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Autore: Giulia_Amathyst    01/10/2014    0 recensioni
«N-non volevo fargli male» ,avevo gli occhi gonfi e rossi per tutte le lacrime versate e le mani, piene di graffi, mi facevano male, «NON VOLEVI FARGLI DEL MALE?! l’hai quasi incenerito, te ne rendi conto?!» , sentii i singhiozzi di mia madre sotto alle urla di mio padre.
Genere: Fantasy, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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« Stiamo per atterrare, si pregano i gentili passeggeri di alzare gli schienali dei sedili, e di allacciare le cinture », apro gli occhi e vedo l’hostess girare tra i passeggeri, per controllare che tutti abbiano allacciato le cinture.

Stiamo scendendo, le orecchie mi si tappano, la terra sempre più vicina mi mette un senso d’angoscia.

Scendiamo e scendiamo, trattengo il respiro fino a che l’aereo non si ferma, tutti i passeggeri si alzano, e iniziano ad incamminarsi verso il portellone, li guardo passarmi davanti, uno ad uno, e mi accorgo che non ho ancora visto Aaron, forse era già sceso. 

Arrivata in aeroporto i poliziotti mi scortarono da un’anziano signore vestito di nero; mi avvicinai, e guardandolo meglio, notai la faccia spigolosa e molto bianca, quasi traslucida,sorrise e mi porse una mano, « s-salve », ricambiai la stretta, distogliendo lo sguardo dal suo, faceva venire la pelle d’oca, altro che anziano, questo era Matusalemme in persona!  

« M-mi scusi ma le mie valigie? » chiesi vedendolo avvicinarsi all’uscita con i poliziotti fermi a guardarmi, « non si preoccupi signorina Smith, se ne occuperanno i miei colleghi », « ora se non le dispiace », detto questo mi fece cenno di seguirlo, mentre i due uomini rimasero al loro posto; uscimmo dall’aeroporto e ci avviammo verso una macchina nera.

Dopo quasi tre ore di macchina ci fermammo davanti a dei grandi cancelli; l’autista, l’anziano in nero, tirò giù il finestrino per dire qualcosa alla guardia e ,dopo neanche un secondo, i cancelli si aprirono su un’immensa distesa di verde.  Il vecchio scese e mi aprì la portiera « eccoci arrivati signorina, le sue valige sono già nella sua camera » disse con voce gentile, forse un po troppo « ma qua non c’è nulla, se non un’infinita distesa di prati e alberi... », mi strofinai gli occhi , forse ero io che non ci vedevo, ma niente, nessuna abitazione da nessuna parte, « la prego mi segua » . Aggirammo l’enorme salice e per poco non inciampai nei miei piedi, una struttura immensa si stagliava davanti ai miei occhi, era situata nel bel mezzo del bosco, nascosta dagli alberi. 

« Porca paletta! », dissi sotto voce, altro che istituto rieducativo all’avanguardia, questo “coso” , a parer mio, sarebbe potuto cadere a pezzi da un momento all’altro; « salve, lei deve essere la signorina Amathyst Smith, io sono Fredric Wardol, sarò il suo tutore all’interno dell’istituto, la prego mi segua », oh mamma mia e questo da dove usciva?, per poco non mi venne un’infarto per l’apparizione improvvisa di quel ragazzo, sembrava poco più grande di me, eppure era vestito in modo antiquato, faceva quasi ridere, mi lanciò uno sguardo perplesso e ci incamminiamo per le scale.

Dopo una miriade di scale, ci fermiamo davanti ad una porta, la 222 « questa è la sua stanza »; mi accorsi che, da quando eravamo entrati le uniche persone che avevo incontrato erano, la guardia, il vecchietto in nero, e questo strano ragazzo, che diceva di essere il mio tutore, « ma non c’è nessuno », mi guardò, « sono tutti nell’aula magna dell’istituto, la preside ha indetto una riunione generale, ma questo per ora non le deve interessare » , detto questo mi porse una chiave, « questa chiave le permetterà di accedere nella sua stanza, e di aprire il suo armadietto, ovviamente il numero del suo armadietto sarà il 222, come la sua stanza », « ora se non le dispiace le chiedo di darmi tutti gli oggetti elettronici che possiede, all’interno dell’istituto ne è vietato l’utilizzo, per comunicare con la sua famiglia avrà a disposizione un telefono, nella stanza dei ricevimenti », rimasi di sasso, niente ipod, niente cellulare, niente, « potrei tenermi almeno l’ipod? » chiesi, sperando di salvare almeno la mia musica, « mi dispiace le regole sono regole, ora mi dia tutto ». 

