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Autore: whitemushroom    11/10/2014    6 recensioni
Una serie di storie brevi dedicate ai protagonisti della serie Dissidia Final Fantasy spaziando in tutti i generi ed rating, un ciclo di avventure attraverso la lotta senza fine tra l'Armonia e la Discordia, il Bene ed il Male, l'Amicizia e l'Odio. Tutto secondo la volontà di un dado e la voglia di scrivere qualcosa insieme ad un amico.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Firionefp



Personaggio: Firion
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon.
Rating: giallo
Avvertenze: potrebbe non essere comprensibilissima se non si conosce bene la storia di Duodecim. Parto dal presupposto tutto mio (il gioco non specifica altrimenti) che dopo gli eventi di Dissidia i personaggi facciano ritorno al loro mondo senza ricordare nulla delle avventure trascorse nel gioco, ma potrebbe essere anche vero il contrario.


Entwined

Dopo la fine dei cicli

E’ una promessa.

“Tutto a posto, Firion?”
La mano di Maria scivola sul mio petto, calda come le coperte che ci nascondono al mondo; il respiro accanto all’orecchio mi riporta al suo fianco, scacciando le immagini che fino ad un istante prima mi affollavano la mente. Le lenzuola sono madide di sudore. L’ennesimo incubo.
Da oltre le finestre un lampo rosa rischiara la nostra stanza seguito dallo scoppiettare dei fuochi d’artificio della festa di Mahorona: probabilmente è da poco trascorsa la mezzanotte. Maria mi accarezza il viso e poi le mani, trascinando via gli ultimi frammenti del sogno con un bacio lento e delicato e costringendomi a voltarmi per raccogliere tutta la dolcezza di quel gesto.

E’ una promessa.

Due occhi azzurri mi fissano dal nulla, due iridi di donna che svaniscono in un turbinare di petali. Il bacio si rompe d’improvviso, come se un fulmine avesse attraversato i nostri volti; il suo sguardo viola si intravede appena nella penombra, ma non serve la luce per capire che l’ho spaventata. “Che ti succede, Firion?”
“Nulla, soltanto un …”

E’ una promessa.

La voce del mio incubo è lì, vicina come quella di Maria; i fuochi d’artificio esplodono al di fuori come una scarica, ma non riescono a cancellare quelle parole scandite come una richiesta. Quasi una preghiera.
Non so come, ma la rosa selvatica è tra le mie mani ed il cuore pulsa fin dentro le tempie, trasformandosi poi un sibilo basso. Maria cerca di venirmi vicino, di stringermi di nuovo per tenermi a sé, ma il petto mi batte come se volesse uscire da sotto la pelle e mi ritiro dalle sue bellissime mani. “Non avere paura. Soltanto un brutto sogno” sussurro, indeciso su chi io stia davvero cercando di convincere. “Ho solo bisogno di una boccata d’aria, non ti preoccupare …”
“Bugiardo” risponde lei, mettendosi a sedere sul letto e facendo passare lo sguardo dalla rosa selvatica a me; il suo corpo atletico lascia che le cicatrici scintillino alla luce della festa, come il simbolo delle battaglie che abbiamo combattuto insieme spalla a spalla fin nel palazzo dell’Imperatore, la prova della nostra complicità.
Non abbiamo mai avuto bisogno di domande. “Ti amo”.
Potrebbe chiedermi perché il mio fiore non appassisce, o perché il sole sorge ad est. Potrebbe chiedermi perché mi vesto nel cuore della notte, perché allaccio la cintura in tutta fretta, come se le dita non riconoscessero più la fibbia metallica. Potrebbe chiedermi cosa sono questi sogni che si tingono di rosa e poi di sangue, perché stasera i fuochi di Mahorona sono stati accesi nella Piazza della Repubblica e non in riva al mare, o perché non posso fare a meno di lei. Ma il suo “Lo so” riempie tutto il silenzio della stanza, cancellando i dubbi come parole scritte sulla sabbia.
Un ultimo bacio al sapore di nettare e poi le strade di Fynn mi trascinano prima che possa chiedere loro una spiegazione.

