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Autore: Kiki87    10/10/2014    5 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E quando ho bisogno di te
tu sei quasi qui.
E io so che
non è abbastanza.
E quando sono con te
sono vicino alle lacrime
perché tu sei soltanto “quasi qui”.

Cambierei il mondo
se ne avessi la possibilità.
Non me lo lasceresti fare?
Trattami come un bambino,
prendimi tra le braccia.
Oh, per favore, proteggimi.

E quando ti stringo
tu sei quasi qui.
E ora che sono con te,
sono vicino alle lacrime,
perché so che sono solo quasi qui.
Solo quasi qui.

Almost Here – Brian McFadden
feat Delta Goodrem1

(Dicembre
meno tre mesi al matrimonio)


Capitolo 8


Sollevò lo sguardo dal libro di diritto penale: si lasciò sfuggire un vago sospiro ai suoni provenienti dal soggiorno e sollevò gli occhi al cielo all'udire il volume esagerato dello stereo che stava riproducendo brani natalizi.
Natale a New York quell'anno non prometteva nulla di entusiasmante, constatò tra sé e sé giocherellando con la matita che teneva tra le dita. La cosiddetta magia del Natale per Sebastian si era esaurita più o meno all'età in cui si smetteva di credere alle favole, tanto meno ad un pittoresco e fantomatico Santa Clause. Con gli anni era decaduta in una sterile tradizione di riunire i parenti (compresi quelli che avrebbe volentieri reciso dai rami dell'albero genealogico, fino a un tentativo di porre maggiore distanza possibile tra lui e la casa familiare nell'Upper East Side). Probabilmente soltanto l'ultimo Natale si era potuto definire degno di nota.
Scosse il capo, più che mai deciso a immergersi nella lettura del paragrafo, armato di evidenziatore per rimarcare le parole chiave che avrebbero solleticato la sua memoria fotografica.
Si riscosse al suono attutito alla porta, ma non ci fu bisogno di invitare il coinquilino ad entrare.
Si volse ad osservare Kurt, il sorriso sulle labbra e l'aria spensierata, mentre entrava nella stanza con una tazza che depositò attentamente sulla sua scrivania, attento a non urtarne il libro: “Ho preparato lo zabaione”, lo informò in tono beato.
La sua dose di stress era inevitabilmente diminuita alla sospensione temporanea delle lezioni alla Nyada, nonché del tirocinio per Vogue.
Come se non fossero già stati immersi in un'atmosfera tutta zucchero e “Klainestere2, pensò Sebastian occhieggiando la tazza. Ma era comunque piacevole osservarlo in quell'alone di serenità e non gli dispiaceva (troppo) che Kurt fosse una di quelle persone che tanto si allineassero all'atmosfera stucchevole di quel mese. Senza contare quanto fosse lusinghiera la naturalezza con la quale sembrava volerlo riempire di premure. Era certo che vederlo sui libri lo stesse condizionando, ma accettò di buon grado e sorseggiò la bevanda con gusto, leccandosi le labbra a rimuoverne le ultime tracce. Kurt era fermo di fronte alla sua scrivania, le mani sui fianchi e lo sguardo che già cercava di immaginare come avrebbe decorato l'intero loft. La sua camera compresa, se glielo avesse concesso.
“Stavo pensando di fare l'albero più tardi”, esordì quando il suo viaggio mentale parve riportarlo alla realtà. “ E poi disporre le decorazioni e le lucine nel loft, partendo dall'ingresso, il soggiorno-”.
“Se il fantasma dei Natali passati di Kurt Hummel a Lima?”, lo rimbeccò Sebastian, sollevando lo sguardo. Seppur, grazie anche agli album fotografici, conoscesse alcune delle tradizioni degli Hummel (soprattutto quando Elizabeth, con il suo estro artistico, era in vita), non poteva non paragonare il ragazzo che aveva di fronte con quello che l'anno precedente aveva indossato una coltre di depressione, in quello stesso periodo.
Sorrise, l'altro, dondolandosi nelle spalle esili: “Avevi ragione: il Natale a New York è davvero magico”, lo informò e lo sguardo azzurro parve persino più luminoso.
Superfluo era chiedere perché quell'anno quel calore e quella svenevolezza fossero ancora più sentiti.
Non era così che lo avevo pensato, fu lo spontaneo pensiero di Sebastian.
Scoprendosi infastidito dalla gola secca, ingollò il restante della sua bevanda, quasi sperando che quel sapore stucchevole potesse alleviare quell'amarezza interiore e placarne il sarcasmo che avrebbe solo guastato la bella bolla in cui Kurt era tuttora immerso.
“Ti andrebbe di aiutarmi, quando avrai finito?”, fu proprio l'altro a riportarlo alla realtà e, dal sorriso entusiasta, sembrava che lo desiderasse davvero.
“Se insisti, piccolo elfo”, ritrovò un vago sorriso ironico ad increspargli le labbra e suscitare un certo rossore sulle gote di Kurt e fu la conferma che stesse sovvenendo in loro lo stesso ricordo.
“Buono studio”, gli augurò, aprendo la porta per tornare in soggiorno.
Appoggiò la matita sul libro, Sebastian: “Kurt?”.
“Sì?”, si era voltato sulla soglia.
Sorrise, Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Sarà il tuo Natale, ricordi?”, si sorprese lui stesso a chiederglielo esplicitamente. Quasi una conferma che tutto ciò che avevano vissuto, fino a quel momento, non fosse scomparso. Sapeva che Kurt stava già delineando il suo futuro, ma non avrebbe rinunciato al proprio ruolo, almeno in passato.
Un sorriso più dolce parve illuminare il viso di Kurt, facendone risplendere gli occhi di zaffiro e lo contemplò per un lungo istante.
Mortalmente lungo perché Sebastian, ancora una volta, si maledicesse per non compiere quel passo in avanti. Perché ancora una volta si sentisse lui stesso trattenere il fiato, quasi timoroso di ciò che avrebbero potuto scorgere quegli occhi, di ciò che desiderava vi fosse in lui, oltre il sarcasmo e le apparenze.
Restò ad osservare a lungo la porta ormai chiusa alle sue spalle.

