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Autore: flyingangel    13/10/2008    1 recensioni
"Amarti, il mio incubo. Che cosa nascondi dietro ai tuoi occhi?"
Chey è una ragazza come tante, ma qualcosa dietro l'angolo sconvolgerà la sua vita, e le farà vivere l'esperienza più eccitante, dolorosa, e pericolosa che abbia mai immaginato.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- SETTIMO CAPITOLO -


*

Arrivai a scuola in ritardo. Era già suonata la campanella.
“Chey, ma che fai?” mi accolse Jen.
Le lanciai una vaga occhiata, seccata.
“Ma pure ieri eri strana, ti è successo qualcosa?” lei si fece un po’ più preoccupata.
Alzai le spalle. “No, figurati. Niente”.
Jen tornò a guardare la cattedra. “Ricordati quello che ti ho detto”.
“Cosa?” mormorai.
“Che se hai bisogno, io sono qui”.
La fissai un istante. “Lo so, grazie”.
Mi sedetti sul banco, ad ascoltare la lezione. Guardai continuamente l’orologio appeso al muro, era tondo,
grande, enorme… che cavolata. Era piccolo, invece…
Ma cosa mi prendeva?
Mi sentivo una stupida. Di più, un aliena. Scossi la testa per cacciare quei pensieri idioti. E mi ripromisi, per questa volta,
di non parlare da sola, a voce alta.
Quandò suonò fu un sollievo, mi fiondai in corridoio a prendere una boccata d’aria. Sbuffai.
“Uff…”
“Ehi, ti riposi un po’?” la voce di Loud mi raggiunse da dietro.
Lo guardai. “Sì, e tu?”
Lui alzò le spalle. “Uguale” poi sorrise.
“Allora, senti…”.
“Perché non ci andiamo a prendere una lattina?” mi chiese.
“Okay” lo guardai, stupita.
Arrivammo davanti alla macchinetta. “Dunque, che vuoi tu?” domandai, con lo sguardo perso nella scelta di cosa prendere.
“Mmm… no, non mi va nulla... Prendila tu” mi sorrise, mettendomi fretta nel pigiare il bottone.
Lo scrutai male, cercando di capirlo. “D’accordo” dissi, un po’ confusa.
Presi la mia lattina di coca cola e cominciai a berla. “Ma tu sei sempre così strano?”
“E tu, sei sempre così strana?” lui mi fissò, ma non era troppo serio.
Alzai le sopracciglia. “La mia domanda era per prima”.
Lui scosse la testa. “Dipende che cosa hai in mente tu come idea di strano”.
“Non ho in mente nulla”.
“Allora non ti posso dire se lo sono o no”.
“Perché hai accusato Antoine di essere un bastardo, siete amici no?” gli chiesi, incuriosita.
Lui alzò le spalle. “Per la verità, c’è un motivo”. Smise di parlare e io aspettai.
“Sarei curiosa”.
“Rimani così allora, sei molto bella” sorrise, lasciandomi di stucco.
“Ma… “
Loud mi venne vicino, continuando col suo sorriso. Altro che pubblicità in tv.
“Non ha senso..” continuai a bofonchiare.
“Sì che ce l’ha. Ha senso se ti dico che sei bella”.
“Hai detto molto” ripresi.
“Lo devo ripetere?”.
“Mmm … no, okay”.
Loud sorrise ancora. “Davvero ti faccio questo effetto… di essere strano?”.
“Sì, un po’ direi”
“E come mai?”
“Perché… non lo so”
“Ah, fantastico”.
“Sì, ma tu non mi hai risposto”.
“Neanche tu” replicò.
“Io ho detto non lo so” alzai le spalle.
“Senti… ti interessa Antoine che vuoi sapere sul suo conto?” non capivo l’espressione della sua faccia quando me lo chiese.
“Mmm… mi interessava sapere come mai hai detto così… Ma siete fratelli?”
“Come ti viene in mente?” alzò un sopracciglio, piuttosto sorpreso.
“Niente… è che Antoine ha detto che Pearl è suo fratello minore... e così…”
“No. Io e Antoine non siamo fratelli” lui alzò le spalle, serio.
“Ah, capisco. Ma abitate insieme?”
“Sei un po’ curiosa, eh? Comunque sì… solamente che io abito in un piano e Antoine e Pearl in un altro…”
Annuii, mugugnando qualcosa.
“Oggi vieni da me?”
Sgranai gli occhi. “Posso venire da te?”
“Sì, certo”.
“Okay, quindi devo venire in collina?”.
Lui annuì. “Ti aspetto per le sei”.
“D’accordo” questa volta fui io ad annuire.
“Allora ti saluto che torno al mio lavoro” alzò lo straccio per mostrarmi.
Tornai da Jen, in classe.
“Adesso va meglio?” mi chiese.
“Mmm… sì, forse” mormorai più a me stessa che a lei.
Aprii il cancelletto ed entrai in casa.
“Mamma, zia, sono tornata” bofonchiai.
“Chey, vieni qua” mormorò Anne, dandomi una vaga occhiata di sbieco.
“Sì, che c’è?”
“Tutto a posto?”
“Sì, zia te l’avevo detto giorni fa…”
“Lo so… ma tua madre è preoccupata, perché non sa nulla di te”.
Guardai verso il piano superiore. “È di sopra?” indicai con il viso.
Lei annuì.
“Vado…”
Salii le scale e bussai in camera sua.
