Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: lovespace    03/10/2014    8 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra,in egual maniera le onde del destino,nel loro divenire dal passato al presente,talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via.

 

5

 

 

 

CORPO A CORPO

 

 

Quando Helèn aprì gli occhi l’accolsero le azzurre iridi di Kei “Come ti senti? la devi smettere con questi atti eroici o ci farai morire di crepacuore” le disse sorridendo. Helèn aveva braccio e spalla fasciati insieme, era in camera sua”. Dov’è Harlock ?” chiese “E’ in plancia,ti va di mangiare qualcosa? E domani mattina di ricevere visite? Tutti mi chiedono di te” le disse Kei strizzandole l’occhio. 

Harlock solo, sul grande ponte di comando, fissava un nero mare di velluto striato d’argento che si stagliava infinito innanzi a lui. In realtà ciò che realmente stava fissando era l’universo che era dentro di lui,pieno di sfaccettature, cangiante, immenso e mutabile. La guancia poggiata sul pugno della mano sinistra,il viso quasi interamente coperto dall’ampio bavero del mantello e dai capelli, il corpo affondato nella struttura del trono che lui si era fatto costruire tanto tempo prima mosso da volontà di giustizia e libertà. Ma da quanto tempo non era più libero? Libero di pensare, libero di sentire, libero di amare? All’esterno nulla di ciò che stava sentendo sarebbe mai emerso, ma quello che in verità lui udiva era il suono metallico dell’inizio di una dura battaglia quella di Harlock con Harlock. Qualcosa stava cambiando in lui, iniziava ad avvertire il sibilo di un vento lontano. Era perfettamente consapevole che se avesse permesso a quella brezza sottile di crescere e soffiare sarebbe ben presto diventata un uragano che lo avrebbe travolto e spazzato via. Se gli avesse lasciato campo libero si sarebbe impossessato di ogni fibra del suo essere, la sua potenza se accresciuta, l’avrebbe travolto e lui non poteva assolutamente permetterselo. E quel vento… ora aveva un volto, aveva un nome Helèn. Era stato un atto di debolezza farla salire sull’Arcadia, ancora una volta avrebbe dovuto convivere con una sua scelta. Eppure gli bastava chiudere per un attimo gli occhi della mente per lasciarsi cullare dal ricordo di quel viso,di quello sguardo.

Si alzò di scatto aprendo con le mani il grande mantello e lasciando a grandi falcate il ponte di comando. Tori volò giù e si posò sulla sua spalla destra. Harlock trascorse alcune ore nella sala del grande computer centrale ma senza trarne beneficio. Ed a dimostrazione di ciò,per recarsi nei suoi appartamenti nel castello di poppa scelse il corridoio che passava accanto alla stanza di Helèn.

La luce filtrava dalla parte inferiore della porta di metallo. Era ancora sveglia. La ricordò mentre lo chiamava. La superò veloce.

 Nelle sue stanze Meeme lo aspettava “Non ceni Harlock ?” “Non ho fame“ disse lui sfilandosi i guanti e scaraventandoli sul tavolo. “Che hai?” Lei sapeva da cosa nasceva  quell’inquietudine, la conosceva bene, ed altrettanto bene sapeva che a volte Harlock doveva ascoltarsi, ammettere certi moti dell’animo per farli assurgere a coscienza e prenderne consapevolezza. Harlock non amava parlare e in special modo di sé. Ma con Meeme era diverso era una vecchia amica ormai, leale, sincera e lo conosceva bene.

Harlock braccia conserte davanti all’immensa vetrata la cui sconvolgente bellezza lo inghiottiva ogni volta.

 “Oggi ho creduto che fosse morta. Mi sono spinto al limite estremo,non avrei lasciato quella dannata nave senza di lei, contravvenendo a tutto ciò che detta il buon senso ed a ciò che ho insegnato ai miei uomini. Così facendo ho messo a repentaglio l’incolumità mia e dell’intero equipaggio. Io sono il Capitano di questa nave e come tale ho la responsabilità di 40 persone. Loro mi hanno consegnato le loro vite, si fidano di me e da me dipendono. Ma da quando lei è qui i miei sentimenti prendono il sopravvento su tutto il resto” il suo tono di voce era duro, determinato.

”Parli di Helèn?”. Harlock non rispose, ora parlava a se stesso “Non posso e non voglio che questa cosa cresca dentro di me. Quando la guardo negli occhi sento che potrei naufragare”.

Meeme era preoccupata ma non per  Harlock ma di Harlock . “Che intendi fare?” “Non posso mandarla via, vorrebbe dire condannarla a morte, ma posso fare in modo che le cose cambino!”. Aveva proferito le ultime frasi tenendo i pugni stretti. Meeme scosse la testa.

