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Autore: Midnight_whisper    14/10/2014    1 recensioni
Una storia forse leggera all'apparenza, ma molto introspettiva, sull'adolescenza. La storia nasce come sceneggiatura, quindi spero mi perdonerete alcuni passaggi poco narrativi, ma ho dato il massimo. Spero possa piacervi la storia di Claudio, Andrea, Mario, Liliana, Paola e Alessandro.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo stava prendendo quella classica sfumatura rossastra tipica del tramonto. Paola adorava il fatto che le giornate fossero tanto lunghe. Quando d’inverno alle cinque il cielo era già nero si rendeva conto di deprimersi, mentre quel sole che doveva ancora scomparire alle sette e mezza di sera era tutta un’altra cosa. La illuminava. Seduta, la schiena contro un albero sottile, tanto sottile da dar l’impressione di essere sul punto di piegarsi, Paola teneva come sempre le ginocchia alte, piuttosto vicine al petto, così da poter usare le sue stesse cosce come un appoggio al suo block-notes. Disegnava. Faceva degli schizzi molto embrionali che non diventavano mai dei veri disegni, in realtà. Ma le piaceva così. Quelle linee nere scure per la china, che si incrociavano sul foglio, le trasmettevano una sensazione di armonia. Nonostante l’evidente disarmonia dei singoli tratti di penna, bastava allontanare lo schizzo dall’occhio per poterlo ammirare in tutta la sua bellezza. Claudio le diceva sempre che erano bellissimi.
Uno dei suoi ciuffi castani le finì tra gli occhi. Lo scostò via con la penna alzando lo sguardo verso destra. Due ragazzi sembravano osservarla qualche metro più in là. E sembravano parlare, confabulare quasi. E, con ogni probabilità, non stavano parlando del fatto che fosse una bella ragazza. Un passo verso di lei. Un secondo. Camminata decisamente più spedita. Paola cercò di voltarsi dall’altro lato, sbuffando e gonfiando le sue guance chiare. Se avesse potuto avrebbe pure isolato le sue orecchie per non sentire nulla e, invece, eccoli accanto a lei, quei due.
‹‹Ma tu sei Paola Cristaldi? Quella del negozio in via...›› Aveva iniziato a parlare quello col cappello in testa.
‹‹Sono io.›› Troncare il discorso immediatamente. Era l’unica cosa che desiderava. Si voltò e iniziò a ignorarli. Guardava il suo foglio e disegnava.
‹‹Fantastico, sai, volevo passare in centro oggi e mi chiedevo se il negozio fosse aperto, perché in caso contrario credo dovrei prima fare un salto a rinnovare l’assicurazione sulla vita...›› Il tipo col cappello si voltò in un certo qual modo soddisfatto dalla sua affermazione verso l’altro, che sorrise in silenzio. Poi tornò di nuovo a fissarla, evidentemente indispettito dalla sua indifferenza.
‹‹Senti, di' un po’...››
Paola strinse la penna forte nella mano, affondando le unghia sul polpastrello del pollice.
‹‹Ehi ciao, Paola! Scusa ti ho fatta aspettare?››
Paola alzò lo sguardo quasi istintivamente. Un ragazzo di media altezza, piuttosto impostato fisicamente, con dei capelli estremamente ricci. Mai visto prima.
‹‹Questi... sono amici tuoi?›› Il nuovo arrivato puntò col dito i ragazzi e li osservò con superficialità per poi fissare di nuovo Paola.
‹‹No, non ho idea di chi siano...››
‹‹Oh, ragazzi avete bisogno di qualcosa? Non voglio essere maleducato ma, se non vi serve nulla, sarebbe bello se ci lasciaste soli.››
Il tipo che fino a quel momento era rimasto in silenzio parlò, sfoggiando un vistoso piercing alla lingua ‹‹Perché, tu chi sei?››
‹‹Alessandro Visco, piacere. Sono il suo ragazzo. E sono già abbastanza in ritardo perché mi ero scordato di avere la lezione di boxe oggi pomeriggio.››
Il tipo del piercing sospirò annoiato. Poi voltò le spalle seguito dall’altro che abbozzò ironicamente un ‹‹Buon divertimento allora...››
Alessandro sorrise fra sé e sé e prese posto sull’erba a circa un metro da Paola ‹‹Scusa, eh, ma mi tocca stare seduto un po’ qui finché non si allontanano un po’.››
‹‹Si può sapere tu chi cazzo sei?›› La frase aveva una punta di cordialità.
