Get Home
Nel buio, l'attenzione di tutti e dodici i presenti venne rivolta verso la fonte del crepitio improvviso, il televisore accesosi da solo illuminando la stanza. Uno di loro si alzò dal divano, abbassandosi a premere play e tornando rapido al suo posto.
L'ambiente
ripreso era lo stesso in cui i dodici spettatori si trovavano. Dopo
qualche secondo di totale immobilità comparve dal lato destro
un uomo di statura modesta, corti capelli neri e sguardo imbronciato;
piazzò una sedia di fronte alla telecamera e si sedette,
incrociando le braccia e rimanendo in silenzio. Da fisso
nell'obiettivo, il suo sguardo si spostò su qualcuno dietro
l'obiettivo. - Devo proprio? - mormorò, indicando in camera.
- Non vorrai andartene senza lasciare un bel ricordo ai ragazzi,
no? - rispose una voce fuori campo, profonda e autoritaria. L'uomo
seduto fece una smorfia, e risatine divertite riempirono la stanza,
provenienti sia dalla pellicola che dal pubblico.
L'uomo
sciolse le braccia intrecciate sul petto e poggiò i pugni
sulle ginocchia, sospirando una sola volta prima di iniziare a
parlare. - Mi chiamo Levi Ackerman. I lunghi discorsi non sono il mio
forte, ma per questa volta. - spostò nuovamente lo sguardo
sull'uomo fuori campo, che rise. - Farò un'eccezione.
-
Silenzio per qualche secondo, da entrambe le parti. Quando Levi
tornò a parlare, il suo tono era molto più sicuro e
serio.
- Se state guardando questo video c'è la
possibilità che io sia morto. E così Erwin. O forse uno
di voi piccole pesti ha fatto cadere il DVD dalla libreria e vi siete
raggruppati per spiarmi mentre controllo se funziona ancora. In ogni
caso, se...se io non fossi lì a inseguirvi, e Erwin non fosse
lì a salvarvi, questo è l'unico modo che avete per
trovarci. Per cui, per questa volta cercate di fare uno sforzo e
ascoltarmi attentamente. -
Ci fu di nuovo una pausa, questa volta
più lunga; tanto che la voce di Erwin tornò a riempire
gli altoparlanti. - Posso dirlo io, se preferisci. -
- No. - Levi
scosse la testa senza giustificare il suo silenzio, tornando a
guardare in camera con quanta più intensità possibile;
e per la prima volta da quando il video era cominciato, i dodici
spettatori riconobbero in quello sguardo l'uomo che aveva combattuto
mille guerre senza arrendersi. L'uomo che aveva cresciuto tutti loro.
- La priorità della nostra famiglia. - ogni parola di
Levi era carica di forza distruttiva. - È sopravvivere.
Assieme. -
21 anni prima, Repubblica Dominicana
Da qualche parte sulla costa di Santo Domingo
Nessuno
degli abitanti della zona costiera parve notare la loro presenza,
almeno in apparenza; d'altronde per loro lo spettacolo di due o più
turisti europei in cerca di divertimenti illegali non doveva essere
una novità. Eppure, entrambi loro erano estremamente
consapevoli che aldilà di ciò che vedevano e aldilà
di ciò che appariva esisteva un fitto labirinto di informatori
e scambi di informazioni, e che la notizia della loro comparsa doveva
già essere arrivata alle orecchie dei principali boss della
zona. Grato della presenza dei suoi occhiali scuri, lo sguardo di
Erwin si posava su ogni ragazzo adolescente che sussultasse e
scomparisse in un vicolo al loro passaggio.
- Quando pensi che
arriveranno a chiederci che vogliamo? - domandò all'uomo che
lo seguiva, una nota divertita nel tono di voce. Si girò a
guardarlo, in attesa di una risposta che Levi non gli diede.
Sembrava nervoso, parecchio nervoso. Erwin aveva imparato ad avere grande considerazione di ogni pensiero e sensazione di Levi, anche di quelli che lui non esprimeva ad alta voce.
- Credi sia una trappola? - sussurrò; Levi annuì impercettibilmente. Erwin si morse il labbro inferiore, tornando a guardarsi attorno fino ad individuare, dietro un muretto spaccato, un ragazzo di carnagione scura che fece loro cenno di avvicinarsi. Lo indicò appena a Levi, che annuì.