Il giorno dopo Harlock appariva più stanco del solito, non era riuscito a dormire. Aveva preso una decisione soffocando ancora una volta i suoi sentimenti per il superiore bene comune di cui si sentiva responsabile. Questo gli dava forza.

Con passo sicuro si recò verso la stanza di Helèn. La porta era aperta, udì la sua risata argentina provenire dall’interno. Dalla porta vide Yattaran con in mano un modellino dell’Arcadia che mimava tra suoni e sbuffi quella che pareva una battaglia. Helèn era morbidamente distesa su alcuni cuscini posti ai piedi della poltrona, accanto al piccolo camino, il braccio bloccato da una fasciatura al corpo. Aveva una tuta termica bianca aderentissima le gambe adagiate l’una sull’altra ed i piedi scoperti. Dai lunghi capelli benché raccolti, alcune morbide ciocche erano scivolate incorniciandole l’ovale del viso. La sua risata lo colpì improvvisa, inaspettata come un getto d’acqua fresca, portandogli alla mente le montagne innevate.

Helèn gli occhi lievemente socchiusi, il capo delicatamente chinato all’indietro mostrava parte del collo. Dentro di sé invidiò Yattaran che riusciva a farla ridere così. Lei lo vide e divenne subito seria. Abbassò lo sguardo per nascondere gli inconsapevoli battiti accelerati del suo cuore. Yattaran si voltò di scatto ”Capo!” fece un po’ impacciato. Poi rivolto ad Helèn “ Beh! Io vado Helèn…“ disse dandole il modellino dell’Arcadia “grazie Yattaran” rispose lei sorridendo. La porta si chiuse dietro il pirata.

 Harlock non era mai entrato in quella stanza, trasudava di lei. Nell’aria il dolce odore dei suoi capelli. Candele profumate. Notò i tre vasetti accanto alla finestra “Mi ricordano da dove vengo” poi aggiunse amaramente “Sono l’unica persona vivente ad essere nata sulla terra”. Volse lo sguardo alle fiamme del camino e disse “Grazie per essere venuto a salvarmi.”  Harlock le si avvicinò di qualche passo. “E’ proprio per questo che sono qui.“ Fece bruscamente. Helèn lo guardò  “Se vuoi restare su questa nave evitati altre alzate d’ingegno come quella”. “Ma di che parli?” fece lei sorpresa.

”Del fatto che per essere tornata indietro per un uomo solo, saremmo potuti morire in due!” rispose secco. ”

Ma…ma io… non potevo lasciarlo lì, il mio è stato solo un incidente.” “Saresti potuta morire!” urlò lui. Ma di queste ultime parole Helèn capì solo ciò che volle capire. Abbassò lo sguardo “ Non sarebbe cambiato poi molto” fece malinconica. ”Nessuno mi aspetta là fuori,anzi” sorrise amara “qualcuno mi aspetta, la corte Suprema della Gaia Sanction.” Si riebbe e in un moto di rivalsa ”qual’ è dunque la mia punizione Signore?” disse alzandosi con foga.

 Per terra con lui che la dominava dall’alto si sentiva inerme,ma nel movimento innaturale e frettoloso che compì per non sentire dolore alla spalla, perse l’equilibrio. Harlock con una falcata fu da lei e la prese per la vita.

I loro sguardi si incontrarono consapevoli di quel contatto. Lei sentiva la sua mano forte sul fianco, lui percepiva il dolce tepore e la morbidezza del corpo di lei. Harlock avrebbe voluto tirarla a sè e fare aderire il corpo di Helèn al suo. Ma non fece nulla di tutto questo. Helèn gli poggiò  la mano libera sul petto all’altezza del Jolly Roger che aveva sul giubbino di pelle, e lo spinse via dolcemente guardandolo “Non sono una bambina, devi farla finita di correre ad aiutarmi! ”. 

Ed accadde. Il fiorire di un ricordo,quel gesto tra di loro, come quando aprendo un cassetto ne viene fuori un odore che riporta alla mente sopite sensazioni. La mano di lei sul petto di lui che lo allontanava dolcemente. Si guardarono sorpresi, travolti all’unisono dalla medesima strana sensazione. Cercando l’uno nello sguardo dell’altro una risposta. Il tempo scandì un po’ più lentamente i suoi rintocchi. Harlock si riebbe per primo. Uscì con addosso uno strano senso di famigliarità e di esperienza vissuta. Helèn lo archiviò come un dejà vu.

