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Autore: Clira    14/10/2014    2 recensioni
DAL CAPITOLO 11:
«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma sulla fronte mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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24  





CAPITOLO 24: NEW YORK

 

Il giorno seguente, informammo Gale e Ryan della nostra imminente partenza e loro rimasero sorpresi quanto me quando Chris me lo aveva comunicato.

«E dove andrete?».

«Non lo so, il signore qui presente si rifiuta di fornirmi informazioni più dettagliate», dissi indicando Chris con una mano.

«Te l’ho detto: è una sorpresa e smettila di fare storie. Credimi… ti piacerà».

Sorrisi, come anche Gale e Ryan.

«Sarete di ritorno tra una settimana, allora?».

«Beh, Chelsea è ufficialmente in maternità ed io… attualmente non ho un lavoro, comincerò a cercare qualcosa quando torneremo, intanto ho dei soldi da parte, perciò non è un problema di cui mi preoccuperei al momento».

«I soldi sono davvero l’ultimo dei nostri pensieri visto che anche io ho i miei risparmi e l’eredità del nonno».

«Quindi non c’è alcun problema, no?».

«No».

«Perfetto, allora… andate e divertitevi. E vedete di trattare bene mia nipote», disse Ryan con un gran sorriso.

«Su questo non avere dubbi», lo rassicurò Chris.

«Ryan, ci pensi tu a Buster, questa settimana?».

«Ma certo, non farti alcun problema; tanto ormai siamo diventati grandi amici».

Sorrisi.

«D’accordo, allora direi che è meglio se vado a sistemare le ultime cose».

La giornata trascorse velocemente e, quando arrivò la sera, mangiammo prima del solito e poi Chris caricò la sua macchina.

«Bene ragazzi, allora… fate buon viaggio e… guida piano, Chris, mi raccomando».

«Tranquillo, Ryan. Ci vediamo tra una settimana».

«Certo».

Abbracciai i miei due amici e accarezzai la testa di Buster, che era arrivato scodinzolando.

Dopodiché, io e Chris salimmo in macchina e lui accese il motore.

«Allora… », cominciai non appena il ragazzo ebbe svoltato l’angolo della strada, «… non hai proprio intenzione di dirmi dove mi stai portando?», ritentai.

Lui mi rivolse un sorriso angelico.

«Assolutamente no».

Poi tornò a guardare la strada ed io sbuffai sonoramente.

«Oh, avanti, Chris! Lo sai che non mi piacciono le sorprese».

«Questo solo perché sei una paranoica maniaca del controllo e ti innervosisce non sapere cosa farai da qui ai prossimi cinque secondi», mi riprese lui con un sorriso sornione.

Gli lanciai un’occhiataccia e lui rise apertamente.

«Ti odio».

«Non è vero; tu sei perdutamente innamorata di me».

«Beh, potrei ripensarci».

«Davvero? Io dico di no… », continuò, in tono canzonatorio.

«Ok, mi arrendo».

«Non avresti avuto molte alternative, mia cara».

Gli feci una linguaccia e tornai a osservare fuori dal finestrino. L’oceano sembrava veramente sconfinato, visto in quella prospettiva.

«Ieri, quando parlavi con tua madre… hai detto che non sei mai stato meglio in vita tua».

Lui mi rivolse uno sguardo fugace, ma adesso, rispetto a poco prima, era serio.

«Quindi la tua domanda sarebbe… ?».

«Dicevi davvero?».

Ora la sua espressione era sorpresa.

«No. Non avrei dovuto usare il termine “meglio”; avrei dovuto dire “felice”. Hai forse qualche dubbio al riguardo, Chelsea? Credi che io non voglia te o nostra figlia? Io vi amo, per voi darei la mia vita. Tesoro, io sono felice. Forse per la prima volta in tutta la mia vita, sono veramente felice. Ho tutto ciò che un uomo potrebbe desiderare e… tu e la bambina, da questo momento in poi, siete e sarete sempre la mia priorità».

Per un attimo, mi vennero quasi le lacrime agli occhi e lui mi prese una mano.

«Quante volte dovrai sentirmi dire che ti amo, prima di crederci?».

Sorrisi.

«Tu, solo… continua a dirlo… ».

«Se potessi, adesso ti bacerei».