-
È da un po' che girate qui, sì. - il ragazzo non si
presentò; giocherellava con un coltellino a serramanico, e
parlava in uno spagnolo sbiascicato. - Di cosa avete bisogno?
-
Erwin glielo disse. Il ragazzo smise di giocare col coltellino,
assumendo istantaneamente un'espressione più seria. -
Seguitemi. - persino il suo modo di parlare sembrava essersi fatto
più sicuro e meno idiota, mentre faceva loro cenno di andargli
dietro e controllava che nessuno sguardo indiscreto li controllasse.
Proseguirono per svariati vicoli sempre più cupi, desolati e sporchi; Erwin avvertiva la tensione del suo accompagnatore aumentare ad ogni incrocio, ad ogni svolta, ma non cercò di calmarlo. Era meglio che Levi si preparasse a qualunque ostacolo avrebbero dovuto eventualmente affrontare, e il fatto che stesse all'erta lo rassicurava. Aveva sensi ed istinti molto più raffinati dei suoi.
- Prego, da questa parte. - il ragazzo aprì una porta arrugginita con una spallata e fece loro segno di proseguire lungo una scalinata che li avrebbe portati di sotto. Fu allora che Levi parlò, per la prima volta in ore.
- Va prima tu. - Il suo tono di voce era tanto freddo e duro che Erwin potè quasi vedere il volto del ragazzo sbiancare sotto quella velata minaccia. L'ispanico non se lo fece ripetere due volte, iniziando a scendere gli scalini che portavano nel sottosuolo.
- Un dono della sintesi impeccabile, come sempre. - sussurrò Erwin, poggiando il piede sul primo scalino; Levi non rispose, né diede segno di avere udito il complimento.
Dal piano di sotto arrivava della luce rossastra, tanto intensa da rendere l'ambiente soffocante; il fatto che il corridoio in discesa andasse stringendosi non contribuiva a rendere il tutto meno claustrofobico. Erwin si ritrovò a strisciare lateralmente nell'ultima porzione di corridoio, prima che il ragazzo che faceva loro da guida si fermasse di fronte a una porta dalla quale proveniva della musica e bussasse sette volte, a intermittenza.
Una finestrella si aprì per poco più di un secondo; l'attimo dopo la maniglia scattò, e sull'uscio apparve una donna latina, il volto pesantemente truccato e un'espressione imbronciata.
- Fanno i capricci. - mormorò in spagnolo al ragazzo; lui scrollò le spalle, intimandole di farlo passare, e fece nuovamente cenno a Erwin e Levi di seguirlo all'interno della stanza.
Se prima la luce rossa era sembrata soffocante, ora che il lampadario che la emetteva era sopra le loro teste Erwin la giudicò rivoltante; tuttavia non potè fare a meno di togliere gli occhiali da sole, per sperare di capire come fosse composta la stanza in cui si trovavano. Poster più o meno vecchi e rovinati ricoprivano le pareti, lasciando uno spazio libero solamente a una seconda porta, alla sua destra; una musica reggae che non conosceva suonava nell'aria, e la stanza era disseminata di divanetti di svariate forme e misure, consunti dal tempo e dall'utilizzo. Erwin si trattenne dall'emettere un suono disgustato; Levi no.
-
Amici americani! - li salutò un uomo seduto in fondo alla
stanza, alzando un bicchiere nella loro direzione. Erwin andò
a sedersi di fronte a lui, lasciando Levi ad osservare la stanza.
L'uomo inghiottì il liquido nel bicchiere come fosse acqua,
poi rivolse le sue attenzioni a Erwin. - Jamal mi dice che tu e il
tuo amico siete interessati ai piccoli. -
Erwin attese che l'uomo
estraesse un sigaro e lo accendesse, approfittando della pausa per
osservare Jamal e la donna di qualche minuto prima scomparire dietro
la seconda porta. - Se è un problema... -
L'uomo scrollò
le spalle. - Non il primo uomo che viene per questo. Non l'ultimo. -
alzò poi la mano verso di lui per chiedere il contante. Erwin
non se lo fece ripetere due volte, estraendo un fascio di banconote
dalla tasca della camicia per consegnarle all'uomo, che le contò
annuendo soddisfatto. - Americano ha qualche preferenza? - chiese
poi, scostando con malavoglia lo sguardo dalle banconote per guardare
Erwin.