 Non appena Harlock fu fuori Helèn cominciò a togliersi gli abiti e quasi a strapparsi la fasciatura di dosso. Da quella stessa notte cominciò a sottoporsi a lunghe sessioni di allenamento. All’inizio per riprendere le funzioni del braccio e rinforzare la muscolatura,poi anche per tutto il resto. Si allenava duramente per esser forte abbastanza da non aver bisogno di nessuno. Lo faceva con rabbia, con dolore, con sacrificio come lo aveva sempre fatto per rendere più forte il suo fragile corpo.

Ben presto l’eco di questi allenamenti si diffuse tra la ciurma, all’inizio i più andavano a guardarla incuriositi, poi pian piano qualcuno iniziò ad allenarsi con lei chiedendole consigli e spiegazioni. Ciò che li incuriosiva era la capacità di Helèn di mescolare l’arte della spada con quella atletica. Lei sorrideva ed aiutava come poteva.

Un giorno Harlock domandandosi dove fossero finiti tutti chiese a Yattaran, l’unico presente in plancia “Dove sono gli altri?”.

“Ma come capitano non lo sa? alle sessioni d’allenamento di Helèn, quella donna è una forza della natura Capitano. Dovrebbe vedere che…” si morse la lingua perché stava per dirne una delle sue. Harlock incuriosito si recò alla grande sala degli allenamenti ma, prima di arrivarvi sentì  Kei affannata dire ”Però…amica mia…quella tua spalla è proprio a posto adesso!”. Le sentì ridere insieme e sentendosi di troppo si allontanò.

La notte successiva durante una delle sue lunghe passeggiate ‘concilia sonno’ si ritrovò inconsapevolmente nei pressi della palestra, la luce accesa filtrava dalla porta d’accesso. Da uno degli oblò sulle ante vide Helèn: scalza, pantaloni e canottiera bianca aderenti e due strane protezioni in pelle sugli avambracci. Stava duettando con un nemico immaginario. La sua spada sibilava nell’aria. Era agile e flessuosa, elegante e leggera, fendeva l’aria con la spada. A vederla combattere con ‘l’uomo invisibile’ non seppe resistere,il suo lato guerriero ebbe la meglio, entrò di colpo.

 ”Credo ti serva un avversario” disse ad una Helèn stupita di vederlo lì. Helèn gli fece segno con la spada di accomodarsi. Harlock con un solo gesto si sbarazzò del mantello,poi del corpetto e del giubbetto in pelle sotto al quale non aveva nulla. Helèn rimase stordita nel vederlo così… in pantaloni. Lo osservò per un lungo istante. I suoi occhi vagarono lenti percorrendo le linee perfette di spalle e torace. Harlock era un uomo fisicamente notevole ma si comportava come chi non ne ha consapevolezza alcuna. La bella muscolatura di spalle e braccia era stata plasmata da anni ed anni di battaglie e scontri, trapezio, deltoide e tricipite ben sviluppati glielo narravano. Nonostante tante piccole cicatrici il torace conservava una bellezza austera ed elegante. Le braccia muscolose armonizzavano perfettamente con le ampie spalle ben delineate. Vita sottile, addome piatto, lunghe gambe, contribuivano a rendere la figura slanciata. La carnagione che aveva immaginato più pallida era invece di un colorito lievemente ambrato.

Tolti stivali e cinturoni,presa la fedele compagna di tante battaglie la Gravity Saber  si mise davanti a lei. Era strano essere lì a guardarsi negli occhi sfidandosi. Helèn abbozzo ‘il saluto ’ con la spada, lui toccò con la lama della sua l’altra lama e con un movimento del mento in avanti la invitò ad iniziare per prima. Helèn lo interpretò come un gesto di sfida e un po’ della rabbia sopita per il rimprovero ingiustamente ricevuto per il suo comportamento irresponsabile riemerse. Decise di mostrargli una volta per tutte chi era e che sapeva sempre ciò che faceva. Non era una donna né un medico ma un ufficiale,un combattente. E diventarlo le era costato lacrime e sangue,si era guadagnata il rispetto dei suoi capi prima, e dei suoi uomini dopo. Ed ora toccava ad Harlock.