‹‹Qualcuno che ti ha appena dato una mano fingendosi il tuo ragazzo e si è pure scusato per questo.››
‹‹E fai boxe?›› Lentamente Paola faceva ruotare la penna fra le dita, fissandolo. Non era un bel ragazzo ma, perché l’aveva fatto?
‹‹Non saprei nemmeno indossare i guantoni, immagino. L’unico sport che ho fatto nella vita è stato il tennis.››
‹‹Certo. Comunque ti ringrazio per quello che hai fatto, ma ciò non toglie che mi devi delle spiegaz... Ehi, parlo con te!››
Alessandro si era alzato senza troppe cerimonie e si stava allontanando dall’albero sottile che faceva ombra sul block-notes.
‹‹Eh? Pensavo volessi restare da sola, no? Quelli se ne sono andati e non avevo più motivo di restare...›› Tornando indietro si fermò a pochi passi da lei.
‹‹Ah, certo, fai pure. Io volevo solo parlare un po’.›› Paola puntò di nuovo lo sguardo in giù, nascondendolo fra i lunghi capelli ondulati.
‹‹Ti va se ci vediamo un’altra volta?››
Silenzio.
“Una frase del genere di punto in bianco? Deve essere senza dubbio pazzo.”
‹‹Oh, non devi fraintendere. Solo che anche a me farebbe piacere parlare ma oggi non posso proprio...›› Le parole suonavano tanto come una giustificazione improvvisata.
‹‹Ah, davvero? Bene, dammi il tuo numero. Se ne ho voglia ti chiamo.›› Paola sorrise.
 
I cuscini del divano stavano lentamente scivolando sotto il suo peso, ma, nonostante ciò, Andrea non sembrava volersi alzare per sistemarli di nuovo. In televisione scorrevano programmi che non seguiva. Adesso c’era un quiz.
‹‹Allora, attenzione perché questa è una domanda importante: a quale imperatore succedette Calig...››
Andrea cambiò canale senza nemmeno ascoltare cosa veniva detto, mentre con la mano destra non riusciva a non giocare con una pallina da baseball che gli aveva regalato suo padre anni prima.
‹‹Sei il solito depresso, mamma mia! Cosa c’è che non va?››
Sua sorella era appena entrata nel salotto ed era subito stata catturata dall’atteggiamento assente del fratello. Era un tipo molto solare, sua sorella.
‹‹Va tutto bene.›› Andrea era spesso lapidario quando parlava con membri della sua famiglia, sebbene in compagnia di amici avesse una parlantina coinvolgente.
‹‹Certo, certo. Infatti ti credo. Ti conosco, mi rendo conto se qualcosa non va! Quindi ora mi racconti per filo e per segno cosa sta succedendo, va bene?›› Si avvicinò al divano poggiando le braccia sui fianchi.
‹‹Lasciami in pace, Giulia.››
‹‹Non costringermi a farti del male, sai che ne sono capace.››
Andrea si voltò rapidamente a pancia in giù sul divano per evitare anche solo di guardare sua sorella, lasciando così rotolare la pallina sul tappeto rosso. ‹‹È una questione fra me e Claudio.››
Giulia si  lasciò andare sul divano e si appoggiò allo schienale, guardando nel vuoto. Sospirò.
‹‹Claudio, eh? ...Non credo che tu possa avere dei problemi con Claudio.››
La voce di Andrea, soffocata dal cuscino, si trovò libera quando il ragazzo alzò nuovamente la testa e parlò con fare annoiato ‹‹Senti, te l’ho detto: lasciami in pace, per favore.››
‹‹E va bene, va bene. Cerchiamo di parlare sul serio allora. Ti va di raccontarmi che problemi hai con Claudio?››
Le parole cantilenate dalla sorella maggiore non sortirono alcun effetto, tuttavia Andrea iniziò a raccontare. Più per parlare ad alta voce con se stesso, che per raccontare i fatti alla sorella.
‹‹Certo, io avrò esagerato, però lui... Lui ha sempre reagito male alle azioni degli altri! Avresti dovuto vedere come mi guardava...››
Claudio era in piedi, accanto alla porta, con le braccia conserte. ‹‹Non capisco perché ti diverti tanto a sputtanare una persona che nemmeno conosci? Che gusto ci provi?››
Andrea si guardò attorno un momento per cercare di leggere le espressioni degli altri. Alessandro sembrava appena in allerta, con la schiena poggiata al muro, poco distante da Claudio, mentre Mario era seduto, come lui, su una sedia, teneva il volto basso. Nessuna complicità.
