TEKE-TEKE
La
campanella aveva finalmente suonato le tanto agogniate tre del
pomeriggio.
Quella
soffocante permanenza a scuola poteva dirsi definitivamente conclusa.
Odiava
starsene ore chiuso in quell’aula ad ascoltare le
ciarlatanerie di professori troppo
sicuri di sé, specialmente se fuori la primavera iniziava a
mostrarsi nel pieno
del suo splendore.
Amava
starsene all’aria aperta, nei grandi parchi ornati dai
ciliegi in fiore,
praticando esercizi di kendo con la katana bianca che aveva avuto in
dono dal
nonno.
Buttò
senza
cura i libri nella valigetta, fuggendo dall’aula.
In
nemmeno
cinque minuti si trovava già nel cortile
dell’istituto, dopo essersi fatto 4
piani a piedi.
Ghignò
soddisfatto, portandosi la valigetta su una spalla e incamminandosi
verso il
cancello aperto che dava sulla strada.
Casa
sua non
era distante, gli sarebbe bastato poco per raggiungerla, cambiarsi,
prendere la
katana e andare al parco che frequentava fin da bambino.
Pregustava
già l’odore dei fiori di ciliegio, che erano stati
disposti in due file
parallele e lineari anche lungo il viale della scuola.
Si
perse ad
osservarli, mentre gli studenti gli passavano accanto uno dopo
l’altro.
In
pochi
minuti la scuola rimase deserta.
Fu
allora
che un rumore distinto, riecheggiante in tutto quel silenzio,
arrivò alle sue
orecchie.
Proveniva
chiaramente dalle sue spalle.
Pensò
che si
trattasse di qualcuno che stava aprendo il lucchetto della propria
bicicletta,
desideroso come lui di andarsene da quell’inferno giornaliero.
Il
rumore,
però, persisteva, diventando sempre più
insistente.
Era
come un
fastidioso ticchettio, simile allo zampettare di un cane su un
pavimento
lucido.
Si
girò, più
per fastidio che per curiosità, guardandosi intorno alla
ricerca dell’ideatore
di quel suono.
L’unica
cosa
che vide fu una ragazza affacciata ad una delle finestre del terzo
piano, con
le braccia appoggiate sul davanzale, che osservava il mondo al di fuori.
Il
fastidio
scemò davanti alla sua naturale bellezza.
Pelle
diafana, corpo formoso (troppo per quell’uniforme
striminzita), capelli rossi e
fluenti.
Non
l’aveva
mai notata prima, ma la cosa non lo stupì più di
tanto: non era uno che passava
le sue giornate a guardare le sottane di ogni ragazza che si trovava
davanti.
Non
che non
fosse attratto dal genere femminile, e nemmeno che non piacesse a
quest’ultimo,
solo preferiva pensare ad altre cose.
Doveva
però
ammettere che quella ragazza era davvero stupenda, difficilmente
sarebbe
passata inosservata anche in un corridoio pieno di gente.
Ma
cosa ci
faceva ancora in classe?
La
campanella era suonata da un pezzo, e la scuola avrebbe chiuso fra
un’ora.
Che
si fosse
dimenticata qualcosa e fosse tornata a prenderlo?
In
quel
caso, non le serviva restare affacciata alla finestra a godersi il
panorama di
un istituto superiore vuoto.
Mentre
si
faceva tutte queste domande, la ragazza spostò lo sguardo su
di lui.
Rimasero
a
guardarsi per un po’, senza dire nulla.
Lui
non era
un tipo cordiale ed espansivo, lei sembrava piuttosto solitaria e
taciturna.
Poi,
la
ragazza gli rivolse un sorriso dolce, stringendosi le braccia intorno
al corpo.
Senza
nemmeno il tempo di batter ciglio, la vide precipitare dalla finestra a
gran
velocità, come un asteroide che colpisce terra.
Fu
allora
che si accorse di un particolare che lo fece raggelare.
La
ragazza
era totalmente priva della parte inferiore del corpo.
Come
poteva
una simile persona frequentare il suo stesso liceo, e per di
più affacciarsi a
una finestra come se nulla fosse?!
Gli
sembrava
di essere improvvisamente vittima di un orrendo incubo al quale gli era
impossibile sottrarsi.
Avrebbe
voluto andarsene via, ma le sue gambe si erano come bloccate, i piedi
incollati
al suolo.
Per
di più,
quella ragazza poteva essere morta, e andarsene fingendo indifferenza
era un
gesto meschino.
La
giovane,
però, era tutt’altro che deceduta, e ne ebbe
presto la prova.
Si
risollevò
da terra, facendo forza sui gomiti, iniziando ad avvicinarsi sempre di
più a
lui correndo su questi ultimi.
Era
una
scena raccapricciante.
Eppure
lui
restava lì, immobile.
Di
nuovo il
suono di poco prima arrivò alle sue orecchie.
Teke teke teke teke
Gli
fu
chiaro da dove provenisse: era il suono che facevano i gomiti della
ragazza
appoggiando a terra.
In
pochi
secondi lo raggiunse, balzando sopra di lui.
Si
ritrovò a
terra con sopra di lui la ragazza, o almeno quello che ne restava.
La
vide
estrarre dal nulla più assoluto una falce, di quelle che si
vedono solo nei
film dell’orrore, con la quale sferrò un colpo
preciso.
Un
dolore
lancinante, un grido che nessuno sentì.
Le
sue gambe
non c’erano più.
ANGOLO DELL’AUTORE
Lo
so,
questa è breve ma anche la storia in sé non
è complessissima, quindi era
piuttosto difficile darle una caratterizzazione profonda. Spero vi sia
piaciuta
comunque!
Metto come
solito delucidazioni sulla leggenda:
Teke-teke è
una leggenda
metropolitana giapponese, riguardante una ragazza che saltò
o cadde sopra i
binari e fu tagliata a metà dal treno in arrivo. La storia
narra di un ragazzo
che andando via da scuola, sentì un rumore alle sue spalle.
Voltandosi vide una
bella ragazza affacciata ad una finestra. La giovane aveva le braccia
posate
sul davanzale, e lo fissava. Quando si accorse di essere osservata, la
ragazza
sorrise e strinse le braccia intorno al corpo. All'improvviso, cadde
dalla finestra
ed atterrò sul suolo. Il ragazzo realizzò con
orrore, che lei aveva perso la
parte inferiore del corpo. La ragazza iniziò ad avvicinarsi
a lui, correndo sui
gomiti e producendo un rumore simile ad un teke-teke-teke.
Il ragazzo provò a camminare, ma congelato dalla paura non
si mosse. In pochi
secondi, lei fu sopra di lui, estrasse una falce tagliandolo a
metà e
rendendolo come lei. Si
dice che
i malcapitati che vengano uccisi in questo modo diventino teke-teke a
loro
volta.
Mancano
ancora due, forse tre leggende (devo vedere) e poi la raccolta
sarà conclusa!
Grazie
a tutti coloro che hanno seguito la storia fino a qui!
Baci
Place