Mi ritrovai con le tasche leggere, « adesso devo andare; non le è permesso lasciare la sua camera, se non per recarsi nella sala mensa alle sette e mezza, si sistemi e si riposi fino ad allora. Domani la sveglia è alle sei in punto, alle sette si faccia trovare in mensa, dovrà indossare la divisa che troverà nel suo armadio »,ero allibita, mi aveva tolto la mia musica e ora pretendeva, anche, di lasciarmi chiusa in camera per quattro ore, questo si che era scemo, cosa avrei dovuto fare per tutto quel tempo? Sarei impazzita dopo dieci minuti senza la mia la mia musica, « e come dovrei arrivarci in mensa? » dissi cercando di essere educata, « all’interno della sua camera troverà una mappa dell’istituto. Ora la devo lasciare, non faccia tardi per la cena » mi disse e si allontanò lasciandomi sulla porta della mia camera.

Girai la chiave nella serratura e mi ritrovai a fissare la piccola stanza spoglia nella quale c’era solo un letto, un’armadio e una piccola scrivania; sulla parete centrale si apriva una finestra che dava su un enorme giardino fatto a labirinto che era davvero stupendo. Mi avvicinai alla scrivania di fianco alla quale si trovava la mia valigia, la misi sul letto e iniziai a disfarla; non avevo molti vestiti, infatti l’armadio rimase praticamente vuoto; all’interno dell’armadio trovai, come aveva detto Fredric, la mia divisa, era composta da una gonna nera lunga fino al ginocchio, una camicia bianca e una giacca, anch'essa , nera, ah e giustamente non potevano mancare i calzettoni e i mocassini.

Quella divisa mi faceva sentire claustrofobica, non avrei potuto indossare i miei jeans e la mia amata felpa oversize ma avrei dovuto mettere una gonna e una camicia, cose che non mettevo da quando mia madre aveva iniziato a farmi vestire da sola; odiavo quella gonna, odiavo qualsiasi cosa mettesse in mostra il mio fisico così imperfetto, mi feci coraggio e la presi, la stesi sul letto e iniziai a fissarla, non ero pronta a mettere quella gonna e forse non lo sarei stata mai.

Era passata solo un’ora da quando avevo messo piede in questo posto e già non ne potevo più, girai e rigirai per la stanza mettendomi a contare quanti passi c’erano tra la porta e il letto; non sapevo più cosa fare, aprii la porta del bagno e mi guardai intorno, un piccolo specchio era collocato sopra al lavandino, mi ci misi davanti, avevo gli occhi rossi e due occhiaie che toccavano terra tanto erano grandi, sciacquai la faccia e tornai in camera « morirò giovane » borbottai tra me e me buttandomi sul letto.

Non so quanto tempo era passato quando un rumore mi svegliò, mi alzai e andai alla porta, schiacciando l’orecchio contro di essa, « levati dalle palle! » , era la voce di una ragazza « signorina è pregata di tornare nella sua stanza o sarò costretto a darle una nota disciplinare e a portarla dalla preside», avevo già sentito quella voce « non me ne frega niente! Levati! » sentii uno schianto contro la parete e aprii la porta « torni dentro e chiuda quella porta », ecco! certo che avevo già sentito quella voce, era il tizio che mi aveva accompagnata in camera, Fredric; prima di richiudere la porta ero riuscita ad intravedere una chioma bionda raggomitolata lì vicino, rabbrividendo mi allontanai dalla porta e mi misi sul letto con il cuscino sulle orecchie, per non sentire quello che stava succedendo lì fuori, altro che centro “rieducativo” questo posto era una catapecchia isolata dal mondo dove i metodi di “rieducazione”, per quello che avevo appena visto, consistevano nel picchiare chi non seguiva le loro regole.

 
   
 
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