Andrea prese fiato ‹‹Piuttosto che gusto ci trovi tu a provarci con lei...››
‹‹Va bene ragazzi, forse state esagerando.››
Claudio si voltò immediatamente verso Alessandro e replicò gesticolando vistosamente ‹‹No, guarda, Ale, io avrei potuto cambiare discorso prima. Ma adesso ci terrei proprio a sapere quale fantastiche conoscenze siano le sue!››
‹‹Cristo, prendi tutto alla lettera...›› Andrea, vedendosi indicare, buttò la testa indietro e prese a osservare la finestra che gli stava dietro.
‹‹Effettivamente “puttana” non va preso alla lettera, no?››
Andrea si rimise dritto per guardare Claudio negli occhi e mantenne una freddezza che raramente gli si vedeva in volto ‹‹Io la chiamo verità.››
Claudio si morse istintivamente un labbro mentre stringeva i pugni. Era visibilmente irritato ‹‹Senti, non mi piace: punto e basta.››
Andrea si voltò verso Mario con fare noncurante ‹‹Allora forse ci sbagliavamo. Forse vuole solo farle da nuovo padre! Speriamo dia un esempio migliore...››
‹‹Non ci credo, l’hai detto sul serio...››
‹‹Ad ogni modo, io vado a bere un sorso, vado da solo, Ale, okay?››
Andrea si diede la spinta per mettersi in piedi ma prima ancora di fare due passi si sentì bloccare il braccio. Era Claudio ‹‹Fermati qui. Me ne vado io, non ho proprio voglia di questa compagnia.››
‹‹Dai, Claudio, lascia perdere.›› Intervenne con poca voce Alessandro.
‹‹Scusami Ale, ma io certi coglioni non li sopporto proprio.›› Spalancò la porta e uscì.
Andrea era rimasto al centro della stanza, mentre Alessandro cercava di correre dietro all’amico. Andrea era rimasto immobile, il braccio ancora pulsante per la stretta di Claudio.
‹‹S’è incazzato.›› Fu la sentenza proveniente dall’altro ragazzo.
‹‹Che me ne frega, Mario... Non è che può fare sempre il buon samaritano con tutte le piagnone che passano... E poi lo sai che quella non l’ho mai sopportata...››
Qualche secondo di silenzio permise ai due rimasti nella camera di sentire il rumore delle porte al piano di sotto che sbattevano. Passò circa un minuto prima di vedere risalire Alessandro, visibilmente contrariato.
‹‹Certo... sei proprio un coglione, Andrea.››
Lo sguardo freddo di Giulia nel corso del racconto si era fatto esitante ‹‹Questa cosa quando è successa?››
‹‹Circa un mese fa.››
‹‹Ah... E poi? Cos’altro è successo? Te lo ricordi?›› La voce della sorella era sempre più titubante.
‹‹Che vuol dire se mi ricordo? Certo che ricordo! Non ci parliamo da allora. Oggi quando sono andato a correre l’ho incrociato. Lui mi ha affiancato e mi ha superato. Io ero senza fiato e senza forze, ma lui non mi ha nemmeno guardato. Io...››
‹‹Ehi, senti... Claudio non andava a correre, anzi, non corre più da mesi...››
Andrea scostò la mano della sorella che gli si era poggiata sul ginocchio ‹‹Sì, okay ma... Ma che ne so a cosa pensa quello!››
‹‹Che vuoi fare?››
‹‹Io sentivo di dovergli dire quello che ho detto ma adesso questa situazione mi da fastidio. Non ci so stare così: lui è il mio migliore amico! So di dovermi scusare, ma non so come farlo.››
Andrea continuava a parlare con se stesso, anziché con la sorella. Giulia lo guardò un attimo e decise di alzarsi, passandogli nel frattempo una mano fra i capelli. ‹‹Dai, che passa tutto, prima o poi passa tutto... Ah senti, mi ha detto mamma stamattina che devi rimettere a posto la tua stanza altrimenti non ti fa sedere a tavola per cena!››
La sua solarità tornava sempre tutta d’un tratto, anche quando parlava di cose serie. Le capitava spesso. Era qualcosa che aveva sempre colpito Andrea. E non poteva che ammirarla.
 
Il buio della stanza costringeva Paola a scrivere alla fioca luce della sua lampada da tavolo. La sua penna a inchiostro blu era ormai quasi scarica e si ritrovava a dover passare più volte sugli stessi solchi lasciati in precedenza perché il liquido prendesse la pagina.
