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Autore: MusaTalia    02/10/2014    2 recensioni
100. Until that day [100/100]
«Non è mai stata mia intenzione rimanere tutta la vita nell'esercito. Volevo solo stare al tuo fianco. Supportarti. Proteggerti fino a quando non avresti ottenuto ciò per cui hai sempre lavorato tanto duramente. Ed ora ce l'hai. E sono così orgogliosa di te».
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'RoyAi Collection'
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061 Diary/journal NOTA STRPARLATA DI INIZIO: Non so decidermi se continuare a scrivere themes medio lunghi e quindi pubblicare ogni cambio stagione, o scrivere cosine più brevi ed ermetiche e tentare di finire questa titani impresa il prima possibile.... E comunque questo non mi piace. Lo sento incompleto, ma non potevo completarlo perché avrebbe perso di significato. Paradossale? Ovviamente sì!


061. Diary/Journal

“We sat and made a list
Of all the things that we had
Down the backs of table tops
Ticket stubs and your diaries
I read them all one day
When loneliness came and you were away
Oh they told me nothing new,
But I love to read the words you used” Things We Lost in the Fire, Bastille

Roy Mustang aveva deciso di sfruttare la sua prima licenza, da quando si era arruolato, per andare a trovare il suo maestro, per spiegargli la sua scelta. Non l’aveva trovato bene. Certo, sapeva che il maestro Hawkeye non godeva di buona salute – malato ai polmoni, aveva scritto la figlia Riza in una lettera arrivata un paio di mesi prima – ma non si aspettava di trovarlo così male. Come c’era da aspettarsi, il maestro si era trascurato. Non gli rimaneva ancora molto tempo.

Roy non si aspettava che gli rimanesse così poco tempo.

Berthold Hawkeye era morto davanti ai suoi occhi. Davanti agli occhi di Riza. Roy non l’aveva mai vista così spaventata: era sbiancata improvvisamente e aveva cominciato a tremare come una foglia, per non accasciarsi a terra si era appoggiata allo stipite della porta. Il tempo si era bloccato: il corpo del maestro immobile sulla scrivania, Roy al centro della stanza e Riza sullo stipite della porta.

Cosa doveva fare Roy? Avvicinarsi al corpo del maestro? Andare a sorreggere e confortare Riza? Uscire da quella casa a cercare aiuto? O andarsene per non tornare più?

 

La mattina dopo i ricordi dei momenti subito dopo la morte del maestro non erano chiari. Si era svegliato in salotto, la testa bionda di Riza sul suo grembo, le dita intrecciate. Il respiro della ragazzina era lento e regolare, sintomo del fatto che finalmente si fosse addormentata, e lui non aveva avuto il cuore di alzarsi e, di conseguenza, svegliarla. Era rimasto seduto a carezzarle i capelli per più di un’ora, fino a quando lei non aveva aperto gli occhi.

La giornata, poi, era stata frenetica, impegnata a organizzare il funerale. Riza aveva proposto di dividersi i compiti, per fare prima, anche se Roy aveva il sospetto che in realtà lei stesse cercando solo una scusa per starsene un po’ da sola, a piangere il padre appena morto, l’unico parente vicino rimastole. La conosceva abbastanza da sapere che piangeva solo quando era sola; il padre le aveva inculcato l’idea che non doveva essere d’intralcio, disturbare chi le stava attorno, e questo comprendeva anche il piangere di fronte a qualcuno, fonte di sicuro imbarazzo per la maggior parte delle persone.

Perciò non si era stupito quando nel primo pomeriggio, quando era rientrato a casa, non l’avesse trovata. Probabilmente era accovacciata sotto uno dei cipressi nel piccolo cimitero del paese, non lontano dalla tomba di sua madre. Quando avevano parlato di dove seppellire Berthold lei era stata categorica: non vicino a suo madre Elizabeth. A suo modo Berthold l’aveva amata… a suo modo. Come a suo modo aveva amato la piccola Riza.

Quella casa era così grande, così desolata, così vuota. Roy si sentiva solo. Provò a immaginarsi Riza da quel momento in poi. Poi venne sopraffatto dalla consapevolezza che la vita della figlia del maestro Hawkeye non sarebbe stata poi tanto diversa. La solitudine non pesava a Riza, ci si trovava a suo agio, non sembrava temere i suoi stessi pensieri. Roy si ritrovò a girare per le stanze vuote di quella casa in cui aveva tanti ricordi importanti. Improvvisamente si era trovato nella camera di Riza: sul letto c’erano i vestiti del giorno prima abbandonati in disordine, un libro sul comodino affianco alla foto sorridente della madre, sulla scrivania libri di matematica e un taccuino aperto – il diario di Riza.

Non era corretto sbirciare i pensieri di Riza, lo sapeva bene, ma allo stesso tempo non riusciva a trattenersi.

Non si aspettava certo di leggere grandi rivelazioni: Riza era riservata, ma anche una delle persone più cristalline e oneste che avesse mai incontrato. Lui adorava questo lato del suo carattere. In realtà erano ben poche le cose che non adorava di Riza. Inizialmente sfogliò alcune pagine stando in piedi in fianco alla scrivania; leggeva la data, le prime due, tre frasi. Poi, non sapeva bene come, si era ritrovato seduto sul pavimento, la schiena contro il letto. Non c’era nulla di nuovo in quel diario, sola la Riza di sempre, ma per questo incredibilmente sorprendente nella sua cristallinità.

Sentì la porta aprirsi, rimise il diario dove l’aveva trovato e scese a salutare la figlia del suo maestro, con una nuova consapevolezza, che stava affiorando lentamente ma inesorabile, come l’arrivo della primavera dopo un rigido inverno.

   
 
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