061. Diary/Journal
“We sat and made a list
Of all the things that we had
Down the backs of table tops
Ticket stubs and your diaries
I read them all one day
When loneliness came and you were away
Oh they told me nothing new,
But I love to read the words you used” Things We Lost in the Fire, Bastille
Roy Mustang aveva deciso di sfruttare la sua prima
licenza, da quando si era arruolato, per andare a trovare il suo maestro, per
spiegargli la sua scelta. Non l’aveva trovato bene. Certo, sapeva che il
maestro Hawkeye non godeva di buona salute – malato ai polmoni, aveva scritto
la figlia Riza in una lettera arrivata un paio di mesi prima – ma non si
aspettava di trovarlo così male. Come c’era da aspettarsi, il maestro si era
trascurato. Non gli rimaneva ancora molto tempo.
Roy non si aspettava che gli rimanesse così poco
tempo.
Berthold Hawkeye era morto davanti ai suoi occhi.
Davanti agli occhi di Riza. Roy non l’aveva mai vista così spaventata: era
sbiancata improvvisamente e aveva cominciato a tremare come una foglia, per non
accasciarsi a terra si era appoggiata allo stipite della porta. Il tempo si era
bloccato: il corpo del maestro immobile sulla scrivania, Roy al centro della
stanza e Riza sullo stipite della porta.
Cosa doveva fare Roy? Avvicinarsi al corpo del maestro?
Andare a sorreggere e confortare Riza? Uscire da quella casa a cercare aiuto? O
andarsene per non tornare più?
La mattina dopo i ricordi dei momenti subito dopo
la morte del maestro non erano chiari. Si era svegliato in salotto, la testa
bionda di Riza sul suo grembo, le dita intrecciate. Il respiro della ragazzina
era lento e regolare, sintomo del fatto che finalmente si fosse addormentata, e
lui non aveva avuto il cuore di alzarsi e, di conseguenza, svegliarla. Era
rimasto seduto a carezzarle i capelli per più di un’ora, fino a quando lei non aveva
aperto gli occhi.
La giornata, poi, era stata frenetica, impegnata a
organizzare il funerale. Riza aveva proposto di dividersi i compiti, per fare
prima, anche se Roy aveva il sospetto che in realtà lei stesse cercando solo
una scusa per starsene un po’ da sola, a piangere il padre appena morto,
l’unico parente vicino rimastole. La conosceva abbastanza da sapere che
piangeva solo quando era sola; il padre le aveva inculcato l’idea che non
doveva essere d’intralcio, disturbare chi le stava attorno, e questo
comprendeva anche il piangere di fronte a qualcuno, fonte di sicuro imbarazzo
per la maggior parte delle persone.
Perciò non si era stupito quando nel primo
pomeriggio, quando era rientrato a casa, non l’avesse trovata. Probabilmente
era accovacciata sotto uno dei cipressi nel piccolo cimitero del paese, non
lontano dalla tomba di sua madre. Quando avevano parlato di dove seppellire
Berthold lei era stata categorica: non vicino a suo madre Elizabeth. A suo modo
Berthold l’aveva amata… a suo modo. Come a suo modo aveva amato la piccola
Riza.
Quella casa era così grande, così desolata, così
vuota. Roy si sentiva solo. Provò a immaginarsi Riza da quel momento in poi.
Poi venne sopraffatto dalla consapevolezza che la vita della figlia del maestro
Hawkeye non sarebbe stata poi tanto diversa. La solitudine non pesava a Riza,
ci si trovava a suo agio, non sembrava temere i suoi stessi pensieri. Roy si
ritrovò a girare per le stanze vuote di quella casa in cui aveva tanti ricordi
importanti. Improvvisamente si era trovato nella camera di Riza: sul letto
c’erano i vestiti del giorno prima abbandonati in disordine, un libro sul
comodino affianco alla foto sorridente della madre, sulla scrivania libri di
matematica e un taccuino aperto – il diario di Riza.
Non era corretto sbirciare i pensieri di Riza, lo
sapeva bene, ma allo stesso tempo non riusciva a trattenersi.
Non si aspettava certo di leggere grandi
rivelazioni: Riza era riservata, ma anche una delle persone più cristalline e
oneste che avesse mai incontrato. Lui adorava questo lato del suo carattere. In
realtà erano ben poche le cose che non adorava di Riza. Inizialmente sfogliò
alcune pagine stando in piedi in fianco alla scrivania; leggeva la data, le
prime due, tre frasi. Poi, non sapeva bene come, si era ritrovato seduto sul
pavimento, la schiena contro il letto. Non c’era nulla di nuovo in quel diario,
sola la Riza di sempre, ma per questo incredibilmente sorprendente nella sua
cristallinità.
Sentì la porta aprirsi, rimise il diario dove
l’aveva trovato e scese a salutare la figlia del suo maestro, con una nuova
consapevolezza, che stava affiorando lentamente ma inesorabile, come l’arrivo
della primavera dopo un rigido inverno.