“Visto che da adesso ci vedremo molto di meno rispetto a prima, ti consiglierei di cominciare a scrivere un diario. Per mantenere le idee più ordinate. Ti sarà senza dubbio utile!”
Aveva detto proprio così la dottoressa. Non che avesse mai creduto molto in quello che le diceva, ma aveva sempre avuto l’idea di iniziare un diario e questa era solo stata un’occasione, un pretesto, per farlo. Fino a qualche anno prima tutte le mattine scriveva quello che aveva sognato, ma ormai era da tempo che prendeva in mano una penna solo per disegnare. E tutto sommato scrivere non le dispiaceva.
“Oggi ho concluso la prima fase della terapia dalla psicologa. Ormai era diventata una parte fissa della mia vita. Non mi è mai piaciuto vedermi con lei, ma era diventata un’abitudine. Dopo quasi tre mesi sotto cura, non si è risolto niente. Non so a cosa dovrebbe servire continuare a vederla meno spesso nei prossimi mesi. Come non so ancora con certezza cosa sia successo. La psicologa diceva che ero sotto choc, che sarebbe bastato del tempo e tanta buona volontà per ricordare bene quello che ho visto. Per ora posso solo ricordare quello che gli altri dicono che io abbia visto. Ho visto mio padre, di notte, picchiarsi con un tizio che stava  rubando in negozio. Era armato... ed è partito un colpo. Non so dire se è vero. Non voglio sapere se è vero. Nel tardo pomeriggio sono passata al parco a disegnare e ho conosciuto un tipo, Alessandro si chiama, un coglione, credo. Però penso che lo chiamerò: ho il suo numero. Da qualche tempo parlare con Claudio non è più la stessa cosa...”
 
Il silenzio di quella casa era quasi surreale. Il bambino dormiva e Liliana si sentiva profondamente a disagio. Muovere il passeggino avanti e indietro era diventato un movimento quasi meccanico del suo braccio, tanto da averla fatta abituare anche al suono delle ruote sul pavimento. Detestava il silenzio.
‹‹Grazie per essere venuto.››
Claudio la osservava. Senza dubbio pensava che sarebbe stata una buona madre al momento giusto. ‹‹Figurati, do una mano a tutti volentieri.›› Rispose a bassa voce, per non svegliare Edoardo.
Liliana interruppe il suo gesto ‹‹Senti, ti va se andiamo a parlare di là? Non vorrei svegliarlo, dopo quello che c’è voluto per farlo dormire...››
La cucina aveva dei colori decisamente più caldi del salotto, anche la temperatura era più alta e dalla finestra aperta entravano indisturbati i rumori della città.
‹‹E da quando è che fai la baby-sitter?››
Raramente Liliana iniziava una conversazione, nemmeno coi suoi migliori amici, aveva sempre bisogno di qualcuno che rompesse il ghiaccio con la prima frase.
‹‹Figurati, lo faccio in via del tutto eccezionale! I suoi genitori dovevano andare a trovare un parente, ma proprio ieri lui non è stato molto bene. Hanno chiamato sua nonna per farlo restare qui ed evitare che il viaggio peggiorasse le cose. Adesso la signora è uscita a comprare alcune cose e mi ha chiesto di dare un occhio al bambino. Dopotutto, se non ci si aiuta tra vicini per queste cose. A proposito, scusa se ti chiedo di venire da me e poi ti faccio entrare in casa di altre persone.››
‹‹Non è niente! Il problema, al massimo, potrebbe essere della padrona di casa. Ma se dici di averle parlato è tutto okay. Piuttosto: di cosa mi dovevi parlare? Posso fare qualcosa?›› Claudio si mise a sedere poggiando i gomiti sul tavolo.
Liliana sorrise un momento ‹‹Indovina? ...di Mario.›› E concluse la frase con un pizzico di amarezza in bocca.
