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Autore: Serpentina    13/10/2014    6 recensioni
Dopo quattro anni Faith Irving e Franz Weil hanno preso strade diverse, professionalmente. Il loro amore, al contrario, è più solido che mai, tanto che, sulla scia degli amici che hanno già messo su famiglia, o ci stanno provando, decidono di compiere un grande passo: sperimentare la convivenza. I due piccioncini sono convinti che l'esperienza rafforzerà ulteriormente il rapporto, che, invece, verrà messo a dura prova da un "terremoto" che rischierà di farlo naufragare definitivamente.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Aloha! *saluta ballando la hula*
Siete curiose di sapere se Connie e Monica ( o le due Moniche) si scanneranno, se Keith la smetterà di piangersi addosso per tentare di riconquistarla e tanto altro? Allora non vi resta che addentrarvi nella lettura… dopo i ringraziamenti alle “recensitrici” Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, e a fiordicampo e Violet19, che seguono la storia. Consiglio: se vi piace leggere col sottofondo musicale, ascoltate questa poesia in musica! ^^
 
Che vita sarebbe senza imprevisti?
 
Ci sono momenti in cui tutto va bene, ma non ti spaventare, non dura.
Jules Renard
 
Adam si morse la lingua, maledicendosi mentalmente: l’aveva sognata ancora. Un sogno vivido, intenso, che avrebbe desiderato ardentemente fosse reale. Si stropicciò le palpebre e guardò la finestra: dagli spiragli tra le tende filtrava una luce fioca e aranciata: l’alba non doveva essere passata da molto. Non avendo necessità di alzarsi presto, si girò dall’altra parte e riprese il sonno interrotto finché, diviso tra il desiderio di dare inizio alla giornata e quello di poltrire ancora, allungò una mano nell’altra metà del letto: aveva fatto sogni poco casti su Monica, perché non partire col piede giusto mettendoli in pratica? Purtroppo per lui, però, il posto di Momo era vuoto. “Sarà andata a correre”, si disse, emettendo un verso di esasperazione per l’ossessiva precisione che la donna riservava ad ogni aspetto della sua vita, attività fisica compresa. Si stropicciò le palpebre e guardò la finestra: si intravedeva una luce densa e di un giallo quasi bianco: l’alba doveva essere passata da un pezzo. Incapace di riprendere sonno, si alzò e si trascinò in bagno, sperando che una doccia fredda lo svegliasse e, al tempo stesso, raffreddasse i bollenti spiriti.
Animato da ottimistica determinazione, si vestì e preparò la colazione, convinto che un buon pasto avrebbe allargato il sorriso sul suo volto. Che le scelte alimentari sono condizionate dalle emozioni lo dimostrava l’abitudine - paradossale, per un salutista come Adam - di consumare una tradizionale colazione inglese a base di uova, bacon, fagioli e salsicce: gli ricordava la sua infanzia nel freddo nord dello Yorkshire e l’adolescenza, quando Brian o Nicky gli rubavano le salsicce dal piatto (la Hawthorne addirittura dalla forchetta).
Poco dopo udì il trillo del campanello; tappandosi le orecchie - aveva pregato mille volte suo cugino di modificare quell’acuto insopportabile con una melodia gradevole, ottenendo solo rifiuti e qualche risata - aprì la porta a Momo, che gli porse un sacchettino di carta con dentro due cornetti, naturalmente integrali e ipocalorici. Divorò il suo tra i brontolii sincronizzati di stomaco e cervello, che chiedevano, anzi, esigevano qualcosa di più sostanzioso. Stava per addentare una salsiccia, in barba a colesterolo e trigliceridi, quando Momo cinguettò –Ho incontrato la tua amica… l’altra Monica. Santo cielo, era in uno stato terribile! Prende i vestiti dall’Esercito della Salvezza?
Con la forchetta a mezz’aria e l’espressione allibita, Adam rispose –Ehm… credo stesse andando al canile: fa volontariato lì da anni.
–Con gli stessi vestiti, immagino, altrimenti non si spiega il loro stato- sputò Momo con estrema acrimonia.
–Non può certo presentarsi in tailleur di Chanel!
–Qualcuno dovrebbe informarla che si può essere utili al prossimo anche puliti e ben vestiti.
Adam si morse la lingua: non era d’accordo; i suoi genitori gli avevano insegnato che, proprio perché quasi certamente non ne avrebbe avuto bisogno, doveva comprendere l’importanza del duro lavoro e il rispetto per chi si spaccava la schiena per andare avanti. Per lui essere utili al prossimo non significava staccare un assegno, ma sporcarsi le mani in prima persona.
–Cambieresti idea se ti dicessi che lo facevo anche io?
–No. E adesso metti via quella robaccia, fa ingrassare solo a guardarla!- sbuffò Momo, storcendo il naso.
–Ogni tuo desiderio è un ordine!- scherzò lui, profondendosi in un inchino, quindi attese che la sua fidanzata si fosse trasferita in salotto per ingurgitare a folle velocità una salsiccia e qualche cucchiaiata di fagioli. Il resto lo sistemò in tre vaschette da riporre nel frigorifero: avrebbero potuto tornare utili per pranzo. Raggiunse Momo - che si era accomodata sul divano - e, a pancia semi-piena, la osservò meglio, domandandosi come fosse possibile apparire così impeccabili dopo una lunga corsa: non una sbavatura nel trucco leggero, non un capello fuori posto, non una macchia di sudore sulla t-shirt in tessuto tecnico. Assurdo! Quando correva con Nicky il sudore appiccicava alla fronte il suo ciuffo ribelle, la coda perfetta della Hawthorne si disfaceva e quando si fermavano, ansanti, facevano a gara a chi aveva le chiazze sudate più grandi, gara che invariabilmente naufragava in un mare di risate.
–Guardi me e pensi a lei. Potrei offendermi! No, togli il “potrei”- sibilò Momo, fulminandolo con un’occhiataccia.
–Cos… cosa vorrebbe significare?
–Quello che ho detto. Peccato non abbia uno specchio a portata di mano, sarebbe divertente farti vedere come i tuoi occhi si trasformano in lucine natalizie ogniqualvolta pensi alla tua amica cagnara.
–Tu deliri!
–E tu mi ritieni una stupida!- strillò. –Non capisco il perché di questa messinscena: credevi sarei stata gelosa se avessi saputo che è una tua ex? Beh, lascia che ti dica una cosa- “Sono gelosa lo stesso!” –Non potrei mai temere una come lei. L’hai vista bene?
Adam, istintivamente, avrebbe voluto ribattere che sì, aveva visto benissimo “la sua amica cagnara”, per la precisione l’aveva vista nuda, ma le parole che uscirono dalla sua bocca furono molto diverse… quelle usate da Nicky per spiegargli i motivi per cui, secondo lei, era meglio restassero semplici amici.
–Momo, ho scelto te, e per un buon motivo. Le qualità che si cercano in un partner sono diverse da quelle che si cercano in un amico, di qualsiasi sesso. Ci sono difetti e comportamenti che si tollerano in un fidanzato o fidanzata, ma distruggerebbero un’amicizia, e viceversa. Quando accade quel “viceversa”, hai bisogno di un amico che ti offra una spalla su cui piangere, oppure che si offra come punching-ball per i tuoi sfoghi, e se amico e partner sono la stessa persona, a chi ti rivolgi?
–Davvero toccante. E con ciò?
–Con ciò… non hai bisogno di denigrare la mia migliore amica; anzi, è controproducente: Nicky e io funzioniamo solamente come amici. Se ci mettessimo insieme, non dureremmo cinque minuti. Non pretendo diventiate amiche - è impossibile, siete troppo diverse - però vorrei accettassi la sua presenza nella mia vita e ti sforzassi di trattarla civilmente. Credi di potercela fare?
Rassicurata definitivamente, Momo annuì, si alzò e lo baciò; mentre la teneva tra le braccia, però, Adam non poté fare a meno di pensare che quanto aveva appena detto fosse una emerita stronzata.
 
