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Autore: _Frame_    12/10/2014    2 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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7. Acciaio e Carezze

 

Germania abbassò la frontiera del cappello, calando l’ombra sul viso. La stoffa della divisa cominciava a tirare. Infilò due dita nel colletto della giacca e si sfregò la pelle calda e sudata. Il sole batteva sulla facciata del Reichstag, illuminava le vetrate. Germania respirava piano, il corpo rigido, impietrito. Il cuore soffocato in una morsa.

“Uffa, ma perché gli italiani sono sempre in ritardo?”

Prussia fece un passo di lato ed emise un sospiro. Gilbird svolazzò da una spalla all’altra con un veloce frullio d’ali.

“Spero non si siano fermati per strada a, non so, mangiare, dormire, o qualsiasi cosa facciano.”

Prussia tornò a voltarsi e lanciò un’occhiata alla folla ammassata sulla strada che fiancheggiava il palazzo. Le sopracciglia inarcate, il naso arricciato.

Germania tenne due dita sulla frontiera del cappello e si nascose lo sguardo dietro al braccio sollevato.

“Anche tu ti sei fatto aspettare,” disse.

Prussia sputò una risata. Le dita si allargarono sul petto, sotto la croce di ferro, e le spalle si gonfiarono. “I bellissimi si fanno sempre aspettare. È un dogma, West.”

“Mhm.” Germania sollevò un sopracciglio.

Sfilò le dita dalla frontiera e le intrecciò con quelle dell’altra mano dietro la schiena. Gli occhi chiari riflettevano i raggi del sole, ma il viso era scuro, ingessato.

“Mi chiedo se...” sussurrò Germania.

Prussia tornò a mettersi di fianco a lui. Gli rivolse un’occhiata interrogativa, e l’espressione tornò seria.

Germania abbassò le spalle. “Mi chiedo se stiamo facendo la scelta giusta.”

La folla gridò con più forza. Si elevò un boato che fece sobbalzare Gilbird, ma né Prussia né Germania ci badarono.

“Riguardo cosa?” chiese Prussia.

“Tutto.”

Prussia ridacchiò. Chiuse le palpebre e sollevò verso l’alto gli angoli della bocca, infossandoli nelle guance. “Vedrai che andrà bene. Finché teniamo noi le redini non ci sarà da preoccuparsi.” Riaprì un occhio, alzando un sopracciglio. “E poi Italia è uno spasso, quello scemotto sa essere proprio divertente, quando vuole.”

Germania si strinse le spalle e scostò il capo di lato. La sua voce gorgogliò per un attimo. “Non... non ti aspettare troppo da lui.” Le mani strette dietro la schiena diventarono roventi sotto la stoffa dei guanti, una vampata di calore gli travolse tutto il viso. “Non è tipo da fare pazzie.”

“Oh.” Prussia fece un passo di lato e gli diede una piccola gomitata sul fianco. L’indice puntò l’ammasso di persone sulla strada. “Pazzie come questa?”

“Cosa?”

Germania si voltò. Guardò oltre la strada, oltre la folla, oltre le bandiere. Due palchetti rialzati erano levati nei punti dove la via che costeggiava il Reichstag si incrociava con i due rami di strada sterrata che strisciavano fino all’entrata dell’edificio. Erano sgombri, le persone tutte attorno, ammucchiate come se fossero state loro a tenerli in piedi. Germania fece un passo avanti. Due dita della mano sul visore del berretto, per tenersi ombra.

Due braccia saltavano sopra il fiume di teste. Sventolarono e scomparirono. Le mani tornarono a innalzarsi, le dita si agitarono e si aggrapparono alle sbarre in ferro di uno dei palchetti. Cinque gradini per salire, e cinque per scendere.

Germania sbarrò gli occhi. “Mein Gott.

“Ci sta rubando la scena.”

Gli occhi di Germania scoccarono su Prussia, sconcertati.

Prussia sollevò il mento e chiuse gli occhi. La fronte lievemente aggrottata. “No, dico, lasciando stare il fatto che sia anche divertente da guardare, il suo esibizionismo getta ombra sulla mia magnifica persona. E anche su di te.”

“Quello scemo.” Germania serrò la mascella.

