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Autore: L o t t i e    03/10/2014    2 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Kimashita wa!








Penso che siamo ciò che siamo,
e forse non c'è nulla di sbagliato... o forse sì.
E cosa farai quando la facciata si romperà?
Gaia; amica dell'autrice.



Fin dall'inizio ho avuto un brutto presentimento su Claude.
I suoi occhi, benché fossero del mio stesso colore, sembravano... ghiacciati.
Impossibile guardarli senza rimanerne incantati.
Un campanello d'allarme che urla «Pericolo!»
Samantha Walsh.




Rientro dalla vacanze scolastiche; Parigi.


Correva Samantha, correva con il cuore in gola e l'adrenalina nelle vene ― si era svegliata incredibilmente ed eccezionalmente presto per andare a prenderla e trascinarla a forza a scuola. Doveva sbrigarsi: la signora Akane ben presto sarebbe andata a lavoro.
Infatti, quando giunse a qualche metro dall'abitazione dello colore di un cielo sereno, la donna stava giò salendo in auto.
No, no, no..! «Ah, Yoshiko! Aspetti un... attimo...»
Andata. Si piego sulle ginocchia per riprendere fiato ed immediatamente le ciocche rossicce dei capelli le coprirono la visuale dell'automobile che si allontanava.
William non era con lei, quindi era già uscita? Spostò il ciuffo dagli occhi e raddrizzò la schiena munita di cartella e prese dalla tasca della felpa il cellulare: nessun messaggio. Tornata qualche giorno prima da Dublino dove aveva trascorso le vacanze, non poteva mica sapere cos'era capitato all'amica a cui inviava messaggi senza ricevere mai risposta. Sembrava scomparsa nel nulla! Che si fosse stancata di lei?
«Samantha!»
«Oh... Hey.» per quanto poté, sorrise al ragazzo arrivatole alle spalle.
Ragazzo un po' brufoloso ed alto almeno un metro e ottanta, Sean. Frequentava l'ultimo anno di liceo ed aveva aiutato la rossa a recuperare matematica, tutto sommato simpatico.
«Non c'è la tua amica albina?»
«William. No, penso sia già andata», ed alzò le spalle «ti va di fare strada insieme?»







* * *









«Ti assicuro che ringhiavi», Michela annuiva.
«Poi è stato un disastro. Dovresti imparare a mettere il freno a mano qualche volta», Michela annuiva di nuovo.
A Michela le avrebbe volentieri strappato il cuore dal petto.

Dovresti, faresti, impara...! Sapevano dire solo questo? Era questo l'aiuto che le davano? Non avevano bisogno di farle il riassunto e ricordarle cosa aveva combinato.
Se ne stava così, vinta, sotto le coperte che le arrivavano fin su la testa. Ad ogni respiro mandava giù un macigno; si sentiva così viscida e sporca, a quattro giorni di distanza non riusciva nemmeno a guardarlo in viso ― e come avrebbe potuto?
L'ultima volta che si era incrociata con lui per la casa, Trevor aveva perso colore, come un capo d'abbigliamento lavato alla temperatura sbagliata e che era ingrigito.
Sulle labbra le si formò un sorriso appena arricciato, amaro, di scherno verso se stessa.
«Toc-toc!»
...E si chiese se avesse sognato. Forse era già svenuta, ma ricordava nitidamente le labbra del vampiro articolare delle scuse, quel giorno.
«Will, sei sveglia?»
«...»
«Prinzessin, perché non ti alzi?»
«...» ah, e non spiccicava sillaba da due giorni. Ascoltava, assimilava, respirava. Un guscio vuoto.
Claude si avvicinò al letto della vampira e le scoprì il viso: non parve vedere qualcosa di bello, ma subito dopo sorrise, ovviamente.
«Devi alzarti, sono... Uhm, è tardi.»
William aggrottò la fronte. Tardi per cosa?
«Se parlassi sarebbe più facile capirti. Toh.»
Toh. Ed aveva uscito dalla tasca dei pantaloni ― rigorosamente neri ― un cellulare. Dalla cover rosa fragola. Il cellulare.
Eccolo! Ecco dov'era, ecco perché non lo trovava.
Stava per acchiapparlo, per allungare il braccio dalle coperte, ma si fermò ― alzò lo sguardo celeste per osservarlo in viso; ed intanto il led che annunciava l'arrivo di un messaggio lampeggiava insistentemente.
«...Non lo vuoi?»
Certo che lo voleva. Non ci pensò un'altra volta e lo prese. La sacra luce dello schermo le illuminò il visino pallido ― novantotto messaggi non letti e tante chiamate senza risposta. Aprì l'ultimo che le era arrivato proprio dieci minuti prima.

