Corremmo
incessantemente fino a che i primi chiarori dell'alba non
illuminarono il mondo della luce sufficiente per vedere con assoluta
chiarezza l'ambiente intorno a noi. O almeno, fino a che io
non vidi chiaramente l'ambiente intorno a noi.
La notte aveva
portato con sé un po' di neve, che in quel momento ricopriva
leggera
il terreno già ghiacciato.
Quando lo Spettro si fermò dovetti
trattenere un sospiro di sollievo: ero insonnolita, i muscoli delle
gambe mi dolevano e il braccio allungato nella direzione di Durza era
tutto contratto per la lunga e scomoda posizione.
Posizione che,
mi resi conto solo in quel momento, avrei potuto abbandonare con
serenità già un paio di ore prima siccome la luce
era da tempo
sufficiente per permettermi di indovinare i contorni delle
cose.
Tuttavia, prima di lasciarmi la mano, lo Spettro depositò
un canzonatorio bacio sulle mie dita, accennando un inchino.
Ritirai
il braccio con rabbia. Se pensava che qualche moina mi avrebbe fatto
dimenticare le vicende della sera precedente si sbagliava. Mi aveva
voluta come alleata? Allora era suo dovere essere onesto con me,
almeno per ciò che concerneva quella nostra missione in
sodalizio.
«Sto ancora aspettando le tue spiegazioni» dissi,
secca.
Durza parve non sentirmi, si passò una mano tra i capelli,
ricoperti di piccole perle di ghiaccio, e se li scrollò con
un
sorriso divertito sulle labbra pallide.
«Durza!» ringhiai, al
limite della proverbiale pazienza elfica.
Lo Spettro sbuffò. «Non
ti risponderò, Arya. Sì, lo so che ti ho detto
che ti avrei dato
delle spiegazioni e ho intenzione di mantenere la parola, credimi, ma
non ti dirò tutto quello che mi è successo ieri,
per il semplice
fatto che non ti riguarda. Diciamo che stavo facendo gli affari miei
quando un uomo mi ha provocato, mi ha infastidito e ha trovato la
morte che si meritava».
«Stavi facendo gli affari tuoi, o stavi
lavorando ad affari loschi?»
Durza scostò gli occhi dai miei.
Centro!
«Ti
prego non farmi domande a cui non posso e non voglio
rispondere» fu
il commento aspro. Si sfilò lo zaino dalle spalle e prese a
mormorare Brisingr
per liberare uno spiazzo dalla neve.
«Gli affari tuoi sono anche
i miei ora. Dubito che si trattasse di qualcosa che non aveva a che
fare con quello che stiamo progettando adesso».
Vidi che
continuava ad ignorarmi e mi avvicinai a lui, afferrandogli una
ciocca di capelli vermigli. I suoi occhi, all'improvviso color
sangue, mi fissarono pericolosi.
«La nostra alleanza può dirsi
conclusa, allora». E feci per andarmene.
Mi afferrò per un
gomito. «Ho incontrato un informatore e l'ho ucciso
perché ormai
sapeva troppe cose. Era necessario» disse, palesemente
controvoglia.
«E che informazioni hai avuto?» chiesi
scettica.
«Non buone. Il re ha raggiunto Carvahall e sta cercando
la pietra».
Mi gelai sul posto. «Credevo che avessi tenuto
quell'informazione per te! Perché lo hai detto al
re?»
«Come se
avessi scelta, Elfa!» sibilò e vidi un lampo di
umiliazione nei
suoi occhi.
Deglutii. «Devo avvertire assolutamente Brom!»
«No,
non puoi. Ragiona, un messaggio di qualunque natura attirerebbe solo
l'attenzione. Se il tuo Brom ha trovato l'uovo che gli hai
gentilmente spedito, avrà avuto l'accortezza di metterlo al
sicuro,
magari lasciando Carvahall e portandolo con sé.
Probabilmente a
questo punto sarà già dai Varden o dalla tua
gente».
«Forse
saremmo dovuti andare a Carvahall, non a Dras-Leona»
osservai,
inquieta.