Italia era arrivato in cima alla piattaforma. Sventolava le braccia per aria, muovendo la bocca. I piedi saltellavano a ogni agitata di braccia. Italia abbassò le mani, le chiuse a cilindro di fianco alle labbra. Il suo urlo venne inghiottito dalle grida della folla.

Le spalle di Germania si abbassarono, la schiena si gonfiò, i muscoli irrigiditi tornarono a rilassarsi. Germania scosse piano la testa e sospirò. Allungò un piede e saltò giù dalla scalinata del Reichstag.

“Aspetta, West, dove vai?”

“A prenderlo. Uno come lui sarebbe capace di farsi travolgere.”

Germania aggrottò la fronte e fece schioccare la lingua tra i denti. Scemo, perché non sei rimasto in auto?

“Ma è divertente,” si lamentò Prussia. “Magari riesce ad arrivare fino a qui lasciandosi trascinare dalla folla.”

“Per l’amor del cielo!”

Germania corse verso il palchetto sulla strada. I muscoli stretti dalla divisa e dagli scarponi si intorpidirono, il cuore cominciò a martellare.

 

.

 

I raggi del sole incorniciavano la sua figura, una sagoma scura eretta sul piedistallo alto cinque gradini. Le braccia di Italia continuavano a sventolare, la bocca a muoversi.

“...erm... a! Ge... i...”

Germania fermò la corsa sotto l’ombra del piedistallo. Lo sguardo alto, gli occhi sbarrati. La folla non urlava più. Goffe figure grigie emettevano suoni ovattati, come in una pellicola al rallentatore. Germania prese un forte respiro. Il sudore gli incollava i vestiti alla pelle.

“Italia!”

La sagoma nera vacillò. Le braccia si abbassarono, e la figura barcollò di lato. Una lama di luce passò di striscio sul suo viso, gli carezzò la guancia, allungò l’ombra del ciuffo di capelli che rimbalzava sulla spalla, e si riflesse negli occhi. Due scintille nocciola che brillavano in mezzo al grigio.

Italia sollevò gli angoli della bocca. Le labbra sorrisero insieme allo sguardo. “Germania!” Saltò sul primo gradino a braccia spalancate. Gli occhi già lucidi fissi su Germania, come se avesse paura che potesse andarsene di nuovo.

Germania fece un altro passo in avanti. Aveva ripreso colorito in volto, il calore al petto si stava espandendo. Italia fece due gradini alla volta. Il piede atterrò sul laccio sciolto dello scarpone e la corda si tese. Italia si guardò in mezzo alle gambe e traballò sbattendo le braccia in aria come un uccellino che spicca il volo.

“Ohw~!”

Germania saltò in avanti con uno scatto. Le sue braccia si tesero davanti al petto, i palmi rivolti verso l’alto. Una piega di panico incrinò il volto di pietra. Ma perché non impara ad allacciarsele, una buona volta?

Italia si sbilanciò in avanti ed entrambi i piedi spinsero sull’ultimo gradino. Le gambe s’intrecciarono, lo slanciarono in aria a volo d’angelo. Con il sole negli occhi, Germania fece l’ultimo passo. Le braccia di Italia gli imprigionarono il collo, si strinsero sopra le spalle e le dita si aggrapparono alla stoffa della divisa. Una stretta violenta, avida.

Germania barcollò all’indietro con le braccia ancora tese in avanti, rigide. L’abbraccio di Italia lo aveva raggelato come un laccio di elettricità. Lentamente, il respiro di Italia soffiò caldo vicino al suo orecchio, il petto si mosse contro il suo, le dita scorsero sul collo fino a intrecciarsi con i capelli. Un tocco soffice, che gli solleticava la nuca. Germania ricominciò a respirare. Sentì il dolce profumo dei capelli di Italia, premuti su una sua guancia, il forte odore della stoffa dell’uniforme e della pelle dei sedili dell’auto. Germania socchiuse le palpebre e lasciò scivolare il suo viso ancora più vicino alla nuca dell’altro. Le braccia tese come fasci di nervi si chiusero lentamente.

È solo perché è caduto. Se non l’avessi afferrato, ora si sarebbe rotto il naso.