«Vorrà dire che lo farai quando arriveremo».

«Ci puoi giurare, donna».

Parlammo ancora a lungo; viaggiare di notte per me fu un’esperienza nuova, ma… mi piacque da morire, soprattutto con Chris al mio fianco.

«Adesso prova a dormire un po’, Chelsea, è quasi mezzanotte».

«Non vuoi che guidi un po’ io?».

«Non adesso, magari domani. Ora voglio che ti riposi».

Gli accarezzai una guancia, poi mi voltai dall’altra parte e chiusi gli occhi, cercando di rilassarmi.

Era incredibile come, quando Chris era con me, non faticassi a calmare i nervi e prendere sonno subito mentre, quando lui non c’era, spesso e volentieri passassi intere nottate senza chiudere occhio.

 

Quando riaprii gli occhi, il sole era alto e l’auto ferma ad una stazione di servizio.

Guardai l’orologio, erano le sette di mattina e Chris era seduto al mio fianco, dormiva anche lui.

Probabilmente ad un certo punto aveva risentito troppo della stanchezza; io non mi ero accorta di nulla.

Scesi dall’auto, ero tutta indolenzita, così mi stiracchiai, poi entrai nel bar, ordinai un caffè nero per Chris e due brioches.

Non appena rientrai in macchina, il ragazzo si svegliò al solo sentire l’odore del caffè.

«Buongiorno», mi salutò stiracchiandosi.

«Ciao», dissi sporgendomi a baciarlo.

Sarei rimasta così per sempre, se solo avessi potuto.

La bambina, dentro di me, si agitò e scalciò ed io mi portai una mano alla pancia, cercando di tranquillizzarla.

«Ti ho preso il caffè», dissi avvicinandogli il bicchiere di carta.

«Grazie», rispose lui sorridendo.

Consumammo la nostra colazione fuori dall’auto, poi ci rimettemmo in viaggio.

Verso l’ora di pranzo, facemmo cambio e guidai io per un po’, seguendo le indicazioni di Chris, che si ostinava a non dirmi dove mi stesse portando ed io potei orientarmi solo grazie ai cartelli, capendo che stavamo attraversando orizzontalmente tutto il Paese.

«Chelsea, smettila di cercare di capire. Saprai dove stiamo andando quando arriveremo».

«Non ti sopporto quando fai così».

«Tu invece sei adorabile quando cominci a irritarti».

Sbuffai, poi Chris disse: «Su, accosta, adesso guido io. Saremo a destinazione prima di cena, se non troviamo traffico».

Il pomeriggio passò piuttosto velocemente e, verso sera, finalmente capii dove Chris mi aveva portata.

«New York!», esclamai entusiasta. «Mi hai portata a New York!».

«Te l’avevo detto che ti sarebbe piaciuto».

In uno slancio lo abbracciai e lui rise.

«Cerca di non farmi perdere il controllo della macchina, amore mio».

Risi a mia volta, divorando con gli occhi ogni angolo di quella città che da sempre, avevo voluto visitare. Poi mi tornò in mente una cosa.

«Un momento… per caso hai parlato con tuo fratello?».

«Intendi Adam? Io… no, veramente no. Di cosa avrei dovuto parlargli?».

«Beh, quando è venuto a trovarmi, per il Ringraziamento, mi ha chiesto quale fosse il mio sogno più grande e io… avevo risposto questo: New York».

Chris sorrise.

«No, Chelsea, non ho parlato con Adam, ma credimi... ricordo ognuna delle nostre conversazioni e ricordo di quando mi dicesti che, visitare New York e andare alla Julliard, era uno dei tuoi desideri più grandi. Inoltre, se non ricordo male, dovevi venirci proprio la scorsa estate, giusto?».

«Sì, io… avrei dovuto».

«Allora meno male che non è stato così».

«Meno male?».

«Beh, mettiamola in questo modo: se quest’estate tu fossi venuta a New York, a quest’ora non avremmo avuto lei», disse posandomi una mano sul ventre, ed io sorrisi.

«So che è stato il momento sbagliato, la situazione sbagliata e insomma… tutto era sbagliato. Ma da un insieme di fattori sbagliati, è nata una cosa giusta».