«A Carvahall bazzicano i Ra'zac, principessa. Non ho
nulla contro di loro per carità, gente simpatica, ma il loro
odore e la loro fedeltà al re non mi fanno
impazzire».
Pensai a Brom.
Se la sarebbe cavata contro i Ra'zac? Probabilmente sì, ma
ancor più
probabilmente era già lontano da Carvahall, non era uno
sprovveduto.
Rabbrividii e per la prima volta da quando avevo lasciato Gil'ead
sentii di aver preso la scelta sbagliata.
Lo spettro stese a terra
le sue coperte e mi rivolse un sorriso, che parve voler essere
rassicurante.
«Vieni a dormire un po' Arya».
«Hai abolito i
falò?» domandai, sfilandomi finalmente lo zaino
dalle spalle e
sganciando la spada e le coperte.
«Ormai è giorno, il freddo non
è così terribile, e nel caso il gelo fosse
insopportabile puoi
avvicinarti a me». Percepii un sorriso di scherno nel tono
della sua
voce.
«Non ne avrò bisogno, grazie» dissi, e
mi infilai sotto
le coperte a un paio di iarde da lui, dandogli le spalle.
«Puoi
anche prenderti delle libertà se lo desideri».
«Durza non sei
stanco di questi giochetti?» ribattei, nascondendo a fatica
l'esasperazione.
«Tu assecondami, non sarà troppo difficile,
no?» rispose lui ridendo.
Tacqui. Era la prima volta che -anche
se in maniera indiretta- faceva riferimento alla notte in cui era
strisciato nella mia cella sanguinante e mi aveva baciata. A quel
ricordo si aggiunse quello del bacio che mi aveva rubato giusto
qualche ora prima davanti alla locanda, quello del suo respiro che mi
sfiorava il collo sul pagliericcio e quello della sua mano stretta
forte nella mia.
Cosa stava cercando di fare Durza? Se pensava che
con un paio di mosse da seduttore consumato mi avrebbe incantato,
allora non sapeva proprio niente di me.
Ma era quello il vero
problema: da quel punto di vista mi conosceva meglio di chiunque
altro al mondo, aveva avuto una prova concreta della mia tenacia e
quindi doveva essere consapevole del fatto che qualunque sua mossa
non avrebbe cambiato il mio atteggiamento nei suoi confronti.
Forse
per lui era veramente solo un gioco.
E forse gli sfuggiva che
poteva essere benissimo giocato in due.
Quanto potere avevo su di
lui? Poco, ma un po' sì. E forse potevo giocarmelo con
intelligenza
e tirarlo completamente dalla mia parte.
Scossi la testa tra me e
me. Durza era testardo almeno quanto lo ero io e su quello non
avrebbe ceduto, quindi era inutile umiliarmi di fronte a lui,
assecondandolo.
Che
continuasse pure a fare l'arrogante impertinente, la cosa non mi
avrebbe toccata.
Forse ero riuscita a riposare per un'ora
quando
la visione che mi era ormai familiare mi assorbì
completamente.
Ma
questa volta comparve anche Durza.
Era completamente coperto di
sangue e pugnalava con cattiveria un corpo che giaceva a terra,
inerte tra le sue ginocchia. Gli occhi dello Spettro erano spiritati
e sembrava sudare sangue dalla fronte.
Poi una luce improvvisa
illuminò il volto della sua vittima.
Ero io.
«Questo è un
avvertimento» cantilenò Fäolin
ferocemente e i suoi lineamenti si
fusero con quelli di Durza.
Il
tocco di una mano gelida sul viso mi catapultò bruscamente
alla
realtà. La mia condizione era la solita di tutte le notti:
ero
sudata eppure tremavo di freddo, la testa mi doleva e le mie ciglia
erano umide delle lacrime che non mi ero accorta di aver
versato.
Sentii un fruscio alle mie spalle e mi voltai spaventata,
giusto il tempo per vedere Durza allontanarsi da me e tornare al suo
giaciglio.
Per l'ennesima volta fui felice che non accennasse a
quella mia debolezza e gli fui riconoscente per avermi svegliata.