Quello era il momento che avevano aspettato per tutto quel tempo; Levi smise di guardarsi attorno e rivolse le sue attenzioni all'uomo, in attesa che Erwin rispondesse.
- Los alemanes. - sussurrò Erwin; e c'era una nota inquietante nella sua voce, molto più inquietante di qualunque minaccia Levi avrebbe mai potuto urlare. - Vogliamo i bambini tedeschi. -
Se
la cosa lo aveva sorpreso, l'uomo non ne diede alcun segno. Lo guardò
di sbieco. - Non so di cosa parla, te. - mormorò, riprendendo
a lisciare le banconote tra pollice ed indice. - Qui ha solo bambini
ispanici. -
Erwin si appoggiò lentamente verso lo
schienale. La sua mano corse verso l'altra tasca della camicia, da
dove recuperò un fascio di soldi molto più consistente
del precedente. Questa volta l'uomo sgranò gli occhi, e
vistosamente.
-
Senti, amico. - si sporse verso Erwin, guardandosi attorno come se
qualcuno di indesiderato potesse spuntare dalle pareti. - Non...non
so chi te ne ha parlato, ma non dovrei, va bene? Li ha portati
un...un collega, ha detto di tenerli qui per un po'. Non li ha
toccati nessuno. - il volto si aprì in un sorriso avido. -
Sarà il nostro segreto? Eh? -
Erwin sorrise tranquillo. -
Andata. - annuì; le mani dell'uomo si mossero svelte verso i
soldi che Erwin gli porgeva. Indicò loro la stanza in cui
fermarsi nella maniera più sbrigativa possibile, poi tornò
a contare il denaro, gongolando.
-
Non è stato difficile. - ammise Levi in inglese, seguendolo
verso la seconda porta.
Erwin infilò le mani nelle tasche
della camicia, dove mazzi di contante attendevano di essere estratti.
- No, non lo è stato affatto. Speriamo di non aver fatto un
buco nell'acqua. -
Dietro la porta li attendeva un corridoio scarsamente illuminato e più stretto e umido del precedente; Erwin puntò direttamente alla porta 104, quella indicatagli dall'uomo; attese che Levi annuisse e portasse la mano destra alla fondina ascellare, prima di aprire la stanza 104 con un colpo secco.
La
stanza era più umida, sporca e buia di qualunque altro
ambiente avevano attraversato fino a quel momento; ad Erwin ci volle
un attimo per abituarsi al buio, e per quando ebbe riacquistato l'uso
corretto della vista la massa di cenci e rabbia che se ne stava sul
letto lo aveva già raggiunto e stava prendendolo a calci.
-
Va via! - urlò; Erwin riconobbe un perfetto tedesco, con
l'accento di Monaco di Baviera. - Vattene via! Lasciaci stare! -
-
Levi. - si limitò ad ordinare; Levi chiuse la porta alle loro
spalle. Erwin si abbassò all'altezza del volto del ragazzino
che ancora cercava di colpirlo, evitando i suoi pugni deboli.
-
Reiner Braun. - chiamò; il bambino smise di dimenarsi,
fissandolo impaurito. - Non hai nulla da temere. Siamo venuti a
portarti via...tu, e il tuo amico, se vorrà onorarci della sua
presenza. -
Qualcuno uscì strisciando da sotto il letto al centro della stanza; Erwin identificò una figura leggermente più alta del bambino che gli stava di fronte, molto più impaurita e restia ad avvicinarsi. - Sei Bertholdt Fubar? - chiese, sempre in tedesco. Il bambino annuì leggermente, avvicinandosi all'amico e stringendogli il braccio in cerca di conforto.
Erwin si voltò verso Levi. - Ti dispiacerebbe far luce? -
Levi non se lo fece ripetere due volte, estraendo un accendino dall'interno della giacca e passandolo ad Erwin, che lo accese dopo un paio di tentativi e lo passò vicino ai volti dei due bambini. Non c'era alcun dubbio: quelli che aveva di fronte erano un quasi illeso Bertholdt Fubar e un parecchio malconcio Reiner Braun, i due bambini tedeschi rapiti tre settimane prima, la cui scomparsa non era stata denunciata alle autorità. Notizie del genere arrivavano più rapidamente alle orecchie vigili di Levi che a quelle corrotte e restie a collaborare della polizia, in ogni caso.
