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Autore: littlebebe    01/10/2014    0 recensioni
Il destino ha tenuto da parte per vent'anni tre bellissime storie d'amore e di passione.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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In ‘Villa Margherita’ c’erano per l’esattezza quattro bagni, tre piccoli, uno nella stanza di Grace, uno nella stanza di Melanie e uno nella stanza di Janet, tutti al secondo piano della casa, più uno grande che le ragazze avevano in comune al piano di sotto, in cui in quel momento c’era Grace, davanti allo specchio a forma di foglia, che tentava di sistemare i suoi biondi boccoli che le scendevano fino ai fianchi. I suoi occhi azzurri, messi in risalto da una leggera linea di matita nera e l’eyeliner sulle palpebre, in quell’istante, davano al suo volto un’espressione sconsolata e anche un po’ schifata. Lei non amava i suoi capelli, mentre Melanie e Janet avrebbero pagato oro per averli. Ha sempre voluto i capelli lisci e infatti a forza di fare tiraggi e piastra tutti i giorni le sono rimasti i boccoli, ma in realtà li ha sempre avuti ricci, molto ricci.
Non aveva idea di come sistemarli, in qualsiasi modo metteva la sua chioma bionda non si piaceva, fino a quando poi trovò la giusta soluzione e li raccolse tutti i una lunghissima treccia che la faceva sembrare una cavallerizza.
Mentre Grace era alle prese con l’ultimo giro dell’elastico, sperando che non si rompesse per quanto era stretto, entrò Melanie nel bagno, con una cuffietta a un orecchio e lo straccio per pulire i pavimenti in mano.
-Oh, scusami Grace! Pensavo fossi nella tua stanza.- disse, con un sorriso colpevole, Melanie.
-Non ti preoccupare, ho fatto! Se devi pulire, il bagno è tutto tuo.-
-Sì, grazie. Senti.. prima volevo chiedertelo ma poi mi sono dimenticata, visto che mi volevo mettere subito a lavoro con le pulizie di casa, per ora mi resta solo quello da fare.- Melanie assunse un’aria triste pronunciando le sue ultime parole, ma non era quello che voleva dire alla sua amica.
-Mi dispiace, Mel. Vedrai che si risolve presto la tua situazione. Ma cos’è che devi chiedermi?-
-Prima, quando Janet è uscita di casa, l’hai sentita anche tu parlare con qualcuno?-
-Sì, era una telefonata probabilmente.-
-Forse, ma a me è sembrato di aver sentito anche un’altra voce, quindi io credo che c’era qualcuno fuori la porta.-
-No, io ho sentito solo lei. Che tipo di voce hai udito?-
-Femminile. E molto acuta.-
-Non so chi potrebbe essere, dopo glielo chiediamo.-
Con una alzata di spalle e un dolce sguardo, Grace si allontanò verso la cucina, un luogo della loro casa molto accogliente, sicuramente: le pareti sono di un lilla molto chiaro, mentre il soffitto è bianco e appesi ad esso vi sono tre lampadari posti in fila che ricordano tre soffioni, quei fiori che mentre ci soffi sopra, esprimi un desiderio. I lampadari scendono verso un tavolo grigio, non ha le gambe, è come il bancone di un bar, e intorno ha sei sgabelli viola, tre da una parte e tre dall’altra. I mobili e gli elettrodomestici hanno un’alternanza di colori, alcuni sono grigi, molto più chiari rispetto al tavolo, e altri viola, proprio come gli sgabelli. La prima cosa che si nota, se si entra in quella cucina per la prima volta, è la grande vetrata che occupa mezza parete con delle tende color lilla su cui sono disegnati dei gigli bianchi. Dalla grande finestra entra abbastanza luce per far crescere la piantina di limoni che Melanie ha deciso di postare in un angolo della stanza, e anche l’intera cucina è stata scelta da lei, e le sue amiche ovviamente, hanno acconsentito. A chi non piace cucinare in una stanza così graziosa?