Il ragazzo annuì cominciando a tamburellare con le dita sulle sue stesse gambe e fece cenno all’amica di proseguire. ‹‹Insomma voi siete da sempre grandi amici e io mi chiedevo... Mi chiedevo se ti avesse mai parlato di me.››
‹‹Spiegati meglio.››
‹‹Avanti, sapete tutti che Mario mi piace da sempre! Ma lui non è il tipo che calcola ragazze come me. Sinceramente, Claudio, ho delle possibilità con lui?››
L’espressione glaciale di Claudio era come sempre sintomatica della sua tranquillità. Era sempre stato un ragazzo sicuro di sé, consapevole delle sue possibilità e dei suoi limiti. Nulla lo sorprendeva. Ecco perché era un punto di riferimento per molti. Ecco perché c’era chi lo considerava un vero leader. Anche Liliana. Liliana dipendeva da lui. ‹‹Non saprei, Liliana, sul serio. Parla di te, sì. Ma il più delle volte sei la classica amica, anche se ogni tanto, magari...››
‹‹Si...?››
‹‹Insomma non l’ho capito nemmeno io. Lui ti vuole ma allo stesso tempo non ti vuole, ti pensa ma poi ti scaccia dai suoi pensieri, ti considera e poi ti mette da parte e ti tralascia. Credo non lo sappia nemmeno lui con certezza.››
Liliana prese istintivamente una ciocca di capelli fra le mani e iniziò a sfregarla, come se volesse farla sparire ‹‹Perché è tutto così incasinato? Che devo fare?››
Claudio sospirò un momento nel silenzio ‹‹Ad ogni modo quello che pensa Mario è relativo, secondario diciamo. Tu, invece, cosa pensi?››
Liliana alzò lo sguardo affondato fra le braccia ‹‹Io?››
‹‹E chi altro? Se Mario ti dicesse “Mettiamoci insieme, ora!” tu cosa faresti?››
‹‹Ecco io... non saprei.›› La mano di Liliana aveva smesso di torturarsi i capelli.
‹‹Allora c’è qualcosa che non va. Tu mi dici che ti piace da sempre, ma non sei sicura. Qual è il problema?››
‹‹Non saprei, magari è una questione di... autostima?››
La ragazza iniziò a fare avanti e indietro per la cucina più volte, mentre Claudio la seguiva con gli occhi, sereno ‹‹Liliana, non so dirti se Mario è al persona che veramente cerchi... Ma tutti... Fermati per favore.››
Liliana poggiò le spalle al frigorifero.
‹‹Bene, dicevo... Tutti noi dobbiamo trovare la nostra fermata giusta. E la tua quale pensi che sia?››
 
‹‹Ecco, sono d’accordo con lui! Tu devi superare le tue paure, Liliana! Mario a parte, questa è una lotta contro te stessa.››
La faceva così facile Alice quando parlava di superare le proprie paure. Se fosse tanto semplice combatterle non sarebbero causa di insicurezza. E invece lei sembrava tanto sicura di quello che diceva.
Il sole bruciava la spiaggia. Liliana spostò il suo telo mare sotto l’ombrellone, riflettendo sulle parole dell’amica ‹‹Va bene, ma tu lo sai che io non sono una ragazza sicura di sé. Ho avuto una sola esperienza sentimentale e sai perfettamente com’è finita... Io non voglio stare male di nuovo.››
‹‹E quindi non dovrai provarci mai più con nessuno.››
‹‹No, non dico questo. Però, insomma, vorrei convincermi da sola. So che Mario mi piace, ma devo ancora capire quando sarò pronta per una nuova relazione. Sono un po’ confusa e devo schiarirmi le idee, ecco.››
Alice restò qualche momento in silenzio, facendo ondeggiare le gambe su e giù e prendendo un mucchietto di sabbia nella mano, prima di parlare ‹‹...Fai come vuoi. Io comunque sono d’accordo con coso, come si chiama?››
‹‹Claudio?››
‹‹Con lui. Devi provare.››
Liliana portò una mano ai capelli e iniziò a toccare con insistenza la sua solita ciocca. Era un gesto fin troppo usuale per lei. Capitava che la si riconoscesse proprio da quel particolare.
‹‹Ehi, ma quella stesa laggiù non è una tua compagnia di classe, quella del gruppo con cui uscivi? ...Liliana?››
Alessandro si voltò nella direzione indicata da sua cugina senza troppo interesse. Era proprio Liliana, distesa lì sulla sabbia con la sua amica Alice, che a volte era uscita con loro. Si ritrovò a sorridere senza un motivo preciso, poi lasciò perdere Liliana e tornò a guardare sua cugina ‹‹Liliana, già. Non è più Liliana quella. Tutti quelli che facevano parte del mio gruppo non sono più gli stessi. Ormai se li incontro preferisco evitarli. Fanno tutta la comitiva simpatica, tutta gente normale, vivace, divertente... Poi però due settimane fa è successo quello che è successo. E loro sono così.››
‹‹Che è successo, scusa?››
‹‹Lascia perdere. Andiamo a fare un bagno.››
Alessandro si mise in piedi senza nemmeno aspettare la cugina e fu rapidamente in acqua.
  
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