CAPITOLO II: Uno stratega di troppo
Tris
aveva gli occhi sgranati e fissava ancora la porta di mogano dalla
quale era appena uscito il Pacificatore. Incondizionatamente si
portò
le dita alla bocca. Non aveva mai baciato un ragazzo prima d'ora.
Sentì
rumore di passi sulle assi di legno scricchiolante in corridoio e poi
delle voci che discutevano animatamente; la porta si aprì ed
entrò
sua madre con un espressione sconvolta impressa in volto, la
seguivano suo padre e suo fratello.
Con
sua grande sorpresa fu Caleb il primo a prenderla tra le braccia
«Io...Io
sono un idiota! Un idiota codardo! Dovevo offrirmi volontario al
posto di quel ragazzo! Io dovevo venire nell'arena con te!»
disse in
preda ai singhiozzi
«Non
lo dire nemmeno per scherzo Caleb» rispose Tris. Non aveva
intenzione di piangere; e neanche loro dovevano, ne avrebbero avuto
tutto il tempo dopo.
Sua
madre Nathalie la strinse forte al petto e la baciò sulla
testa
«Beatrice...
Beatrice guardami -le prese il viso tra le mani e si abbassò
leggermente per mettere gli occhi alla stessa altezza di quelli di
lei- sii forte perché so che lo sei. Quando sarai
lì dentro non
perdere mai la dignità, capito? Non diventare una pedina dei
loro
giochi, io so che tu puoi farcela»
«Sai
benissimo che non è così, io non ce la posso fare
mamma!»
«E
invece no. Se ti troverai in una foresta saprai come muoverti! Tu sei
veloce! Corri più veloce che puoi e trova un
riparo» gli occhi di
Tris si riempirono di lacrime ed iniziò a muovere la testa a
destra
e a sinistra
«Ti
supplico, non mentire a te stessa»
«Promettici
che non ti lascerai andare, che tenterai di combattere» era
suo
padre che le faceva questa richiesta
«Io...Io...Ve
lo prometto...» un sorriso troppo forzato apparve sul volto
di suo
padre che la prese e la tenne stretta al petto
«Tu
ce la farai, io scommetto su di te»
«Tu
non puoi scommettere e sai benissimo che perderesti» Tris non
lo
diceva per falsa modestia, lei sapeva di non avere speranze contro i
favoriti del Distretto Uno e Due.
«No
invece. Vinci per noi Beatrice»
«Tempo
scaduto» disse un Pacificatore entrando nella stanza
«Ti
vogliamo bene Tris» disse Caleb. Sua madre stava per
scoppiare in
uno dei suoi pianti irrefrenabili e non riuscì a dire nulla
«Ci
vediamo a casa» disse suo padre. Poi la porta si chiuse.
Nella
stanzetta c'era un divanetto, Tris vi si sedé sopra e si
premette i
palmi delle mani sugli occhi; non aveva dei veri amici lì al
Distretto Sette, nessuno sarebbe venuto a salutarla, per di
più non
aveva ancora idea di chi fosse il Tributo maschio del suo Distretto.
Proprio
in quel momento Quattro sbucò soltanto con la testa da
dietro alla
porta
«Tra
cinque minuti si va alla stazione, preparati»
Non
ebbe nemmeno il tempo di chiedergli spiegazioni per prima che lui
aveva chiuso la porta.
Quattro
guidava l'auto dei Pacificatori sul terreno sconnesso della strada
che portava alla stazione. L'aveva baciata, l'aveva fatto; le aveva
detto addio, ma non poteva concepire che Tris dovesse andare
nell'arena. L'aveva sempre vista come una ragazza fragile e facile da
ferire, pur sapendo bene che non era affatto così.
Ora
era lui a scortarla a Capitol City insieme a Josh, l'altro ragazzo
sorteggiato. Era alto e aveva capelli ed occhi castani, aveva una
muscolatura notevole; se fosse stato anche abile nella lotta sarebbe
stato un avversario temibile anche per i favoriti.
Erano
arrivati. Scese e aprì lo sportello posteriore per far
scendere
Tris; lei mise un piede sul gradino dell'auto e fece per scendere, ma
slittò, Quattro la sostenne per la vita e rimasero
così per qualche
secondo più del normale; poi lui si schiarì la
voce e la lasciò
dopo averla aiutata a scendere.
Tris
non era mai stata alla stazione, era utilizzata solo dai Pacificatori
e per i trasporti di merci ed era smorta e buia.
Al
binario il treno era già arrivato, così Tris
salì a bordo e venne
scortata da Quattro nella sua stanza.
«Questa
è la tua camera. Spero sia di tuo gradimento» era
una stanza dal
design moderno: letto futon in metallo, come i comodini sui quali
c'erano dei vasi con delle rose bianche all'interno; un unico
oblò
era posizionato sulla parete difronte e appeso al soffitto c'era un
lampadario in ferro battuto.