-
Avete qualcosa di rotto? Ferite profonde? - i bambini scossero la
testa; Erwin frugò nelle tasche fino a ritrovarvi due
caramelle mou. - Mangiate qualcosa. Non è molto, ma non
potevamo portarci dietro granchè. -
Reiner fissò le
caramelle con diffidenza. - È così che ci hanno portato
via. - mormorò, asciugandosi la bava che colava sul labbro
spaccato. - Ci porti anche tu a farci del male, signore? -
Erwin
li fissò – Reiner, otto anni, sguardo intenso fisso su
di lui; e Bertholdt, sette anni, in lacrime ed impegnato ad invocare
l'aiuto di una madre che non sarebbe mai tornata da lui. Non poteva
dire loro la verità, né inventare una spiegazione al
fatto che fossero stati venduti dai loro genitori, non dove una
spiegazione per un gesto talmente ignobile non esisteva affatto. Ma
poteva salvarli.
-
No, Reiner. - scosse la testa. - Vi porto in una scuola speciale, in
Inghilterra. Un posto in cui avrete vestiti puliti e luce a tutte le
ore del giorno e della notte. Un posto in cui nessuno potrà
mai farvi del male. -
Reiner sembrò valutare quelle
parole; si voltò verso Bert, che fece segno di sì con
la testa. Poi, quasi contemporaneamente, due manine piccole e sporche
si allungarono verso le caramelle e le afferrarono, scartandole e
divorandole con voracità. Erwin sorrise nuovamente.
-
Dobbiamo sbrigarci. - intimò Levi. Erwin annuì; avevano
conquistato la fiducia dei piccoli, ora iniziava la fase più
critica dell'operazione.
- Devo chiedervi di rimanere qui,
nascondervi sotto il letto e rimanere nel silenzio più totale
fino a quando io, e soltanto io, non vi chiamerò nuovamente. -
spiegò; Reiner e Bertholdt annuirono, e tornarono sotto il
letto senza che Erwin li esortasse a sbrigarsi. L'uomo si alzò.
-
Niente pistola, se possibile. - chiese; Levi sbruffò appena,
prima di abbassare la maniglia della porta e tornare nel corridoio.
Erwin lo seguì, senza sorprendersi della presenza di Jamal e
del suo capo.
- Ehi, capitano! - l'uomo stracciò le
banconote davanti a lui. - Sai cosa non mi piace? Non mi piace essere
preso per il culo, e non mi piace che due poliziotti americanos
vengono a ficcare il naso qui. -
Erwin non rspose; si limitò
a far scivolare lo sguardo dalla pistola sul fianco di Jamal a Levi,
accanto a sé. Bastò un minimo cenno con la testa perchè
questi partisse, più rapido di qualunque cosa Jamal e il suo
capo avrebbero mai potuto aspettarsi; scivolò quasi rasoterra,
alzando la gamba e indirizzando il calcio al fianco di Jamal e alla
sua pistola, che scivolò lontana da entrambi, in un angolo
buio del corridoio. Dopodichè Levi si rialzò,
afferrando contemporaneamente il braccio destro e il capo dell'uomo,
abbassando il piede verso il suo per farlo scivolare in avanti; il
rumore del naso dell'uomo che cozzava contro il ginocchio di Levi fu
doloroso persino da sentire.
Jamal stava arretrando verso la porta, ora, spaventato dalla rapidità e dall'assenza di pietà di Levi; quando andò a sbattere contro Erwin, la sua espressione mutò da spaventata a completamente orripilata.
- Sfortunatamente per te. - Erwin afferrò il braccio destro di Jamal, corso ad afferrare un coltello nascosto. - Nè io né il mio amico siamo poliziotti. -
Un
colpo secco, assordante; Jamal urlò, portando la mano del
braccio sano alla spalla dislocata e accasciandosi a terra,
rantolante. Erwin non perse tempo nell'osservarlo, raggiungendo Levi
e il piccolo boss mafioso svenuto a terra.
Piccoli volti
impauriti si affacciavano dalle porte del corridoio; Erwin regalò
un sorriso tranquillo ad ognuno di loro, passando allo spagnolo. -
Venite fuori. È tutto a posto. -
I bambini uscirono, uno
ad uno; Erwin sentì il cuore stringersi nel contarli, nel
guardare le sofferenze su tutti i loro visi. Otto femmine, cinque
maschi, più Reiner e Bertholdt in coda al gruppetto.