Il centro commerciale era stipato di gente: uno dei motivi per cui Sebastian ne avrebbe ignorato permanentemente l'esistenza, soprattutto nel periodo precedente ad una festività, quando tutti sembravano ricordarsi di avere una famiglia, visto l'ingombro di pacchi con cui rendevano complicato passeggiare senza sentirsi urtare inevitabilmente.
Ciononostante, stava sorridendo, mentre osservava il giovane alle prese con una bambina particolarmente vivace, circondato dalle due colleghe e sarebbe stato al quanto difficile capire quale delle due fosse più insofferente alla situazione. Nonché alla sgradita presenza dell'altra.
Miaaaaaa! Renna mia!”, stava gridando la bambina che, per quanto minuta, dimostrava una testardaggine lodevole, quasi stessero cercando di strapparle un rene, piuttosto che uno stupidissimo elemento scenico di decorazione.
Tesoro, piccolina”, la richiamò Kurt con voce volutamente gentile. “Devi scendere: rischi di farti male”, cercò di convincerla con aria accattivante.
Che ne diresti se
Zia Snix ti mostrasse cosa si fa nei quartieri diffamati di Brooklyn3 alle bambine che non obbediscono?”.
Non è il modo di parlare ad una bambina”, gemette Kurt, guardandola con aria atterrita, seppur la piccola in questione li stesse bellamente ignorando, continuando a muoversi sulla renna come un'amazzone esperta.
Scusa, Lady Hummel”, lo apostrofò la latina, il sorrisetto sardonico. “Dimentico sempre chi abbia l'utero tra noi due”, replicò serafica.
Scosse il capo, Kurt, ma fu l'altra moretta ad assumere un cipiglio indignato, le mani piantate sui fianchi, l'atteggiamento arrogante, nonostante fosse persino più bassa dell'altra.
Non parlargli in questo modo!”, l'additò con una smorfia.
Sollevò gli occhi al cielo, Santana. “Devi sempre mettere il tuo naso da pellicano in faccende che non ti riguardano?”, le chiese con un sorriso strafottente. “E' una deformazione fisica, o ti illudi che la tua opinione conti qualcosa?”.
Tesorino, ti prego, fallo per me”, cercò di sovrastare le voci delle due litiganti, Kurt, per risolvere il problema principale.
No!”, gridò la bambina, continuando a dondolarsi sul posto, totalmente incurante della fila di bambini che avrebbero voluto godere a loro volta della giostra. “Gli elfi non sono i padroni della slitta di Babbo Natale!”, aggiunse in tono ammonitore, guardandoli come se avessero abusato delle loro prerogative, interrompendo persino la discussione tra le due ragazze.
Non perse il suo sorriso, la latina, che dondolò la testa con aria vagamente minacciosa. “Sai cosa sanno fare bene gli elfi che si chiamano Santana?”, le domandò, chinandosi verso di lei con la stessa aria gradevole, ma in qualche maniera inquietante. “Le cosas malas: ti va di provarle?”.
Non credo che il mondo sia pronto, zia Snix”, fu la serafica replica di Sebastian il cui sguardo ridente era tutto per il giovane, un vago compiacimento interiore nell'averlo paragonato silenziosamente ad un elfo, ancora prima che indossasse quella mise. “Ciao Kurt, la tenuta ti dona molto”, commentò con voce suadente.
Il suo sguardo indugiò su come quella casacca di quel rosso acceso e i pantaloni verdi, come il risvolto del colletto, fossero piacevolmente attillati in un contrasto davvero interessante tra l'innocenza che dovevano far trasudare e i suoi licenziosi pensieri.
Sollevò gli occhi al cielo, Santana, prima che il coinquilino potesse rispondergli.
Speravo che mi mandassi qualcuno con un bel paio di bicipiti, MasturbHunter è troppo impegnato a farsi portare le palle a spasso dalla sua ragazza?”, gli abbaiò contro.
Pareva shockata, Rachel Berry, che guardò Sebastian come se lo vedesse soltanto in quel momento, prima di tornare a fissare la giovane. “Adesso si spiega tutto: il parlare da ghetto, il dubbio senso della moralità e dell'umorismo, la prepotenza e l'arroganza”, prese ad elencarne tutti i difetti sulla punta delle dita. “Avrei dovuto capirlo che era una tua amica!”, accusò il nuovo arrivato.
Schioccò la lingua sul palato con aria soddisfatta, Santana Lopez. “Io avevo capito che Lady Hummel è il suo scopagiocattolo perverso e che tu dovevi essere la nana coi complessi da Diva e la risata da iena”, dondolò il capo con aria innocente al rossore che infiammò il viso di Rachel. “Quando ho visto il nasone è stato tutto chiaro”, replicò con lo stesso tono, premunendosi di abbassare la voce ad una tonalità più leziosa.
Non la sopporterò un minuto di più: pretendo la mia pausa, sto perdendo la pazienza e le mie ore di riposo”, sancì, Rachel, appoggiandosi le mani ai fianchi, prima che il direttore del negozio le scoccasse un'occhiata ammonitrice.
Tornò sui suoi passi, sbuffando con aria stoica: “Da questo momento vi ignoro!”, sollevò il braccio, quasi a tenere a distanza gli altri due che si scambiarono un'occhiata divertita.
Cercherò di sopravvivere al dolore”, la informò distrattamente Sebastian.
Si chinò di nuovo verso la bambina, Rachel, con un falso sorriso radioso. “Allora, tesoro, ti decidi a lasciare quella renna o vuoi che te lo canti?”.
Oppure potrei staccarti io le dita, una ad una: sarà molto divertente”, aggiunse Santana.
Gli elfi dovrebbero essere gentili”, si lamentò la bambina con cipiglio corrucciato, incrociando le braccia al petto. “E tu non lo sei!”, l'additò con aria polemica.
Ha ragione”, convenne, Kurt, che fino a quel momento era parso nascondersi dietro le due ragazze, per evitare di incrociare lo sguardo del coinquilino.
Si chinò stoicamente per un ultimo tentativo. “Che ne diresti se tu lasciassi la renna e io ti dessi un posto in prima fila per vedere Babbo Natale?”, le propose con un sorriso luminoso, cercando di nascondere la fronte imperlata di sudore.
Lo studiò con aria quasi meditabonda: “Poi posso avere la mia renna?”.
Stecchita e imbalsamata”, rispose per lui, Santana.
Sorrise la bambina, scendendo con aria soddisfatta e porgendole la mano: “Abbiamo un accordo”.
Ci volle tutta l'arte persuasiva e la voce petulante di Rachel Berry, perché Santana Lopez non staccasse le dita della mano che le veniva porta.
Con un sospiro di sollievo, Kurt si diresse verso il tavolo coi viveri, versandosi un bicchiere d'acqua con la stessa disperazione con cui molti avventori del Penguin Pub languivano di fronte ad un bicchiere di whisky.
Lo aveva seguito, Sebastian, continuando a squadrarlo con espressione sorniona e si chinò verso il suo viso. “A che ora stacchi?”, gli chiese languidamente, rimirando il cappello che indossava. “Non ho mai rimorchiato un elfo”, sussurrò con aria confidenziale.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt: “La prossima volta che ti chiedo aiuto per un lavoretto extra, uccidimi”.
Scusa,non ti ho sentito: le tue calze a strisce mi confondono, oppure è questo ricciolo”, aveva allungato la mano verso la sua fronte, laddove quel ciuffo elaborato ad arte sfuggiva dal copricapo intonato al completo.
Sospirò, Kurt, scostandone la mano: “Sono serio”.
D'accordo, mi farò perdonare”, suo malgrado si sorprese per come la sua voce suonasse sempre più dolce e rauca, parlando con lui.
Questo sarà il tuo Natale, promesso”.
Lo guardò con aria scettica, Kurt: “Mi basterà togliermi questo costume: pizzica”, commentò in tono lamentoso, sfregandosi il fianco. “E poi le strisce mi fanno le gambe grasse”, aggiunse con una sorta di broncio, guadandosi al di sotto della vita.
Non lo avevo notato”, convenne Sebastian con lo sguardo rivolto altrove. “In effetti una parte di te sembra persino più grande del solito”, fu il suo spudorato commento, lambendosi le labbra e ignorandone il rimprovero scandalizzato.
Si suppone che io sia un aiutante di Babbo Natale”.
Vuoi che ti faccia un inventario di tutti i film porno che implicano Babbo Natale e i suoi elfi?”, lo provocò Sebastian con il suo sorriso più baldanzoso, giocherellando con la frangetta a punte della casacca. “Potrei aiutarti a sfilarlo”, soggiunse con uno sguardo più languido.
Scosse il capo, Kurt, depositando il bicchiere con intenzione di andarsene.
Ci vediamo dopo”.
Sorrise tra sé, Sebastian, ma si volse quando ebbe la sensazione che qualcuno lo stesse fissando intensamente. Non si era sbagliato: alle sue spalle Santana Lopez lo stava rimirando con aria divertita, a giudicare dal sorrisetto supponente sulle labbra. “Non te lo sei ancora portato a letto, vero?”.
Nella mia mente sì, svariate volte e in molteplici posizioni e ambienti”, ammise senza alcun pudore, continuando a scrutarne la figurina, mentre faceva disporre i bambini in una fila ordinata, all'ingresso di un vecchiaccio obeso, travestito da Babbo Natale.
Sei fottuto, Ciuffo Disney, ma non nel modo in cui speri”, fu il commento della ragazza, rimirando a sua volta il suo coinquilino.
La guardò di sottecchi: “La strizzata alle tette ti toglie ossigeno al cervello?”.
Zia Snix ha visto abbastanza e ne è nauseata, adios”, un vago cenno della mano e, totalmente incurante dei richiami del datore di lavoro, gettò il cappellino alle sue spalle in un'evidente ed implicita rassegnazione delle proprie dimissioni.
Rimase lì, Sebastian, osservando il suo coinquilino alle prese con i bambini, ne osservò i sorrisi più formali, quelli più sinceri. Lo sentì intonare stupide canzoncine natalizie, accompagnandole con una coreografia del tutto improvvisata, mentre la solita Ciabatta Berry cercava di catalizzare su di sé riflettori invisibili.
Non credevo che saresti rimasto”, convenne Kurt alla fine del suo lunghissimo e sofferto turno. “Dov'è finita Santana?”.
Avrà infilato il suo « labbra di pesce » sotto una piantagione di vischio”, ribatté con uno scrollo di spalle, prima di osservarlo e lambirsi le labbra. “ E poi te l'ho detto: non ho mai rimorchiato un elfo, prima d'ora”, ne baciò la gota.
Sospirò, con aria stoica, dirigendosi verso gli spogliatoi: “A tra poco”.
Inarcò le sopracciglia, pochi minuti dopo, quando si sentì cingere il braccio da Kurt stesso:
Andiamocene”, gemette con aria sconvolta che gli fece inarcare le sopracciglia. “Ho appena visto un topo, non ho intenzione di spogliarmi lì dentro o restare qui un minuto di più”.
Rise, Sebastian, per poi tornare a squadrarlo: “Oh, ti prego, dimmi che lo terrai per tutta la sera”.
Sebastian, non sei divertente: dimmi che sei venuto in auto!”, parve supplicarlo con aria disperata che lo fece persino ridere più intensamente.
Custodirò questa immagine per sempre”, gli sussurrò all'orecchio in tono complice, facendogli strada verso il parcheggio.
Non tornerò mai più in questo centro commerciale”, borbottò l'altro con tono evidentemente scandalizzato, attendendo che aprisse l'auto per sedersi al lato passeggero.
Lo osservò durante la guida e non ci volle molto perché Kurt sembrasse nuovamente perdersi nei propri pensieri, abbastanza insidiosi perché lo sguardo si adombrasse. Lo osservò sfregarsi il dito che sembrava ancora orfano dell'anello che aveva indossato fino a poco tempo prima.
Pensi ancora a lui, vero?”, si sentì chiedere, Sebastian.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, ma non parve voler negare: ne osservò il profilo con aria stanca.
Lo scorso Natale mi aveva regalato un anello: lo aveva definito il primo Natale di molti altri da passare insieme come coppia”, spiegò e la sua voce ancora era impressa dell'umiliazione e del dolore sofferto da quella separazione.
Natale non è solo un fidanzato stucchevole”, commentò in risposta, inarcando le sopracciglia. Non riusciva a comprendere come si potesse davvero permettere che qualcuno si insinuasse nella propria vita ad una maniera così morbosa. Tanto persino da poter ancora avere presa a distanza di tempo, persino rovinando l'atmosfera particolare da cui avrebbe voluto lasciarsi immergere.
No, ma non è neppure sentirsi soli”, replicò Kurt in risposta, il sorriso amaro. Era stata una coincidenza sfortunata che il padre non avesse potuto raggiungerlo e non desiderava affatto tornare in Ohio.
Inarcò le sopracciglia, Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Sono diventato trasparente per caso?”.
No”, sorrise Kurt e parve davvero sollevato per l'implicita conferma che non lo avrebbe lasciato solo in quel loft e in balia di sé stesso e dei propri tormenti. “Dubito potresti mai esserlo, ma grazie”.
“Potresti ringraziarmi continuando a tenere questo costume per tutta la sera”, rimarcò in risposta, allungando la mano a sfiorarne il ginocchio, suscitando un'inarcatura di sopracciglia da parte di Kurt.
Sei un maniaco”, ma ne strinse la mano un breve istante.
Forse”, ribatté in tono distratto, ma ringraziò che la flessione della sua voce non tradisse quell'improvvisa aritmia, dovuta a quella stretta inaspettata.