Iniziò assestando un colpo rovescio fortissimo che Harlock resse ma che lo lasciò incredibilmente sorpreso ‘quanta forza’ pensò. Il duello vero e proprio ebbe inizio. Helèn seguì con un affondo e poi ancora con un fendente ed un montante violenti.  Harlock si difendeva ma cercava ancora di calibrare la giusta dose di forza. Helèn era impetuosa non si risparmiava, colpiva e colpiva, saltava indietro di scatto e poi attaccava. Capì che Harlock si stava limitando a studiarla ma non era quello che voleva, allora provocatoriamente disse “Forza Harlock è tutto qui quello che sa fare il ricercato numero uno dell’universo o le donne sai solo prenderle a schiaffi quando non se lo aspettano?” a quelle parole Harlock partì con una battuta e poi con un legamento,le lame si unirono stridendo, era un gioco di forza, i respiri si fecero affannosi. Helèn ne venne fuori con un prodigioso salto all’indietro. Harlock sorrise debolmente abbassando il capo per non farsi scorgere, si disse che Helèn era un degno avversario. Il tempo complice silente, rallentò per tenerli insieme un po’ più a lungo.

La osservava roteare leggera nell’aria, saltare all’indietro,correre in punta di piedi per schivare i suoi colpi, alcune ciocche di capelli le danzavano ribelli sul viso rendendola bellissima.

Guardandola mentre continuavano a duellare, iniziò a percepire uno strano calore provenire dal centro del petto. Non era il calore dato dall’azione, era uno strano calore che nasceva da dentro, che si diramava prepotente e che non poteva fermare, sorrise ancora debolmente inebriato da quella sensazione che non ricordava d’aver provato da tanto. “Chi ti ha insegnato a batterti così?”  le chiese. “Una persona che mi voleva bene, che ha cercato in questo modo di aiutarmi, rendendomi forte e facendomi entrare nell’esercito della Gaia Fleet” a quel nome Harlock preso dalla concitazione della contesa divenne una furia, per Helèn divenne difficile.

Si trovarono spesso a pochi centimetri l’uno dall’altro, l’uno contro l’altro divisi solo dalle lame incrociate. Entrambi sentivano i reciproci respiri veloci ed il reciproco calore corporeo. Helèn guardava la pupilla ambrata di Harlock ed i capelli che aderivano alla fronte per il sudore rendendolo se mai possibile ancora più bello. Fu un attimo, Helèn spintolo lontano da se con un’imbroccata riuscì quasi a colpirlo, la lama passò a pochi millimetri dal suo viso e la parte finale di un ciuffo di capelli venne tagliato via.

Helèn si bloccò terrorizzata, e lui ne approfittò. Con un colpo fortissimo fece volare via la spada di lei che finì molti metri lontana. Helèn la seguì con lo sguardo ma le era stato insegnato a non arrendersi. Così sfoderò la sua arma segreta, in quelli che sembravano dei semplici copri avambracci in pelle vi erano in realtà cinque lame oblique affilatissime che lei fece scattare fuori. Iniziò a colpire e colpire la spada di Harlock proprio con quelle lame. Harlock parando quei fendenti indietreggiava lentamente, era rapito e affascinato da quella donna. Poi di colpo lanciò in alto la spada e con scatto felino le bloccò entrambi i polsi con le mani.

Finirono entrambi violentemente sul pavimento. Harlock sopra di lei.

 Helèn si divincolava per liberarsi da quella morsa ma le vigorose braccia di lui non glielo permisero. Muoveva il corpo ma così facendo faceva semplicemente aderire ancor di più il suo bacino a quello di Harlock. Lui la fissava. Le stava scavando dentro con lo sguardo. L’alito caldo della bocca di lui le lambiva il viso. Si arrese. Alcune piccole gocce di sudore dal viso di lui si trasferirono a quello di lei seguendo la forza di gravità, o semplicemente il loro desiderio. Helèn respirava affannosamente; così facendo il seno, sollevandosi ritmicamente toccava il torace di lui, avrebbe voluto non respirare ma non poteva. Sentiva netti i battiti del cuore di lui a cui il suo corpo faceva da cassa di risonanza. Harlock  avvicinò ancora di più il volto al suo. Erano pericolosamente vicini. Il capitano piegò il viso in basso osservando il seno di lei che gli sfiorava morbido il torace, si avvicinò alla sua bocca. Helèn credette l’avrebbe baciata, erano a pochi millimetri. Ma le disse piano “Ho capito perché combatti così. Non è perché non hai paura della morte, tu vuoi la morte, la cerchi”.

Così dicendo le lasciò i polsi, si alzò. Helèn sentì i suoi passi arrivare infondo alla stanza ed uscire. Non si poteva esser vittoriosi con Harlock e non faceva riferimento a questo loro corpo a corpo.

 

 

Note:

Questo capitolo è dedicato ‘al mio grande amore,al mio amore grande’ mia figlia S. alle cui movenze elastiche ed eleganti mi sono ispirata per scrivere questo capitolo che tanto amo  ’a te che hai dato senso al tempo senza misurarlo ’ :-*  © Lorenzo Cherubini

Tecniche di scherma da “Tecniche di combattimento con la spada”

  
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