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Autore: Oceans_216    01/10/2014    1 recensioni
Kurtbastian AU
Io sono il numero quattro.
Non ho un vero nome né una vera identità, ma solo un numero di identificazione, e questo è il quattro.
Io e i miei otto fratelli non siamo umani, ma proveniamo da un pianeta di nome Lorien, troppo lontano per poter quantificare gli anni luce che lo dividono dalla Terra.
Ognuno di noi ha una collanina con un ciondolo a forma di ottaedro ma differiscono l'uno dall'altro per la decorazione sopra esso impressa. Se riunite, le nove collanine forniscono il potere assoluto a chi le indossa, rendendolo l'imperatore di tutto l'universo.
La nostra era una popolazione pacifica che, anche se in possesso di cotale potere, non lo utilizzava per scopi malvagi, ma lo custodiva.
Ma non tutti sono come noi: un'altra popolazione, i Mogadorian, bramava il nostro potere e ci attaccò.
I nostri genitori, re e regina di Lorien, ci affidarono una collanina ciascuno ed un numero, proteggendoci con un incantesimo: potevamo morire, sì, ma solo nella giusta sequenza.
[...]
Ero il prossimo.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno :)
Per prima cosa vorrei scusarmi per il ritardo, ma scrivendo anche altre due ff il tempo per fare tutto e beh, anche studiare perchè la maturità si avvicina sempre di più, è poco, quindi scusate. Cercherò comunque di aggiornare minimo una volta al mese! :)
Maaaa passiamo ai ringraziamenti!
- IAmAKlainer e Terminator_boom che hanno recensito;
-baileyzabini90 , DuerreWayland, Faanboy____ , smile 333, Tallutina e Vegge_Perry che hanno aggiunto la storia alle seguite.
WOw ragazzi, grazie mille a tutti, davvero :)

E ancora grazie alla mia ChanteClaire che mi beta i capitoli con pazienza e amore :*
Alla prossima,
Arianna


LOSE CONTROL
Orfano

 


“Sebastian, sono quasi le tre! Devi alzarti” disse Henri, togliendogli il cuscino da sotto la testa.

“Mph, adesso mi alzo” rispose assopito l'altro, stiracchiandosi.

“Bene, mi raccomando! Devi eseguire tutti i tuoi esercizi. Io vado a riposarmi qualche ora, svegliami prima di uscire”

“Sì, signore!” affermò il ragazzo, alzandosi dal letto ed indossando una tuta.

Prima di uscire lanciò uno sguardo intenerito a Derek che fin da due sere prima, la notte, si intrufolava sempre nel suo letto.

“Ciao cucciolo” gli sussurrò, dandogli una carezza sulla testa.

Prese il suo orologio e controllò l'ora: 02.49. Aveva il tempo per una colazione veloce.

Scese in quella che in teoria doveva essere una cucina -e che in realtà era solo un ammasso confuso di pentole e tegami- e si mangiò una dozzina di panini che Henri gli aveva preparato.

“Oh Dio, stavo morendo di fame” disse soddisfatto, mangiando l'ultimo boccone del dodicesimo panino.

Uscì dalla porta e, sulla veranda, cominciò a fare stretching.

Alle 3:00 esatte cominciò a correre.

 

***

 

Guardò il foglio con il suo orario.

Martedì, seconda ora: storia.

Oh, finalmente una materia in cui andava bene. Più che bene.

Infatti, secondo Henri e gli altri guardiani, i Mogadoriani per millenni si erano mimetizzati nei vari pianeti ed avevano causato le più disastrose guerre della storia dell'universo; perciò una parte dell'allenamento di Sebastian quando era piccolo era consistito nello studio della storia della popolazione della Terra nei minimi particolari e nel riconoscere i Mogadoriani che si spacciavano per umani. Per fortuna ce n'erano stati pochi, poiché la Terra non era un pianeta dove la loro specie riesce a vivere adeguatamente, a causa della differenza di forza di gravità e di quantità di ossigeno nell'aria. Il piccolo Sebastian (anche se al tempo il suo nome era Ryan) riuscì ad identificare subito Stalin come Mogadoriano ma, per sua sfortuna, scelse come alieno anche Hitler. Peccato che quella persona spregevole fosse semplicemente un uomo. Che poi nelle sue decisioni ci fossero dietro quei mostri, è una delle ipotesi che tutti i guardiani e i protetti hanno sempre condiviso. Perciò, era forte in storia. Aveva una meravigliosa memoria per le date, che aveva ripetuto per anni e anni. Non avrebbe avuto problemi.