Dove sei? Non ti ho trovato a casa.
Non so se te l'ho detto ma sono stata a Dublino con i miei quindi non sono potuta venire da te... Mica sei arrabbiata? qAq
Mi manchi comunque, quindi oggi devi venire a scuola!! Odio Christine e le sue chiacchiere!

Samantha... non era in Francia per le vacanze? Come aveva fatto a dimenticarlo? Represse l'istinto di schiaffeggiarsi da sola e mantenne un'espressione impassibile, perché poi, cosa avrebbe potuto fare? Stava così bene a letto, magari ci sarebbe restata per qualche centennio in attesa che le cose cambiassero.
«Noto che sprizzi felicità da tutti i pori. Penso che ti renderà più felice sapere...»
La voce piena di sarcasmo di Claude le arrivava ad un orecchio ed usciva dall'altro, più che altro stava provando a capire perché le stesse restituendo il cellulare proprio in quel momento.
«...a scuola. Quindi vestiti e alzati.»

Altroché se era contario a riportarla a scuola, in mezzo agli umani. Però ― c'è sempre un però in questi casi, William aveva preso una bella batosta e non sembrava voler dare segni di vita, cavoli, si comportava da vegetale! Michela pensò bene che mandarla a scuola fosse un ottima idea perché lì avrebbe potuto rivedere i suoi amici.
Ciò andava contro la sua filosofia di recidere tutti i contatti con i familiari. Sembrava l'idea migliore, comunque. Forse quella Michela serviva a qualcosa, dopo tutto.
Venne afferrato per una ciocca di capelli e tirato giù, giù, giù fino ad incontrare due pupille nere contratte contornate da un'iride rosso brillante.
«Scherzi?» una parola, affilata.
«Oh, allora parli ancora!» con un gesto della mano prese quella bianca dell'albina e le fece lasciare i propri capelli «No, non scherzo. Considerala come una sorta d'offerta di pace.»
William abbassò il braccio senza togliersi dal viso quell'espressione accigliata.
Naturalmente non si fidava.







* * *









«Corri carotina, corri!» le urlava Marcel sulla soglia dell'aula come se fosse il confine della zona di salvezza.
«Marcel, fa' un favore all'umanità e muori!»
Possibile che anche dopo esser stato bocciato al primo anno di liceo quel ragazzo continuava a ronzarle intorno? Stava correndo per il primo piano per raggiungere l'aula al secondo prima dell'insegnante ― in un disperato tentativo di non beccarsi l'ennesimo ritardo.
«Anzi!» e tornò indietro di qualche passo «Hai visto William salire?»
«Blance-Neige? Forse.»
«Marcel Joseph-Maria Dumont, non sono dell'umore giusto, quindi non fare il simpatico.»
«Caspita,» soffiò il moro passandosi una mano in fronte «proprio l'appello dovevi fare?» borbottò con stizza «Mi sembra di averla vista, c'era confusione prima.»
E in quel momento avvenne qualcosa di storico, di unico anziché raro, qualcosa che non capiterà più in tutto il globo per altri cento anni: al suono della campanella che annunciava la chiusura dei cancelli agli studenti ancora fuori l'edificio, Samantha Walsh disse grazie a Marcel Dumont.
Un grazie coperto dal suono della campanella, silenzioso.
Un muto grazie che Marcel apprezzò.
Con la coda dell'occhio la ragazza dai capelli rossicci vide la professoressa che le avrebbe fatto lezione alle prime due ore, questo voleva dire correre.
Le mancavano due rampe di scale, solo allora sarebbe sprofondata nella disperazione di aver perso la sua migliore amica, costretta a sedersi insieme alla perfettina della classe o avrebbe avuto un tuffo al cuore per la felicità. Quanto più veloce avesse potuto correre, volò su per le scale, scavalcando studenti più grandi ed alti come armadi.
E fu di fronte all'alula. Ed aprì la porta.
E il primo banco vicino alla finestra era vuoto.
Vuoto. Se ci fosse stata, si sarebbe seduta lì. Oh, quante gliene avrebbe dette a Marcel! Ma quante!
Sbuffò sonoramente, assomigliando vagamente ad una teiera che bolle ed avanzò di un passo. Quindi ancor prima di pentirsi veramente di aver ringraziato Marcel e di sedersi nuovamente insieme a Christine, un bagliore argenteo catturò la sua attenzione come la luce di una lampada a gas per le falene.
Quasi le cascò la cartella dalle spalle.
Era lì.
Quella cretina era lì, seduta all'ultimo banco che... dormiva?
Stava proprio dormendo come se nulla fosse! Le sfuggì una risata. William Leroy, l'albina conosciuta un po' in tutto l'istituto con dei bei voti, aveva il viso poggiato sul banco e gli occhi chiusi ― era mascara quello sulle ciglia normalmente bianche?
Come forse saprete, Samantha non è proprio nota per il suo tatto o i modi delicati. Proprio per questo serbò all'albina un trattamento speciale: una scompigliata di capelli.
Quasi subito la vampira borbottò infastidita, immediatamente riconobbe quell'aroma di cannella misto allo shampoo alla fragola.
«Da quando siedi all'ultimo banco e dormi?»
William sorrise stropicciandosi un occhio. «Facciamo da oggi?»
«Pft―..! Will, i-il mascara―» e scoppiò a ridere «sembri un panda!»
Quello che era un ottimo inizio della giornata, con una figuraccia ― perché Claude aveva insistito tanto per il mascara? Non era proprio abituata. In effetti aveva la mano nera. Accennò anche lei una risata, borbottando poi appena imbarazzata un «Dai, siediti che c'è la prof.»