Grace prese una carota da dentro al frigo, per una piccola merendina mattutina e la inzuppò dentro al barattolo di maionese. Una schifezza che a lei non schifava per niente. Ma poi si rese conto di essersi dimenticata anche lei di dire una cosa a Melanie.
-Ehy, Mel?-
Non ricevette alcuna risposta. Inoltre, in quel momento, le si oscurò un po’ la vista.
Fece un secondo tentativo.
-Melanie?-
Nessun suono della voce della sua amica.
-Melanie? Dove sei?-
Si iniziò ad avvicinare alla porta del bagno, con la speranza di trovarla lì a pulire ancora, ma la porta era chiusa. Così provò a bussare.
-Melanie, sei in bagno?-
Come è possibile che non rispondeva? Era sicura di averla lasciata lì solo cinque minuti prima.
Provò ad urlare più forte di prima.
-Melaaaaaaaniee?-
Ma ad un’ennesima non-risposta, aprì di scatto la porta del bagno.
Qualcosa cadde dall’alto e la vista di Grace si oscurò. Si sentiva come se fosse svenuta. Non capiva bene cosa fosse accaduto, sapeva solo di non riuscire a respirare per un forte dolore.
Quando riprese i sensi, si rese conto di essersi coperta gli occhi con la mano, e una lacrima le scese sul viso. Si scoprì gli occhi e guardò prima nello specchio, c’era solamente il suo riflesso, ovviamente, e subito dopo posò gli occhi a terra.
Mezza carota era stata lanciata da lei stessa, a due centimetri dal water e i piedi di Grace erano circondati da un liquido un po’ troppo profumato e da vetri di tutte le forme e dimensioni.
Il suo profumo. Il profumo di sua sorella maggiore che le regalò prima di partire per New York, e lei non lo aveva mai usato, proprio per non sprecarlo per i momenti in cui avrebbe avuto bisogno di lei.
Sua sorella Jayla è stata il suo grande punto di riferimento in tutti i suoi vent’anni di esistenza, non ha mai provato invidia nei suoi confronti, ma le sarebbe piaciuto diventare come lei, sia fisicamente che caratterialmente. E inoltre era un’ottima consigliera, per questo ha sempre fatto affidamento su di lei. E ora che erano quasi sette mesi che non la vedeva, le mancava da morire. Non si vedevano dal giorno in cui Jayla e il suo fidanzato Travis la andarono a trovare a Villa Margherita.
Grace rimase immobile davanti allo specchio, non sapendo bene che cosa fare. Il profumo che la faceva sentire vicina a sua sorella, era rotto in mille pezzi. Il dolore al piede non le ha permesso nemmeno di fare un urlo per quanto faceva male. E poi, come ha fatto a cadere proprio quel profumo? Era postato al centro, nella terza fila di profumi. Come hanno fatto a non cadere anche quelli davanti?
Qualcosa non tornava, ma ora che il dolore iniziava a placarsi, aveva bisogno di una sciacquata di viso. Così, in punta di piedi, si avvicinò al lavandino e si buttò l’acqua in faccia, togliendosi quel poco di fondotinta che aveva.
Avrebbe dovuto togliere i vetri e il liquido per terra, prima che rischiava di farsi male di nuovo, ma vide che sul suo piede scalzo iniziava a comparire il rossore di tre graffi, molto grandi, ma non profondi per fortuna.
Aprì l’armadietto verde acqua sotto al lavandino e prese dei cerotti per metterli sulle ferite. Nel frattempo le tornò in mente Melanie. Dov’era finita?
 
****
“Ti prego, svegliati. Perché ti sanguina il viso? Perché sei venuta qui nella casetta degli attrezzi senza avvisarmi? Dovevamo andare insieme! Non doveva accaderti questo, tu non te lo meritavi. Ti prego, non mi lasciare.
Cos’è questo? L’hai presa tu questa, vero? Dove l’hai trovata? Ho bisogno di saperlo. Se fosse stata proprio questa a farti del male? Che stupida, perché continuo a parlarti? Tu non mi rispondi. Non riesco a capire se tu sia ancora viva. Non so cos’altro fare. Riesco solo a parlarti mentre butto fuori lacrime a più non posso.
