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Autore: Not_Lollipops    12/10/2014    2 recensioni
E’ strano come tutto quello che percepiamo sia direttamente collegato alle nostra aspettative, credo che siano in realtà le aspettative a fotterci. Quando abbiamo aspettative nutriamo una sorta di attaccamento e gli diamo importanza; rimaniamo delusi se la realtà non raggiunge le nostre aspettative. Al contrario, senza aspettative, tutto può stupirci e deluderci incondizionatamente. E penso che sia questo il segreto di Frank; non nutriva alcuna aspettativa, era in balia del destino.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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You may wake up and notice you’re someone you’re not

 

Sta per caso sfidando la mia pazienza? Leggo ancora il messaggio sul display del cellulare, tenendo il cellulare sotto il banco, nel modo più naturale possibile e cercando di rilassare la fronte corrugata in una smorfia di disapprovazione. La ragazza seduta davanti a me sta leggendo qualcosa di noioso riguardo la tavola periodica o giù di lì.

 << In cortile sotto l’albero. >>

E va bene, Iero. In cortile sotto l’albero. Guardo con impazienza l’orologio appeso sul muro, i minuti sembrano non passare mai, più lo fisso e più sembra essersi fermato; eppure le lancette corrono sotto il mio sguardo e non me ne accorgo immersa nei pensieri più diversi come sono. Aspetto con ansia la pausa pranzo, febbricitante e nervosa, che voglia chiedermi di uscire? Cosa diavolo vorrà dirmi?

Mi aspetta seduto sotto l’ombra di Queen, con una sigaretta in mano e una lattina di Coca-Cola appoggiata sull’erba affianco a sé. Indossa la camicia bianca col logo della scuola con le maniche arrotolate ai gomiti, una cravatta slacciata a righe rosse e blu e un paio di jeans con le ginocchia strappate. Ha gli occhi chiusi appoggiato alla corteccia dell’albero, con un lato del viso rivolto al sole; sembra quasi angelico. Mi avvicino piano, cercando di non fare alcun rumore che potesse fargli cambiare posizione, mi siedo vicino a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. Mi passa un braccio intorno alla vita e solleva gli angoli della bocca.

“Che cosa volevi dirmi?”- chiedo giocando con il lembo della sua camicia candida
“Volevo solo stare un po’ con te…” – gira la testa e quando mi guarda mi irrigidisco. Ha l’occhio sinistro pesto e il lato superiore del labbro spaccato. Non so per quanto tempo lo sto a fissare, ma deve essere parecchio perché lui sbuffa e spegne la sigaretta.
“Che diavolo hai fatto?”- dico portando le mie mani al suo viso, mentre con il pollice gli accarezzo una guancia. “Niente.”- sussurra; mi passa una mano dietro alla nuca, accarezzandomi i capelli tra le sue dita, si avvicina a me sempre di più e poi si ferma a pochissimi centimetri dalla mia bocca. Mi lascia fare quel piccolo tragitto per unire le nostre bocche.
“Cos’è quello?”- separandoci ripeto la mia domanda un’altra volta con l’indice puntato al lato sinistro della sua faccia, e ottenendo la stessa risposta questa volta più scocciata. “Che cazzo significa niente? Come te lo sei fatto?”

“Che cos’è un interrogatorio, Cristo? Che cazzo vuoi?” – sputa arrabbiato, alzandosi da terra. Quando raccoglie la lattina, la risposta che avevo formulato nella mia testa viene confermata. Frank ha le nocche delle mani livide, alcune sbucciate, ferite molto recenti.
“Che cazzo fai, Frank? Risse, è così?” – mi alzo a mia volta, portandomi alla sua stessa altezza, arrabbiata almeno quanto lui –“ Anche se fosse? Non sono cazzi tuoi.”
“ Vai a fare a botte? Che cazzo di problemi hai, tu?”
“ Vaffanculo Carter.”- sbotta cercando un’altra sigaretta e infilandosi tra i denti. Gli prendo la Malboro e la butto a terra calpestandola ferocemente. Raccolgo la mia borsa e gli alzo il dito medio contro. “No, Frank, vaffanculo tu.”