Non riesco ancora a credere che qui ci siano di nuovo strade, case, fontane, che la gente possa guardare il cielo senza temere la notte e coloro che vi camminano. L’aria è satura di salsedine, proprio come il giorno dell’invasione; ma quella sera il profumo della vita si era trasformato nel legno che bruciava sotto gli incantesimi dei maghi imperiali, nelle urla di coloro che non avevano scampo. Coloro che riuscivano a camminare sopra i propri cari erano accolti da lance e spade che guizzavano nel buio del fumo nero. Il campanile che proprio in questo istante segnala l’una di notte è in mattoni bianchi e ferro, ben diverso da quello che esplose durante l’assedio trascinando con sé i cittadini che si erano raccolti per pregare.
Per la gente sembrano passati centinaia di anni. Per me quelle fiamme sono vivide come se fosse ieri. La festa di Mahorona è l’ultimo anello che ci collega al passato, ideata per ricordare a tutti il giorno della caduta dell’Imperatore e l’avvento di una nuova era piena di luce; ma i fuochi d’artificio, la musica ed i giostrai sono soltanto una pagina del tempo, della memoria che lentamente verrà corrosa dal sale marino. Alcuni credono persino che se in questa notte vi sarà la luna piena nascerà un ponte tra il regno dei vivi e quello del morti … e forse sarà l’unica cosa che resterà di questa festa tra venti, cinquanta, cento anni, quando anche l’ultima statua dell’imperatore sarà stata abbattuta e trasformata in un masso per l’edera.
Ma in fondo … in fondo è meglio così.
Non siamo scesi nelle profondità del palazzo di Palamecia per torturare il futuro. Abbiamo affrontato la follia dell’Imperatore perché credevamo in un sogno, in quattro sogni, in migliaia di sogni di poter ricominciare di nuovo senza paura, perché nessun bambino ricordi mai quello che è successo a Fynn, Altair o Paloom. Perché tutto il continente potesse riempirsi di rose selvatiche ed annegare i piccoli dispiaceri di ogni giorno nel loro profumo; un sogno che è sbocciato quando Maria e Guy mi hanno ritrovato un mese dopo la battaglia contro l’Imperatore Mateus, svenuto nel basamento del palazzo con quel fiore tra le dita.
Non so perché sia uscito con la mia rosa in mano, ma quando respiro quella fragranza … è come tuffarsi con amici lontani.

E’ una promessa.