Ho paura di aprirla. Dimmi almeno, è stata questa a farti del male? Dimmelo, ti prego. Parlami. Svegliati. Io non posso stare senza di te. Noi non possiamo stare senza di te. Hai avuto paura? Ho bisogno di sapere io, lo capisci? Ho bisogno che mi parli. Che apri gli occhi. Cavolo, perché sei venuta qui, eh? Che dovevi fare qui? Non c’è nulla di interessante. Ci sono solo pochi attrezzi inutili. Tu non dovevi venire.
Continua a sanguinarti il viso. Esce sangue al posto del sudore. Questo succede quando qualcuno ha davvero tanta paura. Avrei dovuto esserci io al tuo posto, o almeno sarei dovuta essere con te in quel momento.
Ti prego. Prendimi almeno la mano, fammi sentire che ci sei ancora, che hai ancora il cuore che batte.
Ecco che devo fare! Devo sentirti il cuore.
Oh, cielo! E’ ancora in movimento. Questo vuol dire che sei viva.
Allora che aspetti, eh? Mi hai fatta preoccupare tanto.
Svegliati, ti prego. Ti prego, svegliati, Melanie.”
“Janet, ha detto il mio nome. Vuol dire che sta sognando me. Sono io quella che sanguina, quella che non si sveglia.”
“Melanie, non so che fare. Non ha mai fatto una cosa del genere. Da quanto tempo è che ha questo comportamento?”
“Era in bagno prima, io poi sono entrata per pulire e lei mi ha lasciato il bagno libero andando in cucina. Dopo di che ho sentito che mi ha chiamata, e quando sono andata da lei per sentire che cosa volesse dirmi, l’ho trovata seduta davanti al frigorifero, con gli occhi chiusi. E nel frattempo, continuava ad urlare il mio nome nel sonno.”
“E poi che cosa ha fatto?” Domandò Janet molto preoccupata.
“Era strana. Per un po’ non ha detto nulla. Ma stringeva forte gli occhi. Io la osservavo, ero indecisa su cosa fare. Ma ho pensato che non avrei dovuto svegliarla. A un certo punto le è scesa una lacrima sul viso. Intanto aveva anche la mano che copriva i suoi occhi, poi l’ha tolta dopo un po’.”
“Come hai fatto a portarla qui, nel suo letto?”
“Per un po’ non ha parlato. Muoveva soltanto il viso e faceva qualche espressione insolita, così ho pensato che quello fosse il momento giusto per prenderla e portarla nella sua camera.”
“Hai fatto bene. Mel, ho troppa paura. Che facciamo adesso?”
“Ora sembra stia riposando tranquillamente. Forse a breve si sveglierà.”
“Speriamo. Intanto vado a prenderle un bicchiere di acqua fresca. Magari ne avrà bisogno appena si sveglia.”
Grace era sdraiata nel suo letto, senza dire una parola e senza fare espressioni preoccupanti, in quel momento. Al contrario, il suo viso sembrava molto rilassato, nonostante ciò che era appena successo.
Era la prima volta che Grace parlava nel sonno.
Melanie e Janet erano abbastanza spaventate. Avevano deciso che non l’avrebbero svegliata. Forse non sarebbe stata una giusta decisione, non potevano sapere come avrebbe reagito la loro amica.
Nel frattempo Melanie guardava fuori dalla finestra, immersa nei suoi pensieri. Pensava a ciò che aveva appena sentito dire da Grace.
C’era un qualcosa di particolare in quel sogno. Qualcosa che non le dava pace, ma non sapeva esattamente che cos’era. Tra le varie parole urlate da Grace, non c’era il nome dell’oggetto che lei pensava avesse fatto del male a Melanie. E quest’ultima non poteva far altro che cercare di capire a cosa si riferisse.  
