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Il giorno seguente,
informammo Gale e Ryan della nostra imminente partenza e loro rimasero sorpresi
quanto me quando Chris me lo aveva comunicato.
«E dove andrete?».
«Non lo so, il
signore qui presente si rifiuta di fornirmi informazioni più dettagliate»,
dissi indicando Chris con una mano.
«Te l’ho detto: è una
sorpresa e smettila di fare storie. Credimi… ti piacerà».
Sorrisi, come anche
Gale e Ryan.
«Sarete di ritorno
tra una settimana, allora?».
«Beh, Chelsea è
ufficialmente in maternità ed io… attualmente non ho un lavoro, comincerò a
cercare qualcosa quando torneremo, intanto ho dei soldi da parte, perciò non è
un problema di cui mi preoccuperei al momento».
«I soldi sono davvero
l’ultimo dei nostri pensieri visto che anche io ho i miei risparmi e l’eredità
del nonno».
«Quindi non c’è alcun
problema, no?».
«No».
«Perfetto, allora…
andate e divertitevi. E vedete di trattare bene mia nipote», disse Ryan con un
gran sorriso.
«Su questo non avere
dubbi», lo rassicurò Chris.
«Ryan, ci pensi tu a
Buster, questa settimana?».
«Ma certo, non farti
alcun problema; tanto ormai siamo diventati grandi amici».
Sorrisi.
«D’accordo, allora
direi che è meglio se vado a sistemare le ultime cose».
La giornata trascorse
velocemente e, quando arrivò la sera, mangiammo prima del solito e poi Chris
caricò la sua macchina.
«Bene ragazzi,
allora… fate buon viaggio e… guida piano, Chris, mi raccomando».
«Tranquillo, Ryan. Ci
vediamo tra una settimana».
«Certo».
Abbracciai i miei due
amici e accarezzai la testa di Buster, che era arrivato scodinzolando.
Dopodiché, io e Chris
salimmo in macchina e lui accese il motore.
«Allora… », cominciai
non appena il ragazzo ebbe svoltato l’angolo della strada, «… non hai proprio
intenzione di dirmi dove mi stai portando?», ritentai.
Lui mi rivolse un
sorriso angelico.
«Assolutamente no».
Poi tornò a guardare
la strada ed io sbuffai sonoramente.
«Oh, avanti, Chris!
Lo sai che non mi piacciono le sorprese».
«Questo solo perché
sei una paranoica maniaca del controllo e ti innervosisce non sapere cosa farai
da qui ai prossimi cinque secondi», mi riprese lui con un sorriso sornione.
Gli lanciai
un’occhiataccia e lui rise apertamente.
«Ti odio».
«Non è vero; tu sei
perdutamente innamorata di me».
«Beh, potrei
ripensarci».
«Davvero? Io dico di
no… », continuò, in tono canzonatorio.
«Ok, mi arrendo».
«Non avresti avuto
molte alternative, mia cara».
Gli feci una
linguaccia e tornai a osservare fuori dal finestrino. L’oceano sembrava
veramente sconfinato, visto in quella prospettiva.
«Ieri, quando parlavi
con tua madre… hai detto che non sei mai stato meglio in vita tua».
Lui mi rivolse uno
sguardo fugace, ma adesso, rispetto a poco prima, era serio.
«Quindi la tua
domanda sarebbe… ?».
«Dicevi davvero?».
Ora la sua
espressione era sorpresa.
«No. Non avrei dovuto
usare il termine “meglio”; avrei dovuto dire “felice”. Hai forse qualche dubbio
al riguardo, Chelsea? Credi che io non voglia te o nostra figlia? Io vi amo,
per voi darei la mia vita. Tesoro, io sono felice. Forse per la prima volta in
tutta la mia vita, sono veramente felice. Ho tutto ciò che un uomo potrebbe
desiderare e… tu e la bambina, da questo momento in poi, siete e sarete sempre
la mia priorità».
Per un attimo, mi
vennero quasi le lacrime agli occhi e lui mi prese una mano.
«Quante volte dovrai
sentirmi dire che ti amo, prima di crederci?».
Sorrisi.
