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Autore: A li    11/10/2008    4 recensioni
Dopo Death Note 12.
Una seconda possibilità.
L'ultima, per riscattare le proprie colpe.
- Allora, l’unica risposta…
Una reincarnazione? –
In una delle rare volte, mi sorrise. – Esattamente ciò che pensavo. – disse.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito, Ryuuk
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Over The Mu

Grazie MILLE a:

kokuccha

che ha commentato! ^-^

Grazie, tesoro!

 

Ed eccoci al quarto capitolo…

Mi spiace che solo una persona abbia commentato il terzo, dato che questa storia è nei preferiti di cinque.

Spero che abbiate il buon cuore di lasciare un commentino…

Finalmente, in questo capitolo Nate comincerà il suo ritorno nel passato: pian piano si accorgerà di quello che è realmente. E allora… Quale sarà la sua scelta?

Buona lettura!

 

Prima o poi, tutti gli esseri umani muoiono.

Dopo la morte, non vi è nulla.

 

IV. Return (Ritorno)

- Ah…! -

Ansimando, con gli occhi chiusi, cercai di impedire a quella esplosione di parole sconosciute di entrarmi in testa. Ma sembravano provenire proprio da lì.

Mentre stringevo con forza la testa tra le mani, alcune lacrime mi scesero: il dolore alla fronte era insopportabile e il volume di quelle immagini e suoni che mi assalivano era altissimo. Digrignai i denti, rinunciando ad eliminare gli intrusi. Lentamente, provai ad ascoltare. Incredibilmente, il volume si attenuò al mio consenso.

Pian piano, svanirono tutte le urla e tutte le immagini.

Sconvolto, provato dal dolore e dallo sforzo, mi accasciai con il busto e la faccia sul piano della scrivania, voltato di lato. Accanto a me, il quaderno che Deborah mi aveva regalato era aperto sulla prima pagina. Era del tutto bianca, se non per quel nome minuscolo che vi avevo scritto: Kuro Otoharada.

Mi chiesi perché la mia mano avesse tracciato quella scritta. Non conoscevo nessuno che si chiamasse così. In realtà, conoscevo ben poche persone e tutte vivevano in questa casa.

Presi nella mano tremante il quaderno e lo fissai, confuso. Le immagini che mi erano scoppiate d’un tratto in testa non le avevo riconosciute. C’era una stanza buia, forse la stessa della strana visione avuta con Ryuk, e una televisione. Era in onda un telegiornale giapponese, di questo ero sicuro, in cui stavano identificando il colpevole di un sequestro.

Forse era proprio lui: Kuro Otoharada.

Ma perché avrei dovuto segnarmelo sul foglio? L’avevo già fatto nel mio passato?

No, non era possibile: non ero mai vissuto in Giappone, per quanto sapessi. E, sicuramente, se vi ero stato, non sapevo ancora scrivere.

Senza punti di riferimento, non potevo arrivare a nulla.

Stremato, mi coricai sul letto. Restai a guardare il soffitto, chiedendomi se fosse possibile credere nella magia. O credere in qualcosa di irrazionale, di sovrannaturale. Nel profondo, sapevo di crederci.

Forse, ero sicuro che esistesse qualcosa al di là della materia visibile. Forse in passato ne ero venuto a conoscenza.

Sorrisi a quell’idea, ma il sorriso era più che altro una smorfia.

All’improvviso qualcuno bussò alla porta.

Sobbalzai, sorpreso, gli occhi spalancati. Per un attimo avevo visto Ryuk sorpassare la porta e venirmi incontro.

Mi riscossi quando una voce famigliare si fece sentire.

- Nate? -

La testa di Mihael spuntò davanti allo stipite, emergendo alla luce del pomeriggio. Mi fissò un secondo, poi entrò nella stanza senza fare rumore, come al solito. Andò a sedersi sulla sedia che occupava sempre e si girò a guardarmi.