La finestra della stanza di Grace si affacciava proprio dalla parte principale del giardino, in cui c’era al centro un tavolino di legno con delle sedie di plastica intorno, e poco distante da esso c’era la casetta degli attrezzi, costruita da Liam, il ragazzo che lavora con Janet. In quel periodo lui era praticamente tutti i giorni a pranzo da loro, e Melanie, osservando la sua costruzione, si ricordò che aveva preso una cotta per lui in quei giorni, ma che le passò non appena lo confessò a Janet che subito la informò che il suo amico, biondo cenere, con gli occhi azzurri e molto affascinante, purtroppo non sarebbe mai stato interessato a lei, semplicemente perché aveva altri gusti. Eppure Melanie non avrebbe mai pensato che fosse gay. Ma per fortuna la sua non era una grandissima passione per quel ragazzo, riuscì a dimenticarlo in fretta.
Continuò ad osservare la casetta degli attrezzi dalla finestra, ricordandosi il momento in cui lei e le sue amiche si divertirono a pitturarla con una vernice color giallo sabbia. Chissà quanti altri momenti belli come quello avrebbero passato insieme. Ma c’era sempre un pensiero in lei che la faceva riflettere molto: ‘cosa succederà quando ognuna di noi troverà l’amore? L’amore quello vero?’ Si sarebbero separate, non starebbero più insieme nella loro casa, questo probabilmente doveva accadere se incontravano l’uomo dei loro sogni. Ma era sicura che la loro amicizia non sarebbe mai finita, per qualsiasi ragione. Magari potrebbero condividere insieme la loro felicità continuando ad abitare insieme anche con i loro futuri mariti, sempre se si sarebbero sposate, pensava Melanie.
Mentre Janet entrava in camera con un bicchiere pieno d’acqua con del ghiaccio dentro, Grace ricominciò a parlare, ma questa volta non stava dormendo.
“Melanie, tu sei qui, per fortuna. Credevo di averti perso per sempre.”
“Grace!” Urlarono contemporaneamente Janet e Melanie.
Le ragazze si avvicinarono al letto mentre la loro amica si strofinava gli occhi sbafandosi un po’ il trucco degli occhi e mettendosi poi una mano in fronte.
“Ti senti bene?” Le chiese Janet.
“Ho un po’ di mal di testa. Ho avuto troppa paura.”
“Anche noi, Grace. Che cosa hai visto? Stavi facendo un brutto sogno.” Melanie mentre le parlava le stringeva la mano.
“Sì. Ve ne siete accorte?”
“Ce lo hai praticamente raccontato quasi tutto.” Disse Janet lanciando un’occhiata complice a Melanie.
“Hai parlato nel sonno. Ma eri strana, facevi espressioni che mi hanno intimorita molto. E poi stavi sognando me. Raccontaci più precisamente il pezzo in cui io ero svenuta, credo.”
“Esatto. Eri svenuta. E io credevo fossi morta, che sogno orribile.”
“C’era un qualcosa che tu hai nominato. Che cos’era? Te lo ricordi? Dicevi che c’era questo oggetto che secondo te aveva fatto del male a Mel.”
“Sì, mi ricordo bene. Era una scatola. Sembrava una scatola di gioielli. Era semplice, marroncino era il colore, ma non aveva nessuna decorazione. C’era soltanto una scritta su di essa, in basso a destra, ma non ricordo che cosa era scritto. Anzi, in realtà non l’ho saputo leggere. Non erano proprio lettere, ma dei segni strani. Mai visti prima. Tu, Melanie, stavi sdraiata a terra e questa scatola si trovava sul tuo petto e tu posavi la tua mano sopra al suo coperchio.”
“Ti è mai successo di parlare nel sonno, tesoro?” domandò Janet.
“Prima d’ora no, che io sappia. Credete sia grave? Infondo succede a molti.”
“Sì, ma solitamente è un’abitudine. E poi il tuo sogno era un po’ particolare, e tu avevi comportamenti strani. Che ne dici se io e Melanie ti accompagniamo da uno psichiatra? Giusto per avere qualche informazione. Te la senti ora, o hai bisogno di altro riposo?”
“No, va bene. Andiamo.”
  
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