«Tu, solo… continua a
dirlo… ».
«Se potessi, adesso
ti bacerei».
«Vorrà dire che lo
farai quando arriveremo».
«Ci puoi giurare,
donna».
Parlammo ancora a
lungo; viaggiare di notte per me fu un’esperienza nuova, ma… mi piacque da
morire, soprattutto con Chris al mio fianco.
«Adesso prova a
dormire un po’, Chelsea, è quasi mezzanotte».
«Non vuoi che guidi
un po’ io?».
«Non adesso, magari
domani. Ora voglio che ti riposi».
Gli accarezzai una
guancia, poi mi voltai dall’altra parte e chiusi gli occhi, cercando di
rilassarmi.
Era incredibile come,
quando Chris era con me, non faticassi a calmare i nervi e prendere sonno
subito mentre, quando lui non c’era, spesso e volentieri passassi intere
nottate senza chiudere occhio.
Quando riaprii gli
occhi, il sole era alto e l’auto ferma ad una stazione di servizio.
Guardai l’orologio,
erano le sette di mattina e Chris era seduto al mio fianco, dormiva anche lui.
Probabilmente ad un
certo punto aveva risentito troppo della stanchezza; io non mi ero accorta di
nulla.
Scesi dall’auto, ero
tutta indolenzita, così mi stiracchiai, poi entrai nel bar, ordinai un caffè
nero per Chris e due brioches.
Non appena rientrai
in macchina, il ragazzo si svegliò al solo sentire l’odore del caffè.
«Buongiorno», mi
salutò stiracchiandosi.
«Ciao», dissi
sporgendomi a baciarlo.
Sarei rimasta così
per sempre, se solo avessi potuto.
La bambina, dentro di
me, si agitò e scalciò ed io mi portai una mano alla pancia, cercando di
tranquillizzarla.
«Ti ho preso il caffè»,
dissi avvicinandogli il bicchiere di carta.
«Grazie», rispose lui
sorridendo.
Consumammo la nostra
colazione fuori dall’auto, poi ci rimettemmo in viaggio.
Verso l’ora di
pranzo, facemmo cambio e guidai io per un po’, seguendo le indicazioni di
Chris, che si ostinava a non dirmi dove mi stesse portando ed io potei
orientarmi solo grazie ai cartelli, capendo che stavamo attraversando
orizzontalmente tutto il Paese.
«Chelsea, smettila di
cercare di capire. Saprai dove stiamo andando quando arriveremo».
«Non ti sopporto
quando fai così».
«Tu invece sei
adorabile quando cominci a irritarti».
Sbuffai, poi Chris
disse: «Su, accosta, adesso guido io. Saremo a destinazione prima di cena, se
non troviamo traffico».
Il pomeriggio passò
piuttosto velocemente e, verso sera, finalmente capii dove Chris mi aveva
portata.
«New York!», esclamai
entusiasta. «Mi hai portata a New York!».
«Te l’avevo detto che
ti sarebbe piaciuto».
In uno slancio lo
abbracciai e lui rise.
«Cerca di non farmi
perdere il controllo della macchina, amore mio».
Risi a mia volta,
divorando con gli occhi ogni angolo di quella città che da sempre, avevo voluto
visitare. Poi mi tornò in mente una cosa.
«Un momento… per caso
hai parlato con tuo fratello?».
«Intendi Adam? Io…
no, veramente no. Di cosa avrei dovuto parlargli?».
«Beh, quando è venuto
a trovarmi, per il Ringraziamento, mi ha chiesto quale fosse il mio sogno più
grande e io… avevo risposto questo: New York».
Chris sorrise.
«No, Chelsea, non ho
parlato con Adam, ma credimi... ricordo ognuna delle nostre conversazioni e
ricordo di quando mi dicesti che, visitare New York e andare alla Julliard, era
uno dei tuoi desideri più grandi. Inoltre, se non ricordo male, dovevi venirci
proprio la scorsa estate, giusto?».
«Sì, io… avrei
dovuto».
«Allora meno male che
non è stato così».
«Meno male?».