***
 
Mr. Jones si grattò la guancia, domandandosi quanto sarebbe stato grave allontanarsi dalla sua postazione giusto il tempo di bere qualcosa di caldo - il tempo uggioso stava avendo la meglio su di lui - quando vide due donne, entrambe palesemente formose sotto gli impermeabili.
“Ah, però!”, pensò, inarcando le sopracciglia in segno di apprezzamento, “Quanto bendidio! Peccato siano tutte coperte!”
Le due stavano parlottando, e non avrebbero potuto essere più diverse: la bionda sorrideva, e, vuoi per il colorito roseo, vuoi per la vivacità della fantasia dell’impermeabile, comunicava vitalità; la bruna, al contrario, forse per il netto contrasto tra il nero dei vestiti e il pallore quasi cadaverico della pelle, sembrava un vampiro, e l’agente non si sarebbe stupito se all’improvviso avesse azzannato qualcuno. Sperava solo di non diventare il suo pasto.
La bionda e la presunta vampira si fermarono di fronte a lui e pagarono per una postazione di tiro.
–Spiacente, signore, niente femmine. Non mi fido delle donne con la pistola.
–E fa male- replicò acida la bionda, aprì l’impermeabile, offrendogli una visuale delle sue curve inequivocabilmente femminili e della pistola che custodiva in una tasca interna.
Mr. Jones cambiò espressione all’istante.
–Potevate dirlo subito che non siete due Calamity Jane della domenica!
Faith, sbuffando, afferrò le cuffie e gli occhiali protettivi, si recò alla sua postazione e sfogò la frustrazione accumulata sparando. Non era mai stata un’amante delle armi da fuoco - troppo fredde e impersonali, volgari rispetto alla raffinatezza delle armi bianche e il fascino macabro dei veleni - finché non aveva sperimentato in prima persona l’emozione che si provava nel premere il grilletto e sentire il rumore del proiettile che andava a segno.
–Così mi piaci!- esclamò Serle. –Ci hai dato dentro alla grande! Spero ti abbia aiutata a rilassarti, dopo l’incidente di questa mattina.
L’altra rispose –Continuo a sostenere che i fucili sono tutta un’altra cosa - a un revival western ho sparato con una carabina, è stato fantastico! - ma chi si accontenta gode, perciò... Credo di aver dato il peggio di me perché ho immaginato che la sagoma fosse Sherman. Lo odio da morire!
Non seppe mai se attribuire l’improvviso e violento conato che la colse in quel momento al detestabile Sherman, all’odore pungente di polvere da sparo, oppure al ricordo della figuraccia rimediata poche ore prima, fatto sta che, respirando lentamente per trattenersi, corse in bagno ed espulse anche l’anima. Si sentiva veramente male, e stava lottando contro la sensazione di mancamento che la pervadeva. Quando uscì dalla toilette, avvertì una mano fresca posarsi sulla sua fronte, e il rassicurante –Rilassati, ci sono io con te.
–S-Serle… s-scusa…
–Tranquilla. Meglio fuori che dentro... o sulle scarpe di Sherman!
Faith emise un flebile risolino - anche perché il suo stomaco pareva dar ragione alla moglie di Alexander - poi, emesso un sospiro di sollievo, esalò –Che figura! Se solo ci ripenso, io… ti dirò, sono contenta si sia trattato delle scarpe di Sherman, e non di quelle di Noyce. Vomitare sulle scarpe del capo non è un buon modo per diventare dipendente del mese.
–Direi proprio di no.
–Oddio, che sto dicendo! Scusa, Serle, spesso dimentico che quello che per me è naturale per altri… è una schifezza.
–Non preoccuparti, tesoro: ho tre figli, il vomito mattutino è qualcosa che conosco bene!- ribatté lei.
–V-Vomito m-mattutino?                                         
Di fronte allo sconcerto della Irving, Serle si vide costretta a chiarirsi.
–Non ti scaldare, tesoro: so benissimo che nel tuo caso è stato Sherman la causa dei contorcimenti di stomaco, intendevo semplicemente dire che, avendo affrontato ventisette mesi complessivi di gravidanza, non mi faccio spaventare da un po’ di vomito.
–Nemmeno io- replicò Faith, stiracchiando le labbra in un abbozzo malriuscito di sorriso, sforzandosi di non pensare all’atroce dubbio che si stava insinuando nella sua mente.
 