Si drizzò, un sorriso sul volto e schiuse l'uscio per annunciargli il suo contributo. Fin quando non lo vide con Blaine di fronte al camino: quest'ultimo aveva sollevato un ramo di vischio sopra le loro teste e si era proteso per baciarlo.
Stupido Natale.

~

Storse le labbra quando notò che, persino nel suo rifugio dal mondo esterno, le decorazioni natalizie erano sparse ovunque. Imprecando tra i denti, si fece largo tra la solita fiumana di frequentatori: persino le ballerine esibivano costumi di un rosso vivace e con risvolti bianchi e cappelli da Babbo Natale.
Fu lieto (quasi) che il look natalizio non fosse stato contemplato anche per il barista la cui espressione da “disperato smanettatore”, lasciava intuire che il suo umore non fosse esattamente idilliaco. Non che la cosa lo preoccupasse. Alla sua vista vi fu solo un solco tra le sopracciglia a mo' di saluto ma, raddrizzando gli occhiali sul naso, sfogliò il tomo di medicina con la stessa aria schizzinosa degli studenti di legge che sedevano in biblioteca e lanciavano occhiate incendiarie al minimo suono diverso dal grattare di una penna.
Si accomodò al solito sgabello, premunendosi di servirsi da solo, prendendosi una bottiglia di birra.
Il solco tra le sopracciglia di Hunter si accentuò, ma non commentò e si limitò a leggicchiare l'ennesima pagina, mentre Sebastian faceva vagare lo sguardo attorno con vaga curiosità.
Tontittany in rosso sembra la versione porno soft di Cappuccetto Rosso”, pronunciò con aria indifferente, tanto per punzecchiarlo.
Notò un fremito all'altezza della mascella, ma il barista non parve voler interrompere (ancora) il suo dignitoso silenzio.
Roteò gli occhi, Sebastian: “Hai le spalle troppo larghe per fare il gioco del silenzio”.
“Le sue sono perfette per guardarmi come se le avessi impiccato il gatto, cosa che, tra parentesi, non sarebbe poi un'idea tanto malvagia”, specificò con tono polemico. “Lo sono anche per farsi accompagnare a casa da quel coreano coi suoi addominali scolpiti e il suo perfetto stile di ballo”, aggiunse sfogliando l'ennesima pagina con un'energia tale da procurare uno strappo alla stessa, probabilmente immaginando di poter così eliminare la concorrenza.
Si concesse un vago sorrisetto, Sebastian: “L'angry sex è sempre meglio di niente, dovresti pensarci”.
Alla sua occhiata gelida, si strinse nelle spalle: “Non ti ho detto io di rovinare tutto con lei”, scrollò le spalle. “O di rovinare quello che non c'è mai stato al di fuori della tua mente perversa. Che poi tu sia visto da tutti come un gay, è ancora più-”.
“Sei stato il primo a diffondere la voce!”, fu la scandalizzata accusa e la vena sulla fronte parve pulsare soltanto per ricordare la sua esistenza.
“A volte dimentico quanto io sia influente”, dichiarò Sebastian con aria piuttosto compiaciuta di sé, prima di tracannare nuovamente un sorso di birra dalla canna della bottiglia.
“Non ce l'ho con te”, ammise Hunter che chiuse il libro con aria stoica. “Ce l'ho con me stesso perché ancora ti permetto di rovinarmi l'esistenza”, precisò con la stessa aria risentita.
Emise un fischio fintamente impressionato: “Non è che a forza di sognare le tette, ti stanno spuntando, vero?”, domandò con aria fintamente preoccupata. “Però potrebbero esserti utili sotto la doccia”, aggiunse con espressione provocante.
Lo fissò con aria disgustata: “Non sono in vena, Sebastian”.
Scosse il capo, lo sguardo di nuovo diretto al palco. “Odio il Natale”, parve parlare con se stesso e Hunter sorrise con aria ironica.
“Odi il Natale condito al gel di mirtillo, odi il Natale con Kurt felice e innamorato, nella sua meravigliosa favola e il miracolo di Natale che scalda tutti i cuori di quelli che ti stanno attorno”, recitò tutto di un fiato, prima di incupirsi. “Che sembrano sbatterti in faccia le loro vite perfette, le loro perfette relazioni, le loro perfette carriere e i loro conti in banca grondanti”.
Prodigioso come il sorriso ironico con cui aveva iniziato quel soliloquio (con l'intento di rigirare il dito nella piaga) avesse lasciato spazio ad un'espressione di puro disgusto e di reale autocommiserazione. Si versò un bicchiere di tequila che ingollò come stesse facendo i gargarismi in bagno.
“Fanculo al Natale”, borbottò tra sé e sé, facendo cozzare l'ennesimo bicchiere contro la bottiglia di birra dell'altro.
“Pranzo coi tuoi?”, chiese Sebastian, come se fosse stata la risposta a quell'improvvisata invettiva autobiografica.
Un vago cenno d'assenso. “Sto pensando di propormi per il doppio o triplo turno”, lo informò distrattamente. “Sempre che quel tiranno creda che si presenti qualche accattone per cui valga la pena aprire”.
“Sapevo che non avresti resistito una notte senza di me”, ammiccò Sebastian.
“Sta zitto”, borbottò.“E che faranno i tuoi piccioncini?”.
Una smorfia schifata. “Partiranno domani: pranzo dai futuri suoceri che sono rimasti entusiasti dei progetti di Kurt per il matrimonio”, spiegò, sollevando gli occhi al cielo, cercando di non farsi venire un'ulcera al ricordo dell'entusiasmo di Kurt mentre glielo riferiva. “Per l'occasione si presenterà anche il brillante fratello, un fallito di Hollywood che si crede Matt Bomer”.
“E' anche lui gay?”, chiese vagamente incuriosito l'altro.
“Ci stai facendo un pensierino?”, lo rimbeccò automaticamente.
Roteò gli occhi, Hunter, lo sguardo saettò nuovamente al palco in occasione del primo assolo a tema natalizio della bionda ballerina. “Si prospetta un gran bell'anno di merda”, sussurrò tra sé e sé, Sebastian.
“Già”, borbottò l'altro, tornando a fissare il proprio bicchiere, come se stesse valutando se fosse il caso o meno di lasciarsi sedurre da quell'opportunità. Lo ingollò l'attimo dopo, senza battere ciglio. “Almeno lo scorso Natale non eravamo qui”, aggiunse quasi a mo' di consolazione.
“Se stai per rievocare l'ennesimo flashback in bianco e nero su te e Jenna-”.
“E tu?”, lo incalzò con aria ironica. “Ricordo ancora l'espressione che avevi il giorno successivo al tuo non-appuntamento con Kurt”, rimbeccò, incrociando le braccia al petto, le sopracciglia inarcate con la stessa espressione di chi attende una confessione inevitabile.
“Avrei dovuto scoparmelo quella sera, almeno mi sarei tolto lo sfizio”, borbottò in risposta. Ma si sentì persino peggio per aver pronunciato quelle parole, quasi una parte di sé volesse ancora convincersi che Kurt potesse essere soltanto un corpo su cui lasciar sfogare fantasie e desiderio. Quasi potesse davvero illudersi di sminuire in quel modo i suoi sentimenti o, peggio ancora, insozzare volgarmente tutto ciò che il giovane rappresentava, a partire da quel decoro e candore che lo avevano colpito fin dal primo incontro. “Grazie, Pablo Neruda”, commentò sarcastico, Hunter. “Ora il sesso natalizio ha un nuovo significato”.
Ma non lo stava più ascoltando, Sebastian.