Le mani si sollevarono, sfiorarono la schiena di Italia, le dita scivolarono sui fianchi. Lo toccarono lentamente, come per paura di romperlo.

Solo... per non farlo cadere...

I cuori che rimbombavano sui petti, i respiri che soffiavano nelle orecchie.

...potrebbe... ancora cadere...

Le dita di Germania si chiusero stropicciando la stoffa. Lui strizzò gli occhi e appoggiò il mento sulla spalla di Italia. L’abbraccio silenzioso s’irrigidì. Si strinsero entrambi come cuccioli nella tana.

Il corpo di Italia si scosse, mosso da piccoli tremiti. I singhiozzi risuonarono vicino al capo di Germania. La spallina della divisa si inzuppò di lacrime calde. Germania esitò. Riaprì gli occhi e inarcò un sopracciglio. La bocca contorta in una smorfia.

“E adesso perché piangi?” Le mani non lo mollavano.

Italia singhiozzò di nuovo. Affondò il viso nell’incavo del collo di Germania e rimase lì a bagnarlo di pianto. “Perché...” Tremò. Le parole risucchiate dai singhiozzi. I due petti si staccarono. Germania inclinò la schiena all’indietro fino a trovarselo di fronte. Le lacrime di Italia continuavano a correre sulle guance paonazze. Sgorgavano dagli occhi socchiusi e rotolavano fin dentro le labbra piegate in un sorriso. “Sono felice.”

Altri singhiozzi. Italia si appese alla divisa di Germania e si immerse con il viso, restandogli incollato. Il cuore batté più forte, Germania lo sentì rimbombare conto la sua cassa toracica. Le mani di Germania scivolarono lentamente dai fianchi dell’altro. Le dita sciolsero la presa, gli occhi si abbassarono.

Italia continuava a piangere e a tremare. “Non scappo più.”

Germania sbatté le palpebre e gli scoccò un’occhiata confusa.

Italia scosse la testa, strofinando la fronte contro di lui. “Prometto che non scappo più. Te lo giuro, te lo giuro, te lo giuro.”

Germania sospirò. Sollevò solo un braccio e glielo cinse sotto le spalle. I corpi di nuovo vicini. Il viso di Germania si avvicinò a Italia e gli sussurrò tra i capelli. “Scusami.”

I singhiozzi cessarono di colpo. I tremori sparirono.

Germania si impietrì e strinse il braccio. “Scusami. Non succederà,” il tono basso tornò fermo, “mai più una cosa simile.”

Italia scosse la testa. Sollevò la punta del naso e gli sorrise. Gli occhi gonfi, lucidi e rossi. Ma felici. “Va tutto bene. A me non importa più.”

Lo sguardo di Germania era scuro sotto l’ombra. Gli occhi socchiusi erano sormontati da una piega di dolore.

Italia si mise in punta di piedi e chiuse gli occhi, allargando il sorriso. “Questa volta andrà tutto bene, no?”

Germania annuì deciso. La mano sulla schiena di Italia si sollevò, gli strinse la spalla. “Sì.”

L’automobile nera aprì lo spazio tra l’ammasso di persone sulla strada. Fiancheggiò il palchetto dal quale Italia era volato e si fermò poco più avanti. Italia si sciolse dall’abbraccio e fece un piccolo saltello, voltandosi verso l’auto. La mano alzata e sventolante.

“È arrivato Romano!”

Lo sportello davanti si aprì e il conducente scese sulla strada sgombra, libera dalla folla. Infilò le dita dentro la maniglia posteriore e si piegò lievemente in avanti.

“Bella comparsata.”

Italia si voltò di nuovo. Gilbird svolazzò sopra le spalle di Prussia e si accoccolò vicino al suo collo. La croce di ferro sulla divisa splendette sotto i raggi del sole, insieme alle altre decorazioni dell’uniforme. Prussia si posò un pugno sul fianco e fece un sorriso che mise in mostra uno dei canini appuntiti. Gli occhi rossi accesi come fiamme.

“No, sul serio, ci è mancato poco che tu mi rubassi la scena con quella trovata.” Prussia levò lo sguardo al cielo e si gonfiò il petto. La voce arrogante divenne ancora più graffiante. “Dovrai esercitarti mooolto di più, però, per riuscire ad avvicinarti a uno come me.”