Non
volevo chiudere gli occhi. Mai più.
E in effetti per il momento
non lo feci, nonostante fossi stanca. Mi limitai a rilassare le
membra e anche quello mi permise di recuperare un po' di forze.
Un
paio d'ore dopo il sole era ormai sorto, ma era nascosto dietro
pesanti nuvole grigie e l'aria rimaneva fredda. Lo Spettro si
svegliò, si stirò come un gatto e poi
scattò agilmente in
piedi.
«Buongiorno madamigella! Pronta a correre per qualche
altro miglio?»
Non mi guardò, ma sorrise a fior di
labbra.
«Pronta» risposi, laconica.
Ricominciammo a
correre.
Quella sera mi ritrovai mio malgrado a chiudere gli
occhi, stremata. Non dovevo dormire, non dovevo dormire, non dovevo
dormi..
Quando mi svegliai dalla visione il mio panico fu
ulteriormente amplificato dall'assenza di rumore. Oltre al mio
respiro affannato c'era un silenzio inquietante.
E Durza non era
disteso accanto a me. Un terrore cieco mi si riversò nel
petto e per
poco non balzai in piedi a gridare il suo nome. Cercai di dominarmi,
mi alzai in piedi, sfoderai la spada e il pugnale e mi avventurai tra
gli alberi del boschetto dove eravamo accampati. Non trovai neanche
un'impronta nella neve.
Camminai in cerchio nella luce grigia del
mattino per una decina di minuti, allontanandomi sempre di
più dai
nostri zaini, poi sentii un respiro davanti a me e mi diressi con
decisione in quella direzione.
Durza era seduto a terra, incurante
della neve che gli bagnava i vestiti, aveva gli occhi chiusi e le
dita sulle tempie. E sembrava che non mi avesse sentita
arrivare.
All'improvviso mi ritrovai a non sapere cosa
fare.
[Durza]
Non sapeva cosa fossero esattamente quegli
strani attacchi che prendevano l'elfa ogni volta che pareva
addormentarsi. Sapeva solo che se i primi giorni era bastato fare un
po' di rumore per ridestarla, la sera prima aveva dovuto scuoterla a
lungo prima che i suoi occhi bagnati di lacrime si spalancassero.
La
cosa lo turbava. Più di quanto desse a vedere.
Però sapeva che,
se avesse osato ficcare il naso negli affari di Arya, lei avrebbe
reagito come una gatta inferocita, intimandogli di non impicciarsi. E
poi gli sembrava una cosa troppo.. intima da condividere, sopratutto
con lui.
Tuttavia sentiva la gratitudine di lei ogni volta che la
svegliava.
E nonostante tutto quella notte non l'avrebbe fatto.
Non aveva alcun interesse a fare soffrire la sua ex-prigioniera, ma
doveva terminare un certo lavoretto e se l'unico modo per tenerla
fuori dai piedi era lasciarla a contorcersi in un dolore che lui non
sapeva spiegare, beh l'avrebbe lasciata lì.
Doveva mettersi in
contatto con gli Urgali che vivevano sulla Grande Dorsale, sotto il
suo diretto controllo, e mandarli in direzione di Carvahall
immediatamente. Aveva a lungo ragionato sulla direzione che dovevano
aver preso Brom e il neo-cavaliere, Eragon, ed era giunto alla
conclusione che, in ogni caso, sarebbero passati da Yazuac. Ed era
lì
che aveva intenzione di mandare il suo esercito personale. Voleva
fermarli, catturare il ragazzo e il suo drago e aggiungerli alla
babele di piccole alleanze che negli anni aveva stretto contro il
tiranno.
Capì immediatamente quando
Arya cominciò a stare male
perché il suo respiro si fece affannoso. Con qualcosa che
somigliava
vagamente a vergogna a zavorrargli il petto, si alzò e
sgusciò via
tra gli alberi. Non sapeva quanto tempo avesse, quindi tanto valeva
darsi una mossa e tornare a scuoterla dai suoi incubi.
