Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: lovespace    10/10/2014    8 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via.

 

Grazie a tutti coloro che si fermeranno a leggere.

 

6

 

 

ARCTIC

 

 

Trascorsero alcuni giorni apparentemente uguali nei quali l’Arcadia solcava lenta il mare placido dell’Universo. Era uno strano navigare, come in cerca di qualcosa. La vita scorreva tranquilla anche per l’equipaggio all’interno della nave. Solo Meeme si vedeva meno del solito. Ma una sera si materializzò davanti alla porta dell’infermeria. La luce che di solito emanava vivida ed intensa era opaca, quasi spenta. Helèn era alla scrivania. Si voltò, le due donne si fissarono a lungo.

”Meeme qualcosa non va?” le chiese Helèn preoccupata, avvicinandosi mentre una strana sensazione si impossessava di lei. Meeme non rispose subito, mosse alcuni passi piano nella sua direzione, entrando nella stanza. Diafana, evanescente, sembrava irreale, le prese una mano e come se provasse dolore disse “Tra breve… tanto ti sarà chiesto… sii forte.”

La donna non capì ciò che Meeme voleva dirle ma attraverso quel tocco delicato percepì nettamente una vibrazione, quasi che così facendo volesse infonderle coraggio. Una forte sensazione di inquietudine la pervase,  spalancò gli occhi. L’aliena le sorrise dolcemente e come era arrivata se ne andò via.

Helèn che già aveva difficoltà a dormire quella sera vagò a lungo per i corridoi dell’Arcadia cercando di fissare pensieri e sensazioni. Ad un tratto senza preavviso alcuno, Tori le piombò davanti spaventandola. “Oh! sei tu piccolo monello“ fece lei sorridendo e allungando una mano verso di lui che, dopo alcuni passi sul pavimento di metallo spiccò il volo. Helèn decise di seguirlo,per lei una strada valeva l’altra.

Mentre camminava guardandolo volare ricordò che per alcune antiche tribù della Terra l’avvoltoio era colui che accompagnava l’uomo nel suo viaggio dopo la morte. Attraverso una stretta porticina metallica lo seguì in un ambiente immenso nel quale non era mai stata. Era tutto immerso nella penombra. Mano a mano che gli occhi si abituarono al buio si rese conto di trovarsi nella grande sala del computer centrale. Le avevano detto che era il cuore pulsante dell’Arcadia e che era off-limits per tutti, tranne che per Harlock. Tori iniziò a volare in alto, in maniera circolare fino a quando sparì alla sua vista. Il computer era enorme, impressionante, presentava un grande corpo centrale ancorato in basso ed in alto da una notevole quantità di collettori e condotti di varia dimensione. Non aveva mai visto nulla del genere sulle navi della Gaia ma, più che un cuore in realtà le ricordava un cervello. Ogni tanto vi si accendevano alcune piccole luci, sembrava che la stanza fosse stata costruita attorno al computer e non viceversa. Ebbe la netta sensazione d’esser entrata nel ‘sancta sanctorum’ della cattedrale Arcadia. Percepiva un’aura strana, camminava lentamente senza far rumore, con reverenza, quasi senza respirare.  Ad un tratto vide Harlock, si nascose d’istinto e restò ad ascoltare.

 Seduto su uno dei grossi condotti parlava a voce bassissima o come lei credette pregava! Si… era lì per pregare. Tori ricomparve dal nulla e si appollaiò sulla spalla di Harlock che alzandosi diede due pacche alla struttura metallica del computer ed uscì. Helèn sentì il rumore dei suoi inconfondibili passi sul metallo allontanarsi. Si andò a mettere esattamente dove era lui. Sorrise. Su di una specie di sporgenza del corpo del computer Harlock aveva lasciato un bicchiere con del vino rosso. Lascia anche offerte votive? Pensò un po’ frastornata. Prese il bicchiere e notò sul cristallo purissimo l’impronta delle labbra di lui, fece un cenno con la mano che reggeva il bicchiere rivolta al grande computer come a voler partecipare anche lei a quello strano rito pagano, posò le sue labbra sul bicchiere esattamente dove erano state quelle di Harlock e bevve!

Chiuse gli occhi. Il liquido scese lento e pungente lungo la gola e le scaldò lo stomaco. Come una carezza. Il sapore del vino ed il pensiero che poco prima lì vi erano state le labbra di Harlock le provocarono una sensazione di ebbrezza. Posò il bicchiere, fece un inchino ed andò via.