Germania scosse la testa ed emise un piccolo sospiro.

“Veneziano.”

Tutti gli occhi puntarono Romano, comparso di fianco al fratello. Italia gli sorrise, ancora scosso dalla sorpresa. “Fratellone.”

“Stavi piangendo?” Romano aggrottò la fronte. Lo smalto dei denti stridette.

“Oh.” Italia si strofinò la manica della divisa su tutta la faccia e prese respiri profondi. “Va tutto bene, non è niente.” Tolse il braccio e sorrise di nuovo, a palpebre chiuse. “Ora sto bene.” Il viso era ancora rosso.

Lo sguardo truce di Romano si incrociò con quello di Germania. Le pupille di Romano si infiammarono, i muscoli irrigiditi presero a tremare, le labbra vacillarono. Romano fece schioccare la lingua e si voltò di profilo. Mento alto, occhi chiusi, naso arricciato, i denti sempre serrati. Romano strinse un pugno, e il formicolio di rabbia che gli nasceva nello stomaco si arrampicò fino al petto.

 

♦♦♦

 

Le dita di Italia sorressero il foglio, sollevandolo dal tavolo. I polpastrelli passarono sui bordi, senza toccare l’inchiostro fresco dei timbri. La carta era liscia e lucida, tiepida sotto il suo tocco. Italia fece scorrere gli occhi un’altra volta sulle scritte che riempivano la doppia pagina. La data già segnata in alto a destra.

“Qualcosa non va?”

Italia ebbe un sussulto e si voltò verso Germania. Lui gli rivolse un’occhiata interrogativa e Italia gli sorrise di risposta.

Scosse il capo. “Tutto apposto. Stavo solo rileggendo.”

Italia sollevò gli occhi da tavolo e scoccò un’occhiata fulminea in fondo alla stanza. Prussia faceva su e giù davanti alla porta, con le mani strette dietro la schiena e Gilbird che gli svolazzava sopra la testa. Italia spostò gli occhi con un gesto lento, timoroso. La penombra oscurava la figura di Romano, voltato di profilo, la spalla appoggiata contro il muro. Una delle piante affiancate alla parete lo teneva nascosto. Non aveva aperto bocca per tutta la cerimonia. I suoi occhi erano bassi, la sua fronte aggrottata, e la sua mascella serrata.

Italia appoggiò i fogli sul tavolo e guardò l’altra pagina. “I punti mi piacciono. Sembrano fatti apposta per noi.” Sorrise e posò la punta dell’indice vicino al numero tre a bordo pagina. “Soprattutto il punto tre. Quello è il più bello di tutti.”

Germania sollevò un sopracciglio. Il viso prese colorito e lui voltò le spalle. Si portò una mano dietro la nuca, sfregandosi i capelli. “Ah, sì, quello... serve per le situazioni estreme.”

“Io sono felice che ci sia.” Italia tornò a guardare il foglio, le dita strinsero la carta. “Sembra proprio che dica: ‘Io proteggo te e tu proteggi me’.”

 

3. Se, malgrado i desideri e le speranze delle parti contraenti, dovesse accadere che una di esse venisse ad essere impegnata in complicazioni belliche con un’altra o con altre Potenze, l’altra parte contraente si porrà immediatamente come alleato al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell’aria.

 

Germania annuì. Il suo sguardo tornò serio.

Italia ridacchiò. “Speriamo che non succeda davvero, però, altrimenti io non riuscirei a difenderti.”

“Non succederà,” gli rispose Germania.

Italia impugnò la penna e premette l’unghia sotto il tappo. Lo fece scattare, senza sfilarlo dalla punta della stilografica. Deglutì a fatica, la gola e la bocca si erano seccate. Le dita che impugnavano la penna scivolarono leggermente verso il basso, la plastica si inumidì di sudore.

Il trattato era già marchiato con una firma sulla prima delle due righe.