Intervallo; biblioteca della scuola.

«Hey, Will.» la ragazza mangiò un altro boccone del panino alla maionese, prosciutto e lattuga ― benché fosse vietato mangiare lì.
«Sì, Sam?» William alzò il viso dal quaderno ― ora senza assomigliare ad un panda ― nel quale stava copiando gli appunti della settimana in cui era stata assente. Erano andate in biblioteca perché fuori pioveva a dirotto, faceva anche un po' freddo.
«Stai bene? Voglio dire, mi hanno raccontato che eri sparita ed ora sei ritornata così... alla cavolo.»
L'albina arcuò un sopracciglio, poi rifletté: alla cavolo era perfetto.
«Certo che sto... bene. Mph.»
«Non c'entra quel ragazzo con la quale sei fidanzata, vero? Quello più grande― Claude.» la rossa annuì e poggiò i gomiti sul tavolo in legno, lasciando qualche briciola.
Perspicace la sua Samantha. Non rifletté più di tanto alla risposta, perché avrebbe negato automaticamente, ma venne bloccata dall'amica.
«Possiamo dirci tutto. I tuoi segreti sono i miei e viceversa, capito?»
E che amica. «Certo che lo so―... Ah, forse domani non verrò.» il click della penna. Il quaderno che si chiude. L'amaro sul palato.
«Cosha? Pevché?» deglutì e quasi si strozzò «Siamo rientrati solo oggi e già vuoi assentarti?»
William scosse brevemente il capo, abbozzando una risatina, poi sentì mancare la terra sotto i piedi ― o più nello specifico, la sedia sotto il sedere.
Forse non aveva completamente smaltito il sangue, forse la pressione di stare lì e far finta di niente era troppa, forse...
E corse al bagno delle ragazze.

La campanella ― che sia maledetta! ― era suonata da qualche minuto e lei era ancora nel bagno delle ragazze più pallida del normale in compagnia di una Samantha teneramente in ansia per lei. Le aveva suggerito di far chiamare la madre per andare dal medico, ma l'albina aveva rifiutato con un cenno della mano.
«Mi sto preoccupando.»
«Quando non lo fai, di solito?» provò ad allentare la tensione «Tutto okay, solo un giramento di test―»
«Ti veniva anche da vomitare.» la interruppe Samantha. «Oddio! William!» squittì in seguito la rossa strattonandola per una spalla. Ora avrebbe vomitato davvero.
«C-cosa c'è?!»
«Non sarai mica incinta di Claude!»
«...»
«Non fare quelle faccia, che scherzavo!» si affrettò a dire Samantha, congelata all'istante dallo sguardo dell'altra «Uff... Forse è perché non hai mangiato? Potevo darti un pezzo del mio panino.»
«Andiamo e non dire cose stupide, non vorrai essere mica richiamata dalla temibile Mureau?» ammiccò l'albina prendendo per un braccio l'amica e trascinandola fuori dal bagno ― cambiare discorso ed affrettarsi a tornare in classe erano le cose migliori da fare.




Deliri Note dell'autrice:
Errieccomi! Per fortuna puntuale con il settimo capitolo, che adoro tanto per il debutto di Samantha. *v*
Ringrazio tanto chi mi legge in silenzio e chi lascia anche un piccolo commento, quindi cito U k e c c h i che ringrazio tanto per i complimenti!
...E Gaia, la mammina di Trevor (?) che mi ha illuminato e donato l'ispirazione con quelle due frasi. ♡
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non vi siano errori gravi. *coff
Aggiungo che presto modificherò, o meglio, migliorerò il prologo. ☆
―L o t t i e.
  
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