Non riuscii più a trattenermi e mi sporsi a baciarlo.

«Ti amo, Chris».

«Ti amo anch’io, ma se continui a saltarmi addosso, lascerò andare il volante per baciarti e finiremo contro un palo. Da stasera avremo una camera d’albergo a disposizione, abbi un altro po’ di pazienza», disse sorridendomi.

«Se proprio devo».

Lui ridacchiò.

Arrivammo davanti ad un imponente albergo verso le sette di sera; Chris scaricò le valige dalla macchina e lasciammo i nostri documenti alla reception prima di salire in camera.

La stanza era veramente bellissima: spaziosa, luminosa, i muri erano dipinti di azzurro pallido e il letto era veramente enorme.

Non appena entrammo, Chris lasciò cadere le valige sul pavimento, si richiuse la porta alle spalle e mi cinse la vita con impeto, facendo aderire la mia schiena al muro. Poi mi baciò con passione.

«Era tutto il giorno che volevo farlo», mormorò contro le mie labbra e, l’attimo seguente, fui io ad attrarlo a me.

Era una cosa che mai avrei immaginato sarebbe potuta accadere a me: quel desiderio così passionale, la voglia che avevo di Chris, il bisogno, quasi, di sentire il suo corpo sul mio, dentro, al mio.

Ma questo lui non lo avrebbe permesso e me lo aveva detto chiaro e tondo nonostante il desiderio fosse così bruciante.

Abbassai la cerniera della sua giacca di pelle e la buttai in qualche angolo della stanza, poi lui fece lo stesso con la mia.

In breve, il ragazzo si ritrovò con i soli boxer addosso ed io in slip e canottiera, sdraiati sul letto, continuando a baciarci come se quello, fosse l’unico modo che avevamo per restare in vita.

Dopo qualche altro minuto, Chris mi sfilò anche la canottiera e, in un primo momento, mi bloccai.

«Cosa succede, Chelsea?», mi chiese portando il peso del suo corpo su un braccio e sollevandosi a guardarmi.

«Niente, è che… », non finii la frase e mi posai una mano sul ventre.

Chris sorrise.

«Pensi di piacermi di meno perché sei incinta? Amore, io… credimi, non ho mai visto nulla che si possa avvicinare alla perfezione più di te in questo momento».

Abbozzai un sorriso, poi lui tornò ad avventarsi su di me.

Ci baciammo a lungo, continuando ad accarezzarci e senza staccare i nostri corpi uno dall’altro e, quando Chris fece sparire anche il mio reggiseno, fui attraversata da un milione di brividi lungo la schiena, gemendo.

«Non pensare mai più di non piacermi, Chelsea… sei… sei bellissima».

Disse lui con la voce rotta dall’eccitazione e le labbra sul mio collo.

Passammo così altri trenta minuti, prima che i nostri stomaci cominciassero a reclamare cibo.

«È meglio andare, torneremo qui subito dopo cena, ok? Hai bisogno di dormire in un vero letto», disse lui porgendomi una mano ed aiutandomi ad alzarmi.

In una città come New York, non ci fu alcun problema a trovare un ristorante.

Era un posto assolutamente chiassoso, pieno di gente, così come anche lungo la strada il flusso di persone pareva ininterrotto.

In conclusione “la città che non dorme mai”, era proprio il nome più azzeccato.

«Sei contenta di essere a New York?», mi chiese ad un tratto Chris, quando ormai eravamo arrivati al dolce.

«Contenta?! Vuoi scherzare? È esattamente quello che ho sempre desiderato e con te è anche meglio».

Lui sorrise e allungò una mano sul tavolo fino a prendere la mia.

«Tu, invece, sei tutto quello che io, ho sempre desiderato».

Dopo cena, passeggiammo a lungo per le strade di New York.

Le luci, i colori, la musica… il traffico nonostante la tarda ora… era tutto esattamente come lo avevo sempre immaginato e sentire la mano calda di Chris nella mia per tutto il tempo, rese perfetta quella serata.

Tornammo in albergo verso le undici di sera; ero stanca, ma volevo ancora parlare con lui, avrei voluto non perdermi nemmeno un istante.

Invece, estrassi dalla borsa il mio cellulare e scrissi a Ryan, rivelandogli finalmente la nostra misteriosa meta.