Due grossi cerchi concentrici rossi si accesero sul grande computer ma Helèn non poté vederli si era già voltata presa dai suoi pensieri.

Camminava e ripensava ad Harlock così come lo aveva visto. Era un leader carismatico, un guerriero implacabile, ma il suo fiero sguardo a volte pareva spento, assente, quasi che un profondo rammarico lo strappasse a se stesso, un dolore profondo si nutrisse ogni giorno della sua luce, di lui, consumandolo poco a poco. Ed al tempo stesso vi vedeva l’inquietudine dettata da uno spirito impavido che non vuole arrendersi. Per certi versi erano uguali, anche lei viveva col peso di tante perdite sul cuore e di un dolore profondo, immenso, che mai nulla al mondo avrebbe potuto colmare. Avrebbe voluto aiutare Harlock ma il suo spirito era celato dietro una roccaforte di ghiaccio e sofferenza, nessuno vi avrebbe mai potuto fare breccia. Ed ormai lei non era più in grado di dare o ricevere amore. Gli occhi le si inumidirono. Si concentrò un istante sul corridoio da percorrere per tornare alla sua stanza e si rese conto di essersi sbagliata, tornò rapidamente indietro e girato un angolo.  Ed eccolo lì, il protagonista dei suoi pensieri.

Si erano quasi scontrati, la guardò chinando lievemente il capo di lato scrutandone gli occhi. Era una sua caratteristica cercava sempre lo sguardo di chi gli stava di fronte per capire anche ciò che non veniva detto. Era un'abitudine che aveva acquisito sin dai primi tempi da militare. Trovando gli occhi di Helèn inumiditi il suo solito sguardo freddo si ammorbidì. Perché quella donna gli risvegliava sentimenti di dolcezza e tenerezza come se il suo compito fosse proteggerla? Un pensiero sì affacciò un istante prima di dissolversi, forse chissà in un’altra vita lo aveva fatto. ”Notte Harlock”.

“Notte a te ”. Le loro strade si divisero.                                          

Il giorno dopo Helèn notò un certo fermento in plancia. “Cosa accade?” chiese rivolta a Kei.

 “Siamo finalmente giunti nei pressi di Arctic dobbiamo lasciare qualcosa su questo pianeta“ le rispose sbrigativa.

”Qualcosa? ” fece interrogativa Helèn.

”Una bomba”. La voce di Harlock proveniva dalle sue spalle.

 “Una bomba? e perché?” chiese Helèn, voltandosi. Nessuno rispose e lei continuò a guardarlo dubbiosa”.

“Vieni con me, la piazzeremo e intanto ti spiegherò” le rispose Harlock prima di sparire nel suo mantello.

Quelle parole le aveva pronunciate con fatica quasi fossero macigni. Il pianeta Arctic era stato chiamato così dagli uomini perché interamente ricoperto dai ghiacci e come tanti pianeti e satelliti aveva nomi che nostalgicamente ricordavano la Terra. La temperatura era sempre qualche grado sotto allo zero e tempeste di neve vi si susseguivano. Per questo non era mai stato abitato. In compenso l’aria era respirabile. Ad Helèn venne data una pesante tuta termica nera con guanti annessi ed un mantello con cappuccio.

Lei ed Harlock salirono sulla navetta. Seduti l’uno accanto all’altro Helèn notò che guidava con semplice naturalezza, ed una sicurezza che denotava tanta conoscenza e tante ore di volo. Doveva esser stato un grande pilota. Helèn non fece domande si limitò ad osservare. Dall’Arcadia la bomba venne resa visibile, era sempre stata lì ma mimetizzata.

”Ho capito“. Disse Helèn continuando a guardare innanzi a se. “Questa è una delle cento bombe a vibrazione dimensionale che ti accusano d’aver sottratto alla Gaia Sanction”.

In un primo tempo Harlock non rispose, poi disse“Erano cento, ne sono rimaste solo due”.

 “Dove sono le altre?”. Stavolta Helèn si voltò a guardarlo.

 “Sono state piazzate in 98 luoghi cardine dell’Universo”.

 “Luoghi cardine?”

 “Si… luoghi che corrispondono ai nodi temporali”.

Helèn non chiese altro, era stata resa edotta della teoria del popolo dei Nibelunghi sui nodi temporali. Tacque, avvertiva che parlarne ad Harlock procurava disagio, quasi dolore. Capiva sempre quando qualcosa gli creava sofferenza, lo coglieva da alcune piccole inflessioni della voce. Si concentrò sulle sue mani che agili e sicure attuavano le varie manovre con estrema rapidità e precisione. Il capitano avvertiva lo sguardo di Helèn su di sé, si voltò “Non preoccuparti andrà tutto bene”.