«Beh, mettiamola in
questo modo: se quest’estate tu fossi venuta a New York, a quest’ora non
avremmo avuto lei», disse posandomi una mano sul ventre, ed io sorrisi.
«So che è stato il
momento sbagliato, la situazione sbagliata e insomma… tutto era sbagliato. Ma da un insieme di fattori sbagliati, è nata
una cosa giusta».
Non riuscii più a
trattenermi e mi sporsi a baciarlo.
«Ti amo, Chris».
«Ti amo anch’io, ma
se continui a saltarmi addosso, lascerò andare il volante per baciarti e
finiremo contro un palo. Da stasera avremo una camera d’albergo a disposizione,
abbi un altro po’ di pazienza», disse sorridendomi.
«Se proprio devo».
Lui ridacchiò.
Arrivammo davanti ad
un imponente albergo verso le sette di sera; Chris scaricò le valige dalla
macchina e lasciammo i nostri documenti alla reception prima di salire in
camera.
La stanza era
veramente bellissima: spaziosa, luminosa, i muri erano dipinti di azzurro
pallido e il letto era veramente enorme.
Non appena entrammo,
Chris lasciò cadere le valige sul pavimento, si richiuse la porta alle spalle e
mi cinse la vita con impeto, facendo aderire la mia schiena al muro. Poi mi
baciò con passione.
«Era tutto il giorno
che volevo farlo», mormorò contro le mie labbra e, l’attimo seguente, fui io ad
attrarlo a me.
Era una cosa che mai
avrei immaginato sarebbe potuta accadere a me: quel desiderio così passionale,
la voglia che avevo di Chris, il bisogno, quasi, di sentire il suo corpo sul
mio, dentro, al mio.
Ma questo lui non lo
avrebbe permesso e me lo aveva detto chiaro e tondo nonostante il desiderio
fosse così bruciante.
Abbassai la cerniera
della sua giacca di pelle e la buttai in qualche angolo della stanza, poi lui
fece lo stesso con la mia.
In breve, il ragazzo
si ritrovò con i soli boxer addosso ed io in slip e canottiera, sdraiati sul
letto, continuando a baciarci come se quello, fosse l’unico modo che avevamo
per restare in vita.
Dopo qualche altro minuto,
Chris mi sfilò anche la canottiera e, in un primo momento, mi bloccai.
«Cosa succede,
Chelsea?», mi chiese portando il peso del suo corpo su un braccio e
sollevandosi a guardarmi.
«Niente, è che… »,
non finii la frase e mi posai una mano sul ventre.
Chris sorrise.
«Pensi di piacermi di
meno perché sei incinta? Amore, io… credimi, non ho mai visto nulla che si
possa avvicinare alla perfezione più di te in questo momento».
Abbozzai un sorriso,
poi lui tornò ad avventarsi su di me.
Ci baciammo a lungo,
continuando ad accarezzarci e senza staccare i nostri corpi uno dall’altro e,
quando Chris fece sparire anche il mio reggiseno, fui attraversata da un
milione di brividi lungo la schiena, gemendo.
«Non pensare mai più
di non piacermi, Chelsea… sei… sei bellissima».
Disse lui con la voce
rotta dall’eccitazione e le labbra sul mio collo.
Passammo così altri
trenta minuti, prima che i nostri stomaci cominciassero a reclamare cibo.
«È meglio andare,
torneremo qui subito dopo cena, ok? Hai bisogno di dormire in un vero letto»,
disse lui porgendomi una mano ed aiutandomi ad alzarmi.
In una città come New
York, non ci fu alcun problema a trovare un ristorante.
Era un posto
assolutamente chiassoso, pieno di gente, così come anche lungo la strada il
flusso di persone pareva ininterrotto.
In conclusione “la
città che non dorme mai”, era proprio il nome più azzeccato.
«Sei contenta di
essere a New York?», mi chiese ad un tratto Chris, quando ormai eravamo
arrivati al dolce.
«Contenta?! Vuoi
scherzare? È esattamente quello che ho sempre desiderato e con te è anche
meglio».
Lui sorrise e allungò
una mano sul tavolo fino a prendere la mia.
«Tu, invece, sei tutto quello che io, ho sempre desiderato».