Bussò alla porta del ragazzo e schiuse l'uscio, quando ne sentì la risposta dall'interno: era meglio dimostrare di avere buone intenzioni, una volta tanto, così da evitare che lo assordasse con uno di quegli strilli da donna. Come aveva immaginato, era ancora perso nel suo melodramma rosato, mentre contemplava un cofanetto. Si avvicinò al letto sul quale era seduto e scrutò all'interno della scatolina: aggrottò le sopracciglia alla vista di quell'orrido esemplare di pacchiano romanticismo, ma si sforzò di mordersi la lingua e non pronunciò commenti, o meglio non tradusse in suono i suoi pensieri.
Si mise in ginocchio di fronte al giovane, glielo tolse di mano e appoggiò le mani sulle sue ginocchia: “Se proprio vuoi kurteggiare, non lo farai da solo e senza un bicchiere di whisky”, proclamò con tono autorevole.
Non sono un alcolizzato”, borbottò con voce indignata, ma si lasciò cadere sul proprio letto. “Scusami, ma oggi non sono affatto di compagnia”, continuò con l'aria di chi avrebbe preferito passare la serata fissando il soffitto e piangendosi addosso.
Fa niente”, si strinse nelle spalle e affondò sul materasso, sporgendosi pericolosamente verso il suo viso. “Posso fare tutto io”, sussurrò al suo orecchio con un luccichio malizioso nello sguardo.
Boccheggiò, Kurt, le guance più rosate che fecero sorridere Sebastian con voluttuosa soddisfazione.
Vedi? Ora sei anche più natalizio”, ne baciò la guancia accaldata per poi ergersi in piedi, tirandolo per il braccio. “Andiamo”, lo esortò ad alzarsi.
Sospirò, Kurt, evidentemente poco propenso ad uscire dalla propria camera, soprattutto da quella mentale nella quale racchiudeva il suo dramma broadwayiano personale.

Sorrise soddisfatto, Sebastian, aspettandosi che la vista del tradizionale albero natalizio a Rockefeller Center lo avrebbe fatto tornare alla sua tipica espressione sognante.
Credevo che vivessi a Brooklyn per evitare tutta New York”, commentò Kurt con aria ironica, seppur lo sguardo azzurro non potesse non restare incantato di fronte alla monumentale visione.
Si concesse un sorriso ironico, Sebastian. “Di solito è così, ma sei fortunato: passerai il tuo primo Natale a New York come da tradizione”, dichiarò con espressione risoluta.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, il viso inclinato di un lato:“E da quando tu seguiresti le tradizioni?”.
Vuoi smetterla di parlare?”, lo incalzò, indicando la pista. “Voglio vedere il tuo culo rimbalzare sul ghiaccio”.
Sfortunatamente per te”, e Sebastian si ritenne già fortunato perché aveva recuperato quel brio nello sguardo più complice ed ironico con cui si scambiavano battutine all'ordine del giorno, “sono un buon pattinatore”.
Tanto meglio”, si finse per nulla impressionato. “Mi insegnerai tu”.
Parve realmente sorpreso dalla proposta, Kurt, evidentemente non aspettandosi che potesse ammettere, pur indirettamente, una propria lacuna. Ma sorrise, con quell'alone più fanciullesco e sereno. “Potrebbe essere divertente”.
Sì, potrebbe”.
Ed era stato davvero così: non gli era dispiaciuto osservarlo pavoneggiarsi con qualche giro in tondo o sorridere con aria accattivante, anche dopo uno scivolone, ma in posa per una fotografia ricordo. Non gli era dispiaciuto fingere di non saper muoversi per avere un pretesto ideale per trattenerlo o lanciarsi su di lui, facendolo ruzzolare a terra, deliziato dalla risata che si era lasciato sfuggire all'ennesimo impatto contro la pista di ghiaccio.
Ne aveva contemplato il viso da vicino, Sebastian, quel sorriso a farne scintillare gli occhi, mentre i fiocchi di neve turbinavano loro attorno in uno sfondo banalmente natalizio ma piacevole. Era stato allora che lo sguardo ne aveva sfiorato le labbra, meditando seriamente di sfruttare quel pretesto per strapparne un bacio sfiorato, un tocco fuggevole per fissare quel momento nella memoria di entrambi.
E sarebbe stato così semplice, se lo sguardo di Kurt non fosse stato attratto dal capitombolo di una sagoma gigantesca quanto goffa.
Ci sono Rachel e Finn”.
Si era costretto a drizzarsi in piedi, Sebastian, scuotendo il capo a volersi liberare di quel momento di insana follia, aiutando il coinquilino a rimettersi in piedi.
Ma si premunì di far cadere uno dei due piccioncini, ogni volta che gli fosse stato possibile urtarli e farlo passare per un incidente dovuto alla poca esperienza.
Se non altro era stato un buon modo per distrarsi e non continuare a pensare all'occasione mancata.