 “Lo so… io non ho mai paura quando sono con te”. Rispose con ingenua semplicità.

Harlock cambiò discorso. “Sul pianeta ci sono tormente di neve ricorrenti ma, secondo i nostri calcoli, dovremmo avere un’ora di tranquillità”.

Arrivati a destinazione scesero. Il paesaggio era bianco, disarmante, uguale. La luce riflessa ovunque era intensa, il freddo  pungente. L’aria benché respirabile era leggera, rarefatta, dava un senso di stordimento.

Harlock iniziò la procedura di attivazione della bomba che era stata ancorata a terra nel ghiaccio da alcuni tiranti in metallo. Intanto si era sollevato un forte vento. Helèn guardava quel paesaggio desolatamente uguale, ovunque volgesse lo sguardo tutto era bianco e luminoso, le folate di vento le ferivano il viso, l’aria sottile le riempiva prepotente ogni angolo dei polmoni. Il vento sembrava rendere instabile la superficie sollevando e muovendo un sottilissimo strato di neve. Si voltò, guardò Harlock e disse “Le farai detonare tutte insieme non è vero?”

Harlock piegato accanto agli inneschi elettronici la guardò, si alzò. Helèn era una donna intelligente ed intuitiva. “Si” rispose pacato.

 “Cosa accadrà? ” chiese Helèn senza tradire emozioni.

Harlock guardava lontano, il suo sguardo cupo si perdeva in quel chiarore diffuso e perfetto. “L’universo che ora conosci, cesserà di essere, se ne creerà uno nuovo, da cui tutto avrà nuovamente origine”. Mentre parlava il suo sguardo galoppava selvaggio su quella distesa immacolata, lontano da tutto, portando con sé il suo spirito fiero e combattivo da troppo tempo prigioniero del buio. Helèn non disse nulla gli si avvicinò per guardarlo in volto mentre il vento gelido colpiva i loro visi, i loro corpi, rendendo quasi vivi i loro mantelli.

Quando lui la guardò lei disse “Non mi importa di morire.”

Harlock fu molto sorpreso da quella totale e serena accettazione di ciò che le aveva appena rivelato. “Ma posso chiederti una cosa?”. Lui fece cenno di si col capo fissandola. “Sono stata sempre sola nei 100 anni di morte - non morte della cariogenesi, io... io non voglio più morire da sola. Mi prometti che… quel giorno, in quel momento sarai con me e mi stringerai e non mi lascerai morire da sola?”. Aveva pronunciato quelle parole col trasporto della disperazione.

Harlock era visibilmente turbato, il vento gli scompigliava i capelli mettendo in evidenza i lineamenti perfetti del viso. Comprese appieno la sua richiesta, Helèn non poteva saperlo ma, la solitudine che lei provava era la medesima che da tanto albergava nel suo cuore.

 ”Hai la mia parola” le disse.

Helèn sorrise, un sorriso puro, pieno di gratitudine e denso di significati. Quel sorriso per un breve istante stordì Harlock accendendo nel suo cuore una scintilla breve, calda e luminosa come quel raggio di sole che senza saperlo per primo al mattino squarcia il velo della notte.

La bomba venne preparata ma nello stesso istante in cui si apprestavano a rientrare ci fu come una scossa, seguita subito da una specie di terremoto, un cedimento strutturale, i due si guardarono, la bomba ancora agganciata alla navetta si inclinò di 30 poi 45 gradi. I tiranti d’acciaio che la rendevano stabile si spezzarono uno dopo l’altro mozzando l’aria. In un rapido susseguirsi di eventi Helèn scivolò giù per il pavimento inclinato Harlock trovato un appiglio con una mano riuscì a prenderla per un braccio con l’altra.

”Che succede?” gridò Helèn.

 “Non lo so, non era previsto”. Intanto sull’Arcadia erano tutti in fermento e cercavano di comprendere cosa stesse capitando. “Allora maledizione cosa sta accadendo? ” fece Kei gridando ad uno dei pirati che controllava e ricontrollava i dati ed i monitor. “Merda!”

“Che c’è?” fece Kei. E mentre l’uomo le spiegava cosa fosse accaduto una enorme voragine si aprì  sotto alla bomba che iniziò a sprofondare tra altissimi sbuffi d’acqua gelida e muraglioni di ghiaccio.