Mi raggiunge e mi ferma per un braccio. Sento che gli occhi si stanno facendo lucidi e non voglio piangere, non in cortile, non a scuola, non di fronte a lui. Le poche persone rimaste fuori, per il tempo ,che ormai s’è fatto nuvoloso, rientrano e rimaniamo soli. Mi prende i fianchi e mi bacia con dolcezza, sfiorando con le dita la mia guancia un po’ umida, forse gli sto piangendo un pochino addosso. Mi allontano da lui, spingendolo con entrambi i palmi delle mani sul suo petto e mi asciugo gli occhi. “Sei uno stronzo.”

“Ho fatto a botte, va bene? Qualche giorno fa…”
“Perché?”
“Una stronzata, non li conosco nemmeno… Ero ubriaco.”
“Idiota.” – replico seria, Frank mi sorride e si avvicina, sussurrandomi parole dolci all’orecchio. Prende a baciarmi il collo, indugiando parecchio nel piccolo spazio della mia maglia che scopre le clavicole. Lo prendo per i capelli della nuca, costringendolo a guardarmi, Frank sfoggia uno sguardo languido da perfetto bastardo. “Non farlo più. E’ un ordine” – gli dico seria, ghigna e mi bacia di nuovo.
 
“Sai cosa vorrei fare?”- domanda mentre camminiamo diretti a casa mia, con l’ andatura lenta tipica del venerdì pomeriggio  – “ No, cosa? “– chiedo automaticamente, calciando un sassolino con la mia converse blu slacciata.
“Scappare.” – mi fermo, riflettendo sulla sua risposta e  guardo i lacci che vengono trascinati sull’asfalto del viale – “Mi fai i lacci, Frankie?”- lui mi guarda stranito
“Che?” – chiede divertito con la fronte corrugata, ripeto la frase più lentamente scandendo le parole – “Allora?” – muovo il piede sinistro sollevandolo, lui si inginocchia poggiando il piede sulla sua gamba e inizia a stringere i lacci. Gli sfilo la sigaretta dalle dita, portandola alla bocca e aspirando. Sento le labbra gelarsi appena me la toglie, riappropriandosene.

“Dove ti piacerebbe andare?”– metto le mani nella felpa – “Ovunque pur di lasciare questo buco. Non fraintendermi, mi piace il New Jersey ma... cerco qualcosa di più della solita merda.”
“Devi essere tu a renderlo migliore, tutto è una merda, ma ci sono cose che lo sembrano di meno” – penso ad alta voce
“Potresti svegliarti un giorno e accorgerti che sei qualcuno; ma quel qualcuno non sei tu, tu”- disse il ragazzo, finendo di allacciarmi la scarpa – “E allora vorrei andare via, in qualunque altro posto, ma vorrei svegliarmi e accorgermi che quel qualcuno sono io.”
“Io vorrei andare in Inghilterra, non importa quale città, vorrei solo stare abbastanza vicino a Londra da poter andare a vedere il Tamigi quando mi pare…”
“Ci sono stato.” – dice lui – “A Londra, ci abitano i nonni di Gerard… e quando doveva andare a trovarli, a Natale, certe volte ci portava con lui, per non stare solo… credo.”
“Com'è?” – chiedo, casa mia si fa sempre più vicina e vorrei stare con Frank ancora un altro po’ – “ Assolutamente sorprendente, incantevole, magnifica… è tutta un’altra cosa.”

Mi fermo davanti alla porta di casa e infilo la chiave nella toppa, prima di girarla però mi volto, aspettandomi di vedere le spalle di Frank che si allontanano ritornando sui loro passi, Frank è dietro di ma che guarda in alto verso il finestrone della mia camera.
“E’ tuo quel gatto?” – chiede indicando Elmo che è seduto sulla specie di piccolo letto sotto la finestra e ci guarda miagolando – “Già. Vuoi…?”- gli chiedo girando la chiave e aprendo la porta. Lui entra senza far rumore e si guarda intorno camminando nel soggiorno.
“Questa sei tu?”- tiene in mano una mia foto di tanti anni fa. Sono sulle ginocchia di mio padre addormentata mentre lui sorride alla fotocamera. Annuisco piano. Mi segue su per le scale, fino ad arrivare alla mia stanza, tolgo le scarpe e le lancio sotto il letto con un calcio.