Dopo cena,
passeggiammo a lungo per le strade di New York.
Le luci, i colori, la
musica… il traffico nonostante la tarda ora… era tutto esattamente come lo
avevo sempre immaginato e sentire la mano calda di Chris nella mia per tutto il
tempo, rese perfetta quella serata.
Tornammo in albergo
verso le undici di sera; ero stanca, ma volevo ancora parlare con lui, avrei
voluto non perdermi nemmeno un istante.
Invece, estrassi
dalla borsa il mio cellulare e scrissi a Ryan, rivelandogli finalmente la
nostra misteriosa meta.
Prima che potessi
ricevere la sua risposta, però, Chris mi sollevò tra le sue braccia e mi fece
distendere su quel letto così inverosimilmente comodo.
Mi guardò negli occhi
per qualche istante ed io nei suoi, di occhi, rischiai quasi di perdermi, poi
posò le sue labbra sulle mie.
Quando cominciai a
sbottonargli la camicia, però, lui mi bloccò.
«Cosa c’è?», gli
chiesi, contrariata.
Chris sfoderò il suo
solito ghigno.
«Adesso, non essere
gelosa, ma voglio dedicarmi un po’ a mia figlia».
Io inarcai le
sopracciglia, sorpresa.
«D’accordo, allora
fa’ pure».
A quel punto, il
ragazzo scoprì la mia pancia e, dapprima, si limitò ad accarezzarla. Poi, alle
carezze sostituì i baci ed io mi rilassai contro la testiera del letto,
passando le dita tra i suoi capelli biondi.
Mi addormentai così,
con l’uomo che amavo e, che sapevo, non avrebbe rinunciato a me e a nostra
figlia per nulla al mondo.
Il giorno seguente,
restammo fuori per tutto il tempo. L’intera mattinata camminammo lungo Central
Park; era davvero… enorme, ma fu bellissimo.
Ad un tratto, poco
prima di pranzo, eravamo seduti su una panchina, quando Chris disse: «Sai, ho
pensato ad un nome per la bambina… ».
Io lo osservai
sorridendo.
«E quale sarebbe?».
«Danielle. Per
ricordare tuo nonno».
Posai la testa contro
la sua spalla, chiudendo gli occhi e commossa per l’idea che Chris aveva avuto.
«Danielle Williams. Suona
bene, no?».
«Suona decisamente
bene».
«Mi piace».
Proprio in quel
momento, la bambina scalciò forte ed io mi portai una mano in grembo.
«E a giudicare
dall’energia, piace anche a lei».
Chris rise, mi
strinse a sé e mi diede un bacio tra i capelli, dopodiché ci alzammo e
riprendemmo la nostra passeggiata.
Pranzammo nel
ristorante dell’albergo ed il pomeriggio uscimmo di nuovo e andammo a visitare
uno dei più grandi musei di arte moderna di tutta New York.
Inutile dire che lì
dentro sarei anche stata capace di perdermi e, all’ora di chiusura, forse non
ne avevamo visto neanche metà.
La sera ci fermammo a
mangiare in un locale lungo la strada per tornare in albergo; per fortuna
eravamo venuti in macchina, altrimenti visitare quell’enorme città sarebbe
stato più problematico.
«Hai passato una
bella giornata?».
«Sì, decisamente».
Ad un tratto, però,
il mio telefono prese a squillare.
«Oh, accidenti, è mia
madre. Cosa le dico, adesso?».
Chris sorrise.
«Dille la verità;
dille che sei con me, vedrai che andrà tutto bene. E poi… così comincerai a
prepararla alla bomba che lanceremo la settimana prossima quando torneremo a
Phoenix».
Annuii e premetti il
tasto verde per rispondere.
«Ciao, mamma».
«Tesoro! Ho chiamato
a casa, ma mi ha risposto Ryan; ha detto che sei fuori città per un po’».
«Ehm, sì, è vero».
Come sempre quando
ero nervosa, cominciai a tamburellare con le dita sul tavolo, Chris se ne accorse subito e mi accarezzò il
dorso della mano.
«Dove sei, allora? E
cos’è tutto questo rumore?».