***
 
Se Connie avesse immaginato le conseguenze dell’invitare Monica a festeggiare il suo successo, sarebbe rimasta a casa.
–Spiegami bene questa storia del percorso letterario- disse la rossa, fremente di quella che l’amica credeva eccitazione, invece era ansia all’ennesima potenza: la Hawthorne aveva intenzione di mettere alle strette Connie per estorcerle dettagli sulla rottura con Keith.
–Ho deciso di iniziare a promuovere ‘Per chi suona la campanella’ a Edimburgo, sia perché le mie opere sono ambientate lì, sia perché mi hanno comunicato che inaugureranno la ‘Cassie’s Walk’, un percorso turistico-letterario che si snoderà nei luoghi perno dei miei gialli. E’ il mio momento d’oro, e intendo godermelo fino in fondo. Oh, Nicky, sono talmente emozionata!
–Lo credo bene! Poi la Scozia è così romantica!- sospirò Monica, osservando la reazione della scrittrice.
Connie trasalì, si morse il labbro e balbettò –S-Sì, m-molto romantica. Peccato che Keith non verrà.
–Ah, no? Come mai?
–Ha da fare. D’altronde sono adulta, non ho bisogno della balia.
Irritata dalla noncuranza con cui la sua migliore amica le stava mentendo, Monica gettò alle ortiche i buoni propositi di agire con calma e compostezza e sbraitò –Dì piuttosto che non lo vuoi accanto perché ti ha dato il benservito!
–C-Come, prego?
–Ricordi la cena di classe? Dopo che te ne sei andata, ho beccato Keith con una. Naturalmente mi sono incazzata, gli ho chiesto spiegazioni - nel mio solito modo, cioè con la violenza, ma ti garantisco che non gli ho fatto troppo male… è ancora tutto intero, no? - e le ho ottenute. Ciambellina, perché non me l’hai detto?
–Grandioso. Eccone un’altra pronta a farmi la predica!
–U-Un’altra?
–Quello smidollato non è riuscito a tenere la bocca cucita: ha confessato tutto ad Adam, che, da buon cavaliere, si è precipitato a consolare la damigella scaricata.
La Hawthorne sbiancò, si coprì la bocca con le mani, poi, recuperato l’uso della parola, pigolò –C-Consolare? C-Cioè a-avete… avete fatto…
–Sei impazzita?- ululò Connie, strabuzzando gli occhi. –Io e Adam? Neanche se fosse l’ultimo uomo sulla faccia della pianeta! Oddio, no, forse in quel caso… esclusivamente in quel caso, eh!
–A giudicare dalla tua faccia, l’idea di fare sesso con Adamino ti disgusta da morire. Lasciatelo dire: sei proprio scema! Adamino è l’uomo ideale: bello, dolce e, a dispetto del simpatico nomignolo con cui lo tormento, niente affatto “ino”.
–Te lo cedo volentieri: non è il mio tipo e ti rispetto troppo per pugnalarti in modo tanto meschino!
–Non è me che pugnaleresti - siamo stati, siamo e saremo nei secoli dei secoli amici e nulla più - ma non è di questo che dobbiamo discutere, bensì di te e Keith. Perché me l’hai tenuto nascosto?
–Per evitare scene come quella che si sta per svolgere- rispose Connie, seccata.
–Ascolta, Ciambellina: posso capire che la sconfitta bruci - e non c’è sconfitta peggiore della fine di un rapporto che ci ha coinvolti nel profondo del cuore - ma per quale motivo tieni in piedi la farsa?
–Perché mi conviene.
–Non capisco.
–Nicky cara, Keith fu talmente corretto da informarmi che stare con me lo annoiava e stava uscendo con Hailey - sì, conosco il suo nome - ma non era andato più in là di qualche bacio per non ferirmi.
–Hai ragione, è stato corretto.
–Infatti gli risposi che apprezzavo la sua sincerità e, per quanto mi riguardava, la sua nuova amichetta poteva tenerselo. Sarei uscita di scena senza tante storie, giuro, se non mi avesse fatta infuriare, lamentandosi perché ero calma! Mi stava lasciando e pretendeva che frignassi per lui, ti rendi conto della sua faccia tosta?
–Ehm, ecco… f-forse voleva appagare il suo ego. Non sono una psicologa, però credo che il suo ego sia il motore di tutto il casino. Sai che i maschi sono cavernicoli: se stanno loro sotto i riflettori va tutto bene, se sotto i riflettori c’è la loro donna si sentono castrati e in dovere di dimostrare la loro virilità…
–Andando a scopare in giro?- abbaiò Connie. –Spero che inventino presto un metodo alternativo di fecondazione, così non serviranno più neppure a quello e potremo sbarazzarcene!
–Ora non esagerare! Guarda che ti era andata di lusso: rispetto alla media dei nostri coetanei, Keith è un ragazzo d’oro- lo difese Monica.
–Placcato oro- sibilò Connie.
–Va bene- concesse Monica: pura avendo riconosciuto in Keith del sincero pentimento, continuava a biasimarlo per aver fatto soffrire la sua amica, che aveva tutto il diritto di detestarlo. –Keithino si è comportato da egoista bastardo; questo spiega perché è finita, non perché non avete rotto definitivamente.
–Innanzitutto per i soldi: mi dispiace infrangere i tuoi sogni romantici, ma non eravamo una coppia perfetta. Non esiste la coppia perfetta, se non nelle menti dei miei lettori. Intuisco dalla tua espressione che hai capito: venderei meno della metà se si sapesse che Keith e io ci siamo lasciati. Poi… beh, se proprio devo essere sincera, una piccola parte di me vuole…
–Tornare con lui?- intervenne Monica, speranzosa: forse, con molto impegno da parte di Keith e un po’ di flessibilità mentale da parte di Connie, la situazione si sarebbe sistemata.
–Manco morta! Voglio che soffrano: ufficialmente Keith è ancora il mio fidanzato, ergo… ce l’ho in pugno. E Hailey è l’altra donna: il ruolo dell’amante è lesivo della dignità, perciò presumo che la sua sia ridotta a brandelli.
–Beh, portare le corna non è più dignitoso, ti pare?
–Può darsi, ma mal comune, mezzo gaudio.
–I-In che senso?- esalò Monica: conosceva la testardaggine di Connie, non si sarebbe fermata finché non avesse raggiunto l’obiettivo.
–Nel senso che, se Keith dovesse cominciare ad avvertire un inspiegabile mal di testa… sarebbe colpa mia!
–Oh, cazzo di Buddha! Ciambellina, trascinare qualcun altro in questa storia è un errore madornale! Soltanto perché hai il cuore spezzato..
–Non ho il diritto di spezzarlo a un’altra persona. Tranquilla, lui mi piace sul serio, non intendo usarlo per ingelosire quel deficiente… altrimenti avrei iniziato prima.
–E’ già qualcosa. Com’è successo?
–Per caso, ed è stato stupendo. Ero convinta che non si sarebbe ripetuto, invece… capisci adesso perché non voglio che Keith mi accompagni in Scozia?
–Porterai il tuo - che brutta parola - amante in Scozia?
–Ovviamente no! Keith non deve assolutamente scoprirlo!- esclamò Connie, e, per un attimo, Monica tirò un sospiro di sollievo, sostituito dallo sgomento quando la bionda aggiunse –La vita è piena di coincidenze, può capitare che due persone si incontrino per caso, no? Un caso programmato, ma pur sempre caso. Un piano perfetto! Non vedo cosa potrebbe andare storto!
 
