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Autore: hes everything    29/09/2014    2 recensioni
"Comunque, non sono qui per parlare di quanto sia schifoso morire di cancro, né di quanto vorrei ancora poter vivere, ma, piuttosto, sono qui per lasciare qualcosa di me. Qualcosa che sia vivo, che in qualche modo ricordi chi ero prima della diagnosi una volta che me ne sarò andato.
E allora, parlerò di Louis.
Perché è tutto ciò che di vivo in me rimane."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordati di me

Consiglio la lettura del capitolo con "Don't Let Me Go" in sottofondo

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8 ottobre 2013.
 
L’ho – l’abbiamo – cantata quel pomeriggio.

Ci vedemmo al pub alle sei in punto, come da programma: fuori scendeva una pioggerellina malinconica e grigia, ma il calore degli alcolici, delle patatine fritte, e del mio cuore che batteva incessantemente, non lasciava spazio al freddo. Ci sedemmo in un angolino appartato, poco lontano dal camino.
Louis mi fece strada, avvolto in un pesante cappotto nero, un beanie rosso poggiato stancamente sulla testa e le ciocche dei capelli incolti che gli ricadevano sugli occhi.

Tutto sommato, mi chiedevo se avrei dovuto dirgli del tumore: ci conoscevamo appena, sì, ma per me era una persona importante. Era quel qualcosa che alla mia vita mancava, che dava un senso. E fidatevi, fa male sentirsi incompleti. Ed io, io per lui cos’ero? Valeva la pena di confessare ad un ragazzo qualsiasi il grande dolore che affliggeva e rischiava di spezzare la mia vita? Ero abbastanza importante per lui? Avrebbe accettato? Avrebbe capito? Sì, Harry, l’avrebbe fatto. E ti avrebbe anche amato.

Ci sedemmo, una birra per ciascuno, e passammo qualche minuto a contemplarci: Louis era sempre bello, anzi, lo era ancora di più, col volto bagnato dalla pioggia. Era l’arcobaleno, la quiete dopo la tempesta.

“Sono felice di vederti.” Alzò il volto dal suo bicchiere, mi fissò intensamente, e vidi i suoi occhi illuminarsi, le labbra aprirsi. Sorrideva. Ed io mi sentivo vivo.

“Anche io, Harry. Veramente tanto. Sai, quando non mi hai chiamato pensavo volessi evitarmi e ci sono stato male, sono onesto; non so, forse per te sono solamente Il Ragazzo Conosciuto Al Parco, ma per me non è così. Hai qualcosa, Qualcosa con la Q maiuscola. Qualcosa che mi piace, che vale la pena d’essere scoperta.”

D’un tratto, il pub sembrava caldo, molto più caldo.
Sorrisi anche io, le fossette bene in vista, gli occhi vivi che solo Louis sapeva ormai accendere.

“Non ti ho chiamato solo perché ho perso il biglietto col tuo numero, altrimenti, credimi, non mi sarei staccato un attimo dal telefono.” Era la verità, o, almeno, lo era parzialmente: volevo nascondere la parte peggiore di me a quella migliore.

Vidi il suo volto illuminarsi, mentre si mordicchiava il labbro.
“Mi piace stare con te.”

“Anche a me, tanto.”

Finimmo le birre, chiacchierando del più e del meno; mi raccontò della sua vita: ventidue anni da compiere, un impiego in un negozio di giocattoli in centro, la passione per la musica ed un paio di storie d’amore alle spalle, che poi d’amore vero non erano. Non era mai stato una cima a scuola, quindi si era accontentato di un semplice diploma, e via! Pronto a godersi la vita.

“Ma non è sempre facile” mi aveva detto “vivere non è una passeggiata.”
Ed io, meglio di chiunque altro, potevo capirlo.

Pagammo il conto – dopo una discussione lunga ed accesa, decidemmo di fare a metà – ed uscimmo nella sera frizzantina.

“Buon Dio, qui si gela! Ma cosa diamine è, il Polo Nord?” Scoppiammo a ridere, i respiri che si condensavano in cumuli argentei.

Ero innamorato di lui? Sì, anche se lui non lo sapeva.
Era innamorato di me? Sì, anche se io non lo sapevo.

“Ti va se andiamo da me?”

“Assolutamente.”

Camminammo per un paio di minuti, in un pomeriggio immobile e gelido, scambiandoci battutine e pensieri con più o meno senso.

“Eccola, è la casa in fondo a destra.” Una piccola villetta, in perfetto stile inglese, si stagliava lungo il viale; risalimmo il vialetto e Louis iniziò ad armeggiare con le chiavi.

“Uhm, allora, questa dovrebbe aprire la porta…no, non va….diamine, forse è ques…no, chiave sbagliata….”

“Ti aiuto?” Ero ipnotizzato dalle sue mani, che si muovevano flessuosamente e con grazia.

“Tranquillo, trovata! Ecco, dannazione! Ce l’ho fatta! Ah!” Tra le risate, gli diedi una pacca sulla spalla e lui appoggiò la sua mano sulla mia. Gliela strinsi, mi sorrise.

“Vieni, entriamo.”