“Mi prenda un accidenti se non è il leggendario Firion in carne ed ossa!”
La sagoma di un uomo emerge da una stradina, un piccolo percorso che arriva fino al mare; potrei giurare che fino a quel momento la via fosse deserta, ma evidentemente quei pensieri e quegli strani occhi azzurri mi avevano trascinato troppo oltre. Un errore da non commettere una seconda volta. L’uomo si sbraccia nella mia direzione, poi corre e prima che possa prendere le distanze si ritrova con il fiatone a pochi passi da me. “Non pensavo che mi sarei imbattuto nell’eroe della Resistenza in una serata come questa!”
Riprende il respiro scostandosi i lunghi capelli neri dalla testa. I suoi occhi si posano sulla rosa selvatica, e prima che possa fare qualsiasi domanda la faccio sparire sotto il mantello. “Ci conosciamo?”
“Più o meno. Più meno che più, ad essere onesti! Con il mio lavoro è facile incontrare un sacco di gente!” risponde, e se il mio gesto infastidito lo ha colpito in qualche modo lo nasconde sotto un enorme sorriso. Mi tende una mano. “Laguna Loire, cronista di guerra. Penso di averti incontrato sul campo, ma forse non ti ricordi! Sai, è una vita che vorrei intervistarti, sei una ce-le-bri-tà, fattelo dire! Ti prego, ti prego, ti prego, ho una valanga di domande da …”
“Laguna, no! Tutto ma un’intervista NO! I miei timpani non reggeranno!” dice una seconda persona cogliendomi del tutto alla sprovvista. Un ragazzo dai capelli biondi compare alle mie spalle, con un cartoccio di ciambelle fumanti nella mano e la faccia di chi ne ha appena mangiate almeno un’altra dozzina. Il suo passo è così leggero che non solleva un granello della sabbia che riveste parte della strada. Mi fa un cenno di saluto, poi mette il suo prezioso bottino tra le mani dell’altro e lo trascina lontano ignorandone le proteste. “Scusa, amico, ma sono certo che tu non vuoi essere davvero intervisto da Laguna a meno che tu non sia completamente ubriaco! Adesso leviamo il disturbo e ti lasciamo andare … vero, Laguna?”
“Ma il mondo deve sape …”
I due si incamminano verso la spiaggia con difficoltà, uno tirando e l’altro spingendo, molto meno eterei di quando sono mi sono apparsi; l’uomo di nome Laguna minaccia di gettare le ciambelle nella sabbia e per tutta risposta l’altro gli tira una gomitata nelle costole, riempiendolo di insulti con il suo strano accento che ricorda quello parlato nella città di Bafsk. Anche i loro abiti sono strani, specie quello del biondino che non sembra essersi accorto che le notti di Fynn, a dispetto della presenza del mare, sono molto più fredde di quelle di Salamand. Forse è per questo che mi ritrovo a ripercorrere le loro orme, ipnotizzato dal veloce scambio di battute che miracolosamente non ha ancora svegliato nessuno.
Tre persone li stanno attendendo, seduti intorno ad un piccolo bivacco che resiste nonostante il vento della notte. Due ragazze ed un uomo in armatura nera si voltano verso i due rumorosi compagni, poi posano lo sguardo su di me. “Ragazzi, non indovinerete mai chi abbiamo incontrato alla festa. Lo stoico, incorruttibile, eroico, leggendario Firion! Poi non ditemi che questa non è la nostra serata fortunata! Coraggio, facciamogli un po’ di posto, così magari inganniamo l’attesa ascoltando le sue grandi gesta di guerra”
Il biondo alza gli occhi al cielo, poi mi fa sedere sulla sabbia calda e mi offre una ciambella. Una delle ragazze mi rivolge un sorriso accompagnato da un timido cenno della mano mentre l’altra –con una maglia bianca così aderente che devo fare uno sforzo notevole per non farmi venire strani pensieri- mi saluta con una stretta di mano. Una martellata sulle dita farebbe meno male.
Il guerriero mi guarda soltanto, poi esce dal cerchio ed osserva la luna piena come se il resto del mondo non esistesse.
Perdo qualche istante a massaggiarmi la mano, e questo ennesimo errore fatale consente a quel Laguna di prendere nuovamente il controllo della situazione superando le parole di tutto il gruppo con la sua voce; per un istante mi sembra davvero di averlo incontrato da qualche parte, anche se per quanto mi sforzi non riesco a ricordare il quale base possa aver scambiato qualche battuta con una persona simile che tutto sembra in grado di fare tranne che passare inosservato. Di certo non a Fynn. Né ad Altair. “Qui il vostro inviato Laguna Loire, per il Timber Maniacs. Dopo lo speciale dedicato alle Guerre di Vayne e ai segreti della Avalanche, mi ritrovo nella regione di Palamecia, più esattamente nell’accogliente città di Fynn, per raccogliere le testimonianze di uno degli eroi della Rosa Selvatica, il movimento di resistenza contro l’Imperatore Mateus che è riuscito ad impedire l’espandersi del regime tirannico in tutta la regione. Ma prima di dare la parola al nostro amico Firion permettetemi di mostrarvi qualche scatto di questa fantastica città per immergervi completamente nel …”
Grazie al cielo il discorso viene inghiottito dal suono della risacca. Laguna estrae da una sacca alcune illustrazioni e le mostra alla ragazza dai capelli neri, poi trascina tutti nelle sue parole come se fossimo in un vortice. Ma è un vortice piacevole, sereno, come il canto di un bardo interrotto soltanto dai grugniti del più giovane. Il vento si alza, eppure il fuoco del bivacco resiste; le sue fiamme si piegano, illuminando a sprazzi le sagome di questa combriccola singolare di una tinta scarlatta difficile da descrivere, così incantata che gli occhi della ragazza silenziosa sembrano essere di due colori diversi. Nonostante lo schiamazzo di Laguna in questo luogo regna il silenzio. O forse è il debole ticchettare delle lancette del tempo. Maria si sarà addormentata, questa notte sembra una coperta nera lontana dal mondo che dovrebbe proteggere.
“Scusate il ritardo, ragazzi!”
Una figura compare dal buio della riva, gli stivali che affondano leggermente nella sabbia umida. In un attimo tutte le stelle si radunano nel suo mantello scarlatto.