Gli aveva procurato uno strano contorcimento guardarlo di fronte ad una cioccolata calda, mentre immergeva un dito nella panna per poi portarselo alle labbra con aria golosa, senza neppure realizzare quanto potesse essere dannatamente provocante. Ancora una volta si domandò come potesse faticare a capire che non aveva affatto bisogno di ostentare un atteggiamento sexy o (come nel caso di qualcuno di ben più ridicolo) di indossare litri e litri di gel.
Era semplicemente essendo se stesso, lasciando scorgere quell'anelito innocente e delicato che Kurt Hummel sapeva essere irresistibile ai suoi occhi.
Forse non nell'accezione comune, ma era proprio ciò a destabilizzarlo e intrigarlo, come nessun avventore del Penguin Pub sarebbe riuscito, senza che qualunque seduzione potesse definirsi forzata e improvvisata, in vista di una possibile notte di passione.
Cosa c'è?”, chiese al suo sguardo prolungato.
Sarebbero state almeno una decina le battute più o meno volgari da rivolgergli per risposta.
Si strinse nelle spalle: “Hai una macchia”.
Cosa?”.
Rise della sua faccia sconvolta, ma allungò il dito a cogliere una minuscola porzione di panna dalla gota e ne imitò il gesto, portandosela alle labbra.
Un vago rossore sfiorò le gote di Kurt, probabilmente domandandosi se non lo stesse provocando. Scosse il capo, tuttavia, un sorriso complice e sbarazzino nel far tintinnare la tazza contro quella del coinquilino.

Avevi ragione”, dichiarò, quando furono rientrati. “E' stata una bellissima serata”.
Di slancio gli gettò le braccia al collo e per Sebastian fu spontaneo e naturale avvincerlo a sé. Appoggiò il capo contro al suo e sorrise.
Si era scostato dal suo petto, Kurt, ma aveva fatto l'errore di guardarlo troppo a lungo, alle luci dell'albero, gli occhi ancora sgargianti di serenità.
Era stato un attimo incredibilmente lungo, quello in cui entrambi sembrarono consapevoli di quanto intima fosse quella vicinanza e di ciò che avrebbe potuto scaturirne.
Sbatté le palpebre, infine, e Sebastian avrebbe dato qualsiasi cosa per poterne sondare i pensieri in quel preciso frangente.
Vado... vado a farmi la pulizia del viso”, balbettò con le gote rosate, quasi timoroso.
Annuì distrattamente, Sebastian. Mezzora dopo, aveva già dispiegato le coperte con un sospiro, domandandosi se non avesse dovuto uscire per prendersi un drink.
Fu allora che Kurt bussò timidamente ed entrò, avvolto nel pigiama di seta azzurro che, seppur non ne lasciasse intravedere un centimetro di pelle, riusciva a risultare stranamente intrigante.
Almeno fino a quando non ne scorse il viso e quello sguardo che scintillava di un'emozione del tutto nuova: un misto di speranza e di timore. Di bisogno e di solitudine.
So che potrà apparire puerile”, esordì con una reale esitazione che ne rese la voce più flebile.
Scosse il capo, Sebastian, scoprendo che non aveva bisogno di sentirglielo chiedere esplicitamente.
Scostò ulteriormente le coperte e il gesto sarebbe valso soltanto per osservare la gratitudine e l'autentico affetto scintillare in quelle iridi, in quel sorriso che contava più di un ringraziamento accorato, mentre copriva rapidamente la distanza. Si insinuò al di sotto delle coperte, Kurt, ma si premunì di rannicchiarsi oltre la linea immaginaria che avrebbe diviso in due il letto.
Non vedevi l'ora”, lo canzonò, Sebastian, ma in tono poco convincente perché potesse risultare un invito malizioso.
Sorrise persino l'altro, ma per qualche motivo quella frase scherzosa sembrò essere il pretesto perché abbattesse quelle ultime difese. Quel velo di riservatezza e quelle remore più romantiche, prima di avvicinarsi al suo corpo per accoccolarsi contro il suo petto, dopo un'implicita richiesta con lo sguardo. Sembrò trovare la perfetta collocazione nell'incavo della sua spalla e Sebastian si sorprese a trattenere il fiato, come mai era accaduto in un intimo abbraccio con un amante occasionale.
Restò ad osservarlo per qualche istante, quasi desiderando che il suo corpo potesse serbare una traccia del suo calore, quasi potesse lasciarvi un'impronta per continuare a sentirlo così vicino.
Lo strinse a sé, Sebastian, con un solo rimpianto quella notte: non averlo baciato.


Si riscosse e tornò ad osservare il palco, prima di schiarirsi teatralmente la voce, quando si rese conto che il barista era già tornato alla sua lettura.
“Che sta facendo quello?”, chiese con tono enfaticamente sorpreso.
Sollevò gli occhi al cielo, quando l'altro non reagì e gli tolse bruscamente il tomo di fronte.
Fu allora che egli, l'espressione scocciata, seguì il suo sguardo, mentre un ragazzo dai capelli simili ad un groviglio di fil di ferro intrecciato e gli occhiali scuri saliva sul palco.
Strappò il microfono di mano alla biondina e l'avvinse a sé, protendendo il viso per baciarla, mentre la musica continuava a risuonare inascoltata.
Non ebbe neppure il tempo di chiedersi perché il buttafuori non fosse intervenuto, Hunter Clarington: con un guizzo atletico scavalcò il bancone per dirigersi verso il palco con un'inaspettata fluidità di movimenti. Afferrò il brufoloso ragazzino per il colletto della giacca e spintonarlo via dalla ragazza, tra il clamore generale.
Soltanto dopo qualche minuto, Sebastian, sorseggiando la sua birra con vago interesse, fece un cenno pigro al buttafuori. Quest'ultimo si fece avanti per esortare il barista a riprendere il suo lavoro e cacciare l'avventore, mentre le altre ballerine si riversavano giù dal palco, squittendo impaurite. Ad eccezione di Santana Lopez, l'unica che sembrò capire cosa stesse realmente accadendo e che guardò Sebastian come se non riuscisse a credere ai propri occhi.
Pochi istanti dopo, un fazzoletto a tamponarsi il naso, Jacob Israel si avvicinò furtivamente a Sebastian nell'angolo appartato vicino alle slot machine, l'aria afflitta e risentita.
“Bel lavoro”, si complimentò, Sebastian, aprendo il portafoglio e porgendogli una banconota senza batter ciglio, con la stessa espressione altezzosa con cui avrebbe chiesto ad un senzatetto di andare ad elemosinare altrove.
La prese con la mano libera, lo sventurato, guardandolo risentito: “Non mi avevi detto che il tuo amico era il doppio di me”, borbottò con voce distorta dal colpo inferto.
Strinse le labbra, Sebastian, non particolarmente allenato alla vista del sangue, ma si strinse nelle spalle. “Non ti avevo detto di infilarle le mani nell'imbottitura, ma apprezzo lo spirito di iniziativa”, commentò in tono serafico.
Non ebbe tempo di replicare, perché il buttafuori (dopo aver preso la banconota che Sebastian gli aveva porto) lo spintonò via e gli intimò, con voce teatralmente alta, di non azzardarsi a infiltrarsi di nuovo nel locale.
Il sopracciglio inarcato, osservò il barista ritrovare la sua espressione più spavalda (incredibile come adesso fosse oggetto d'attenzione di quasi tutte le ballerine, comprese quelle che lo avevano sempre bellamente ignorato, se non usando una scollatura come pagamento di una bibita tra un numero e l'altro), mentre la sua Tontittany si premuniva di appoggiargli il ghiaccio sulla mano che aveva usato per colpire il maniaco, con espressione da crocerossina natalizia.
Gli rivolse un cenno del capo: non aveva dubbi che quella sera non avrebbe protestato per il pagamento non pervenuto (per così dire).
“Buon Natale, Clarington”, sussurrò tra sé e sé, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
In fondo, come aveva detto lui a suo tempo, non gli augurava una vita privata catastrofica quanto la propria.
Senza contare che quell'opera buona avrebbe dovuto compensare un altro anno di bevute gratis, sopperendo la sua scarsa abilità di psicologo.
Tanto ci avrebbe pensato da solo, nel corso del nuovo anno, a mandare tutto all'aria e fargli riscuotere la scommessa con la Lopez.