 

Deutschland

 

Lo sguardo di Italia vacillò per un attimo. Lo spazio vuoto sotto il nome di Germania sembrò restringersi, le linee si offuscarono, le parole sbiadirono. Italia prese un piccolo respiro e fece scivolare via il cappuccio della penna. Il tappo rimbalzò due volte. La plastica che batteva tuonò sulla superficie del tavolo. Italia piegò il gomito e appoggiò il braccio sul tavolo. La punta della stilografica sfiorò la linea vuota sotto la firma di Germania, una scintilla luminosa attraversò tutta la penna per poi morire quando toccò il foglio. Respirò. L’impugnatura si strinse attorno alla penna. La mano cominciò a tremare piano.

Italia sollevò gli occhi tenendo il capo basso. La sua ombra oscurava la pagina del trattato.

Romano aveva alzato lo sguardo, gli occhi erano nascosti sotto l’ombra della frangia. Italia si fermò a cercarli. Le pupille di Romano lo fissarono. Scure, tonde e profonde. Una luce segnò i bordi dell’iride. Italia sollevò le sopracciglia, e quelle di Romano si aggrottarono. Romano affondò i denti in un angolo delle labbra. Il capo si mosse piano, da destra a sinistra, da sinistra a destra. Movimenti lenti e arrugginiti. La bocca di Romano si aprì di poco, i denti erano ancora infilzati nella carne delle labbra. La mosse senza smettere di scuotere il capo.

Italia gli lesse le labbra. Non farlo.

Fitta al cuore, lo stomaco si strinse. L’unghia di Italia scalfì la plastica della penna, grattando sulle scritte dorate incise ai lati. Abbassò gli occhi, lo sguardo vacillante sul foglio. Con pollice e indice prese un angolo della carta e lo sfregò tra i polpastrelli. Rilesse ancora, e ancora. La vista sempre più appannata.

 

“...pericolo... avvenimenti internazionali... consultazione sulle misure da adottare... sicurezza e interessi vitali... appoggio politico... eliminare questa minaccia... complicazioni belliche... alleato al suo fianco... sosterrà... sosterrà... SOSTERRA’!”

 

Italia strinse i denti. Scosse il capo e la nebbia davanti agli occhi svanì. Il cuore batté forte, il nodo allo stomaco si sciolse. La mano non tremava più. Italia premette la punta della penna sopra la linea orizzontale e fece scorrere il braccio.

 

Italia Veneziano

 

Romano fece ciondolare il capo sul petto. I capelli gli nascondevano lo sguardo. Si morse il labbro inferiore fino a sentire il sapore del sangue riempirgli la bocca. Il gusto forte del ferro coprì quello aspro delle lacrime.

 

♦♦♦

 

Le ombre degli alberi rinfrescavano la strada di ciottoli che attraversava il parco. Aria fresca e frizzante, che profumava di muschio umido e di boccioli di fiori. Le chiome delle querce frusciarono, un sottile cinguettio si levò e scomparve subito.

Italia saltellò sulla stradina, facendo scricchiolare la ghiaia sotto le suole degli scarponi. La sua ombra si allungò alle sue spalle, il viso rivolto verso il sole che si stava abbassando dietro i fusti delle querce. Il tramonto sul Tiere Garten. Italia si fermò, abbassando le palpebre, e respirò piano l’aria profumata del giardino. I fasci di luce gli intiepidivano il viso come una carezza, colorandolo di arancio.

“Che cosa succederà adesso?” chiese Italia. Fece una piccola piroetta e voltò lo sguardo verso Germania. “Dovremo combattere?”

Germania continuò a camminare verso di lui. Le giacche di entrambi erano strette sotto il suo braccio, la croce di ferro risplendeva sul primo bottone della camicia. Germania scosse il capo, la luce del tramonto gli fece brillare gli occhi.

“Tu no.” I suoi passi scricchiolavano sul ghiaieto. Una sottile bava di vento mosse una manciata di foglie cadute tra i suoi piedi. “Ho già in programma degli spostamenti, ma non è necessario che tu rimanga coinvolto.”

Italia sbatté le palpebre. Aspettò che Germania arrivasse vicino al suo fianco e riprese a camminare. Germania prese un sospiro e guardò tra le chiome delle querce. Il sole filtrava tra le foglie, gli illuminava gli occhi.