***
 
Faith entrò di soppiatto nel Queen Victoria Hospital; avendoci lavorato, conosceva a menadito gli ingressi e riuscì a non farsi vedere da nessuno dei suoi amici ed ex colleghi.
Sgattaiolò in bagno, dove, racchiusa da un cubicolo, rifletté sul da farsi: la conversazione con Serle le aveva instillato il tarlo del dubbio, perciò una visita ginecologica era d’obbligo; il problema era: a chi rivolgersi? Non permetteva a chissà chi di metterle le mani addosso, gli unici di cui si fidava erano l’amico di Franz Robert Patterson, che aveva il vizio di lasciarsi sfuggire particolari privati dei pazienti durante la pausa caffè, e la sua amica Maggie Bell, ugualmente chiacchierona (sebbene in buona fede). Le serviva qualcuno competente, ma cinico, qualcuno che non la conoscesse bene e non avesse a che fare con i suoi amici, qualcuno come la...
–Dottoressa Meigs! A cosa devo il dispiacere?- celiò Robert Patterson, impegnato a refertare e spettegolare.
–Il dispiacere è tutto mio, Patterson- rispose gelidamente la donna.
A Maggie Bell non era sfuggito l’impercettibile cenno d’intesa che i due si erano scambiati, tuttavia decise di non darvi peso, attribuendolo alla stanchezza, e si limitò a chiedere –Ha bisogno di qualcosa?
–Senza offesa, Bell, ma mi serve qualcuno con più… esperienza. Patterson, potresti darmi una mano?
–Piuttosto me la amputo, la mano- replicò Robert con sussiego.
–Se non fosse vietato per legge, ti incoraggerei. Anzi, ti suggerirei di tagliarti pure la lingua!
Lo scambio di battute velenose proseguì per un paio di minuti, prima che Robert cedesse alle insistenze della collega. Una volta chiusa a chiave la porta dell’ambulatorio appena concluso, finalmente poté gettare la maschera e gettarsi addosso alla sua nuova, sensuale fiamma.
–Scusa se ti ho disturbato, ma…
–Nessun disturbo, Vanessa. Se non fossi venuta da me ora, ti avrei rapita alla fine del turno.
Robert aveva compreso la natura vorace della collega durante una delle noiose riunioni giornaliere che precedevano l’inizio del turno; gli era caduta la penna e, quando si era chinato a raccoglierla, aveva notato qualcosa - o meglio, la mancanza di qualcosa - nella dottoressa Meigs che l’aveva lasciato di sasso. Sconvolto e divertito, aveva finto di non trovare la penna per godersi lo spettacolo, sperando che nessuno se ne fosse accorto. Errore: la stessa Vanessa, mentre si cambiavano nel filtro per eseguire un cesareo d’urgenza, gli si era avvicinata e aveva sussurrato con voce suadente –Hai visto qualcosa che ti è piaciuto, Patterson?
Era stato l’inizio della fine: incapace di resisterle, aveva represso la parte razionale, che gli sconsigliava di intrattenere una relazione con l’amante del primario, e si buttato a capofitto in questa avventura di puro, bollente, sregolato sesso. Avevano incanalato l’odio reciproco in un’attività non distruttiva e, tutto sommato, piacevole, consapevoli che il loro rapporto si basava sul mero coinvolgimento fisico, e che la massima discrezione era necessaria per non rovinarsi la carriera; difatti si incontravano soltanto a casa dell’uno o dell’altra e solo se erano entrambi più che sicuri di non ricevere visite.
–Puoi rapirmi comunque- sospirò la Meigs mentre Robert le sbottonava il camice e infilava le mani sotto la camicetta. –Cavolo, no, non puoi! Pete mi fa uscire prima oggi, passeremo il week-end insieme: sua moglie va a trovare la madre, e noi possiamo… spassarcela no, se il sesso con lui fosse divertente non avrei bisogno di te… diciamo che potrò curare al meglio i miei interessi.
–Week-end libero. Ottimo!- esclamò Robert ostentando giovialità: in realtà la freddezza della Meigs e il suo ricordargli costantemente che per lei era alla stregua di un oggetto lo feriva, ma non avrebbe espresso lamentele finché avrebbe potuto “inzuppare” a suo piacimento.
–Come mai tanta allegria? Hai intenzione di rimorchiare un’altra sedicenne in discoteca?- sibilò lei, rinfacciandogli la figuraccia rimediata un paio d’anni prima, della quale era venuta a conoscenza grazie alla lingua lunga di Julia Adler.
–Non lo sapevo! Come avrei potuto? Ne dimostrava almeno una decina in più con quel mascherone di trucco e i vestiti che… bah!
–Entra nell’ordine d’idee, tesoruccio, che le sedicenni di oggi non sono come quelle di una volta: non sanno cosa vogliono, ma sanno come ottenerlo. Puoi solamente sconvolgerti per la velocità con cui ti calano le mutande e sperare che restino soddisfatte dalla tua performance, altrimenti ti ritroverai sputtanato su un social network in men che non si dica!
La replica di Robert venne repressa sul nascere. I due si ricomposero alla velocità della luce e Vanessa aprì la porta, seccata che una paziente fosse venuta a romperle le scatole dopo la chiusura dell’ambulatorio.
–Salve.
–Salve. Cerco la dottoressa Meigs.
–L’ha trovata. Cosa vuole?
–Infatti! Sei una mia paziente, Faith!- tuonò Robert, che custodiva i propri pazienti come un drago il suo tesoro. –Avanti, su, seguimi che ti…
–Robert, scusa, ma io, ecco… devo parlare urgentemente con lei.
–Ah, sì? Di cosa?
Faith arrossì e boccheggiò, al contrario della Meigs, che mantenne la calma e rispose –Di un favoloso outlet con prezzi stracciatissimi. Se ti interessa…
Cacciato Robert facendo leva sull’atavica allergia maschile allo shopping, le due donne poterono studiarsi a vicenda: Faith aveva sentito molto parlare della “vacca arrivista” che aveva rubato l’ufficio a Robert, e Vanessa aveva sentito parlare altrettanto della fidanzata di Franz Weil.
–Grazie. So di essere fuori orario, è il motivo per cui sono venuta adesso.
–Bando ai convenevoli, non ho tempo da perdere. Qual è il problema?
–Ecco, io… credo di essere incinta- pigolò Faith chinando il capo.
La Meigs, dimostrando meno tatto di una teiera, sbuffò –Tutto qui? I test di gravidanza li vendono in farmacia.
–Non mi basta: nausea e vomito non sono sintomi esclusivi della gravidanza, e il ciclo è sempre stato irregolare. Voglio esserne sicura, potrebbe trattarsi di una disfunzione ovarica, di una mola, di - speriamo di no - un coriocarcinoma…
–Tutte patologie molto frequenti- sibilò la Meigs, per poi arrendersi di fronte alla testardaggine della patologa. –Va bene, va bene, accendo l’ecografo.
–Grazie. Ehm, nel frattempo… potrei andare in bagno?- domandò Faith, arrossendo.
–Sì, ma spicciati, devo farmi bella, cioè, ancora più bella per il mio uomo, non posso perdere tempo con una collega ipocondriaca- ribatté senza scomporsi Vanessa.
L’altra obbedì, ma non riuscì a trattenersi dal commentare, a voce abbastanza alta da potersi udire attraverso la porta chiusa –Cosa accidenti trova Robert in te?
–Non so di cosa tu stia farneticando.
–Senza offesa, ma non siete granché come commedianti: Robert ha il vizio di non abbottonarsi il camice, perciò ho visto la patta aperta, e tu, nonostante il ritocco frettoloso, hai il rossetto sbavato. Notare particolari apparentemente insignificanti è il mio mestiere. Ammetterai che sono piuttosto brava.
–Anche troppo.
–La domanda, comunque, resta: cosa ci trova Robert in te?
–Quello che io trovo in lui- rispose la Meigs. –Allora, hai finito? No? Santo cielo, cos’hai al posto della vescica, le cascate del Niagara?
Faith attese altri tre minuti prima di uscire dal minuscolo bagnetto esibendo un’espressione sorniona. Gioendo dell’evidente disappunto della ginecologa, ridacchiò –Sarei uscita prima se fossi stata meno stronza, sai? La prima dote di un medico è l’umanità.
–Detto da una che taglia cadaveri….
–I morti sono i “pazienti” più pazienti, nonché quelli da trattare con più rispetto, proprio perché non sanno cosa facciamo loro- asserì la Irving, citando il dottor Noyce. –Allora, questa ecografia? Oh, e magari anche un Toxo-test… sai, ho una gatta.
 