- Cosa c’è? – chiese.

Ancora una volta, non me la sentii di raccontargli le mie visioni. Continuavo a sentirmi patetico.

- Niente. – risposi.

Non sembrò convincersi, ma Mihael non era invadente, né curioso. Capiva quando non volevo parlargli e, semplicemente, ne prendeva atto: si ritirava nel suo silenzio e nei suoi pensieri, senza aggiungere nulla.

Dentro di me, mi sentii male: forse se gli avessi spiegato le cose, sarebbe stato meglio.

- Mihael… - provai.

Il suo sguardo non si spostò dal solito punto indefinito al di là della finestra. Ma capii che mi aveva sentito. Passò solo un secondo prima che rispondesse.

- Dimmi. – sussurrò.

Subito, mi chiesi cosa dovessi dirgli esattamente. Avrei dovuto parlargli delle mie visioni-ricordo? O di Ryuk?

Propensi per la prima possibilità: non mi sentivo di rivelare la presenza di un essere che solo io sembravo vedere.

- Io… - iniziai – Già questa mattina e poi poco fa, ho avuto delle… - cercai la parola adatta - …visioni. -

Attesi la sua risposta, ma quella non venne. – Una specie di ricordi che però non possono essere miei… -

Mi morsi un labbro. Pessima idea: ora mi sentivo davvero ridicolo.

Ma Mihael non fece commenti, come quel giorno a colazione, e gliene fui grato. Restò un momento soprappensiero, poi rispose.

- Come fai a dire che non possono essere tuoi ricordi? -

- Beh… - replicai - …ad esempio, il secondo apparteneva a qualcuno vissuto in Giappone, ne sono certo. E io non posso essere vissuto in Giappone dopo i sei mesi. Se anche fosse, non me ne ricorderei, no? Ero troppo piccolo. -

Alzai lo sguardo sulla figura di Mihael e quello che vidi mi lasciò di stucco. Si era irrigidito.

- Hai detto qualcuno vissuto in Giappone? -

Si girò verso di me, nel suo sguardo potevo intravedere una strana agitazione. Annuii.

Forse cercò di recuperare del contegno, perché si mosse nervosamente sulla sedia e si morse distrattamente un labbro. Ma cos’era che lo rendeva così irrequieto?

- Anche io… - sussurrò, pianissimo, - …Anche io ho avuto una specie di visione come la tua. Anche io ho riconosciuto il Giappone. -

Spalancai gli occhi. Le nostre visioni avevano una relazione tra loro? Forse ci conoscevamo già prima di perdere la memoria?

Mihael sembrava essere arrivato alla mia stessa conclusione. Mi fissò un secondo, prima di parlare.

- Se ci fossimo conosciuti già prima di perdere la memoria, non sarebbe stato comunque in Giappone. Sia io che te siamo vissuti qui in Scozia da quando eravamo piccolissimi. Non avremmo ormai ricordi della nostra conoscenza in Giappone.

Questo vuol dire che, alla conclusione a cui sono giunto, quelli non sono affatto i nostri ricordi. –

Riflettei un momento sulle sue parole, come sempre.

- Non sarebbero i nostri ricordi, quindi? Sì, è logico… -

Ci fu un attimo di silenzio. In quella quiete, si potevano percepire le nostre menti lavorare, alla ricerca della soluzione.

Ad un tratto un’idea mi fulminò.

- Forse… - mormorai.

Scesi dal letto e cominciai a camminare per la stanza.

L’unica soluzione che poteva esserci, l’unica risposta al dilemma era quella. Del resto, nel mio ricordo io sapevo già scrivere e, ora che ci ripensavo attentamente, ero sicuro di conoscere bene il giapponese anche in questo momento. Quindi, in Giappone, avrei dovuto essere una persona adulta, o almeno un ragazzo.

Perciò, l’unica risposta…

Possibile? Possibile che esistesse un fenomeno del genere?