Erano atterrati sulla superficie di un lago ghiacciato che aveva ceduto al peso della bomba.

In un istante con estrema prontezza di riflessi Harlock tirò a se Helèn con tutta la forza che poté e stringendola a sé con un balzo saltò giù dalla bomba prima che si inabissasse.

Caddero pesantemente su di una sporgenza, ma fu solo un attimo prima che alcune lastre di ghiaccio sovrastanti frantumandosi li ricoprissero interamente. Helèn non capiva, era disorientata, c’era polvere di neve ovunque, respirava a fatica. Intorno il sordo rumore del ghiaccio che si spaccava. Avvertiva parte del corpo di Harlock sul suo ed udiva un lamento, un lamento dettato da un sforzo disumano.

Finalmente riuscì a vedere. Vide il volto di Harlock sul suo. Harlock finito su di lei tentava con la sola forza delle spalle e delle braccia di impedire che lo strato sovrastante di ghiaccio collassasse su di loro schiacciandoli. Lo spazio vitale che avevano era creato solo dalle braccia di Harlock. Il suo volto era una maschera per lo sforzo immenso che stava facendo per evitare che soccombessero. Benché lo spazio fra di loro fosse poco Helèn vide lo strazio dipinto sul suo volto,  non poteva fare nulla, posò le mani su quel viso mentre la luce filtrava da alcune piccole crepe di quella loro candida bara di ghiaccio.

 “Harlock lascia stare” disse in tono supplice.

 “Noooo” gridò lui tra i denti per la disperazione e la fatica.

 “ Ti supplico, siamo… siamo spacciati. Non mi importa di morire”. Intanto gli occhi le si riempirono di lacrime bollenti. “Sono esattamente dove avrei voluto essere”.

 Harlock la fissò. ”Non… non morirai e comunque non qui e non… ora“.

“Harlock ti supplico”. Lo spazio tra loro si assottigliava a causa del gravare del peso del ghiaccio sulle spalle di Harlock. Frustrato smise di cercare di ritardare l’inevitabile. Smise di far leva sulle braccia poggiandosi sugli avambracci incorniciando così il volto di Helen con le sue braccia. In cuor suo sapeva che lui non sarebbe morto. Solo lei.

”Sei davvero dove avresti voluto essere?”. Chiese quasi sussurrando. Helèn che ormai aveva il viso coperto di lacrime fece segno di ‘sì ‘ con la testa.

“Quale posto migliore delle tue braccia? “. Si sforzò di sorridere, quindi si sollevò quel tanto che bastava per colmare la distanza tra il suo viso e quello di lui e sempre racchiudendogli il viso tra le mani lo baciò teneramente. Un bacio sulle labbra, morbido e semplice, ma che produsse in Harlock una reazione immensa. No! non si sarebbe arreso, lei non sarebbe morta, non lo avrebbe permesso!

L’abbracciò stringendola forte. Ma in quello stesso istante il ghiaccio sotto di loro cedette, si squarciò, caddero in acqua insieme a giganteschi blocchi di ghiaccio.

Si crearono enormi mulinelli d’acqua, rotearono più volte a causa degli enormi spostamenti d’acqua causati dal peso delle lastre. Helèn si divincolava ma il mantello appesantito la tirava giù. L’acqua ghiacciata le rendeva difficoltoso il movimento degli arti e miriadi di bolle non le permettevano di vedere, capire, orizzontarsi, riusciva a malapena schivare i fendenti di ghiaccio che la sfioravano. Sentiva come milioni di spille pungerle la pelle. Si liberò del mantello e con un immenso sforzo, nuotò nel verso contrario alla caduta del ghiaccio. Il corpo sembrava non volerle obbedirle, ma alla fine riuscì a nuotare verso la luce.

Emerse e respirò, i polmoni bruciavano, il cuore batteva all’impazzata, disorientata guardò intorno da ogni parte. Guardò e guardò ancora,cercava un punto nero in quel mare bianco ma non lo trovò.

Harlock dove sei? “Harlooock” Gridò forte e disperatamente, ma ovunque guardasse non c’era. Era la giù nel lago, da qualche parte, prese quanta più aria poté nonostante il lancinante dolore che questo le provocò ai polmoni e andò giù infondo guardando intorno disperata, finché lo vide.