«Sono fuori a cena,
in un ristorante a… a New York».
«New York?! Chelsea,
mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?».
Sospirai.
«Ti ricordi quando mi
hai telefonato l’altra sera, e mi hai detto di chiamare Chris?».
Ora, il ragazzo, di
fronte a me, inarcò le sopracciglia con espressione sorpresa.
«Sì, ma… questo che
cosa c’entra?».
«Ecco, lui è venuto a
Santa Barbara, il giorno dopo e, insomma… ora è qui con me. A New York.
Torneremo tra qualche giorno».
Per qualche istante,
regnò un silenzio assoluto, tanto che credetti fosse caduta la linea.
«Mamma? Ci sei
ancora?».
«Sì, Chelsea, io… tu
stai bene?».
Quella domanda mi
lasciò sorpresa.
«Certo che sto bene.
E tu, invece?».
La sentii sospirare.
«Anche io, tesoro.
Solo… adesso cerca di chiarirti con Christian, va bene?».
«Lo abbiamo già
fatto, mamma».
«Davvero? Avete
chiarito… ogni cosa?».
Ma di cosa stava
parlando?
«Che cosa intendi?».
«Solo che è una
situazione complicata, la vostra. E, per una volta, io vorrei vederti felice,
Chelsea. Veramente felice».
«Lo sono, mamma».
«Avrei soltanto
voluto che tu me ne parlassi, tesoro… ».
«Di cosa?».
Lei sospirò
nuovamente.
«Ne parleremo quando
tornerete. Ieri mi ha chiamato Constance; ha detto che aveva sentito Christian
e che la settimana prossima verrete qui, per parlare con tutti noi».
Lanciai uno sguardo
allarmato a Chris e lui mi prese una mano.
«Sì, è vero… ».
«E allora va bene
così, Chelsea, parleremo di tutto quando tornerete a Phoenix».
«Va bene. Buonanotte,
mamma».
«Buonanotte, tesoro».
Così, riagganciai.
«Che cosa succede?»,
mi chiese subito Chris.
«Non lo so. Mamma mi
ha detto che tua madre l’ha chiamata per dirle non so bene cosa sul fatto che
tu fossi a Santa Barbara con me e che saremmo tornati a Phoenix, la settimana
prossima».
«E meno male che le
avevo detto di non dire niente ai tuoi… », rispose lui, rassegnato.
«Sai com’è… madri… ».
«Stai dicendo che
diventerai così anche tu?».
Sorrisi alle sue
parole.
«Ovvio che mi
preoccuperò per nostra figlia».
«Tu ti preoccuperai,
io non le permetterò di uscire di casa prima di aver compiuto almeno trent’anni».
«Oh, cielo… mi sa che
dovrò farle da complice, allora… ».
Chris sorrise,
scuotendo la testa.
«Su, torniamo in
albergo adesso. È tardi».
Così, dopo venti
minuti, eravamo già sdraiati sotto le coperte del nostro letto.
I giorni passarono
velocemente, fin troppo velocemente, per i miei gusti. Una giornata, Chris mi
permise di dedicarla interamente allo shopping, sia per me, sia per la bambina.
Inutile dire che quella sera, tornammo in albergo straripanti di buste. Lo
shopping a New York, era tutta un’altra cosa.
L’ultimo giorno, il
ragazzo mi portò a visitare il campus della Julliard, mentre per la sera, aveva
comprato i biglietti di un concerto che la scuola aveva organizzato.
Fu veramente
meraviglioso ed io ne restai incantata.
Quando tornammo in
albergo, lo strinsi forte.
«Grazie, Chris. Per
il concerto; per tutta questa settimana… io… grazie, davvero».
Lui mi baciò la
fronte.
«Lo sai che per te
farei di tutto, vero?».
«Lo so».
Ci infilammo sotto le
coperte, poi Chris si voltò verso di me
e disse: «Sai, ho notato una cosa, mentre eravamo a casa».
«Che cosa?».
«Il pianoforte… è
ancora chiuso. Chelsea… è rimasto chiuso da quando… ?».
«Dal giorno della
sepoltura del nonno. Non ho più suonato. Io… non ci riesco».