E’ una promessa.

Il tempo gira, si muove, si intreccia come se un drago stia scuotendo la terra con un ruggito senza suono. La sua coda si avvolge intorno alla luce mentre sale al cielo, il cielo racchiuso in quegli occhi azzurri che mi fissano dal lato oscuro dei miei incubi. Stiamo in piedi e la guardo, mi guarda, la guardo e lei respira, ci troviamo sulla riva del mare e su una torre diroccata a centinaia di metri dal mondo, le sue gambe perse nel vuoto. Il sole dell’ultimo pomeriggio invade la notte, ma per quanto mi sforzi di unire la voce a quel coro silenzioso la mia lingua è incollata al palato, incapace anche del più piccolo movimento. Mi ritrovo con la rosa selvatica in mano senza alcuna ragione al mondo, a parte che il fatto che i capelli della donna immobile davanti a me sono una cascata di petali chiari. “Ma guarda chi si rivede dopo tanto tempo … non sei cambiato affatto …”
Il tempo non è una ruota. È una scala. Una scala su cui si può solo salire, senza fermarsi. Perché se ci si ferma si guarda nell’abisso azzurro dove il drago ha creato il suo regno, divorando gli scalini di una strana guerra che adesso inizia a martellare, a bruciare il tempo fin nelle sue fondamenta; c’è un giardino lì sotto, e Laguna ha trovato qualcosa. Se cadessi non morirei; potremmo esplodere insieme in un turbinare di petali e cercare di raggiungere l’alba sul soffio della belva immortale.
“Grazie per essere venuto. Credevo te ne fossi dimenticato” mormora, sciogliendo il fiore dalla mia presa. Sta bene tra le sue dita. È il suo posto, dopotutto. Da quassù la città è soltanto un ammasso di rovine davanti a cui prometterci qualcosa prima il drago torni di nuovo a soffiare, in attesa della nostra attesa. Che adesso so essere finita. “Sapevo che non l’avresti persa. Era il tuo sogno, dopotutto”.
Non era un sogno.
Era una fantasia.
Ritorna il mare, e l’acqua calda ci bagna i piedi; i ricordi sono soltanto bugie, un dipinto per chi sogna. “Grazie, Firion. Sii felice”.
Non è il bisogno d’aria a farmi aprire la bocca, ma qualcosa di pericoloso, come il tempo si fosse deciso a correre una seconda volta, più veloce di prima, battendo insieme al mio cuore. “Come … come ti chiami?”
“Non credo che la cosa abbia molta importanza, ormai. Ma ti do un indizio”.
Il suo viso è triste, ma adesso la rosa selvatica può fiorire in eterno. E la scala crolla. “… inizia per L”.
C’erano due dei in una lotta senza fine. Una lotta che non capivamo, o non volevamo capire, o in fondo trovavamo quasi affascinante; l’Imperatore non era morto, ma poteva morire di nuovo. Il mio sogno era un campo pieno di rose selvatiche, dove la gente potesse appoggiare le armi e lasciarle sprofondare nella terra, creando nuovi fiori. Il suo non l’ho mai saputo, ma anche lei amava le rose. Qualcuno sognava di tornare a casa, qualcuno di tuffarsi e diventare tutt’uno con il lago davanti al castello. Lei odiava gli dèi. Io soltanto uno. Forse anche loro hanno salito la scala del drago. E quando trovo il suo nome fa soltanto freddo.
Il fuoco del bivacco è spento, c’è solo qualche ciocco di legna annerita. Non c’è nessuno, nemmeno un’orma sulla sabbia o una ciambella lasciata a metà. Soltanto io ed il mare. Potrei voltarmi e chiamare i loro nomi uno ad uno, ma so che sarebbe soltanto l’ennesimo gesto privo di senso; piangere in ginocchio lo è già abbastanza.
Un unico petalo galleggia sull’acqua, reso ancora più chiaro dal riflesso luna piena.

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Per i non addetti ai lavori potrebbe essere utile guardare questa brevissima clip del gioco (assolutamente non spoiler)

https://www.youtube.com/watch?v=n6cMY03voOs
  
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