Sedette per
potersi concentrare meglio. Il primo manipolo di Urgali era parecchio
a nord e avrebbe impiegato qualche minuto ad individuarli dato che
non li monitorava da settimane. Controllare quelle menti primitive e
violente non era stato troppo difficile, gli ricordavano sin troppo
bene una versione alleggerita degli spiriti che abitavano nel suo
cuore.
Le tribù erano più di una decina e tendevano a
darsi
battaglia ogni primavera, ma Durza era riuscito a tenerli buoni e a
riunirli sotto vari reparti, ognuno con il loro capo, e da allora non
c'erano più stati scontri tra di loro.
Si concesse un sorriso a
fior di labbra. Qualcosa di buono aveva fatto anche lui, no?
Quando
finalmente trovò il contatto con il capo del manipolo
più vicino
-in corrispondenza del lago Fläm- cominciò a
dettare rapide e
secche istruzioni nell'asprissima lingua urgali, che conosceva bene
quanto l'elfico. Ordinò loro di concentrarsi tutti nei
pressi dei
paesi del nord: Yazuac, Daret, Gil'ead e anche Ceuron. E in
particolare di formare uno sbarramento su Yazuac.
Poi diede loro
la descrizione di Brom, o almeno del Brom che conosceva quindici anni
prima, insieme all'informazione che con lui c'era un ragazzo,
giovane, con un segno luccicante sul palmo -probabilmente il destro-
e che un drago color zaffiro viaggiava con loro.
Ripeté le
istruzioni più volte: dovevano catturare il ragazzo ma non
nuocere
né a lui né al suo drago. Per quanto riguardava
il vecchio potevano
fare ciò che volevano. Per quanto riguardava gli abitanti di
Yazuac,
pure.
Stava ripetendo il tutto daccapo per la terza volta quando
la pressione di qualcosa di gelido sulla sua gola lo costrinse a
ritornare a concentrarsi sul suo corpo.
Inginocchiata nella neve
davanti a lui c'era Arya, con il viso pallido e tirato. Reggeva il
pugnale nella mano sinistra e lo teneva dolcemente appoggiato contro
la sua pelle.
«Cosa stai facendo, Spettro?»
Le sorrise,
elaborando rapidamente l'ennesima bugia. «Ho parlato con
Hillr. A
Gil'ead è tutto a posto, nessuno sospetta che Alba abbia
preso il
tuo posto e nessuno le ha fatto del male. Contenta?»
Lesse
l'indecisione nei suoi occhi, ma poi parve fidarsi di lui
perché
rinfoderò il pugnale.
«Te stai bene elfa? Mi sembri un po'
sconvolta».
Sapeva di stare toccando una piaga dolente, ma era
proprio quello il suo scopo. Arya voleva sicuramente evitare di
ammettere che qualcosa non andava, quindi avrebbe rapidamente
cambiato discorso, fingendo di dimenticare.
«Eri sparito, credevo
che un branco di lupi ti avesse sbranato» disse infatti.
Come
se fosse possibile, Principessa.
«Purtroppo
per te sono ancora intero». Si alzò e le
allungò una mano per
tirarla in piedi. Lei la ignorò e si alzò subito
dopo di
lui.
«Benissimo, allora credo che tornerò a riposare.
Ma la
prossima volta sei pregato di avvisarmi». Lo
anticipò in direzione
del piccolo spiazzo tra gli alberi dove avevano piazzato il loro
accampamento.
Restò a guardarla per qualche minuto dopo che ebbe
chiuso gli occhi. Aveva ripreso parecchio da quando erano partiti da
Gil'ead, ma aveva scritto in volto che il riposo era un lusso che
raramente riusciva a concedersi ed era convinto che, se avesse
interrotto il debole flusso di energia che le passava a sua insaputa
durante la loro corsa giornaliera, sicuramente non avrebbero
viaggiato così agilmente.
Con reticenza tolse gli occhi dai
capelli di inchiostro sparsi intorno al viso pallido,
indugiò un
istante sulle labbra screpolate e leggermente bluastre per il freddo
e poi si costrinse a chiudere gli occhi a sua volta.