Entrò in classe e con suo grande stupore vide Kurt seduto in terza fila nel secondo banco, vicino alla finestra, che stava scrivendo su un quaderno.

Silenziosamente, Sebastian si sedette in quarta fila nel quarto banco: da lì poteva osservare divinamente l'altro ragazzo.

Perfetto.

L'insegnante entrò – un certo Mr. Tanner se aveva capito bene- e subito iniziò a spiegare, senza dare un secondo di pausa.

A Sebastian stava già sulle palle.

“La battaglia di Willow Creeck – disse l'uomo ad un certo punto, rivolgendosi alla classe- è stata combattuta in una cittadina poco lontano da qui, proprio alla fine della guerra. Quante vittime caddero in questa battaglia?” (*)

Ma che diavolo di domanda è?

“Signorina Pears?” chiese l'insegnante alla ragazza seduta alla destra di Sebastian.

“Un milione? Tante? Non ne sono certa, ma direi tante!” rispose felice la biondina.

“Da carini a schiocchi in un istante, signorina Pears. Signor Puckerman, gradisce cogliere l'opportunità per sfatare il mito del palestrato senza materia grigia?”

“Non importa, signor Tanner, a me piace così. Mi fa rimorchiare di più” rispose un ragazzo con la cresta seduto davanti alla biondina.

Sebastian, sorridendo, alzò gli occhi e nello stesso istante Kurt, che stava ridacchiando, si girò.

I loro occhi si incrociarono e Sebastian dovette respirare più profondamente.

Quel ragazzo aveva... qualcosa, che lo lasciava senza fiato.

Non era mai successo prima d'ora.

“Oh, Kurt Hummel, potrebbe essere lei la persona che stiamo cercando. Perché non ci illumina su uno dei più importanti eventi storici di tutta Lima?” si rivolse verso Kurt l'uomo.

Sebastian ne studiò l'espressione.

Per tutta la durata della lezione, aveva guardato male tutti gli studenti, lui compreso, e non aveva fatto che richiamare il silenzio.

Ma, in quel momento, negli occhi dell'uomo vedeva riflesso solo un sentimento: il disprezzo, ed era unicamente per Kurt.

“M-mi dispiace, non lo so” rispose Kurt, abbassando le spalle.

La voce di Kurt era spezzata, piena di vergogna.

Possibile che una semplice risposta mancata potesse farlo sentire così?

O forse... era il signor Tanner ad essere il problema.

“Ero disposto ad essere indulgente con te per ovvi motivi l'anno scorso, Hummel, ma le scuse personali sono finite con le vacanze estive, chiaro?” quasi urlò l'uomo, facendo irrigidire tutta la classe.

Sebastian decise di intervenire.

“Ci furono 346 vittime senza contare i civili del luogo” rispose, sorprendendo sia l'insegnante, che lo guardò stupito, che Kurt, che lo guardò mezzo sorridendo, probabilmente ancora scosso dalla cattiveria ingiusta dell'insegnante nei suoi confronti.

“E' esatto...signor?”

“Smythe”

“Smythe. E' per caso nuovo al liceo McKingley, signor Smythe?”

“Esatto”

“Molto bene, -disse l'uomo, fissandolo e intanto sedendosi sulla cattedra- tranne il fatto che non ci furono vittime civili in questa battaglia”

“A dire il vero ce ne furono 27, signore. I soldati confederati spararono contro la chiesa, pensando che vi fossero nascoste delle armi. Si sbagliavano. Fu una notte di grandi perdite -continuò Sebastian, notando con felicità che l'uomo stava abbassando la testa- Sono sicuro che gli archivi siano conservati nella biblioteca pubblica, nel caso volesse aggiornare i suoi dati, signor Tanner”

L'insegnate, sconfitto, aprì il libro e continuò a leggere, fingendo indifferenza verso la figuraccia appena fatta.

Ma il sorriso luminoso che Kurt gli rivolse fu la soddisfazione più grande.


***


 

“Hey bello, sei nuovo?” pronunciò una voce maschile alle sue spalle, mentre lui chiudeva l'armadietto.

Sebastian, lentamente, si girò ed osservò uno per uno i quattro ragazzi che aveva davanti. Tutti indossavano la stessa felpa rossa e bianca.