“Sì?”
“Mamma… sono io, avevi bisogno di parlare?”
“Entra un attimo, Chey” il suo tono non era troppo serio.
Entrai. “Sì, dimmi…”
“Siediti” indicò un punto del letto, proprio accanto a lei. “Come stai?”
“Bene perché? Tu?” le chiesi, sorpresa.
“Bene… e la scuola?”
“Mmm… sto recuperando” mentii, anche se non era del tutto falso.
“Davvero?” lei alzò le sopracciglia.
Annuii. “E comunque, quest’anno è più difficile… sai, poi storia…”
Sorrise un attimo. “Già, lo so. E letteratura?”
“Letteratura me la cavo, mi piace”.
Lei annuì, convinta. “È passato troppo tempo” disse.
Feci di sì con la testa, un po’ amareggiata.
“Ti ho reso la vita triste?” mi chiese, seria.
Scossi la testa, leggermente. “Perché pensi questo?”.
“Perché sono distante da te e non ci sono mai”
“No… non è vero”.
Lei mi guardò con rimprovero. “Chey, è così”.
“Sì, ma non mi hai resa triste”
“Proverò a crederti, anche perché il mio desiderio più grande è vederti felice, che tu lo creda o no”
“Ci credo” la guardai con consenso.
“Nonostante non ti possa essere vicina, ti penso tutte le notti… i giorni sono troppo occupata con i bambini”
 mi sorrise e io glielo rimandai.
“E con le persone come ti trovi?”
“Ho solo Jen… per il momento” risposi, con un mugugno.
Lei annuì. “Sei troppo in gamba, perché Jen non se ne fosse accorta” rise.
“Già” risi anch’io. Che ero troppo in gamba, non significava certo che me ne vantassi, ero solamente
diversa dal resto del genere giovane.
“Allora… non hai conosciuto nessun altro?” mi chiese, con una nota di curiosità nella voce.
“Mmm… no, perché?”
Lei scosse le spalle.
“E tu come te la cavi con i bambini?”
“Mi diverto… e impazzisco” sorrise un attimo. “Ma non ne posso fare a meno”.
“Lo immaginavo” ricambiai il sorriso.
“Forse perché ci sono portata, forse perché è destino… che noi due stessimo lontane” aggiunse un po’
malinconica.
“Non lo so, anch’io sento la tua mancanza, ma non per questo ti odio” ammisi, con sincerità.
“Di questo sono felice” concluse, guardandomi negli occhi.
“Sai, avevo paura di parlarti”.
“E perché?” mi domandò, corrugando le sopracciglia.
“Perché è da tanto che non parlavamo e non ricordavo più come facessimo prima” lei mi guardò e mi sorrise,
avvicinandosi.
“Ricorda di chiamarmi al cellulare, ogni volta che vuoi. Non c’è bisogno di preoccuparsi se è da tanto che non
parliamo, o se hai qualcosa che non vuoi dirmi. Basta che mi dici mamma, mi sento bene o mamma, c’è
qualcosa che non va. Voglio solamente essere partecipe del tuo umore ed essere felice se lo sei tu o essere triste per te”
Attesi un attimo, sorpresa. “Grazie”
Il vialetto sembrava più accogliente, quando uscii verso le sei.
Dovevo raggiungere la collina, si dava il caso che avessi appuntamento con Loud; cosa che mi sembrava
ancora alquanto strana.
“Vieni da me?“ Un francese? Ma quando mai si era visto?
Sorrisi, scuotendo la testa, stupita. Nooo, non poteva essere.
Mentre ancora rimuginavo dentro ai miei pensieri, avevo già raggiunto la collina in bici. L’appostai di fuori e
attesi un segno, lui che venisse all’esterno e mi chiamasse.
Mi misi a braccia conserte, passarono due tre quattro minuti, ma Loud non si faceva vivo.
Oh mio Dio, e se gli fosse successo qualcosa? Magari per colpa mia, che doveva incontrarmi?
Mi mordicchiai un labbro, pensierosa.
No… non poteva essere colpa mia… giusto?
“Ehi” biascicò una voce; era di Loud.
“Oh, credevo non ci fossi” ammisi, un po’ stupita.
Lui curvò le sopracciglia. “Perché non ci dovrei essere stato?” chiese.
Scrollai le spalle. “No… è che non ti vedevo…”
“Eccomi qui” fece un sorriso a metà.
“Scusami, non sto tanto bene…” gli andai incontro, abbracciandolo.
Lui rimase un po’ sorpreso, l’avvertii quando toccai il suo corpo, ma mi avvolse.
“Stai male?” mi chiese, preoccupato.
Annuii. “Sì… e non so perché. Forse ho la febbre, mi dispiace che mi stia venendo proprio ora”.
“Non c’è problema, possiamo stare anche così”
Sussultai leggermente. Ah…
Poi lo guardai in volto, e lui ricambiò lo sguardo. “Posso continuare a dirti che sei strano?” mormorai.
Lui fece cenno di sì con la testa. “Anche se non capisco il perché lo pensi”.

*
Ringrazio chi legge, e:

valevre: grazie mille, davvero, anche per essere passata di qui e per continuare a leggermi! mi fa molto piacere :)
  
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