Poteva
rispettare i suoi silenzi e i suoi segreti, del resto anche lui ne
aveva parecchi nei suoi confronti, ma non voleva assolutamente che un
sogno, una malattia o quel diavolo che era la sciupassero.
Oh no,
le era costata mesi di sofferenze e convincerla a diventare sua
alleata era stato ancora più difficile. Non avrebbe permesso
che una
bazzecola se la portasse via. Avrebbe aspettato ancora un po'.
E
poi l'avrebbe convinta a dirgli cosa le succedeva.
Più tardi
sognò di baciare il suo cadavere.
[Arya]
Continuando a
quel ritmo serrato, tagliando per i boschi e le pianure, lontani
dalle strade e correndo come pazzi sopratutto di notte, dopo due
giorni di viaggio avvistammo l'Helgrind in lontananza.
Il mattino
dopo avvertimmo il luccichio del lago Leona e smettemmo di correre,
rientrando nelle strade e sistemando il nostro aspetto
umano.
Costretti a mantenere un'andatura lenta, arrivammo in città
solo a sera inoltrata, quando era ormai buio.
Chiamarla città
poteva effettivamente essere un complimento. Era un caotico grumo di
case di legno talmente scuro da apparire nero.
«Dras-Leona la
fangosa» mormorò Durza, e mi parve di cogliere una
nota di sincera
soggezione nella sua voce.
Lo Spettro mi aveva svegliata ogni
volta che le mie visioni mi avevano aggredita. Ma poi, come al
solito, aveva mantenuto il silenzio sulla faccenda. Non ero una
persona espansiva e ammettevo di essere abbastanza orgogliosa,
tuttavia cominciavo a sentire il desiderio di parlare di quel mio
problema con qualcuno.
Peccato che al momento Durza fosse l'unico
possibile candidato.
Ci avvicinammo alle mura, alle quali la città
doveva il proprio infelice nomignolo. L'Helgrind era una presenza
opprimente alla mia sinistra e la vista delle guglie della
cattedrale, che riprendevano la sua struttura, mi fecero rovesciare
lo stomaco.
Istintivamente, mi aggrappai al braccio dello Spettro
e lui posò una mano sulla mia senza dire una parola.
I cancelli
erano enormi e neri come il resto della città, ingentilita
da una
spennellata di neve bianca sui tetti di legno.
«Ehi voi due
sbrigatevi!» urlò una guardia. «Stiamo
per chiudere!»
Durza mi
lanciò un'occhiata ammonitrice e iniziò a
correre, ma molto piano.
Capii l'antifona: gli umani non corrono come avevamo fatto noi negli
ultimi giorni, chiaro. Lo seguii.
Probabilmente se fossimo
arrivati di giorno, con il flusso normale di chi entrava in
città,
ci avrebbero fatto passare senza alcun problema. Invece in quel
momento avevamo ben dieci guardie con gli occhi puntati
sospettosamente su di noi.
Pensai alle spade che nascondevamo
sotto i mantelli e capii immediatamente che non ce la saremmo cavata
con un paio di rassicurazioni sulle nostre buone intenzioni.
Durza
poggiò le mani sulle ginocchia e finse di ansimare, lo
imitai
portando la mano sinistra al petto e le porte si chiusero dietro di
noi. All'improvviso mi sentii terribilmente in trappola.
«Chi
siete?» tuonò quello che doveva essere il capitano
delle guardie,
un uomo alto con i capelli biondi e sporchi legati in una coda
bassa.
Lasciai che il mio compagno di viaggio offrisse le nostre
generalità e mi guardai intorno rapidamente. Molte delle
guardie
sembravano insonnolite, oltre che sospettose. Forse c'era una minima
possibilità che ci lasciassero andare, fosse anche solo per
tornare
finalmente a casa. Probabilmente erano al termine del loro
turno.
«Quindi cercate una casa qui a Dras-Leona?» La voce
del
capitano emerse improvvisa.