“David Karofsky” si presentò quello che identificò come il 'leader', offrendogli la mano.

Sebastian, seppur riluttante, la strinse.

“E loro sono Azimio, Carl e John”

“Sebastian” rispose velocemente lui, salutandoli con un cenno del capo.

“Piacere Sebastian... di dove?”

“Santa Fe”

“Ohhh New Mexico- pronunciò Karofsky con l'accento messicano- facevi sport là?”

“Football?” provò ad indovinare Sebastian, già annoiato.

“Sì!” risposero gli atleti.

“Ehm... no” disse secco.

“Proprio niente?”

“No”

“Baseball? Calcio? Ping-pong? Lacrosse?”

“No” disse ancora, scuotendo la testa e facendo ridere i quattro.

Per cosa stessero ridendo, Sebastian non riusciva a capirlo.

Non che gli interessasse.

“No dai, tranquillo su! Un tifoso in più ci fa piacere, davvero. Senti, per qualunque cosa, ci siamo noi, okay? Siamo i re di questo posto”

Il fatto che dovessero sottolinearlo con così tanta enfasi fece dubitare molto il ragazzo sulla loro effettiva importanza in quella scuola.

“Lo terrò presente” disse Sebastian, facendo un mezzo sorrisetto sperando che quei ragazzi se ne andassero. E in fretta.

“E' stato un piacerone” lo salutò Karofsky, dandogli una pacca sul braccio. Lui e il suo gruppetto se ne andarono.

Sebastian, scuotendo la testa in un gesto di rassegnazione, rispose al messaggio che gli aveva mandato Henri circa cinque minuti prima.

 

***
 

“Sebastian, smettila di sbuffare, mi deconcentri” si lamentò Henri, mentre continuava a premere i pulsanti sulla tastiera.

“Mi annoio!” rispose sbuffando, per rimarcare il concetto.

“Trovati qualcosa da fare” disse l’uomo, alzando gli occhi al cielo.

“Che cosa? Non c’è niente in questa casa, nemmeno la televisione!” affermò il ragazzo, buttandosi sul divano.

“Ma cosa ne so! Vai a dormire!”

“Alle otto di sera?”

“Gioca con il cane”

“Derek!” il ragazzo chiamò il cucciolo, fischiando e sorridendo all’animale quando arrivò.

“Hei, Derek, che ne dici di andarci a fare una passeggiata? –lo coccolò, ricevendo una leccata d’assenso- vedo che l’idea ti piace”

“Visto? Le mie idee sono sempre le migliori” affermò Henri, soddisfatto.

“Ah-ah, sì certo, continua a crederlo! Noi usciamo” disse Sebastian, indossando la felpa rossa sopra la camicia.

“Va bene, ma non tornare troppo tardi e prendi il cellulare!”

“Sì, capo! Derek, bello, andiamo” sorrise trionfante, aprendo la porta di casa.

Il cane, felice, scodinzolando cominciò a correre da tutte le parti, annusando ogni albero fino al limitare del bosco.

Quando raggiunsero delle strade e wow, ci sono delle altre persone in questo buco, Derek si avvicinò piano piano a Sebastian e insieme visitarono tutto il paesino, fermandosi perfino in uno stand di hot-dog e dividendone uno. O meglio, Derek si mangiò tutto il wurstel e a Sebastian rimase solo il pane, ma pazienza.

Dopo aver trovato un negozio di giocattoli aperto ed aver comprato un frisbee azzurro, nella via del ritorno il ragazzo tirò il disco colorato al cane che, felice e allegro, lo ricorreva e glielo riportava, senza mai smettere di scodinzolare.

Ad un certo punto, però, il cane si fermò in mezzo ad una via, rizzando le orecchie e la coda.

“Derek, bello, vieni dai! Non ti fermare” lo richiamò il giovane, ma il cane di punto in bianco cominciò a correre.

Sebastian, confuso, lo rincorse e ben presto lo raggiunse, giusto in tempo per vederlo entrare in un giardino.

“Derek, torna qua!” alzò gli occhi il ragazzo, non capendo il motivo della fuga del cane.

L’animale finalmente si fermò e, senza apparente motivo, si sedette nel vialetto della villetta color panna che avevano raggiunto, una casa al limitare del bosco, discretamente lontana dalle altre.

Sebastian andò incontro al cane e si chinò per prenderlo in braccio, quando quella voce gli parlò.

