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Autore: _Mikan_    11/10/2014    1 recensioni
Capelli neri come la pece ed occhi azzurri come il ghiaccio. Questo caratterizza Margaret, oltre ad una passione smisurata per la natura. Ed è proprio in mezzo al verde che questa drammatica storia si apre, ricordando i bei momenti passati col padre defunto, accanto al proprio cane Calzino.
*Dal testo*
Mamma si avvicinò alla scura scrivania "da lavoro" o così la definivo io.
Era ancora in disordine con mille fogli sparsi un po' dappertutto.
Delicatamente sfiorò dei disegni con le dita.
Si soffermò su uno in particolare: raffigurava una donna seduta su una grande pietra.
Lo sfondo era un meraviglioso giardino con rose di ogni tipo. C'era perfino una fontana.
Ma le vere protagoniste erano delle ali bianche con piume candide e morbide.
Mamma prese il foglio e lo avvicinò per osservarlo meglio.
Ciò che più la ammutolì furono dei bellissimi capelli lunghi, lisci come la seta e di un nero come il carbone.
Si portò la mano alla bocca.
"Non è possibile."-Disse perplessa-"Non può averlo scoperto."
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fin dai primi ricordi la musica ha sempre fatto parte della mia vita: l'amavo, così come la amo adesso.

Purtroppo però, la mia voce non era molto collaborativa e ogni volta che provavo a cantare uscivano fuori note troppo alte o troppo basse, fuori tempo e stonate come una campana. Forse è per questo che iniziai a disegnare, di più, sempre di più per dimostrare a chiunque e a me stessa, soprattutto, che sapevo fare qualcosa. Ma nonostante tutto non ero mai soddisfatta dei miei risultati. I miei quadri mi sembravano sempre non adatti e con qualcosa di perenne mancanza. E questo mi spingeva a darmi da fare ancor di più per riuscire a realizzare l'opera perfetta, ma sia la mia mente che la mia coscienza non sopportavano l'idea del vuoto dentro di me che non si colmava mai, anche con diecimila quadri.

“Ma come fai? Sei bravissima! Sei un genio, io non riuscirei mai a farlo!”-Queste frasi che si ripetevano e si contorcevano nella mia mente non riuscivano comunque a darmi pace.

“Hai un talento naturale!”

No, non era vero. Passavo intere giornate a disegnare, torturando la mia mentalità con l'idea di non essere mai veramente abbastanza. Perché... perché il disegno non mi dava soddisfazione? Eppure a detta degli altri ero “un'artista”, anche se a me non sembrava poi così vero.

Per risolvere la situazione, pensai e ripensai a cosa avessi sbagliato. Alla fine ricordai la mia passione per la musica, in dettaglio per il canto. Provai senza sosta, ma i risultati furono più che scarsi, perciò decisi di lasciar perdere una volta per tutte e di non pensarci più.

E quel giorno, tutti aspettavano con impazienza la risposta alla domanda: “Tu sai cantare?”.

Che dovevo fare? Non importava l'età: che fosse sedici o ottanta, mi disturbava comunque dover confessare loro il mio lavoro da campana della chiesa. Se mentivo e dicevo di sì, avrei dovuto dimostrarlo e la verità sarebbe comunque saltata fuori, anche se l'orologio avrebbe segnato a malapena due secondi che mi avrebbero pregato di non continuare.

Se dicevo no, sarebbe finito tutto lì, giusto? Anche se con enorme imbarazzo.

“P-perché v-volete saperlo?”-Balbettai imbarazzata.

“Ma cos'ha questa? E' balbuziente?”-Questo sicuramente stava pensando il grosso Gondo (a giudicare dall'espressione). Sempre se il termine “balbuziente” da loro esisteva. Non ne ero sicura, dopotutto mi trovavo in una specie di castello, con una principessa e con i suoi amici vestiti in maniera inusuale.

“Semplice curiosità”-Rispose gentilmente Clarence.

“Menomale”-Pensai-”Se non è niente di importante allora posso anche dire la verità.”

E così feci. Dissi loro di avere un'enorme passione per la musica, ma con scarse capacità vocali. Parlai pure del mio talento artistico, anche se non mi ha mai appagato come si deve.