«Vorremmo trasferirci qui, sì, ma
nel caso non ci piacesse l'ambiente nelle prossime settimane
proveremo a Belatona, vorremmo solo stare sul lago Leona o nei
pressi». Durza rispondeva con ferma allegria, venata di
spensieratezza. Sembrava un giovane ingenuo ed entusiasta, niente a
che fare con l'uomo micidiale che conoscevo.
«Ancora pochi minuti
e sareste rimasti chiusi fuori!»
«Oh mi spiace» fece lo Spettro
senza perdere il sorriso, «ma abbiamo avuto un paio di
intoppi da
stamattina, purtroppo la mia signora non si è sentita
bene».
Il
biondo mi guardò. «E neanche adesso mi pare tanto
in forma. Sai
parlare, ragazza?»
«Sì» mormorai, «mi dispiace
molto».
La
guardia scoppiò a ridere e i suoi compari lo seguirono,
apparentemente a caso.
«Non riesco a credere che ti sia sposato
una donna così musona» disse poi rivolto a Durza.
«Sembrate
diversi come il giorno e la notte!»
Trattenni l'istinto di alzare
gli occhi al cielo.
Poi sorrisi radiosamente. «Devo contraddirti,
sono semplicemente molto stanca. Sono solo al secondo mese, ma il
bambino comincia a pesarmi».
Ebbi modo di vedere un lampo di
sconcertata sorpresa negli occhi -in quel momento castani- dello
Spettro, prima che si decidesse a reggermi il gioco, avvicinarsi a me
e baciarmi sulla fronte.
«Andiamo a cercare una locanda» disse,
a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti.
«Il primo
figlio?»
«Sì» risposi, posando una mano sul mio
addome piatto.
Ma con il buio e i vestiti e il mantello sopra nessuno se ne sarebbe
accorto.
«Mi ricordo il mio primo figlio» disse il capitano
delle guardie. «Quando arrivò il momento ero
più agitato di mia
moglie». E rise.
Mi si strinse il cuore. Quelli erano i soldati
di Galbatorix: uomini normali, che facevano il loro dovere, che
avevano una famiglia a cui badare, a casa.
Uomini che avevo e
probabilmente avrei ucciso in battaglia.
All'improvviso ebbi
voglia di vomitare.
Ci lasciarono andare con i migliori auguri,
appena prima che arrivasse il drappello che doveva dare loro il
cambio per la notte.
Ricominciai a respirare solo quando fummo ad
un paio di strade di distanza. Ce l'eravamo cavata con poco,
dopotutto.
«Elfa farmi diventare padre così all'improvviso
è
stato un gran brutto colpo!» bisbigliò Durza
ridacchiando e
rifiutandosi di lasciarmi il braccio per il quale mi aveva trascinata
via dal portone. «E per di più non ricordo di aver
mai consumato il
matrimonio» concluse, gettandomi un'occhiata
allusiva.
«Probabilmente eri ubriaco, Spettro».
Lo spiazzai.
Sollevò entrambe le sopracciglia e rinunciò a
fare commenti.
«Se
non troviamo presto una locanda mi perderò tra questi
cunicoli»
disse invece.
Non aveva tutti i torti. A parte qualche lanterna
appesa saltuariamente a qualche incrocio, il buio più totale
avvolgeva la città. Le case erano tutte in legno, altissime,
e
pendevano verso il centro della strada, tanto che non era raro
trovare un palo inchiodato orizzontalmente a sostenere le due
strutture. Solo una piccolissima porzione di cielo era visibile e
ormai il debole bagliore del tramonto lo aveva abbandonato da un
pezzo.
Alla fine Durza cominciò a chiedere indicazioni ai
frettolosi passanti, ma impiegammo ancora parecchio tempo prima di
trovare un posto per dormire.
Al contrario della silenziosa
Gil'ead, a Dras-Leona pareva non esistere un coprifuoco. Io e Durza
entrammo alla Ghiandaia
impazzita
e ci ritrovammo pressati tra fitti tavoli di legno, boccali di birra
e avventori parecchio alticci. Per di più c'era un odore
insopportabile.
Raggiungemmo il bancone a fatica e lo Spettro
dovette urlare per farsi sentire sopra il baccano.