“Oh ma non ci credo! Sei davvero uno stalker” rise Kurt, uscendo dalla macchina che aveva appena parcheggiato nel giardino.

“…Kurt?” chiese Sebastian confuso, guardandolo.

“In carne e ossa, stalker” sorrise il controtenore.

“Ma-ma che ci fai qui?”

“Beh, io qui ci abito! E tu?”

“Stavo facendo una passeggiata con-” cominciò Smythe, quando vide Derek fissare Kurt, abbaiare e poi correre verso di lui, accoccolandosi ai suoi piedi.

“Oh Dio, ma sei un amore! Posso?” chiese a Sebastian, facendogli capire che volesse prenderlo tra le braccia.

“Certo” sorrise confuso lui, non capendo il comportamento del cagnolino.

“Sei bellissimo. I pastori tedeschi sono la mia razza di cane preferita, così eleganti e selvaggi allo stesso tempo” disse dolcemente Kurt, accarezzando il musetto del cane.

Sebastian, intenerito, sorrise.

“Come si chiama?”

“Derek”

“Oh, Derek, ma sei proprio un amore –sorrise al cane, accarezzandogli la pancia- ti va un bel pezzo di carne?”

L’animale abbaiò felice.

“Perfetto! Sebastian, volete fermarmi un po’ da me? Posso offrirti un caffè o un tè”

No, assolutamente no.

Sebastian, non accettare, rifiuta! Non puoi, hai promesso a te stesso di stargli lontano, non puoi semplicemente-

“Con piacere” rispose, quasi senza accorgersene.

Com’era possibile tutto ciò? Aveva accettato senza volere, come se le parole gli fossero semplicemente uscite dalle labbra, senza potersi opporre.

Kurt gli sorrise raggiante, e Dio, a Sebastian batté più forte il cuore, cominciando a fargli strada verso la porta: appoggiò con dolcezza Derek per terra e tirò fuori le chiavi dalla tracolla, entrando in casa.

Appena mise un piede dentro la dimora, Sebastian venne investito da una strana sensazione: era un misto tra tristezza, malinconia e solitudine mischiate con leggere e delicate sfumature di gioia, amore e serenità.

Che cosa era accaduto in quella casa?

Che cosa volevano raccontargli quelle emozioni?

Confuso, prese un grande respiro e, spalancando gli occhi, realizzò: il suo fiuto sviluppato gli stava facendo sentire solo un odore, quello di Kurt.

Nessun altro odore…ciò poteva voler dire solo una cosa: nessun altro viveva in quella casa.

Com’era possibile? Dov’erano i suoi genitori?

Sovrappensiero, girò l’angolo per entrare in salotto e quasi inciampò per colpa di una scatola posta al limite della stanza.

“Oh cielo, scusa, sono così disordinato ultimamente! Cioè, non che io sia disordinato, in realtà io sono davvero pulito e organizzato, te lo posso assicurare e-”

“Kurt, calmati” lo interruppe Sebastian.

“Io-Cazzo, scusa. Solo che non sono più abituato e tutto ciò mi agita non poco”

“Non sei più abituato a cosa?”

“Ad avere persone in questa casa” ammise il ragazzo, con una semplicità disarmante.

“Ma… i tuoi genitori sono…”

“Sì, i miei genitori sono morti”

Sebastian rimase shockato.

Kurt sembrava un ragazzo così buono e gentile, mai avrebbe immaginato che fosse orfano, anche se forse così riusciva a capire il suo desiderio di isolarsi a scuola.

Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Kurt riprese la parola.

“Ma adesso cambiamo discorso. Allora, come lo vuoi questo caffè?” sorrise triste Hummel.

“In realtà preferirei un tè, grazie”

“Davvero? E io che ti facevo una persona drogata di caffè”

“Beh, in realtà sono allergico alla caffeina”

Diciamo che in realtà, tutti i Lorienani erano allergici al caffè: bastava ingerirne solo un pizzico di troppo e rischiavano di soffocare atrocemente.

“Beh, questa informazione la aggiungo alla lista dei dati che ho sul misterioso Sebastian” sorrise Kurt, arrivando in cucina e trovando della carne per Derek.

“Hai una lista su ciò che sai di me? Woah, devo proprio interessarti molto” ammiccò Sebastian.

“Mh, forse sì” rispose allusivo Kurt, nascondendo il viso con l’anta della dispensa.