Lui sospirò e mi
accarezzò una guancia.
«Credo che dovresti
ricominciare. Credo che dovresti farlo per te, per tuo nonno e… per lei», così
dicendo, mi posò una mano in grembo.
«Io… Chris, non so se
ne sono ancora capace».
«Io penso di sì. E
penso che dovresti davvero farlo. Era una cosa che, prima di tutto, ti faceva
bene, riuscivi a sfogarti. E amavi. Forse, se avessi suonato, avresti superato
meglio i primi mesi della gravidanza».
«Può darsi, Chris,
ma… non lo so… il nonno mi ha insegnato tutto e… ».
«E tu insegnerai
tutto a Danielle. Perché è questo che lui vorrebbe. Lui ti voleva bene, Chelsea
e la musica… era ciò che ha sempre cercato di trasmettere a voi. Con te ce l’ha
fatta e vorrebbe che ora fossi tu a continuare».
Strinsi forte la mano
di Chris e, con le lacrime agli occhi, dissi: «Lui mi manca così tanto».
Il ragazzo mi
circondò la vita, cullandomi fra le sue braccia.
«Lo so, amore mio».
Mi sfuggì un
singhiozzo, ma poi mi imposi di calmarmi e tornai a fissare i miei occhi in
quelli di Chris.
Gli presi il volto
tra le mani e lo attirai a me per baciarlo.
Lui rispose con
dolcezza, dapprima, poi mi mordicchiò leggermente il labbro inferiore,
facendomi ridere.
«Non mordermi; sei
diventato un vampiro?».
«Mmm, potrei. Tu sei
buona».
Di colpo mi venne una
vampata di calore.
«Sai, è la stessa
cosa che hai detto quel giorno nel tuo ufficio, dopo che… ».
«Dopo che ti avevo
spogliata sulla mia scrivania».
Lo guardai di
sottecchi.
«Esatto».
«Il lavoro non mi è
mai piaciuto così tanto come quel giorno».
Gli tirai un pugno
sul braccio.
«Sei proprio un… »,
ma lui mi sovrastò, facendo sempre attenzione a non premere sul mio corpo.
«Sì? Che cosa sono?».
Detto questo scese a
posarmi un bacio sulle labbra.
«Un cretino».
Un bacio sul collo.
«E… ».
Un bacio sulla
clavicola.
«Ti amo».
Un bacio sul petto.
In qualche modo, era
riuscito a sbottonare la camicia che portavo senza che nemmeno me ne rendessi
conto ed ora, accarezzava il mio seno con la punta delle dita, massaggiando
laddove la mia pelle non era coperta dalla biancheria intima.
«Chris», sospirai,
mentre lui era troppo impegnato a baciarmi il collo.
Dopo un po’, le sue
carezze si fecero più audaci e lui scese per torturare il mio seno con la
bocca, cominciando a lasciare dei piccoli baci, che, nel giro di un minuto,
diventarono un contatto molto più passionale.
Lo strinsi a me e lui
continuò quella sua dolce tortura. Dannazione, gli ormoni della gravidanza mi
rendevano molto più sensibile a quel genere di effusioni.
Lui insinuò una mano
sotto la mia gonna ed iniziò ad accarezzarmi l’interno coscia, finché, dopo
qualche minuto, si staccò bruscamente, ansante, rotolando di schiena sul letto
e fissando gli occhi nei miei.
«Chelsea… non hai
idea di cosa vorrei farti in questo momento, ma temo che non riuscirei a trattenermi oltre».
Per un attimo
ricambiai il suo sguardo, poi, mi venne un’idea. Un’idea tanto folle che non
sapevo nemmeno come mi era potuta venire in mente.
Mi misi in ginocchio
sul letto e lo osservai con sguardo furbo; il mio viso trenta centimetri sopra
il suo.
«Amore… perché mi
stai guardando così?».
«Così come?», chiesi
in tono falsamente ingenuo.
«Come se fossi un
dolce… ».
Sorrisi, mi stavo
facendo scaltra.
«Interessante
metafora. Aspetta, fammi assaggiare».
Detto questo, mi
chinai a baciarlo.
