-
-Ma spiegami il senso se alla fine non ci vedi niente...- ribattei, adesso sinceramente invogliato dalla discussione, più che dal perdere tempo.
-Il senso è riuscire ad incastrare tutti i pezzi. Quello si che da soddisfazione.- spiegasti, appoggiandoti con la schiena al bordo della scrivania e fissandomi per un istante. Poi la tua testa si voltò verso la parete alle mie spalle, regalando a me la visione del tuo profilo. Il naso femminile più pronunciato che avessi mai visto.
-Secondo me le persone sono come tanti pezzi di un milk puzzle. Non ridere, dico sul serio!-
-Cioè, tutti bianchi? Cosa sei, razzista?-
-Idiota. Non intendevo quello.- sibilasti. -Era un modo per dire che siamo tutti esseri umani, però tutti diversi.-
-Sennò sai che palle!-
Ignorando la mia “profondissima” riflessione andasti avanti, per la tua strada, con un discorso che in qualche modo, adesso ,mi aveva catturato.
-Dicevo...superficialmente siamo tutti uguali, però poi ognuno è fatto a modo suo. Per questo non tutti stanno bene con tutti. Due persone, per stare bene insieme, devono incastrarsi nel modo giusto, come le tessere di un milk puzzle. E non è certo facile, trovare l’incastro giusto: ci vuole un sacco di tempo, ci vogliono tanti tentativi, e bisogna stare attenti anche a non prendere il pezzo giusto guardandolo dal verso sbagliato. Questa è la cosa più difficile di tutte. Però quando trovi l’incastro giusto è bello, cioè...anche senza un disegno. Il bello è proprio riuscire a mettere ordine, a far stare bene tutti i pezzi, trovare il loro posto nel puzzle, ed anche il pezzo a cui farli combaciare. Secondo me, è una soddisfazione a prescindere.-