-
Tornate alle vostre case. - li pregò. - E se i vostri genitori
vi hanno venduto, andate alla chiesa di Santa Maria dei Peccati. Lì
qualcuno potrebbe aiutarvi. -
I bambini lo guardarono senza
esprimere alcun suono, né mostrare alcuna emozione; lo
superarono lentamente, oltrepassando Jamal e il suo capo e uscendo
alla luce di un sole che quasi non ricordavano più. Erwin li
guardò uscire tutti, tranne Reiner e Bertholdt.
- Non
posso tornare in Inghilterra assieme a tutti quanti loro. È un
rischio che non posso correre. - spiegò ai due bambini. Chinò
il capo, affranto. - Mi odiate, per questo? -
Fu Bertholdt a
rispondere per primo; era la prima volta che Erwin lo sentiva parlare
da quando li avevano trovati.
- Reiner è il mio eroe. - iniziò. - Perchè se uno veniva a picchiarci o a sgridarci mi nascondeva anche se non volevo e mi difendeva da loro. Ma tu sei il mio eroe più forte perchè li hai liberati tutti. -
Il volto del bambino si illuminò in un sorriso sincero. - Tu sei tipo Superman. -
Erwin lo fissò a bocca aperta per qualche secondo, prima di rivolgergli un sorriso caldo e ampio. Si abbassò a prendere in braccio entrambi i due bambini, sorridendo ulteriormente allo sguardo di rimprovero di Levi; e li portò fuori così, liberi e più al sicuro di quanto non fossero mai stati in vita loro.
* * *
Levi si svegliò coperto in un mare di sudore, trattenendosi dall'alzarsi di scatto dal sedile e approfittando dell'apparente assenza di Erwin per rilassarsi lentamente. Il rumore delle turbine dell'aereo e la voce pacata dell'hostess erano gli unici rumori udibili, e cercò di concentrarsi su quelli mentre riprendeva coscienza del mondo attorno a sé. Aveva il fiato corto come se avesse corso chilometri; come se fino a qualche secondo prima si fosse trovato a una fonte di calore troppo potente e distruttiva.
Lanciò un'occhiata rapida ai bambini, che dormivano tranquilli nei sedili tra il suo e quello di Erwin. La prima classe del volo era occupata da poche altre persone e nemmeno la metà di queste erano sveglie; Levi sapeva che la sua tensione sarebbe stata scambiata per semplice paura di volare, ma il solo pensiero lo infastidiva. Non voleva lo guardassero, né che Erwin sospettasse che l'incubo da cui si era appena svegliato fosse tornato a dargli il tormento.
Speranza vana, perchè Erwin notò che qualcosa non andava nell'istante in cui si sedette sul sedile, tornato dal bagno. - Non stai bene? - chiese, aggrottando la fronte.
Levi si passò la lingua sulle labbra secche. - Tutto a posto. La turbolenza mi infastidisce. -
-
Non è mai successo prima. - riflettè Erwin, senza
smettere di studiare la sua espressione. - Levi... ha a che vedere
con gli incubi? -
Levi alzò un dito nella sua direzione,
imponendogli silenzio sull'argomento. Erwin non volle insistere, pur
consapevole di aver ragione.
-
È inutile che io ti chieda di parlarmene. - ammise Erwin. - Ma
se posso fare qualcosa, sai che lo farò. -
Levi annuì;
sapeva che c'era sincerità nelle parole di Erwin, ma neanche
un uomo come lui poteva nulla contro i ricordi che affollavano la sua
mente. La sua forza non sarebbe arrivata a cancellare l'assordante
rumore delle bombe, e la sua intelligenza non poteva impedire che le
mani dell'uomo che era stato vagassero su parti di cadaveri troppo
piccoli per essere tali, sporcandosi di sangue innocente.
La sua mano destra, quella presente, corse verso il fianco; come d'istinto, Levi la premette contro la cicatrice che sapeva deturpare il suo costato e scendere fin quasi alla base della schiena. Un prezzo comunque troppo basso per ciò che aveva visto, e ciò che aveva aiutato a compiere.