***
 
–Piantala con le tue battutine! So che sono solo tre giorni, ma voglio essere bellissima. Per te- chiocciò Connie, reggendo in una mano il telefono e nell’altra l’ennesimo capo d’abbigliamento da inserire in valigia. Aveva impiegato due ore nella scelta, delusa dal suo guardaroba: gli abitini a fiori che adorava all’improvviso le erano parsi dei ridicoli camicioni da educanda, che l’avrebbero fatta passare per una bambina che giocava coi vestiti della mamma, non la donna sexy e sicura di sé che voleva apparire. “Non c’è da stupirsi se Keith ha preferito quella Hailey a me: conciata così non dimostro più di quindici anni!”, aveva pensato. Per fortuna aveva conservato in degli scatoloni i vestiti che le aveva comprato sua madre in un disperato tentativo di darle parvenze più adulte, e che non aveva mai indossato… fino a quel momento. –Comunque tranquillo, la valigia peserà poco, la maggior parte del bagaglio è composto da lingerie. Mentre ero in giro con Nicky ho fatto spese, e che spese! No, non ti anticipo niente, voglio sorprenderti. No che non devi cercare un altro lavoro: farò i salti mortali pur di non farci scoprire da Keith!- il rumore della serratura che scattava la fece sobbalzare. –Oh, accidenti, il lupus in fabula! No, Kyle, non è entrato un lupo in casa, è Keith… è un modo di dire! Lascia perdere: devo salutarti. Se posso ti richiamo dopo, sennò ci vediamo domani. Baci baci!
–Ciao- la salutò Keith con un bacio sulla guancia. –Con chi stavi parlando?
–Con… Nicky- mentì, avvampando per quel gesto dolce e altrettanto inaspettato: non era più abituata ad avere con lui contatti più intimi del tenersi per mano. –Avevo bisogno di consigli su cosa mettere in valigia, cose così. Roba da donne.
–Decisamente. Un uomo non riempirebbe una valigia per soli tre giorni!- ridacchiò, allentandosi la cravatta, regalo proprio di Connie.
–Probabilmente perché non saprebbe riempirla senza una guida femminile- replicò lei senza degnarlo di uno sguardo.
–Touché- le concesse, dirottando poi la sua attenzione sui vestiti sparpagliati sul letto. –Devo complimentarmi con te o con la rossa folle per il buon gusto?
–L’idea è stata mia, Nicky mi ha incoraggiata. Ogni tanto cambiare fa bene, non trovi?
–Assolutamente. Approvo questo nuovo look: sei giovane, ma una donna.
“Te ne accorgi soltanto adesso, pezzo di cretino?”
–Puoi dirlo forte!- esclamò la scrittrice, scostandolo con poca grazia. –Adesso, se non hai intenzione di aiutarmi e non hai nulla da dire che valga la pena ascoltare… ho un bagaglio e una casa da sistemare: partirò domattina presto.
–Pure io.
Connie, esterrefatta, chiuse un dito tra le ante dell’armadio; uggiolante di dolore, accettato riconoscente il ghiaccio portatole prontamente da Keith, esalò –Tu cosa?
–Non sarai l’unica a partire domani. Lascia, faccio io: bisogna massaggiare dove fa più male.
–Week-end romantico con Hailey?- sibilò Connie, sentendosi tremendamente in colpa per le bugie che gli stava propinando e per la gioia provata al pensiero di non vederlo per tre giorni. Bel modo di ricambiare le sue inspiegabili carinerie!
–Week-end senza aggettivi con la mia ragazza- la corresse. –Va meglio?
–Sì, grazie. Dove sei diretto?
–Edimburgo, Scozia.
Connie, livida, gli diede uno schiaffo, per poi ritirarsi, gemente: l’aveva colpito con la mano lesa.
–Nicky ha una cattiva influenza su di te. Da quando sei così violenta?
–Da quando hai deciso di essere così idiota! Porca miseria, che male! Perché non ho usato l’altra mano? Spero ti si scuota un po’ il cervello! Mi faccio in quattro - ma che dico, quattro? Dieci! - per preservare le apparenze, e tu rovini tutto portando la tua amichetta nella città dove presenterò il libro? Sei stupido di natura, o ti impegni?
–Casomai, sei tu che ti impegni a fraintendermi- rispose Keith con placida tranquillità. –Ultimamente passiamo poco tempo insieme, troppo poco; ho deciso di rimediare: verrò con te!
–I-In aeroporto.
–A Edimburgo! C’erano posti liberi sul primo volo di domani, il tuo. Non sei contenta?