“Ti lascio il pieno controllo del Mediterraneo,” disse. “Un po’ come se io fossi lì a difenderlo insieme a te.”

Italia chinò gli occhi sulla via di ciottoli. Altri uccellini cinguettarono sopra di loro. “Prussia ti ha detto che non sono ancora abbastanza forte per combattere, vero?”

“Sì.”

I fusti delle querce si divisero. La luce rossa li abbagliò, addensando le ombre dei due che si allungavano sulla via. Il giardino si aprì. Aiuole rosse e gialle di forma ovale tappezzavano l’erba verde smeraldo. Il pungente profumo dei fiori solleticò il naso di Italia.

“Per questo non voglio che il tuo esercito intervenga, per il momento,” disse Germania. “Anche se si trattasse di soccorrere il mio.”

Le labbra di Italia si sollevarono in un piccolo sorriso.

Sottili archetti di ferro plumbeo e lucido bordavano il ramo di strada che si allungava davanti a loro e che li separava dal prato. Macchie bianche e gialle si arrampicavano sopra la bassa recinzione e si aggrovigliavano attorno al metallo incurvato. Italia fece due saltelli verso il bordo della via e si accovacciò. Allungò le dita verso i mughetti e strofinò delicatamente i polpastrelli sui piccoli petali. Erano morbidi e umidi. Italia chiuse gli occhi e inspirò il profumo.

Germania tossicchiò. “Tuttavia...”

Italia voltò il capo senza togliere la mano dall’intreccio di fiori.

Germania teneva lo sguardo alto, gli occhi brillavano verso il cielo del tramonto. Le guance avvamparono di un colorito rosso che si estese su tutto il viso. Germania sbatté le palpebre e le labbra tremanti balbettarono per qualche secondo.

“Se tu...” Stropicciò lo sguardo e allontanò di più gli occhi. “Se tu ti dovessi cacciare nei guai, chiamami, d’accordo? Non fare sciocchezze provando ad arrangiarti da solo.”

Il sorriso di Italia brillò più del sole che splendeva in lontananza. “D’accordo.” Saltò in piedi e corse verso Germania. Si aggrappò a un suo braccio mettendosi in punta di piedi per avvicinarsi al suo viso. “Tu proteggi me ed io proteggo te, giusto?”

Germania rimase a mento alto. Le guance sempre più rosse, gli occhi sempre più lontani. Le sue labbra tremarono per un istante. “Giusto.”

“Yei~!”

Italia si scollò da lui e camminò più veloce, superandolo.

Un profumo acre di acqua stagnante gli fece storcere il naso. Voltò gli occhi e un riflesso luminoso lo abbagliò. I raggi del sole battevano sullo specchio d’acqua ricoperto da un tappeto di ninfee. L’acqua era ferma, piatta come olio. Un piccolo contorno d’erba libera dai fiori incorniciava le curve dello stagno.

Italia sollevò un ginocchio e scavalcò il piccolo recinto di archi di ferro. Lo scarpone non fece rumore, quando toccò la morbida distesa d’erba.

“C’è solo...”

Italia si bloccò. Si voltò verso Germania, ma lui aveva ancora lo sguardo nascosto.

Germania prese un respiro. “Ho solo un favore da chiederti.”

Italia sbatté le palpebre e finì di scavalcare il recinto. “Un favore?”

“Sì.”

Germania si avvicinò alla rete di archi. Anche lui lo superò, tuffando i piedi sull’erba. “Per la mia...” Tenne la gamba alzata per non schiacciare i mughetti e la posò più in avanti. “Per la mia prossima mossa devo stringere un patto di non aggressione con Russia.”

“Con Russia?” Italia sgranò le palpebre. Germania tenne gli occhi bassi. “Pensavo che ti stesse antipatico. L’altra volta avevi detto che le sue idee erano solo un mucchio di...”

“S-sì, lo so, ma...” Germania sospirò. Alzò lo sguardo al cielo e gli occhi splendettero come lo specchio d’acqua davanti a loro. Le linee del viso si erano rilassate e distese. “Per il momento preferisco vada così.”

“Oh, va bene.” Italia strinse le mani dietro la schiena. Il sole dietro di lui faceva splendere il contorno dei capelli come un’aureola scarlatta. “E cosa devo fare?”