- Hai già fatto abbastanza. - mormorò, alzando lo sguardo su Erwin e sorprendendosi di trovarlo fisso su di lui, gli occhi spalancati a causa della sorpresa. Erwin chinò il capo e sorrise appena.
Levi avrebbe potuto continuare; avrebbe potuto dirgli che era grato di essere vivo, e che era grato d'essere vivo grazie a lui. Ma non lo fece.
* * *
Il
sorriso che li accolse nell'ingresso di casa era uno dei più
sinceri e brillanti che Erwin avesse mai visto; era abituato a quello
spettacolo, così come era abituato a vedere il carattere
cinico e l'assetto militare di Levi scomparire per far posto a un
uomo burbero ma pieno di un turbolento affetto per coloro che lo
aspettavano.
- È tornato papà! - annunciò il
bambino coi capelli scuri, scomparendo poi tra le braccia di Levi,
abbassatosi ad accoglierlo. Le mani sulle spalle dei due nuovi
arrivati, Erwin guardò con silenzioso orgoglio la porta del
salone principale aprirsi e due, cinque, nove volti farvi capolino e
poi riversarsi nell'ingresso, voci ansiose di festeggiare e di
ricevere notizie del viaggio appena concluso e guance desiderose di
un bacio di bentornato e occhi carichi di vita.
-
Calmi, state calmi! - urlò una voce tonante da dietro tutti
loro; Erwin alzò lo sguardo dai bambini a Mike, che scuoteva
la testa rassegnato. - Non c'è stato modo di metterli a letto,
nonostante l'ora. E Zoe non è stata d'aiuto... -
Hanji Zoe
fece la sua comparsa proprio in quel momento, salutando Erwin con un
gesto rapido e tornando a gonfiare palloncini di forme e colori
diversi. L'uomo scambiò un'occhiata con Levi, ridendo del suo
sguardo annoiato, e si avvicinò poi a Mike.
-
È andato tutto bene? - chiese l'uomo, sistemandosi uno
straccio bagnato sulla spalla e prendendo in braccio la bambina che
chiedeva le sue attenzioni. - Qualche ferita? -
- Tutto a posto.
- annuì Erwin, lasciando un buffetto sulla guancia della
piccola, una bimba di sei anni di nome Sasha. - Abbiamo avuto il
tempo di spiegare la situazione ai ragazzi mentre tornavamo qui.
Ah...Nanaba è ferrata in tedesco, giusto? Può
accompgnarli alle loro stanze? -
Mike annuì. - Nessun
problema. - si chinò all'altezza dei volti intimoriti di
Reiner e Bertholdt, entrambi intenti ad osservare lo strano
spettacolo attorno a loro, e si presentò con un tedesco
stentato ma comprensibile, chiedendo loro di seguirlo. Reiner afferrò
la mano di Bertholdt e trotterellò incerto dietro alla figura
alta ed imponente di Mike, che si voltava regolarmente a controllare
che gli stessero dietro e non si perdessero tra una scalinata e
l'altra.
Erwin
si concesse un lungo sospiro di sollievo. Erano passate soltanto due
settimane da quando il loro contatto in Sud America aveva parlato
loro dei due ragazzini scomparsi a Santo Domingo, e trovarli non era
stato difficile, ma l'interminabile volo lo aveva provato. Stava
togliendosi il cappotto quando sentì una voce familiare
chiamarlo.
- Papà! Papà! - era Ymir, la più
grande, realizzò Erwin, prima dell'arrivo di Reiner. Il
fratellino minore le camminava al fianco, stropicciandosi gli occhi
nocciola con una mano e tenendo stretta quella di un bimbo biondo
nell'altra. - Ho aiutato Zoe a prepararvi la torta! Tu e papà
dovete assolutamente assaggiarla! -
Levi si rialzò in
piedi; teneva in braccio Armin, già semiaddormentato, mentre
Eren – il bambino che li aveva accolti all'ingresso –
saltellava ai suoi piedi, speranzoso di trovare spazio accanto ad
Armin. - Non se ne parla nemmeno. È tardi, e noi siamo
stanchi. -
Ymir portò il labbro inferiore in fuori e
aggrottò le sopracciglia; era una tecnica che, notò
Erwin, aveva perfettamente imparato da Levi. - Non mi lasci altra
scelta. - mormorò a denti stretti. Si voltò verso il
bambino che la seguiva. - Marco, diglielo tu. -
Quello si
strofinò nuovamente gli occhi; prima che potesse aprire bocca,
il bambino biondo che non lo aveva lasciato andare un attimo si fece
avanti. - Ma io sono stanco! - protestò. - E poi la torta di
Ymir fa schifo! -
Prima che Erwin o Levi potessero fermarla, Ymir stava già correndo dietro al piccolo Jean, sbraitando minacce; Levi alzò gli occhi al cielo, spostandoli poi sull'adulta appena entrata nella stanza – Hanji Zoe, tecnicamente la cuoca della casa, nonché una dei tanti domestici e amici di Erwin che badavano ai bambini durante la loro assenza. - Tu. - annunciò, la voce carica di rimprovero.