~

Quando schiuse gli occhi quel mattino, non ebbe alcun desiderio di alzarsi dal letto: sarebbe stata la peggiore vigilia di Natale di tutti i tempi e dubitava che l'arrivo del nuovo anno avrebbe portato qualche piacevole novità o un nuovo inizio a lui favorevole.
Dubitava che quei tre mesi sarebbero stati all'insegna della sua rivalsa: cominciava a dubitare di molto a quel punto e il fatto che non si fosse sbronzato la sera prima, non appariva affatto a suo vantaggio. Restò in ascolto dei suoni provenienti dal soggiorno, laddove riusciva ad immaginare Kurt già vestito di tutto punto, mentre controllava le ultime cose, cedeva alla paranoia e riapriva ogni singola valigia a fare un inventario e controllo mentale per assicurarsi di non aver dimenticato il phon, il beauty-case con le creme o i suoi foulard a tema natalizio.
Sarebbe stata una buona occasione per imparare a vivere la sua assenza, si disse, rigirandosi nel letto e desiderando cadere nuovamente nel torpore del sonno.
Riusciva quasi a sentire la voce di ClisterHunter e il suo cipiglio severo a ricordargli che Kurt era ancora lì e se anche avesse potuto accusarlo di essersene andato, lui stesso sarebbe stato responsabile per averlo lasciare andare senza reagire.
Si sfregò gli occhi e uscì dalla camera: Kurt, come aveva previsto, era già vestito per uscire e lo sguardo era perso nel vuoto, rimuginando chissà su cosa.
Si volse, quando Sebastian entrò in soggiorno e lo sguardo scintillò per il sorriso che ne increspò le labbra, sinceramente lieto di vederlo.
“Speravo che ti alzassi in tempo: stavo già pensando di lasciarti un biglietto di saluto, ma-”.
Inarcò il sopracciglio a fermarne il fiume di parole e Kurt sorrise, comprendendone il significato: “Non sei mai eloquente di mattina e neppure completamente vestito”.
Il sorriso si fece più suadente, non avendo affatto remore ad uscire dal letto soltanto con un paio di boxer e una t-shirt. “Non so se dovrei lasciarti partire”, incrociò le braccia al petto. “A meno che al tuo ritorno tu non annunci un altro fidanzamento o non ti sia trasformato in una Kate o-”.
Non aveva finito di formulare la frase che aveva percepito il contatto con il suo corpo: gli aveva avvolto le braccia al collo, Kurt, e aveva affondato il viso contro la sua spalla.
“Sei sicuro di non voler venire?”, gli chiese in tono quasi supplicante.
Scosse il capo, Sebastian, pur nascondendo il volto contro i suoi capelli, inebriato dal loro profumo e dalla morbidezza al tatto, cercando di ignorare il pensiero che quella separazione aveva già il sapore di un addio prematuro.
“Non sarò il testimone, ma neppure il terzo incomodo”, mormorò in risposta, ma Kurt non parve risentirsi. Era come se cogliesse quel qualcosa oltre il sarcasmo di cui erano intrise le sue parole. Come se volesse colpirlo e destabilizzarlo in modo meno appariscente ma più efficace.
“Mi chiamerai, o meglio, risponderai alle mie chiamate?”.
Si lasciò sfuggire uno sbuffo ironico, ma lo trattenne contro di sé: “Forse, se non sarò troppo ubriaco”.
“Se dovessi scoprire che resterai solo-”.
Scosse il capo, Sebastian, scostandolo da sé: “Non devi preoccuparti per me, mi troverai qui al tuo ritorno... e ora sparisci, vai”.
Parve indugiare, Kurt, continuando ad osservarlo con aria indecisa: ne scorse il movimento con cui si sollevò sulle punte per sfiorarne la gota con le labbra fresche e morbide, intinte del suo burro cacao preferito. Socchiuse gli occhi, Sebastian, suo malgrado rilassato al contatto, ruotando appena il volto fino a quando i loro sguardi non si fusero, a pochi centimetri dalle sue labbra.
Le guance di Kurt erano rosate, gli occhi parvero sfavillare, gli tremarono le labbra e sembrò trattenere il respiro.
Un solo battito e avrebbe potuto carpirne le labbra con le proprie. Indugiò in quell'attimo di sospensione nel quale si aprivano infinite possibilità, quello necessario a cambiare davvero le cose o perderlo per sempre.
Sbatté le palpebre, Kurt, e fu istintivo per Sebastian trattenerne i fianchi, osservandone lo sguardo interrogativo. Era parso irrigidirsi.
“Kurt”, quasi non riconobbe il suono della propria voce, quasi ne pronunciasse il nome per la prima volta, quasi ogni volta che lo facesse, potesse illudersi che fosse quella decisiva.
“Sono qui”, sussurrò lui in risposta ad un'implicita domanda e ne percepì la pressione delle mani sul suo petto.
No, si disse Sebastian ancora una volta, non era vero. Non del tutto.
Si scostò quasi bruscamente, scuotendo il capo: “Farai tardi”.
“Sebastian”.
“Va'”, si sforzò di sorridere ma quell'imperativo parve la supplica di non dargli ulteriore tempo per poter agire. Per poter realizzare che, ancora una volta, non ne sarebbe stato in grado e più tentava di avvincerlo a sé e più lo spingeva tra le braccia di Blaine.
Ne baciò la gota e ne inspirò il profumo quasi disperasse di poterlo sentire sulla propria pelle, anche ad ore di distanza.
Sospirò, Kurt, che si costrinse ad indietreggiare: “Ti chiamerò appena sarò arrivato”.
Un cenno del capo: “Sarò qui”.
Contò i passi che parvero necessari perché Kurt uscisse dal loft, quelli che occorsero a fargli di nuovo percepire l'inevitabile strappo all'altezza del petto.

~

Il Natale era solo sopravvalutato in fondo ed era un'opinione diffusa, seppur in pochissimi fossero disposti ad ammetterlo. Ma non riuscì a trovare lo stesso appagamento nel passeggiare e cercare di confondersi tra la folla, non lo consolava neppure il fatto che avrebbe evitato inutili convenzioni sociali e il dover essere sottoposto ad un interrogatorio da parte dei propri familiari.
Più volte il suo pensiero corse al giovane e all'ultimo Natale, il primo che ne aveva scosso l'animo dopo così tanto tempo, ma che sembrava ormai soltanto vivere nelle proprie reminiscenze, rendendo soltanto più amaro ed insopportabile il presente.
Avrebbe soltanto voluto che il tempo scorresse più rapidamente, superare quella simbolica data e poter tornare ad una parvenza di quotidianità, consapevole che quel countdown non avrebbe smesso di beffarlo.
Indugiò in quel momento, osservando la porta d'ingresso del loft, quasi così facendo potesse cambiare ciò che lo attendeva. Il silenzio e quattro pareti a circondarlo.
Ironico che fosse il motivo stesso per cui aveva deciso che Brooklyn sarebbe divenuta la sua casa. Ironico che, ancora una volta, Sebastian Smythe si scoprisse cambiato e contro la sua stessa volontà.
Sarebbe stato rapido, si disse a mo' di sprono, sarebbe entrato per prendere il portafoglio, magari anche premunendosi di lubrificante e preservativi e avrebbe lasciato che l'alcool e il sesso ne riempissero il vuoto. Almeno qualche ora. Prima di svegliarsi e sguazzare nell'odio di se stesso.
“Ciao”.
Sbatté le palpebre, quasi timoroso che quel suono soffice e ben conosciuto fosse soltanto una bieca proiezione del suo udito o della sua speranza.
Osservò Kurt che, per contrasto, appariva perfettamente a suo agio: come se fosse stabilito fin dall'inizio che, al suo ritorno, sarebbe stato lì a cucinare per entrambi la cena della Vigilia.
Il piacevole aroma di tacchino sembrò l'ulteriore conferma che fosse tutto reale.
Aveva indossato il grembiule ed era apparso più che concentrato nella farcitura e nelle ultime decorazioni del piatto, tanto da non alzare neppure lo sguardo in sua direzione.
“Spero che tu sia affamato, credo di essermi superato quest'anno”, annunciò con tono evidentemente orgoglioso di sé, a giudicare da come dondolò le spalle.
Si guardò attorno, Sebastian, quasi aspettandosi che svanisse o che scoprisse Mezza SegAnderson, Rachel e Finn già seduti a tavola: i primi due guardandolo con aria schifata per la sua molesta presenza in un quadro in cui sarebbe stato normalmente escluso. “Allora?”, lo incalzò il suo coinquilino: le mani sui fianchi e il sopracciglio inarcato, quasi fosse Sebastian quello fuori posto.
“Togliti il cappotto e lavati le mani, è quasi pronto”, lo esortò.