Il soggiorno era piuttosto confortevole, così mi accomodai sul divano, mentre Louis prendeva la chitarra in camera sua. Proprio mentre lo aspettavo, la gamba riprese a far male: la afferrai nel tentativo di placare il dolore, mi imposi di chiudere gli occhi e contare fino a dieci, ma quella fitta sembrava non darmi tregua. Iniziai a gemere, mentre imprecavo a bassa voce. Perché, perché non potevo essere felice? Louis non avrebbe mai voluto stare con un ragazzo come me: poteva avere di meglio, perché proprio me? Perché lo amavo? Perché non potevo amare Violet Becker, o Amy Jensen, o qualsiasi altra ragazza? Perché proprio lui?
Me ne stavo sdraiato sul divano, cercando di controllare il dolore che si affievoliva, pensando che le cose belle hanno sempre una fine, quindi, proprio come Gatsby, anche io ero destinato a soccombere. Che bella fregatura. Ma, seguendo il suo esempio, volevo avere la mia parentesi di felicità. Con Louis.

Lo sentii scendere le scale, per poi vederlo arrivare raggiante con la chitarra nella mano sottile.

“Eccoci, cosa cantiamo? Harry, stai bene?” Dovevo essere ancora pallido.

“Sì, bene; ho sbattuto il ginocchio contro il tavolino.”

“Ah, quelli sì che son dolori! Allora, cosa cantiamo? Qualche idea?”

“Io scrivo. Canzoni, dico.”

“Davvero? Ne voglio ascoltare una, sempre se vuoi tu.”

“Certo, certo che voglio! Senti, ho portato il testo, così, magari puoi cantarla anche tu.”

“Attacca, io ti seguo.”

“Okay, bene.”

Afferrai la chitarra, le mani che tremavano leggermente, il respiro di Louis sul mio collo. Misi da parte le incertezze, da parte la paura, la paura di non farcela, e lo feci: donai quella canzone, donai me stesso, all’unica persona che meritasse il mio amore.
 
Now you were standing there right in front of me
I hold on scared and harder to breath
All of a sudden these lights are blinding me
I never noticed how bright they would be

 
Louis mi guardava senza proferire parola; non potevo sapere cosa gli passasse per la mente in quel momento, ma speravo che pensasse a me. Speravo che si ritrovasse nelle mie parole, in quella dichiarazione d’amore mai urlata, né sussurrata fino a quel momento.
Perché Louis era l’unico. L’unico per cui valesse la pena amare.
 
I saw in the corner there is a photograph
No doubt in my mind it’s a picture of you
It lies there alone on its bed of broken glass
This bed was never made for two
 
Ed io lo amavo, era innegabile.

Lo amavo per il modo assurdo in cui era entrato nella mia vita: cantando. I fili della nostra esistenza si erano ricongiunti sotto la forza della musica, che era tutto ciò che di mio avevo.

Lo amavo per quella sfacciataggine che ostentava, per la sua risata spontanea e la battuta sempre pronta.

Lo amavo per la sua voce cristallina, che era meglio di un bacio.

Lo amavo perché speravo che mi amasse, ma, onestamente, l’avrei fatto comunque.
 
I’ll keep my eyes wide open
I’ll keep my arms wide open
 
E glielo stavo per urlare; gliel’avrei chiesto cantando, di non lasciarmi.
E lui, lui che avrebbe fatto? Non lo potevo sapere, ma potevo continuare a strimpellare quelle corde, ignorando la gamba, ignorando il mondo, se necessario.
 
Don’t let me
Don’t let me
Don’t let me go
‘Cause I’m tired of feeling alone

 
Iniziò a cantare la canzone con me: improvvisamente, sentii la sua voce accompagnare la mia. Alzai lo sguardo, tanto incredulo quanto grato, e vidi le sue labbra sottili muoversi. Gli sorrisi. Mi sorrise. Continuammo a cantarla fino alla fine.

“E’ bellissima, Harry. Non ho parole.”

“Grazie, sono stato felice di averla cantata con te: sei il primo a cui la mostro.”

“Davvero?”

“Verissimo.”

“Allora, è doppiamente bella.”

“Ci vediamo domani, ti va?”

“Devi andartene? Già?”

“Sì, sono le nove.”

“Accidenti, vola il tempo, eh?”

“Proprio così.”

“Ci vediamo domani; alle quattro al bar?”

“Perfetto.”

“Non vedo l’ora.”

“A domani. E grazie. Per la canzone, dico.”

“Grazie a te.”

Ed io lo sapevo, in quella serata eccessivamente bella, che lui aveva capito.
E speravo con tutto me stesso che anche Louis si addormentasse con la mia immagine nella mente, perché ero fin troppo stanco d’esser solo.

 

Give me love like never before,
'cause lately I've been craving more

 
-

Buonasera!!!

Questa settimana sono riuscita a rispettare i tempi, il che mi rende eccessivamente euforica (#disagio). 
Sono veramente emozionata: questo è uno tra i capitoli che preferisco e, dal prossimo, gli argomenti e le tematiche saranno sempre più forti (il che mi porterà ad avere un crollo emotivo, lo so già.)
Vi ho linkato l'URL di 
Don't Let Me Go (la magika "x") e vi consiglio davvero di leggere il capitolo con la canzone in sottofondo: c'è un senso dietro, che per il momento non voglio svelare. Ad essere onesta, sono due le colonne sonore della mia storia: Don't Let Me Go Turning Page (ve ne consiglierò l'ascolto al momento giusto.)

Vi ringrazio ancora di cuore, e, prima di lasciarvi in pace, vorrei spiegarvi il perché dei tanti riferimanti a Il Grande Gatsby (ce ne sono stati e ce ne saranno): è un libro che mi ha segnata, che ritengo e sento strettamente mio. Così, poiché in questa storia ci sono tante piccole parti della mia essenza, ho ritenuto giusto mettermi completamente a nudo.

Grazie, 
un bacio
 
 
  
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