La Bishop faticò a trattenersi dall’urlargli contro. Sfogò la rabbia su un pantalone innocente e ringhiò –Vuoi la verità? No, non sono contenta. Come ti è saltato in mente di prendere una decisione del genere senza consultarmi? Cosa credevi, che ti mi sarei messa a saltellare esultante?
–Beh, ecco… sì.
–Complimenti, allora, hai appena dimostrato di possedere la sensibilità e l’egocentrismo di un bambino di tre anni! La mia vita non orbita intorno a te! Non lo faceva quando stavamo insieme, figurarsi adesso! Ho programmato ogni minuto delle mie giornate, non c’è spazio per distrazioni. Oltretutto, ero sollevata alla prospettiva di un’evasione dalla tua costante presenza…
–Costante presenza?- esalò Keith. –Ma se ci vediamo a malapena quando andiamo a dormire!
–Basta e avanza, per due finti fidanzati.
Keith alzò gli occhi al soffitto, esasperato, e si sedette sul letto, prendendosi il volto tra le mani. L’atteggiamento ostile di Connie lo faceva impazzire, ma aveva ragione: era da insensibile pensare che tutto si sarebbe sistemato in un attimo, come per magia, con un bacetto e un week-end da soli. Connie, nonostante gli sforzi di non darlo a vedere, era una giovane donna ferita, e desiderava ferirlo a suo volta, riuscendoci benissimo. Era stato avventato, e ne stava pagando le conseguenze: dove aveva la testa quando aveva prenotato il volo? Come aveva potuto essere tanto egocentrico da non prevedere la sua reazione? La strada per la riconquista era in salita, e, nel tentativo di prendere una scorciatoia, aveva inciampato ed era rotolato al punto di partenza.
–Ti chiedo scusa. Ho agito d’impulso, ma in buona fede.
–Lo so. E’ l’unica certezza che ho su di te, al momento- asserì Connie con tale dolcezza che le speranze di Keith crebbero proporzionalmente alla sua determinazione: poteva ancora farcela.
Peccato che un dubbio si insinuò presto nei suoi pensieri.
–Senti, ehm, non prendertela, però… non è che mi nascondi qualcosa? So che è stupido, e che sto sprofondando nella paranoia, ma non posso fare a meno di domandarmi se la causa del tuo desiderio di starmi lontano… sia qualcun altro.
–Hai ragione: stai sprofondando nella paranoia.
–Non ho intenzione di fare scenate, te lo assicuro, vorrei semplicemente saperlo. Solo questo.
Connie si irrigidì: il suo peggior timore si stava avverando. Era giunto il terribile momento della verità: confessare o non confessare? Questo sì che era un dilemma! La voce della ragione le suggeriva che avrebbe potuto, dovuto sputare il rospo, magari tenendosi sul vago riguardo l’identità del suo nuovo amore - non avrebbe permesso che Kyle perdesse il lavoro - tuttavia prevalse la parte peggiore, quella bugiarda e manipolatrice, che parlava con la voce di Vyvyan; nella scelta tra ciò che era giusto e ciò che era facile, Connie Bishop scelse la seconda opzione.
Carezzandogli il viso, chiocciò –Il pallone aerostatico del tuo ego può evitare di sgonfiarsi: non c’è nessun altro. Sarebbe sciocco: perché rubare dall’ufficio il distributore di bevande, quando a casa hai una fedele teiera?
Keith emise un sospiro di sollievo, prima di sbottare, offeso –Mi hai paragonato a una vecchia teiera?
–Fedele, non vecchia.
–Sono quasi sinonimi!- ululò lui.
–Devo ricordarti a cosa mi paragonasti quando ci lasciammo? Un paio di pantofole!
–Non è vero!
–La memoria inizia a perdere colpi, eh, Keith?- sputò Connie. –Che vuoi farci, è l’effetto dell’età che avanza.
–Possibile che non riusciamo più a comunicare, noi due?
–Credevo lo stessimo facendo.
–Una comunicazione costruttiva, Connie, non questo patetico scambio di battute rancorose!- sbraitò Keith, ormai al limite di sopportazione.
–Puoi sempre andare da Hailey. Ti suggerisco un fine-settimana caliente per disintossicarti dalla mia ammorbante presenza- sibilò lei.
–Io, invece, suggerisco un fine-settimana di civile conversazione in territorio neutro. Servirà a chiarirci e recuperare un rapporto almeno di amicizia. Che ne dici?
–Dico che è una pessima idea.
–Non sono d’accordo: è una splendida idea- obiettò Keith, prima di sollevarle il mento e gettare l’àncora di speranza. –E so che, sotto sotto, lo credi anche tu. Ti sfido, Connie: prova a guardarmi dritto negli occhi e dirmi che tre giorni con me sarebbero insopportabili. Dimmelo… se ne hai il coraggio.
 