Per un momento, pensai alle mie idee. Al mio credere in qualcosa di sovrannaturale.

Dopo la morte? Cosa pensavo ci fosse dopo la morte?

Forse il nulla. Ma, qualcosa mi diceva che non era vero. Che c’era una differenza. Che c’era un’altra possibilità.

Se era così, quello che pensavo poteva essere la verità.

Mi voltai a guardare Mihael. Quello, dalla sedia, mi scrutava corrucciato, cercando probabilmente di capire quello che avevo in testa.

- Forse… - ripetei, - C’è una risposta. -

La sua espressione neutra non cambiò. Attese, quieto.

- I ricordi che ho devono essere quelli di una persona adulta. Lo è anche per te? -

Lui annuì.

- Allora, l’unica risposta…

Una reincarnazione? –

In una delle rare volte, mi sorrise. – Esattamente ciò che pensavo. – disse.

Risposi al sorriso con sincerità. Cominciavo a provare uno strano affetto per questo ragazzino, come per un fratello. Vivevamo in un’atmosfera di rivalità e competizione, ma ero sicuro che anche lui ricambiasse i miei sentimenti.

Amicizia.

Perché Light… E’ il mio primo amico.

- Il mio primo amico… - sussurrai, come in ipnosi.

Non sapevo dove avessi trovato quella frase. In una recondita parte di me?

Forse anche questa era una testimonianza dell’uomo di cui ero reincarnazione. Ma la voce non era la sua.

- Come hai detto? – chiese Mihael.

- Niente. -

Qualunque cosa fosse stata la nostra perdita di memoria, qualunque fenomeno ci fosse stato all’origine delle nostre stranezze, l’avremmo affrontato. L’avremmo risolto. Insieme.

Sorrisi ancora tra me e me. Ero sicuro che, anche nella mia vita passata, avessi una relazione particolare con Mihael. Lui mi guardava curioso dalla sua sedia. Forse non capiva. Forse invece capiva fin troppo bene.

Lo osservai un momento mentre pensava e arrivai alla conclusione che, certamente, doveva essere stato così intelligente già nella sua vita precedente. Sempre che ci fosse stata, aggiunsi mentalmente.

- Puoi raccontarmi quello che hai visto? – chiese.

Acconsentii. Probabilmente era il modo migliore per cercare di capire se quelle visioni fossero veramente appartenute ad una persona già morta.

Gli spiegai tutto. Ma ancora una volta, lasciai fuori Ryuk. Non lo consideravo fondamentale per le nostre ricerche. O almeno la mia mente cercava di convincermi di questo. Mentre, in realtà, Ryuk era quello che sembrava sapere più cose di questa storia ed ero solo io a non volerlo coinvolgere. Non me la sentivo. Non ancora.

Quando ebbi finito, lui restò un momento in silenzio.

- Un quaderno si cui hai scritto il nome di un sequestratore… - rifletté – Per quale motivo avresti dovuto annotarti il suo nome? Forse era una persona che conoscevi? -

Scossi la testa. – Veramente non penso… - risposi – Nelle mie visioni, io sento anche quello che prova la persona. E non mi è sembrato che la conoscesse. –

Mihael annuì, accantonando quell’ipotesi.

Mi grattai la testa, nervosamente. Era impossibile andare avanti così, senza maggiori informazioni. Era come brancolare al buio in mezzo ad una stanza piena di oggetti impossibili da riconoscere.

- Forse è meglio se lasciamo perdere, per oggi. – dissi.

In effetti era calata la sera e il giorno dopo avrei dovuto iniziare la scuola: la cosa migliore era dormirci sopra. Sperando che, per davvero, la notte portasse consiglio.

Mangiammo una cena frugale, perché Deborah non era ancora tornata e in frigo non c’era molto. Consumato il pasto, ci salutammo solo con un cenno della mano, poi ci infilammo ognuno nella rispettiva camera.