Ci trovarono
una “stanza”. Uno stanzone spoglio, senza camino,
tappezzato di
paglia. Non una coperta e non un lenzuolo a disposizione, nemmeno un
modo per separare un letto da un altro.
Fummo costretti a dormire
con le bisacce abbracciate a noi e, quando arrivò il nostro
vicino e
cominciò ad infastidirmi con complimenti non richiesti,
Durza lo
guardò con ferocia e poi mi passò un braccio
intorno alla vita. Lo
accettai, almeno teneva lontano disturbatori, e, ancora meglio, mi
riscosse con prontezza non appena la visione tentò di
accalappiarmi.
Fummo costretti a rimanere lì, pressati tra corpi
puzzolenti, fino a che il sole non fece capolino. Andarsene prima
sarebbe stato piuttosto sospetto e poi un po' di riposo in
più non
ci avrebbe certo danneggiati.
Non appena il pavimento fu
abbastanza libero da poter camminare senza pestare le membra degli
altri ospiti, ci affrettammo ad andarcene, allungando quanto dovuto
al locandiere.
«Dovremo prendere una stanza più vicina alla
cattedrale, ma non troppo, in modo da poter avvicinarci ed
allontanarci senza problemi. E in più pretendo un alloggio
decente!
Per la miseria, il denaro ce l'ho, tanto vale usarlo!»
Mi strinsi
nelle spalle. Non ero molto esperta per quanto riguardava il denaro
degli umani. Gli elfi si limitavano a scambiarsi favori e, fino a che
avevo viaggiato in veste di ambasciatrice, non avevo mai dovuto
pagare nulla, mi era sempre tutto dovuto.
Tuttavia quando Durza
comprò due focacce calde dal forno che incontrammo lungo il
cammino,
fui felice che il denaro esistesse e divorai la mia in un
istante.
Mano a mano che abbandonavamo la cerchia esterna le case
si facevano più basse e solide, ne incontrammo poi alcune in
pietra
e il culmine fu la vista del grandioso palazzo in granito del
governatore della città, un tale Marcus Tàbor.
A quel punto
eravamo decisamente nella zona più ricca della
città e fu lì che
cominciammo a cercare un'ennesima locanda da usare come base,
tuttavia nei dintorni trovammo solo case grandiose, circondate da
inaccessibili cancelli impreziositi da fiori stilizzati. Decisamente
la componente ricca della città non se la passava troppo
male.
«Dovremmo tornare indietro» osservai.
«Qui non ci sono
locande. Magari ce ne sono oltre la cattedrale, ma poi saremmo..
lontani».
Lontani dalle porte della città ovviamente.
Durza
capì bene cosa intendessi dire: non volevo rimanere chiusa
in quella
città come un topo in una sudicia trappola e sembrava
condividere il
mio stesso desiderio, tuttavia la sua proposta fu di altra
natura.
«Raggiungiamo la cattedrale e superiamola. Più ci
allontaniamo dalla cattedrale più i quartieri sono miseri,
quindi
dovremmo trovare un posto nella fascia intermedia; e lo so che
preferisci il semicerchio della città vicino alle porte.
Però nella
parte opposta alla porta della città siamo vicini al lago e
ci sono
gli scarichi delle fognature..»
Aggrottai la fronte, ma lo
Spettro mi fece cenno di seguirlo e quindi decisi di tacere. C'erano
troppe persone intorno a noi per fermarsi a discutere.
Più ci
avvicinavamo al cuore di Dras-Leona più la cattedrale
sembrava
inghiottire ogni luce intorno a noi, eppure, quando ci ritrovammo nel
piazzale al di sotto si essa, dovetti ammettere che era
grandiosa.
Non avrei saputo trovare una definizione migliore di
quella. Era alta, talmente alta che ero costretta a rovesciare il
capo totalmente all'indietro per vedere la struttura per intero.
Il
marmo nero era lucido e poco segnato dalle intemperie. La chiesa non
doveva avere più di mezzo secolo, nonostante la setta
religiosa
esistesse da tempo immemorabile. Probabilmente in assenza dei
cavalieri si erano rafforzati altri credi religiosi e quello dei
sacerdoti dell'Helgrind era antico e ora pieno di aderenti, quindi
probabilmente era anche ricco.