 
***
 
Brian entrò nella pasticceria di Melanie, ‘Il dolce mondo di Mary’, in cerca di conforto. Era frustrato, scoraggiato, depresso: neppure dopo ore di discussione era riuscito a risolvere il problema del ricatto di Crystal, perché di ricatto si trattava; la donna - sebbene l’avesse partorito, non l’avrebbe mai reputata madre di suo figlio - aveva prosciugato la sua fetta di eredità e pretendeva di rimpinguare i conti in rosso con quella di Aidan James, minacciando di portarglielo via se non avesse esaudito la richiesta.
Incapace di giungere autonomamente a una soluzione, Brian aveva riunito i suoi genitori, suo fratello e il suo avvocato nella speranza che lo aiutassero a capire cosa fosse meglio per suo figlio. La questione, infatti, non era di facile soluzione: sarebbe stato semplicistico ridurre la faccenda a una mera transazione economica; certo, accontentando Crystal avrebbe evitato che rientrasse nelle loro vite, ma chi o cosa gli avrebbe garantito che non sarebbe tornata con richieste più esose? Inoltre, c’era da considerare l’aspetto etico: lui amministrava i soldi, ma questi non appartenevano a lui, bensì ad Aidan, e attingervi gli sembrava quasi un furto, senza contare che, se pure avesse usato i suoi soldi, Crystal avrebbe potuto in seguito rivelare la vicenda, facendolo apparire come il papà cattivo che aveva impedito a una madre di entrare in contatto con suo figlio. Ciliegina sulla torta, l’opzione consigliata da Jack - non cedere al ricatto e passare alle vie legali - secondo logica la più ragionevole, lo terrorizzava: avrebbe rischiato di perdere Aidan. Era vero che nessun giudice sano di mente avrebbe affidato un bambino a chi l’aveva abbandonato appena nato per darsi alla bella vita, ma non poteva averne la certezza assoluta.
Sconsolato, si sedette a un tavolino solitario e ordinò una fetta della specialità della casa, torta al triplo cioccolato; aveva un disperato bisogno di una sferzata di buonumore.
Immerso nei suoi pensieri, non si accorse che qualcuno aveva aggiunto una sedia finché questi non si schiarì la voce, richiamando la sua attenzione.
–Faith! Ciao! Scusa, io…
–Ho interrotto una riflessione su profonde tematiche filosofiche, oppure una fantasia erotica?
–Per quanto possa sembrarti incredibile… la prima.
–Peccato, la seconda sarebbe stata più interessante- ridacchiò la Irving, sfogliando il menu. –Vuoi che ti lasci solo?
–No, no! Resta, mi fa piacere un po’ di compagnia.
–L’avevo intuito, sai? Hai l’aria di chi ha il peso del mondo sulle proprie spalle.
–E tu di una a cui è appena morto il gatto- replicò Brian, sorridendo alle imprecazioni e scongiuri di Faith, che adorava la sua gatta.
–Agatha sta benissimo, non portare sfiga!- soffiò. –Vengo in pace: mangiare da soli è triste, quindi controindicato quando si è tristi.
–Mangiare dolci lo è per chi dovrebbe seguire una dieta- osservò Brian con una punta di rimprovero.
–Ci ho rinunciato: era malsana e inutile- rispose Faith, arrossendo. Non gli avrebbe rivelato il reale motivo del mancato calo di peso. –Ne comincio un’altra lunedì, Bridget si è unita a me per solidarietà… e perché convinta che perdere qualche chilo aumenterà le probabilità di trovare il marito numero quattro. Niente astruserie, stavolta, sono andata da una dietologa.
–Non capirò mai perché le diete si iniziano di lunedì.
–Forse c’è una ragione psicologica: inconsciamente associamo l’inizio della settimana a un rinnovamento, per cui riesce facile iniziare una nuova attività. Ok, mi sto esprimendo come una psicologa da talk show. Cambiamo argomento, è meglio.
–Perché? E’ divertente parlare di diete in una pasticceria!- trillò Brian.
–E’ crudele- ribatté Faith, per poi ordinare un muffin al cioccolato e del tè.
–Crudelmente divertente- concluse lui, ponendo fine alla disputa. –Oh, dai, non fare quella faccia! Dovresti essere contenta: mi hai ridato il sorriso.
–Problemi in paradiso?
–Sono precipitato all’inferno, grazie a quella grandissima troia di Crystal.
–Crystal? Crystal Ryan? La madre di AJ?
–La donna che ha messo al mondo AJ e poi se l’è squagliata- precisò Brian. –Sono nella merda, F: vuole dei soldi, tanti soldi, altrimenti me lo porterà via. Non so cosa fare! Mia madre e mio padre sono dell’idea di accontentarla e mandarla al diavolo, Ben e Jack, invece, caldeggiano una guerra in tribunale.