Scosse il capo, l'altro, con aria diffidente: “Cosa ci fai qui?”, gli chiese esplicitamente.
Non gli sfuggì come Kurt, fino a quel momento, avesse evitato di guardarlo in viso, malgrado i gesti e le posture ne denotassero tranquillità, come se non fosse venuto meno ad impegni precedentemente stabiliti.
“Stavo pensando che dopo cena potremmo-”.
“Kurt”, lo richiamò perché ponesse fine a quella pantomima, malgrado la sua parte più egoistica lo stesse ammonendo perché si limitasse ad obbedirgli e godersi quell'inaspettata ma piacevolissima sorpresa.
“Non ha importanza”, rispose frettolosamente Kurt, ancora non guardandolo, ma con la voce lievemente più insistente. “Non adesso”.
Lo ignorò, Sebastian, si avvicinò a passi rapidi e ne cinse delicatamente, ma con aria decisa, il mento perché finalmente potesse incrociarne lo sguardo. Sentì il suo cuore stringersi in una morsa e un'improvvisa furia attraversarlo: gli occhi apparivano ancora piuttosto gonfi e la punta del naso arrossata, malgrado avesse ostentato una reale allegria al suo ritorno.
“Hai pianto”, cercò di contenere l'ira, la voce soffusa e l'aria realmente preoccupata nel trattenerne il viso.
Scostò delicatamente la sua mano, Kurt, cercando di improvvisare un sorriso, mentre scuoteva il capo. “Stavo affettando le cipolle”.
“Cazzo, Kurt, che cosa ti ha fatto stavolta?”, gli chiese in tono secco, senza neppure più crucciarsi di apparire calmo.
Scosse il capo e le labbra tremarono, ma si appoggiò al suo petto con lo stesso slancio con cui lo aveva fatto alla partenza, a mo' di congedo.
“Non adesso, ti prego”, parve supplicarlo, quasi ne temesse le reazioni o, probabilmente, che una volta dato sfogo a quel dolore, non sarebbe più riuscito a frenarsi senza rovinare inesorabilmente quella parvenza di compostezza. Si strinse più forte al suo petto, quasi ne comprendesse, dalla rigidità, l'intenzione contraria.
“Poi ti racconterò tutto, ma adesso pensiamo soltanto a cenare, ti prego”, la voce si era smorzata, ma persino quel gorgoglio finale parve una stilettata nel petto di Sebastian.
Serrò la mascella, Sebastian. “Non credo di poterlo fare senza prima avergli disfatto i connotati”, gli fece presente, quando il tremore del suo corpo lo indusse, in un gesto istintivo e non meditato, a cingerne la vita e trattenerlo contro di sé. Malgrado una parte di sé volesse scuoterlo con maggiore energia perché reagisse all'ennesima prova che non l'avrebbe mai reso realmente felice.
Si scostò, Kurt, le mani adagiate al suo petto e lo sguardo tremulo, ma parve ritrovare il sorriso: più dolce e soffuso nell'osservarlo.
“Voglio solo passare con te questa Vigilia di Natale”, sussurrò e Sebastian si odiò per come il suo corpo parve letteralmente afflosciarsi, per come fu quasi lui a necessitare di un sostegno per il solo modo in cui la flessione della voce di Kurt riusciva a renderlo così suggestionabile. Ad una maniera che non avrebbe mai sopportato, neppure per lui.
Persino più insidioso quel sorriso più dolce nell'osservarlo attentamente: “Lui non ha nulla a che vedere con questo”.
Un verso di ironico divertimento, appoggiandogli le mani sulle spalle, guardandolo attentamente negli occhi: “Lui non ha a che fare con questo?”, ripeté in tono incredulo, neppure sforzandosi di controllare la propria voce e il tono alterato.
“Vi sposerete tra tre mesi e tu hai rinunciato ai vostri progetti, dopo che io stesso ti ho visto uscire di casa questa mattina e senza alcun preavviso”, articolò con voce sempre più incredula, cercando di celare l'amarezza all'idea di essere soltanto un ripiego. “Sei sicuro di non aver altri ripensamenti?”, lo incalzò, cercando di celare l'autentica speranza che racchiudeva quella provocazione.
Sorrise, suo malgrado, Kurt, scuotendo il capo. “Sicuro, Sebastian, di non essere tu a ritenerti inferiore a Blaine?”, cercò di sviare la reale domanda, provocandolo con quel sorrisetto supponente sulle labbra.
Lo osservò ancora a lungo, Sebastian, in quel momento chiedendosi se fosse più opportuno baciarlo o schiaffeggiarlo perché smettesse di fingere. Dopotutto Clarington coi suoi quattro occhi poteva aver scorto un assioma inconfutabile: entrambi in fuga da qualcosa, incapaci di parlarsi chiaramente, sembravano perfetti l'uno per l'altro, quando l'unica cosa che contava, in certi momenti, era restare insieme. A dispetto del mondo esterno, a dispetto della loro coscienza e della consapevolezza che tutto fosse ancora in sospeso.
Scosse il capo, quasi combattuto.
“Ti prego”, sussurrò nuovamente, Kurt, quasi avesse mentalmente seguito il suo stesso percorso, i suoi stessi interrogativi e le sue stesse considerazioni.
Sospirò, Sebastian, ma lo trattenne contro di sé e ne baciò la guancia: “Vado a mettermi i boxer rossi”, sussurrò a mo' di provocazione, indugiando con le labbra lungo la sua gota.
Lo sentì emettere un verso di divertimento e di esasperazione insieme: “Idiota”.
Indugiò in quel momento, Sebastian, sfregando le labbra lungo la sua gota e ne osservò attentamente il volto, quasi ancora mancasse qualcosa per fissare quel momento. Quasi qualcosa dovesse essere detto, malgrado la loro personale crociata nell'incapacità di affrontare loro stessi. “Sono felice che tu sia qui”.
Percepì il lieve tremito del corpo di Kurt, l'aritmia del suo cuore contro il proprio petto.
“Anche io”, sospirò in risposta e non era stato necessario guardarlo in viso per capire che era sincero.