Prima le labbra, poi
indugiai qualche minuto sul suo collo e Chris emise dei sospiri, forse
involontariamente. Ma vederlo così mi dava coraggio e mi spinsi sempre più
oltre.
Scesi sul petto,
sull’addome piatto e, infine, cominciai a sbottonargli i jeans.
A quel punto, lui
aprì gli occhi di scatto, mettendosi a sedere.
«Chelsea… che cosa
hai intenzione di fare? Perché tra poco potrei non essere più responsabile
delle mie azioni… ».
«Bene… allora lo sarò
io per entrambi», dissi lanciandogli un’occhiata che la diceva lunga.
«Chelsea, l’ultima
volta non siamo stati molto responsabili… benché non me ne penta».
«Qual è il problema?
Tanto non rimango mica incinta… ».
Lui mi guardò
dapprima con sguardo sorpreso, poi scoppiò a ridere.
«Dio… tu mi manderai
al manicomio», disse passandosi una mano tra i capelli.
Ridacchiai, poi, a
sorpresa, feci cadere la mia gonna, mi tolsi completamente la camicia e porsi
una mano a Chris.
«Che cosa hai in
mente?», mi chiese lui, visibilmente
sorpreso.
«Poche storie e vieni
con me».
Lui afferrò la mia
mano ed io lo condussi in bagno.
«Chelsea… ».
«Sssh», sussurrai
contro le sue labbra, e lui rispose al mio bacio.
Aprii il box della
doccia e regolai il getto in modo che uscisse tiepida.
«Tesoro… », riprovò
lui, ma io lo baciai di nuovo, mentre stavolta gli sfilavo definitivamente i
pantaloni.
Non sapevo proprio da
dove, improvvisamente, arrivasse tutta quell’audacia, cosa che, prima di
allora, non avevo idea che facesse parte di me.
Probabilmente era
Chris a farmi quell’effetto; con lui era come… essere partiti dal cinquantesimo
appuntamento. Non avevamo dovuto affrontare l’imbarazzante fase del conoscersi
e ora tutto mi appariva chiaro davanti agli occhi: quello che avevo sempre desiderato,
ciò che avevo sempre aspettato… era sempre stato a portata di mano.
Lo spinsi contro la
porta chiusa del bagno, mentre lui si lasciava andare a baci, carezze e sospiri
e, quando il vapore della doccia cominciò a spandersi nella stanza, lo trascinai
dentro con me.
«Chelsea… mi stai
davvero mettendo a dura prova… », ansimò lui sulla mia spalla. La sua voce era
come ovattata dall’acqua, dai nostri respiri affannosi e dall’eccitazione.
«Il fatto che tu non
voglia fare l’amore fino alla nascita della bambina… non significa che io non
possa dedicarmi a te… », risposi baciandogli il collo e spostando i suoi
capelli bagnati che cominciavano ad appiccicarsi alla pelle.
In quel momento, quei
pozzi di un indescrivibile azzurro che erano gli occhi di Chris, si fissarono
nei miei, ed io mi avventai nuovamente sulle sue labbra, come se fossero un
richiamo troppo forte per resistergli.
«Chelsea… Dio, quanta
pazienza che ci vuole con te… ».
Risi sommessamente a
quella frase e in un attimo feci sparire anche i suoi boxer.
Lo guardai
attentamente per dieci secondi e lui osservò me, per captare ogni mia singola
reazione.
«Dunque?», mi chiese
quando tornai a guardarlo in faccia.
«Dunque cosa?».
«Cosa decreta, vostro
onore?», mi prese in giro lui.
«Mmm… l’imputato… è assolto
da tutte le accuse e… se dovessi dare un voto… non ce ne sarebbe uno abbastanza
alto. Ma per adesso… possiamo accontentarci di un dieci», gli baciai il collo.
«Per la lode…
dovremmo aspettare i prossimi mesi».
Lo sentii ridere
contro il mio orecchio, ma si zittì immediatamente quando, in modo
assolutamente volontario, sfiorai con la mano l’eccitazione tra le sue gambe.
«Ora… posso dedicarmi
un po’ a te».