–Eh, sì, sei veramente nella merda!- commentò Faith, scuotendo il capo.
–Bell’amica, sei! Dovresti confortarmi!
–Gli amici dicono sempre la verità, e la verità è che sei nella merda- asserì la Irving con assoluta serietà. –Qualsiasi decisione prenderai avrà lati positivi e negativi… devi capire quale ha il miglior rapporto costi/benefici.
–Difficile stabilirlo: se la pagassi, un giorno AJ potrebbe rinfacciarmelo; se non la pagassi, rischierei di perderlo.
–Sei in un bel casino- esclamò Faith, per poi aggiungere, involontariamente –Al confronto, il fatto che sono incinta e né io, né Franz lo vogliamo è un’inezia!
Brian annuì, dopodiché, elaborata la seconda parte della frase, impallidì e balbettò –T-Tu s-sei c-cosa?
–Cazzarola, mi è scappato!- sibilò lei a denti stretti. –E va bene, tanto vale confessare: un audace spermatozoo di Franz ha fecondato una mia accogliente e fertile cellula uovo. Non lo sa nessuno, io stessa lo ignoravo… fino ad oggi. Terrai il segreto?
–Contaci! Anche se tra poco sarà sotto gli occhi di tutti- rispose lui indicando il ventre dell’amica.
–Non è detto. Sono ancora in tempo per… rimediare.
Brian aggrottò le sopracciglia in un’espressione severa, e abbaiò –Rimediare? Stai scherzando, vero?
–Non sto scherzando- pigolò lei, puntando lo sguardo sul liquido caldo e ambrato che riempiva a metà la tazza. –Non è un buon momento, Brian: sto lavorando sodo per farmi strada, Noyce comincia ad apprezzarmi… non posso permettermi di rallentare, e una donna incinta deve necessariamente rallentare; poi, dato che le disgrazie non vengono da sole, Franz non vuole figli, non sopporta i bambini.
–Strano, è fantastico con AJ!
–AJ è l’eccezione che conferma la regola- sospirò Faith. –Franz, come me, sa che un bambino richiede tempo ed energie che preferisce, anzi, preferiamo investire nel lavoro, piuttosto che in una eventuale paternità o maternità.
–Una futura paternità e maternità, direi.
–Questo è da vedere.
–Perché parti prevenuta?- latrò Brian. –Non è detto che un figlio vi cambi la vita in peggio! In ogni caso, deve saperlo: il cosino là dentro l’avete fatto in due, Franz ha peso nella decisione, qualunque decisione. E poi, chi lo sa… potrebbe sorprenderti.
–Ne dubito. Comunque vada a finire, finirà male: questo agglomerato di cellule creerà solo problemi!
 
Note autrice:
Scusatemi per l’attesa, spero ne sia valsa la pena. ^^
Per restare in tema gravidanza, questo capitolo è stato un parto: i personaggi non collaboravano, e ho sperimentato la terribile sensazione di blocco, quel senso di frustrazione che si prova quando si fissa lo schermo del computer e si vede una pagina Word che non ne vuole sapere di riempirsi. Non lo auguro a nessuno.
Adam, poverino, cerca, nel suo modo immaturo, di ridimensionare Nicky nel ruolo di amica, ma il suo cuoricino oppone resistenza. Prevedo una dura lotta tra il numeroso “team Nicky” e il “team Momo”, sempre che esistano sostenitrici della nuova ragazza di Adamino . ;-)
Non so voi, ma ho riso un sacco immaginando la faccia di Connie, tutta eccitata per il week-end di fuoco con Kyle, quando Keith le ha detto che l’avrebbe accompagnata! Avrebbe voluto ucciderlo! Oppure in fondo, molto in fondo, è contenta… chi lo sa!
Pure Brian è in un bel casino, e Faith non manca di farglielo notare. Sventerà la minaccia Crystal?
Dulcis in fundo… Faith è incinta! Piccolo Weil in arrivo! Qualcuno l’aveva sospettato: i miei complimenti! Chissà come la prenderà Franz: se la sentirà di fare il papà? Ma, soprattutto… lei se la sentirà di fare la mamma? Perché da come ne parla, al momento non arde d’amore  per “l’embrione”! XD
Au revoir!
Serpentina
Ps: mola e coriocarcinoma sono malattie esistenti (non essendo un’enciclopedia medica, non entro nei dettagli), mentre il Toxo-test è un’indagine di routine che si fa nelle donne in gravidanza per escludere il rischio di un’infezione da Toxoplasma Gondii, un parassita che in un adulto sano fa poco o niente, in un feto causa seri problemi, e in genere si contrae dai gatti (raramente dai cani). 
   
 
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