Quando riuscii a staccare gli occhi
dal gigantesco rosone centrale trovai gli occhi di nuovo rossi di
Durza puntati sulla mia gola, con uno sguardo rapace nelle iridi.
Sembrava sul punto di sbranarmi.
Indietreggiai automaticamente.
Lo
Spettro si riscosse all'improvviso e le sue pupille e le sue iridi
tornarono umane.
«Avrai tempo più avanti di osservarla in ogni
particolare, ora andiamo» disse, con un tono assente.
Poi si
voltò e riprese a camminare.
Un po' turbata, gli andai dietro,
portando una mano alla fodera del pugnale che tenevo a cintura sotto
il mantello.
Trovammo una locanda più che decorsa, ma non di
lusso. Era a dieci minuti dalla cattedrale e a più di
mezz'ora a
piedi dai cancelli.
E, cosa più importante, avevamo una stanza
con una serratura e una chiave, ma purtroppo con un solo letto.
Era
una camera al terzo piano e c'erano solo un paio di stanze occupate
oltre alla nostra. Meglio così.
Lasciammo i nostri zaini e le
nostre armi sulla cassapanca ai piedi del letto ed esplorammo con lo
sguardo la stanza: c'era il letto, la cassettiera, un grande catino
pieno di acqua e un paio di ganci alle pareti.
«Una stufa!
Addirittura una stufa!» esclamò lo Spettro
lanciandosi in direzione
di una stufetta di terracotta e iniziando a riempirla di piccoli
ciocchi di legna ammucchiati lì accanto.
L'accese schioccando le
dita.
Mi sedetti sul pavimento di legno accanto a lui, godendomi
il tepore delle fiamme sul viso mezzo congelato.
«Le fogne
sono..?» mi interruppi. Non volevo veramente dire quello che
stavo
pensando. «Non saranno una possibile via di fuga
vero?»
Durza
sorrise innocentemente. «Finiremmo nel lago, che è
come lavarsi
no?»
A proposito di lavarsi.. avrei veramente avuto bisogno di un
bagno.
«Va bene» concessi. «Nel caso ne avessimo
bisogno sai
dove andare con esattezza?»
«Non proprio, dovremo andare in
esplorazione anche per quelle» ammise. «Poi sarebbe
ora che
prendessimo qualche decisione pratica per quanto concerne la nostra
visita di cortesia ai Sacerdoti».
«Hai insonorizzato la
stanza?»
Lo fece, stranamente senza fare commenti. «Non volevo
andare lì e presentarmi come Durza, nel caso lo scoprissero
non
credo che sarebbe un problema, ma preferirei trattare in
incognito.»
«E come credi di poter spiegare ai sacerdoti il
fatto che un apparentemente comune essere umano vada alla ricerca di
un misterioso e potentissimo incantesimo?»
«Chiederò di poter
visitare la loro biblioteca e basta, sono certo che ne abbiano una!
Non è necessario che sappiano cosa sto cercando».
«Vorranno
certamente qualcosa in cambio» gli feci notare.
«Tutto ha un
prezzo e tutto si può comprare Principessa. Non credo che
abbiano
bisogno di denaro, ma qualche informazione su una qualsiasi
attività
del sovrano potrebbe essere una buona merce di scambio»
disse,
stirandosi pigramente le braccia.
Mi fermai un istante a
ragionare. «Quanti schieramenti tra loro indipendenti sono
contro
Galbatorix? Quante.. potenze stanno attentando alla sua
corona?»
Era
un dubbio che non mi era mai sorto prima di allora. Per tutta la mia
vita lo schieramento composto dai Varden, dai nani e dal mio popolo
era stato l'unico con cui ero venuta in diretto contatto.
Lo
Spettro fece un sorriso arrogante. «Noi siamo una, Elfa. E
non so
te, ma la componente maschile di questa potenza comincia ad avere
fame. Che ne dici di scendere e farci preparare qualcosa?»