Dopodiché, mi
avventai nuovamente su di lui.
Uscimmo dalla doccia
stravolti e accaldati, consapevoli di aver consumato, probabilmente, tutta la
riserva di acqua calda di quell’albergo.
Eravamo entrati in
bagno che erano le undici e mezza ed ora era quasi l’una.
Ci buttammo sul letto
esausti e felici e, prima di spegnere la luce, Chris si voltò verso di me e
disse: «Tu… non hai la minima idea di cosa succederà dopo la nascita della
bambina».
Risi e mi strinsi a
lui.
«Allora non vedo
l’ora di scoprirlo».
Mi sollevai a dargli
un ultimo bacio, prima di crollare sfinita contro il suo petto e addormentarmi
come un sasso.
Due giorni dopo,
ormai eravamo quasi arrivati a Santa Barbara, quando, il telefono di Chris
prese a squillare, mentre il ragazzo stava guidando.
Lui lo tirò fuori
dalla tasca e guardò il display, poi me lo porse dicendo: «È Adam, puoi rispondere
tu, per favore? Non vorrei distrarmi… ».
Afferrai l’oggetto
con un sorriso e risposi al cellulare.
«Ciao, Adam!», dissi
allegramente.
Ma la voce del
ragazzo, non era affatto allegra e, quando sentii le sue parole, mi portai una
mano alla bocca.
Chris mi guardò
preoccupato e mi prese una mano.
«Chelsea, che cosa
c’è?», mi chiese apprensivo, ma io ascoltavo le parole di Adam.
«Sì, certo che arriviamo. E… Adam? Stai
tranquillo, andrà tutto bene, vedrai. Certo, glielo dico io», detto questo,
chiusi la chiamata.
«Cosa, Chelsea? Cosa
mi devi dire?».
Mi voltai a
guardarlo, non sapendo come fare a trovare le parole per dargli una notizia del
genere.
«È meglio se accosti
l’auto, Chris… ».
Lui obbedì, poi mi
fissò intensamente.
«Chelsea… è successo
qualcosa ad Adam? Io… non gli parlo praticamente dal Ringraziamento; sono stato
un vero stronzo con lui in questi mesi e… ».
«Chris… Adam sta
bene».
«E allora cosa… ?».
Gli posai una mano
sulla guancia.
«Si tratta di tuo
padre… ha avuto un arresto cardiaco».
Note
dell’Autrice:
Ok,
lo so che in questo momento mi state odiando. In questo capitolo c’era troppo
miele, quindi ho deciso che doveva succedere un altro disastro, per
riequilibrare un po’ la situazione XD
All’inizio
in realtà non doveva essere il signor Williams, ma il padre di Chelsea, però…
lei ne ha passate troppe in famiglia. Allora, un’altra opzione che mi era
venuta in mente, era un incidente di Adam, ma amo troppo quel personaggio per
fargli del male. Dunque, alla fine la pagliuzza più corta è toccata al povero
Traver.
Ebbene,
nel prossimo capitolo sapremo se è ancora vivo o se ha tirato le cuoia anche
lui, intanto fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto.
Io
ho trovato Chelsea e Chris estremamente dolciosi, scusate il termine, e mi sono
divertita da matti a scrivere la scena in cui Chelsea fa perdere la testa a
Chris.
Anche
lei, ha tirato fuori una parte del suo carattere che non sapeva di avere.
Bene,
a questo punto vi saluto, scusandomi come al solito per l’immane ritardo e
sperando di non farvi attendere così tanto anche per il prossimo…
A
presto!
DAL
CAPITOLO 25:
“«Christian Devon Williams!», esclamò con
impeto e Chris, al mio fianco, s’irrigidì.
Jenna
venne avanti.
«Scusate,
ragazzi, Adam ha cantato».
Adam
ci rivolse uno sguardo di scuse.
«Sa
essere davvero convincente, quando vuole», borbottò lui, burbero.
«Tu
farai meglio a non parlare; ce ne sarà anche per te e per tua sorella».
«Che
cosa?! E io che c’entro?», si mise sulla difensiva Jenna.
«Tu
lo sapevi e non hai detto niente. Per mesi».