In silenzio, il padrone di casa preparò il tè e dopo aver riempito due tazze, ne porse un all’altro.
“Grazie” rispose Sebastian.

“Bene, ora che ti ho sfamato, per così dire, sei costretto a raccontarmi qualcosa di te” rise sotto i baffi Kurt, rilassandosi bevendo il liquido caldo.

“Mh, okay, abbiamo appurato che mi chiamo Sebastian e che ho 18 anni, compiuti da poco. Vengo dal Messico, ho un cane di nome Derek che al momento sta mangiando un enorme pezzo di carne, vivo in una villetta un po’ imboscata –nel vero senso della parola- con il mio tutore, Henri. Ah, e sono allergico al caffè”

“E i tuoi genitori?”

“Sono morti quando ero piccolo. Sono stato affidato ad Henri e da quel momento in poi siamo rimasti solo noi due. Ma la versione ufficiale è che lui è mio padre, quindi…”

“Tranquillo, non ne farò parola con nessuno”

“E tu? Cosa mi dici di te?”

“Kurt Hummel, 18 anni. Vivo in questa casa fin da quando ne ho memoria e la adoro, per questo non riesco a venderla, nonostante mi servirebbero soldi. Ho perso mia madre quando avevo otto anni e mio padre all’inizio di quest’anno. I professori volevano bocciarmi poiché per quasi quattro mesi non ho frequentato ma il preside Figgins era molto amico di mio padre, quindi alla fine sono stato miracolosamente promosso” concluse, alzando le spalle.

“Beh… direi che abbiamo qualcosa in comune…Ma io ho Henri. Tu come fai ad abitare in questa grande casa tutto solo?” gli chiese Sebastian, fissandolo intensamente.

“Ci si abitua, credo. Per un periodo sono stato con mio zio, il fratello di mia madre, ma non abbiamo mai avuto buoni rapporti perciò dopo due mesi lui è tornato a casa sua e io gli ho semplicemente inviato per posta i fogli scolastici che doveva firmarmi come mio tutore provvisorio. Ora ho 18 anni, quindi il problema non si pone”

“Ma non hai mai pensato di prenderti un gatto o un cane?”

“Sono allergico al pelo di gatto e non sai quando avrei voluto prendere un cane, magari bello come Derek – il ragazzo sorrise all’animale che, sentendosi chiamare, gli si avvicinò scodinzolando- ma tra la scuola fino alle tre e le altre cose, non avrei avuto abbastanza tempo da dedicargli. Il cane non è un semplice animale da compagnia, ma qualcuno da accudire con amore. Non avrei potuto lasciarlo da solo per dieci ore al giorno”. Rispose Kurt, con un sorriso tenero che però non arrivava a contagiare anche i suoi splendidi occhi.

Wow…quanto era dolce quel ragazzo? Sebastian si stupì alle sue parole, non aveva mai conosciuto qualcuno così buono e sensibile.

Aveva rinunciato ad avere un animale per non fare soffrire quest’ultimo; esistevano davvero persone del genere? Spesso si vedevano per strada cani randagi che, probabilmente come Derek, erano stati abbandonati per colpa della cattiveria delle persone… e Kurt non voleva prenderlo per non farlo sentire troppo solo quando lui, per primo, soffriva di solitudine più di chiunque altro.

Sebastian era un loreniano, un guerriero, e per lui certe cose, tali dimostrazioni d'affetto erano assurde ma –non capendo come- si sentiva legato a quel ragazzo che aveva davanti. Un ragazzo che aveva sofferto tanto e che Sebastian non voleva vedere soffrire ancora.

Ancora una volta, Smythe si stupì dei suoi pensieri.

Perché si stava preoccupando per lui?

Perché, invece di pensare che da un momento all’altro i Mogadoriani sarebbero potuti arrivare ed ucciderlo –era il prossimo, maledizione- era lì, con Kurt, a prendere un tè?

No.

No.

Doveva uscire da quella casa e tornare ad allenarsi.

Sebastian si alzò di scatto, facendo sobbalzare Kurt.

“Scusa ma devo andare. Mi sono ricordato di una cosa importantissima. Grazie per l’ospitalità” disse, freddamente.

“C-cosa? Hei, ho detto qualcosa che non dovevo?” chiese Hummel, confuso dalla reazione dell’altro.

“No, non preoccuparti, semplicemente dobbiamo andare. Derek, forza” ordinò e l’animale, sentendo il tono del padrone, lo affiancò in un batter d’occhio.