La cena era stata perfetta: era come se, di comune accordo, nulla avesse inficiato la loro quotidianità negli ultimi mesi e in quello strano anno che stava per concludersi. Non era facile scacciare l'idea che qualcosa doveva realmente averlo turbato, ma continuava ad osservarne i sorrisi, il dardeggiare del suo sguardo, quell'autentica serenità di cui si sentiva contagiato, soprattutto all'idea di esserne l'unico artefice e beneficiario.
“Ho qualcosa per te”, commentò Kurt e Sebastian lo seguì con lo sguardo mentre trottava verso la sua camera. In realtà non vi era nulla che già non conoscesse al suo interno, a meno che Kurt non disponesse di ripostigli segreti, ma si era scoperto a fare la stessa azione, un sorriso ad incresparne le labbra. Persino recuperando un alone di serenità e di tranquillità che avevano qualcosa di fanciullesco.
“Prima io”, sussurrò Sebastian che gli porse un pacchetto rivestito di una carta azzurra che Kurt prese tra le dita con espressione entusiasta e febbrile. Sgranò gli occhi alla vista della spilla dorata per poi studiarne il simpatico uccello rappresentato.
“Ha a che fare con il tuo pub o qualcuno – Finn – ha parlato troppo del mio soprannome al liceo?”, domandò con voce lievemente alterata per l'imbarazzo, continuando a rigirare la spilla tra le dita.
“Rilassati, baby penguin”, sorrise con aria piuttosto compiaciuta “Ho già visto le tue foto del passato”, ma Kurt non sapeva che una di quelle fotografie gli era stata sottratta la sera stessa del blackout e che la custodiva gelosamente nel portafoglio, nascosta tra le carte di credito.
Prese la spilla dalle sue dita e l'appuntò al suo petto, indugiando contro la camicia di raso di quel rosso acceso che ne metteva deliziosamente in risalto i lineamenti. Sentì Kurt trattenere il fiato e ne scrutò gli occhi.
“E' un animale sottovalutato, ironizzato per la sua goffaggine, ma pochi sanno che sa amare come nessun'altra specie e sceglie un compagno per tutta la vita, a dispetto di tutto e di tutti ed è questo a renderlo speciale4”, cercò di controllare la flessione della propria voce, continuando ad osservarne le iridi cerulee per poi smorzare la serietà del paragone con uno sguardo più ironico. “ Anche se si ritiene impacciato o poco attraente”, concluse e non vi erano dubbi su chi fosse il destinatario di quelle parole.
Un lieve rossore aveva colorato il viso di Kurt, ma lo osservò con sguardo più lucido e un reale sorriso ad incresparne le labbra. Emozionato e colpito per come sembrava averne scorto quell'attitudine ad amare ad una maniera sincera e pura, pari soltanto al bisogno di essere toccato da un affetto altrettanto intenso.
“E' bellissima”, sospirò, “e credo che nessuno farebbe mai sentire un pinguino speciale come faresti tu, anche se è una frase strana da dire”, cercò a sua volta di smorzare la serietà di quel momento con un sorriso più ironico.
Scrollò le spalle, Sebastian, compiacendosi di quell'alone più frivolo: “Sarò l'avvocato dei pinguini”.
Si era nuovamente fatto serio, Kurt, che gli aveva porto un involucro in carta verde con un fiocco dorato.
“Spero non sia un'altra pochette”, sospirò Sebastian con aria stoica, ma esaminò la forma dell'involucro e cominciò a stracciarne la confezione, impaziente di scorgerne il contenuto.
Ridacchiò, Kurt, ma lo esortò dolcemente ad aprire: pareva anche lui incapace di attendere e Sebastian stesso si ritrovò a sorridere.
Schiuse il cofanetto e sbatté le palpebre di fronte al bracciale placcato in oro bianco e rimirò il ciondolo, inarcando le sopracciglia quando realizzò che cosa simboleggiava.
“Una stella?”.
“La stella polare”, sussurrò Kurt in risposta e Sebastian lo guardò attentamente, mentre cercava di comprenderne il significato.
Sorrise, Kurt, glielo prese delicatamente di mano per appuntarglielo al braccio: “So che non stai vivendo un bel periodo e so anche che sei restio a parlarne e mi dispiace di cuore che io stia contribuendo a renderlo poco lieto”, esordì a mo' di spiegazione.
“Kurt”, ne sussurrò il nome, rimirando il bracciale al proprio polso con un misto di timore e di reverenza, prima di incrociarne nuovamente lo sguardo.
“Voglio solo che ogni volta che lo guardi, tu possa ricordare che puoi venire da me: non ti farò domande e non pretenderò risposte fin quando non sarai tu a desiderarlo”, sussurrò Kurt, indugiando a pochi centimetri da lui, il viso reclinato di un lato ad osservarlo attentamente.
Sorrise, un lieve tremito delle labbra e un baluginio commosso nello sguardo: “Ma sarò sempre con te, anche se non ci credi”, rivelò con voce più rauca.
Sebastian percepì qualcosa di simile ad uno strappo all'altezza del petto e indugiò nell'osservarlo, quasi la verità fosse celata in ogni parola, quasi tutto fosse proteso perché si avvicinasse a coglierlo. Ne aveva ripetuto il nome, quasi a volerlo descrivere con una sola parola. Trovare un modo di riassumere e simboleggiare quel dolce dolore che era diventata la sua presenza. Quel molesto ticchettio interiore a ricordargli che quelli sarebbero stati tra gli ultimi istanti di cui avrebbe tessuto ricordi che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita, che lo desiderasse o meno.
Ne sfiorò la gota quasi devotamente e Kurt ne trattenne la mano dolcemente: “Sono qui”, sussurrò, quasi a mo' di incoraggiamento. E per quella sera parve bastargli: lo trattenne a sé, senza pensare al domani o a ciò che sarebbe accaduto nei prossimi tre mesi.
Lo trattenne a sé, quando si accoccolò contro la sua spalla per uno di quei classici film natalizi strappalacrime che avrebbe sempre detestato. Lo trattenne anche quando si addormentò.
Lo prese tra le braccia e lo condusse nella propria camera, un sorriso ironico nel realizzare che era l'unico ad averla valicata. Chissà che il dormire insieme non potesse davvero diventare una loro tradizione, a dispetto della minaccia del tempo che stava scorrendo troppo rapidamente.
Socchiuse gli occhi contro il suo capo, nel momento in cui lo sentì adagiarsi contro la sua spalla: persino immerso nel torpore, Kurt riuscì a trovare quel riparo nel quale accoccolarsi.
Era tra le sue braccia, in quel momento, seppur fosse già perso nei suoi sogni. Probabilmente, almeno in quella realtà onirica, avrebbe potuto sentirlo suo.
Per quelle ore, a discapito del mondo esterno, avrebbe ignorato che fosse soltanto in parte con sé.
Mai completamente, non del tutto. Soltanto quasi lì.


To be continued...



Spero che abbiate passato una bella settimana, certamente per noi fan di Grant è finalmente giunto il tanto atteso pilot di “The Flash” *-* Assolutamente sublime, se purtroppo con Sebastian non ha potuto tornare per qualche frangente davvero significativo, non si può che essere orgogliosi e felici per il suo nuovo ruolo con il quale potrà dimostrare il suo innegabile talento :)

Ma tornando a noi, è stato bello immergersi in un'atmosfera natalizia, il nuovo anno si avvicina e così il famigerato matrimonio, ma vediamo come lo inaugureranno i nostri eroi :D.

Stai avendo dei dubbi?” “Credo che mi nasconda qualcosa”.
Quando hai capito di amarlo?” “Credo che non ci sia un momento preciso, non per tutti. Ma guardarlo la prima volta è stato speciale...”.
Cosa diavolo stai facendo?” “Non dovevi ispezionare cadaveri oggi?” “Sei al telefono con Brittany?!”. “No”. “Ciao Hunter!”.
Il che conferma il tuo bisogno patologico di accudire, a discapito di te stesso”. “Stai sebastianando, è un buon segno”.
Sei passato dal voler sabotare ogni fase del matrimonio a lasciare a Blaine campo libero... da quando lo chiami per nome, a proposito?
(…) Ti sei arreso, Sebastian?”.


Credo di avervi incuriosito abbastanza e ora posso (ahimé) tornare ai miei appunti universitari.
Ma prima ci terrei ancora una volta a ringraziare tutti voi che mi state seguendo con tanto affetto e dedizione da strapparmi sempre un sorriso emozionato con le vostre parole e osservazioni.
Anche solo leggere le cifre di chi segue, gradisce fino a seguire o segnalarla tra le fanfiction preferite, è un'immensa gioia, quindi grazie di cuore :)

Al prossimo capitolo,
buon weekend a tutti :)
Kiki87


1Per ascoltare la canzone e vederne il testo originale: qui
2Graficamente non si intuisce molto ma sarebbe la sovrapposizione tra i suoni “Klaine” e “clistere” :)
3Mi si perdoni la licenza poetica rispetto alla storyline originale, ma per ragioni di coerenza con il resto della narrazione, Santana non poteva essere cresciuta nella storica Lima Heights.
4Per essere precisi sembra che sia una caratteristica di alcune specie di pinguini, come “L'imperatore”.
   
 
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