Aveva un piede destro bloccato tra due enormi blocchi di ghiaccio, si dibatteva ma inutilmente. Helèn lo raggiunse e presa la pistola iniziò a sparare sul ghiaccio per cercare di liberarlo stando attenta a non ferirlo. Poi ad un tratto vedendo alcune bolle d’aria che fuoriuscivano dalla sua bocca si rese conto che era senza ossigeno da troppo tempo. Lo raggiunse e bloccandogli il viso tra le mani avvicinò le loro bocche donandogli così tutto l’ossigeno che ancora aveva.

Tornò in superficie si riempì i polmoni per quanto possibile e tornò giù. Riprese a sparare ma il puntamento laser della pistola non era molto efficace in acqua. Poi nuovamente afferrandogli dolcemente il viso tra le mani gli offrì tutto l’ossigeno che aveva. Harlock che cercava in ogni modo di liberarsi restava immobile a guardarla in quei pochi istanti in cui lei gli donava un po’ della sua vita. Helèn continuò così tre, quattro, cinque volte. Poi, dopo aver donato ad Harlock l’ultima boccata di ossigeno che aveva, allungando una mano verso di lui, perse i sensi e lentamente cominciò ad affondare.

Harlock la vide andare giù fluttuando nell’acqua fino a sparire nel buio del lago. Preso da quella forza estrema che solo la disperazione profonda sa dare, facendo leva con la spada rischiando di procurarsi una profonda ferita al piede, finalmente si liberò. Helèn alla fine era riuscita a creare delle fenditure nel ghiaccio spesso che lo imprigionava. Iniziò a nuotare con vigore verso il fondo, anche il suo ossigeno iniziava a scarseggiare. La vide, portata via da una leggera corrente, i capelli ondeggiavano morbidamente intorno al  viso inanimato. Con le forze che gli restavano la tirò a sè e cercò di uscire da quell’inferno di acqua. Nuotava con un solo braccio, era allo stremo, ma sentire il corpo senza vita di Helèn attaccato al suo gli fece ritrovare una volontà che credeva perduta.

Riemerse dall’acqua respirando con voluttà l’aria fredda, i polmoni sembravano scoppiargli era come se respirasse schegge di metallo. Sentì in bocca il sapore del sangue. Raggiunse la riva ghiacciata, tirata fuori Helèn la guardò. Le labbra avevano perso il loro colorito, erano di un viola chiaro, la pelle bianchissima. In ginocchio accanto a lei iniziò a praticarle la rianimazione cardio polmonare. Le spingeva con entrambe le braccia lo sterno per poi interrompere brevemente e praticarle la respirazione bocca a bocca. Continuò e continuò ripensando allo sguardo di lei mentre poco prima gli donava ossigeno. ”Helèn, Helèn ” chiamava ansimante col fiato mozzato ma non accadde nulla.

 L’acqua scivolava via dalle ciocche scomposte dei suoi capelli e dal suo viso come la vita di Helèn scivolava via da lei. Il freddo intenso e gli indumenti che si andavano ghiacciando rendevano i movimenti difficili, continuò ancora mosso solo dalla disperazione, posò per l’ultima volta le labbra su quelle di lei. Erano ghiacciate, non vi era più vita in loro. Le macchiò senza volere con una stilla di sangue della sua bocca. Nulla. La tirò su per le spalle iniziando a scuoterla. “ Helèn, Helèèènn non puoi morireee Helènnn”. Gridò.

Ma era come una bambola tra le sue mani. Inerme, i capelli attaccati al viso, il capo reclinato. La posò delicatamente sul ghiaccio guardandosi i palmi aperti delle mani. ”Non ho mantenuto la promessa“ disse con un fil di voce, continuando a fissare le sue mani. Non avvertiva più nulla, né freddo, né dolore, né stanchezza era come anestetizzato.

Poi, un flebile colpo di tosse e un altro, guardò verso di lei. Cercava di respirare tra piccoli rigurgiti d’acqua. La prese tra le braccia, con una mano le reggeva la testa, Helèn aprì gli occhi, e gli regalò lo sguardo più bello che lui avesse mai visto.

La tirò a sè. In quel momento una navetta atterrò a pochi metri e alcuni uomini corsero verso di loro.

 

 

Note

Questo capitolo è dedicato alla mia B-Beta  ;-* grazieeee di esistereee!

Lo dedico anche ad Harlocked ed a Mamie entrambe sanno perché  ;-p

E’ mia intenzione dedicare un capitolo ad ognuna delle meravigliose donne che mi seguono. Alla prossima.

 

  
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