Quella notte, stranamente, mi ritrovai a desiderare che Ryuk tornasse a farmi visita. Sapeva di certo molte cose, forse conosceva la verità intera: era l’unico che avrebbe potuto aiutarci. Dormii un sonno piacevole, al contrario di quello che mi sarei aspettato.

Mi alzai all’alba, fui svegliato dal sole che entrava dalla finestra.

Era presto, ma uscii comunque dal letto e camminai fino alla cucina. Mi preparai una tazza di latte e, quando stavo per prendere lo zaino posato su una sedia che sembrava essere stato preparato da Deborah, la donna apparve sulla porta.

- Oh, Nate… - sospirò, - Te ne volevi davvero andare a scuola il primo giorno senza salutare? -

Sorrisi e ricambiai l’abbraccio con cui mi strinse.

Uscii di casa poco dopo, seguito dal ‘buona fortuna’ di Deborah. Mentre chiudevo la porta che dava sulla strada, intravidi Mihael in corridoio, che veniva verso di me. Sorrideva.

Col pacifico e dolce ricordo di quel sorriso, così inusuale per lui, mi avviai nella direzione indicatami da Deborah. Arrivai alla scuola in pochi minuti: era davvero vicina, perché il paese era molto piccolo. Si trovava sulla piazza in cui avevamo sostato io e Mihael il giorno prima, ma non l’avevo notata. Era relativamente grande, ma semplice, con un piccolo giardino a circondarla.

Non ero l’unico studente, ma sicuramente uno dei più mattinieri. Quelli che entravano, continuavano a sbadigliare ad ogni passo, mentre io mi dirigevo tranquillamente alla mia classe. Deborah mi aveva iscritto alle medie, nonostante avessi l’età di uno studente delle elementari: diceva che Mihael era sicuro che me la sarei cavata nel migliore dei modi.

Nell’aula, occupai un banco in ultima fila e attesi.

Le lezioni durarono poco. Ogni volta, nonostante fossimo a metà dell’anno e quasi alla fine del primo quadrimestre, dimostrai di saper affrontare tutte le materie e di eccellere nella maggior parte. Tutti i professori rimasero impressionati dalla mia intelligenza e la cosa mi procurò un moto d’orgoglio.

Alla fine della giornata, quando gli altri studenti correvano a casa, finalmente liberi, io restai a camminare distrattamente nel giardino, ripensando a quello che era successo. Mi sedetti su una panchina rossa e guardai in alto. Quasi non caddi per terra.

Appollaiato sull’albero che faceva ombra alla zona delle panchine, sorridente come sempre, stava Ryuk, le mani a penzoloni. Con una aveva afferrato una mela e se la gustava.

- Ryuk! – esclamai.

Mi guardò, ghignando, poi indicò un punto davanti a me. Senza esitare, mossi gli occhi nella direzione del suo dito.

Un ragazzo, che riconobbi come un mio compagno, stava uscendo in quel momento dal cancello. Ma, ad un tratto, un libro con la copertina nera gli cadde per terra.

Successe in un secondo: le voci e le immagini tornarono a popolare la mia mente, facendomi gemere e piegare dal dolore.

Death Note… Ovvero il quaderno della morte.

La persona il cui nome sarà scritto su questo quaderno morirà. -

Che pena. Ma perché van tutti matti per ‘ste scemenze? -

Attento, Taku! -

Il quaderno della morte… funziona davvero! -

Ho… ho ucciso… due persone…

- Ho… Ho ucciso! – gridai, tra le lacrime che ormai erano scese, insieme a quella cascata di ricordi.

Io non ero Nate River. Ero Light Yagami.

Ed ero un assassino.

Fine IV

 

Bene!

Ecco concluso anche questo capitolo!

Per favore, commentate! Ç_ç (me si sta deprimendo…)

Alla prossima!

 

Aki

   
 
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