“N-no, aspetta! S-sebastian!-”

“Ciao, Kurt” lo salutò, dirigendosi verso la porta.

Hummel, cercando di fermarlo, si dimenticò di quella maledetta scatola posta in mezzo al salotto e vi inciampò.

Chiuse gli occhi, aspettando il violento impatto con il pavimento…

Impatto che non arrivò.

Al contrario, sentì due forti braccia stringerlo e, aprendo gli occhi e guardando verso l’alto, incontrò lo sguardo di Sebastian.

L’alieno non riusciva a distogliere lo sguardo.

Labbra sottili ma allo stesso tempo carnose, capelli perfetti, sopracciglia che denotavano intelligenza, occhi espressivi, un corpo caldo e morbido.

Voglio toccarlo.

Voglio stringerlo più intensamente.

Voglio proteggerlo.

Voglio baciarlo.

Voglio farlo mio.

Sebastian non riusciva a staccarsi da Kurt, come se il contatto tra loro fosse ciò che aveva sempre segretamente bramato, come se ne fosse diventato dipendente.

Sentiva un’ energia, simile alla scossa che aveva provato la prima volta che si erano toccati, ma meno pungente e più intensa.

Kurt spalancò leggermente gli occhi, continuando a fissare quelli smeraldini di Sebastian che per un secondo - un solo, breve secondo- erano diventati di un viola elettrico.

Continuarono a fissarsi intensamente e, piano piano, cominciarono ad avvicinarsi.

L’uno, Sebastian, sapeva ciò che stava facendo ed era, contemporaneamente, il contrario di tutto ciò che gli era sempre stato insegnato e ciò che gli suggeriva – che gli urlava di fare- il suo istinto; mai, nella sua vita, questi due fattori erano stati in contraddizione.

L’altro, Kurt, sentiva una attrazione impulsiva e intensa verso Smythe ma non voleva combatterla, ma anzi, accoglierla.

Erano lì, a pochi centimetri di distanza, immobili.

Alla fine, inaspettatamente, fu Kurt ad allontanare Sebastian, appoggiando le mani sul suo petto.

Non che non volesse baciarlo, ma era ancora confuso dal suo comportamento.

“Sebastian…” sussurrò Hummel, praticamente sulle labbra dell’altro.

“Sì?” rispose l’altro.

“Perché stavi andando via?”

“Io… non lo so, ma non voglio più andarmene”

Il sorriso di Kurt fu abbagliante.

“Perfetto. Ma, uhm, ti dispiace se ci alziamo da questa posizione? Non che questo mezzo casquè non sia meraviglioso ma mi sta spezzando la schiena” gli sorrise nuovamente.

“Oh certo, scusa!” disse Sebastian, tirandolo su ma non spostandosi nemmeno di un millimetro, tenendo l’altro tra le sue braccia.

In quel momento, il cellulare di Sebastian cominciò a squillare.

“Pronto?” rispose, allontanandosi –seppur poco- da Kurt.

Sebastian, torna a casa

“Henri, dieci minuti e arrivo”

Te ne concedo cinque

Sebastian fece una faccia tra lo scocciato e il rassegnato così buffa che Kurt non riuscì a non scoppiare a ridere.

Smythe, in quel momento, sbiancò.

Sebastian. Con chi sei?

“Ho incontrato un mio compagno di scuola per strada ma, davvero, stavo tornando-”

Sbrigati, dobbiamo parlare. Hai quattro minuti” lo sgridò, chiudendo la chiamata.

“Ciao anche a te, insomma” borbottò il ragazzo, rimettendo il telefono in tasca.

“Immagino di doverti salutare” disse Kurt.

“Già. Ciao dolcezza, devo scappare” si allontanò da lui Sebastian, richiamando Derek.

Quando arrivò alla soglia della casa, però, mandò a fanculo Henri e i suoi pensieri negativi, tornando davanti a Kurt e, dolcemente, gli diede un bacio sulla guancia.

E la scossa tornò, lievemente.

Hummel non rispose al bacio ma le sue guance rosse, per Sebastian, furono la replica migliore che avrebbe mai potuto ricevere.

Con quel pensiero, seguito da Derek, Sebastian corse verso quella che ormai si era arreso a chiamare ‘casa’.






(*)
Il nome dell'insegnante e il discorso che segue sono presi da una puntata di TheVampireDiaries 

 

  
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