“Nulla di difficile. Devi solo accompagnare Prussia quando andrà a firmare il trattato a Mosca.”

Italia sollevò le sopracciglia. Ebbe un sobbalzo, come un veloce singhiozzo, e gli occhi affogarono nella delusione. “Ma tu non vieni?” piagnucolò. “Pensavo che saresti stato tu a...”

“Non ho scelta. Io sono...” Germania fece un altro passo in avanti. La sua ombra si ingrandì dietro di lui, proiettandosi sul prato. “Io sono costretto a rimanere a Berlino. Un viaggio di andata e ritorno non mi permetterebbe di...” Il viso si irrigidì di colpo, le guance sbiancarono, gli occhi persero la luce.

Italia inclinò il capo di lato e sbatté piano le palpebre. “Mhm?”

Germania chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Scosse il capo e si mise di fianco a Italia. Lo sguardo rivolto verso lo stagno. “Basta solo che tu lo tenga d’occhio.” Aggrottò un sopracciglio e socchiuse l’occhio. La bocca fece una piccola smorfia. “Quei due non si sono mai visti di buon occhio. Se Prussia dovesse fare qualche sciocchezza, e se il trattato non dovesse andare a compimento, saremmo nei guai.” Germania strinse le braccia dietro la schiena. Aggrottò la fronte, scurendosi in volto. Gli occhi riflessero la luce dello specchio d’acqua. “In guai molto seri.”

L’erba dietro di lui si mosse, Italia si avvicinò al suo fianco. Sorrideva. “Ho capito.”

Italia fece un piccolo salto più vicino alla riva dello stagno e si lasciò cadere sul prato. Sollevò le braccia e inclinò le spalle all’indietro. La schiena si distese sul tappeto d’erba, le braccia si allungarono, carezzando i teneri e tiepidi ciuffi verdi. Italia inclinò il collo all’indietro e fissò Germania dal basso.

“Poi però non ci sarà la guerra, vero?”

Germania ebbe un lieve sussulto e lo fissò anche lui negli occhi.

“Facciamo il patto con Russia e i territori tornano da noi da soli, no?” chiese ancora Italia. “Non dovrai combattere contro nessuno.”

Si guardarono negli occhi. Il fresco venticello soffiò di nuovo, facendo ondeggiare l’erba attorno al corpo disteso di Italia. Germania non si mosse di un centimetro. Lo sguardo di Italia fermo su di lui.

Germania socchiuse le palpebre. Respirò piano, gettando fuori la tensione. “No.” Scosse il capo. “Niente guerre.”

Italia sorrise. “Meno male.”

Si mise a sedere sul prato e accostò le ginocchia al petto. Strinse le gambe, avvolgendole con le braccia, e volse gli occhi allo stagno immobile. Il sole rosso sul cielo arancio, proprio a pelo dell’acqua. Germania si sedette vicino a lui e posò le due giacche sul prato. Piegò le ginocchia e appoggiò le braccia dietro la schiena, affondando le mani tra l’erba. Gli occhi di Italia ruotarono lentamente verso di lui.

Lo stomaco di Italia si storse per un attimo, una piccola morsa gli prese il petto. Il groppo scese, e annodò lo stomaco. Le labbra tremarono, e lui si fece piccolo tra le spalle.

“Mi sei mancato,” sibilò. La sua voce salì come un piccolo singhiozzo, tremante attraverso la gola.

Italia si appese a un braccio di Germania prima ancora che lui volgesse lo sguardo. Poggiò la fronte sulla sua spalla e strinse la presa. La voce soffocata dall’abbraccio e dalla stretta allo stomaco.

“Mi sei mancato tanto, tanto.”

Si tenne aggrappato e chiuse gli occhi. La pelle del viso si sfregava contro la stoffa, riempiendosi del suo profumo, del suo tepore. La stretta non lasciava andare il braccio, le dita si tennero aggrappate come per non lasciarsi cadere. Italia sollevò gli occhi, senza scollare il mento dalla spalla di Germania. Le punte dei nasi si sfiorarono.

“Credi che Inghilterra e Francia si arrabbieranno, quando sapranno che abbiamo fatto l’alleanza?” domandò Italia.