Hanji
rise. - Marco, ti va di fermare tua sorella? - Il bimbo annuì,
correndo poi dietro alla sorella maggiore. - Non so cosa farei senza
lui, Christa e Mikasa. Sono dei bambini talmente responsabili... -
ammise.
- Tutto il contrario di una certa cuoca. - borbottò
Levi. Hanji non sembrò farci caso.
-
Ma davvero, si sono impegnati tanto per farvi trovare una sorpresa
carina. Connie si è quasi addormentato sui fornelli. - un
ghigno; Erwin poteva quasi sentire la pazienza di Levi azzerarsi alle
sue spalle. - Sarebbe carino se almeno gli deste un'occhiata. -
-
Verrò io. - annuì Erwin. Lanciò uno sguardo a
Levi, che annuì appena e iniziò a dirigersi su per le
scale, nella stessa direzione di Mike, dove si trovavano le stanze
dei ragazzi. Eren e la piccola Mikasa lo seguirono, così come
Sasha – che Mike aveva lasciato a terra – e Connie; Ymir,
calmatasi dalla sua furia omicida, seguì Erwin ed Hanji
all'interno del salone. Marco, un offeso Jean e una tranquilla
Christa le stavano dietro.
- Papà. - la vocina di Christa era appena udibile, anche in quel silenzio. - I bambini nuovi sono felici? -
Erwin la guardò posizionarsi su una sedia accanto a Marco e Jean, mentre Ymir aiutava Hanji a portare in tavola la torta. C'erano palloncini su tutto il pavimento e alle pareti, attaccati agli intarsi in legno con grossi pezzi di nastro adesivo; l'aria era pregna del profumo di dolciumi, e calda, familiare. Era questo l'ambiente in cui dei bambini sarebbero dovuti crescere, pensò; era questo l'ambiente in cui voleva far crescere i suoi, i bambini sperduti che lui e Levi avevano trovato e allevato in tutti quegli anni di ricerche. Non tra grida e minacce, non tra siringhe e dolore.
Non tra esplosioni e morte.
- Lo saranno. - rispose, prima di arruffare i folti capelli biondi della piccola. E mentre osservava la scritta storta e pasticciata con cui i ragazzi avevano decorato la torta a due piani – Bentornati a casa – sapeva che sarebbe stato così.
E boh. Che dire? Questo è qualcosa che, da qualunque punto lo si guardi, non ho mai fatto prima. È un Eruri, tanto per cominciare; e la maggior parte dei personaggi che sono abituata a muovere ora è ridotta allo stato infantile...ma non preoccupatevi, la cosa gioca a mio favore. Il presente di Reiner e Bertholdt è tragico? I passati di ognuno dei bambini sperduti di casa Smith lo saranno anche più. E piano piano, mentre crescono e imparano a vivere, li scoprirete tutti quanti.
A iniziare, ovviamente, da quello di Erwin e Levi! Sarà quello che verrà raccontato per primo, nel secondo capitolo uVu
Voglio prendermi quest'ultimo spazio per ringraziare Andrea, di tutto cuore. Sei una grande amica, e una grande ispirazione, e questa storia senza di te non esisterebbe; e se esistesse, probabilmente marcirebbe in un angolo della mia testa bacata.
Grazie, bella. ;u;
Vi lascio con la promessa di vederci presto, sia qui che su Young And Beautiful! Se avete qualche critica o per qualunque complimento fatemi sapere la vostra con una recensione, e ricordate che anche due parole sul mio profilo tumblr (http://what-a-joice.tumblr.com/) o ask (http://ask.fm/joicellol) fanno sempre piacere!
Alla prossima,
- Joice