«È
molto bella. Grazie»
«Hai
bisogno di qualcosa?»
«No,
nulla» in realtà avrebbe tanto voluto rispondere
“un altro bacio”
ma sarebbe stato alquanto fuori luogo
«Okay,
comunque io sono Tobias, ma puoi chiamarmi Quattro» per la
prima
volta da quella mattina a Tris scappò un sorriso e anche
Tobias
sollevò un angolo della bocca.
«Quattro?
Come il numero?»
«Sì,
come il numero» disse sorridendo
«Ah.
Beh è... carino»
«Sei
molto gentile»
«Anche
tu. Mi hai salvato la vita già due volte»
«Una
sola»
«No,
se non mi avessi presa mentre scendevo dal Suv sarei caduta e avrei
potuto battere la testa»
Questa
volta Quattro fece una sonora risata «Io... Penso spesso a
Rebeka, e
mi spiace molto di non essere riuscita ad aiutarla»
Lui
si rabbuiò immediatamente
«Non
devi scusarti. Tu non dovevi fare nulla... Non era compito tuo, ma
mio e sono io a dovermi sentire in debito, lei era mia
sorella» rimase qualche secondo a fissarsi le punte delle
scarpe,
poi posò i suoi occhi blu su di Tris «Devo
andare»
«Sì...»
Il
ragazzo fece un passo e le accarezzò una guancia con le dita
ruvide;
il battito di Tris accelerò, ma la scena che la ragazza
aveva già
visto svariate volte si ripeté ancora, infatti Quattro si
girò e
uscì dalla stanza senza una parola, chiudendosi la porta
alle
spalle.
«Agente
Quattro?» era uno dei Pacificatori che erano sul palco
«Sì?»
«C'è
qualcuno di molto speciale che vuole immediatamente un colloquio con
lei»
«Chi?»
«La
presidentessa Jeanine Matthews. La sta aspettando in video conferenza
nella stanza numero diciassette».
Quattro
percorse a passo spedito il corridoio della carrozza fino alla cabina
diciassette. Dentro c'era una scrivania con sopra un telecomando, una
sedia e uno schermo montato al muro. Si sedette, prese il telecomando
e premette il tasto d'accensione. Comparve la presidentessa sullo
schermo e una voce fuori campo le comunicò che era in diretta
«Buongiorno
Agente Quattro, ho richiesto con urgenza questo colloquio con lei in
quanto c'è sopraggiunta la notizia che uno degli strateghi
inizialmente selezionati è morto. Quindi vorremmo proporle
di
rimpiazzarlo per questa edizione degli Hunger Games» Tobias
era
attonito, non avrebbe mai pensato ad una cosa del genere
«Perché
io?»
«Beh
diciamo solo che la fama vi precede...»
«Ci
precede?»
«La
famiglia Eaton ovviamente»
«Com'è
morto? L'altro stratega intendo, com'è morto?»
«Prima
o poi tutti dobbiamo morire signor Eaton» Tobias sapeva bene
che
c'era qualcosa in più che la presidentessa stava omettendo.
«Allora?
È
intenzionato ad accettare?»
«Ho
bisogno di tempo per valutare la cosa»
«Le
do due giorni. Il tempo di arrivare a Capitol City»
«D'accordo»
«A
presto» lo schermo si spense e Tobaias poggiò la
fronte sulle mani.
Cosa stava succedendo? Perché? Come poteva essere stratega
proprio
in questa edizione degli Hunger Games?! Beh avrebbe potuto anche
reclinare l'offerta... Ma se fosse andato lui, Tris avrebbe avuto
più
possibilità di sopravvivere; vero anche che non poteva
favorirla
così esplicitamente e soprattutto lei non doveva sapere,
perché non
glielo avrebbe mai permesso; non avrebbe mai voluto che lui facesse
parte di un team che tentava di ucciderla, anche se sapeva che
avrebbe tentato di salvarla; in quel caso sarebbe stato lui in
pericolo, l'avrebbero preso come un gesto di ribellione e sarebbe
diventato un senza-voce o peggio... L'avrebbero ucciso.
Tris
non doveva sapere. Doveva diventare una pedina del suo
gioco;
un gioco che forse le avrebbe salvato la vita.
NOTE DELL'AUTRICE
La
storia è ufficialmente cominciata. Quale modo migliore di
iniziare
se non con un colpo di scena? E bene sì, Tobias
farà parte degli
strateghi. Entrambi giocheranno col fuoco e proveranno sulla loro
pelle la sensazione di bruciature dovute a decisioni ardue da
prendere e negligenze che potevano essere risparmiate.
Recensioni
belle e brutte sono sempre gradite, e possa la buona sorte sempre
essere a vostro favore!
Princess
Leila.