Mi sentivo sollevata.

Con un sospiro chiusi gli occhi, quasi aspettando una loro reazione.

Silenzio. Lentamente, offuscando la mia vista, li riaprii.

Cosa stava succedendo? Perché la notizia della mia voce stava causando tanta tristezza?

Anzi, più che tristezza, dai loro occhi traspariva sconforto ed era come se la loro speranza si stesse affievolendo a poco a poco. Ma … speranza per cosa?

Luv- volevo dire “Sua Maestà” si riprese da quella espressione malinconica e con tono pacato mi disse testuali parole: “Fa niente. La prego di perdonare il nostro disturbo. Finché non potrà tornare a casa, usi pure le nostre camere.”

Che? Prima mi trattava come fossi spazzatura e poi dandomi del “lei”. Assolutamente fuori di testa o forse aveva semplicemente un ego assurdo.

Ma...

“Che vuol dire: “Finché non potrò tornare a casa?” Dove mi trovo? E come ha fatto “Sua. Maestà.” a materializzarsi vicino a me? E questa storia del canto?”-Continuavo a farfugliare domande una dietro l'altra, quasi incomprensibili. Però mantennero tutti un comportamento paziente.

“Ti spiegheremo tutto più tardi.”-Disse Clarence.

“Fino ad allora puoi riposare nella tua camera.”-Concluse.

Nella “mia” camera?

 

Successivamente Gondo e Leo mi guidarono verso la tanto attesa (solo da me) stanza. Questo vuol dire che già mi aspettavano? Erano tante le domande, anche se in quell'istante la mia curiosità era rivolta verso l'arredamento: come sarebbe stato il mio momentaneo, ci speravo, alloggio?

Con tutti quei pensieri in testa, non mi accorsi che intanto eravamo già arrivati alla porta.

Come il resto, era di un legno scuro pregiato e lucidato. Il pomello era rotondo e d'oro: non ero sicura della sua autenticità, ma di sicuro brillava e rifletteva come uno specchio.

Lentamente, insicura, tesi la mano e girai il pomo d'oro facendo rimbombare nella silenziosa situazione un bel “Clack” e la porta si aprì. Con grande curiosità mi affrettai ad affacciarmi, scrutando ogni minimo particolare. Meraviglioso.

Ora che avevo la conferma di non esser finita in una topaia (anche se forse non era questo il problema) entrai del tutto e iniziai a guardarmi intorno con l'espressione di una bambina meravigliata. Il tutto accompagnato da frenetici “Wow” e “Non ci posso credere!”

Sì: avrei dormito in un posto da favola con un letto gigantesco e ghirigoroso, con la natura dipinta sui quadri e con tanti mobili e comodità degni di una principessa (chissà, magari anche Luv aveva dormito in quella stanza).

Appoggiati i piedi a terra e ristabilita una sanità mentale, mi girai e tirai un sospiro di meraviglia e sollievo: c'era un balconcino con una vista spettacolare. Ne approfittai e avanzai verso di esso, mentre Leo e Gondo se ne andarono lasciandomi sola.

Fantastico. Mi appoggiai alla ringhiera del balcone. Il vento, dolce, passava tra i capelli e li accarezzava. Passava anche sui prati fioriti che portavano un odore quasi nauseante di polline, ma io c'ero abituata. Mi ricordava un po' il mio rifugio e senza che me ne accorgessi mi stavo già preoccupando.

Mia mamma stava bene? Mi stava cercando, preoccupata? E Calzino?

Poi, spinto dal vento, un fiorellino di quel grande prato si stacco e si andò a posare sulla mia spalla: era una margherita bianca. Era fantastica. Geometricamente perfetta e con un lavoro da svolgere all'interno della natura. Bella sotto ogni aspetto. L'odore di polline era fortissimo.

Dopo averla guardata a lungo, lasciai la presa del fiorellino che volò via, sempre più lontano e in alto.

“Torna a casa piccolina.”-Sussurrai al vento.

Dopotutto, la margherita si poteva definire un po' … il mio fiore preferito.

Perfino il mio nome mi legava a essa.

Ma chissà, forse quel posto rientrava nelle tante tappe del mio destino.

   
 
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