Bienvenue” – dico con accento francese, aprendo la porta con un gesto teatrale – “Voila ou ménent les mauvais chemins!
“Stai citando Oscar Wilde!” –replica Frank sorridendo, me ne stupisco un po’. Insomma Frank è molto intelligente eppure non sembrerebbe il tipo da “De Profundis”
“L’hai letto davvero?” – chiedo sedendomi sulla nicchia che mi sono creata vicino il finestrone
“C’è un odore di more, lo sai?” – ignora la mia domanda mentre sfiora con le dita le fotografie appese alla parete, sorride quando trova una foto mia in costume con due mie amiche al mare. – “Perché profumi di more”

“Stasera abbiamo un buco” – passa in rassegna i miei CDs sulla mensola – “In un pub, è carino, potresti venirci”
“Ah, non lo so…” – gli rispondo. Prendo il cellulare e controllo i messaggi, ricordandomi di dover scrivere a mio padre – “Può darsi che mio padre venga qui a cena, non lo vedo da un po’ ”
“Capisco” - mormora lui. Frank si sdraia accanto a me, poggiando la testa sulla mia pancia e le mie gambe, mentre ancora scorro il display. Mi prende il telefono, attivando il blocco e portandoselo sotto la schiena con un gesto abile. Serra gli occhi sogghignando, sfidandomi apertamente.
“Non sapevo avessi buon gusto in fatto di musica”- Frank apre finalmente gli occhi, aggirando qualsiasi mio tentativo di riprendere il cellulare. – “Voglio dire, i misfits? Davvero?”
“Sì, scemo. Ora dammi il telefono.” – gli porgo il palmo della mano aperto, in attesa che me lo ridia – “ E anche Kafka, non credevo volessi angosciarti così, volpe” – ritenta Frank in un vano tentativo di distrarmi.
“Ho il cuore tenero per i casi disperati.”- dichiaro sarcasticamente, prendendo finalmente l’apparecchio dalle sue mani – “E io sarei un caso disperato?” – domanda in modo melodrammatico il ragazzo
“Oh, molto di più.” – rido sulle sue labbra, posizionandomi sopra di lui.

Accosta le mani sui miei fianchi, muovendosi per stare più comodo, infila le dita sotto la mia maglietta. Geme gutturalmente quando accidentalmente mi scontro contro la patta dei suoi jeans, le sue dita tracciano un percorso ampio dal collo al fondo schiena, mentre mi inumidisce il labbro dolcemente. Si stacca da me guardandomi felice negli occhi.

“Devo andare, Car.” – dice Frank un po’ riluttante – “Farò tardi…” – lo bacio ancora una volta e ride passandomi una mano tra i capelli. Si alza dalla sua posizione precedendomi, spostandomi fermamente dal suo bacino. Cerca le sue scarpe in ginocchio, gliele indico dopo che spende trenta secondi per individuarle. Si accosta a me dopo averle infilate, mi alzo in piedi e lo conduco alla porta d’ingresso restia a lasciarlo andare.

“Allora ci vediamo presto.” – dice sorridente – “Ti mando lo stesso le coordinate del locale, in caso cambiassi idea.”

Gli sorrido e lo bacio nuovamente, allacciando le braccia intorno al suo collo, mi accarezza il collo mentre si allontana da me per attraversare l’uscio della porta. Si passa una mano tra i capelli e mi fa l’occhiolino. Chiudo la porta e sorrido tra me e me, stranamente felice.


Writer's corner: Come promesso, ho aggiornato in tempo, per adesso la storia sta andando un po' a rilento; ma dai prossimi capitoli inizierà a prendere una nuova piega. Lasciatemi una recensione e ditemi cosa ne pensate. Love ya all xx
 
  
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