Germania inarcò un sopracciglio e scrollò le spalle. Le sue labbra accennarono un sorriso. “È probabile di sì.”

Italia ricambiò. Sciolse la presa dal braccio, ma le dita si tennero strette al tessuto della maglia. Appoggiò la guancia sulla spalla di Germania, così vicino da poterlo sentire respirare. I fianchi incollati, entrambi gli sguardi rivolti allo stagno.

Italia fece una piccola risata. “Mi sa che si sono già arrabbiati un sacco per quello che abbiamo combinato con gli altri territori.” Chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dalla luce del sole che si rifletteva sul laghetto. “Forse hanno anche loro paura di un’altra guerra, ma noi gli faremo vedere che si può essere amici anche senza combattere.”

Germania annuì.  Sollevò un braccio e lo fece scorrere dietro le spalle di Italia. La mano si alzò, le dita carezzarono i capelli dietro l’orecchio, l’indice corse fino alla punta del ciuffo arricciato. Le nocche sfiorarono la guancia. Il tocco caldo scaldò il petto di Italia, arrivò fino alla pancia e il nodo allo stomaco si sciolse. Italia rimase appoggiato alla sua spalla, ad occhi chiusi, continuando a sorridere.

 

.

 

Diari di Italia

 

Mi ricordo che, quando Germania è ritornato da me, io ero subito diventato super felice! Non erano passati tanti anni da quando avevamo perso la guerra, ed io ero convinto che fosse ancora arrabbiato con me. Però lui era tornato, e mi aveva persino lodato per il grande lavoro che stavo facendo con il mio paese nonostante tutto quello che fosse successo, e che addirittura voleva unirsi di nuovo con me per ricominciare insieme.

Io allora mi ricordo che l’ho abbracciato tantissimo, e forse ho anche pianto, perché ero convinto che Germania non volesse più vedermi, mentre lui mi mancava perché è sempre stato il mio più grande amico. Così io acconsentii subito di fare di nuovo l’alleanza, e poi gli promisi anche che sarei stato forte come lui, e che non sarei mai, mai, più scappato, questa volta. Lo avevo di nuovo affianco e mi sentivo fortissimo.

Al fratellone, però, subito non piacque l’idea. Mi diceva di non fidarmi di Germania, che ci avrebbe di nuovo trascinati in basso come era successo prima, e che avevamo fatto bene a terminare l’alleanza della prima guerra prima di perdere tutto. Il fratellone proprio non voleva avere niente a che fare con lui, e mi aveva addirittura detto che avrebbe smesso di parlarmi, se io mi fossi alleato di nuovo.

Secondo me queste cose le diceva solo perché era di cattivo umore per quello che stava capitando al fratellone Spagna. Romano credeva che tutta la colpa fosse di Germania e proprio non ce la faceva a perdonarlo. Io però ho provato a fare quello che credevo essere giusto. Io mi fidavo di Germania, e mi fiderò sempre di lui perché è il mio più grande amico, così abbiamo deciso di chiamare ‘Asse’ la nostra alleanza ed io lo trovavo un sacco figo!

Io, Germania e anche Giappone, eravamo davvero fortissimi. Ero felice al massimo perché sapevo che anche il nonno stava guardando dal cielo, e potevo dimostrargli di saper essere una nazione forte. Insieme a Germania e a Giappone avrei potuto formare un impero ancora più potente del suo. Volevo davvero che fosse fiero di me ma, quando lo dissi al fratellone, lui mi diede un pugno in testa dicendomi che il nonno non sarebbe stato per niente felice di vedermi alleato con Germania. Io però non volevo mollare, ed ero deciso a non scappare. Mi ero detto che, se fosse successo qualcosa, io sarei rimasto di fianco a Germania fino alla fine, non come l’ultima volta.

Alla fine, credo di essermi odiato solo per questo. Per il fatto di averlo abbandonato e di essere scappato di nuovo. Non ero arrabbiato per aver perso la guerra. Forse, ora che ci penso, non mi è mai davvero importato così tanto di vincerla, o di farla. La guerra era solo una scusa per restare di fianco a Germania.

 

 

   
 
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