Prima che potessi ricevere la sua risposta, però, Chris mi sollevò tra le sue braccia e mi fece distendere su quel letto così inverosimilmente comodo.

Mi guardò negli occhi per qualche istante ed io nei suoi, di occhi, rischiai quasi di perdermi, poi posò le sue labbra sulle mie.

Quando cominciai a sbottonargli la camicia, però, lui mi bloccò.

«Cosa c’è?», gli chiesi, contrariata.

Chris sfoderò il suo solito ghigno.

«Adesso, non essere gelosa, ma voglio dedicarmi un po’ a mia figlia».

Io inarcai le sopracciglia, sorpresa.

«D’accordo, allora fa’ pure».

A quel punto, il ragazzo scoprì la mia pancia e, dapprima, si limitò ad accarezzarla. Poi, alle carezze sostituì i baci ed io mi rilassai contro la testiera del letto, passando le dita tra i suoi capelli biondi.

Mi addormentai così, con l’uomo che amavo e, che sapevo, non avrebbe rinunciato a me e a nostra figlia per nulla al mondo.

 

Il giorno seguente, restammo fuori per tutto il tempo. L’intera mattinata camminammo lungo Central Park; era davvero… enorme, ma fu bellissimo.

Ad un tratto, poco prima di pranzo, eravamo seduti su una panchina, quando Chris disse: «Sai, ho pensato ad un nome per la bambina… ».

Io lo osservai sorridendo.

«E quale sarebbe?».

«Danielle. Per ricordare tuo nonno».

Posai la testa contro la sua spalla, chiudendo gli occhi e commossa per l’idea che Chris aveva avuto.

«Danielle Williams. Suona bene, no?».

«Suona decisamente bene».

«Mi piace».

Proprio in quel momento, la bambina scalciò forte ed io mi portai una mano in grembo.

«E a giudicare dall’energia, piace anche a lei».

Chris rise, mi strinse a sé e mi diede un bacio tra i capelli, dopodiché ci alzammo e riprendemmo la nostra passeggiata.

Pranzammo nel ristorante dell’albergo ed il pomeriggio uscimmo di nuovo e andammo a visitare uno dei più grandi musei di arte moderna di tutta New York.

Inutile dire che lì dentro sarei anche stata capace di perdermi e, all’ora di chiusura, forse non ne avevamo visto neanche metà.

La sera ci fermammo a mangiare in un locale lungo la strada per tornare in albergo; per fortuna eravamo venuti in macchina, altrimenti visitare quell’enorme città sarebbe stato più problematico.

«Hai passato una bella giornata?».

«Sì, decisamente».

Ad un tratto, però, il mio telefono prese a squillare.

«Oh, accidenti, è mia madre. Cosa le dico, adesso?».

Chris sorrise.

«Dille la verità; dille che sei con me, vedrai che andrà tutto bene. E poi… così comincerai a prepararla alla bomba che lanceremo la settimana prossima quando torneremo a Phoenix».

Annuii e premetti il tasto verde per rispondere.

«Ciao, mamma».

«Tesoro! Ho chiamato a casa, ma mi ha risposto Ryan; ha detto che sei fuori città per un po’».

«Ehm, sì, è vero».

Come sempre quando ero nervosa, cominciai a tamburellare con le dita sul tavolo,  Chris se ne accorse subito e mi accarezzò il dorso  della mano.

«Dove sei, allora? E cos’è tutto questo rumore?».

«Sono fuori a cena, in un ristorante a… a New York».

«New York?! Chelsea, mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?».

Sospirai.

«Ti ricordi quando mi hai telefonato l’altra sera, e mi hai detto di chiamare Chris?».

Ora, il ragazzo, di fronte a me, inarcò le sopracciglia con espressione sorpresa.

«Sì, ma… questo che cosa c’entra?».

«Ecco, lui è venuto a Santa Barbara, il giorno dopo e, insomma… ora è qui con me. A New York. Torneremo  tra qualche giorno».

Per qualche istante, regnò un silenzio assoluto, tanto che credetti fosse caduta la linea.

«Mamma? Ci sei ancora?».

«Sì, Chelsea, io… tu stai bene?».

Quella domanda mi lasciò sorpresa.

«Certo che sto bene. E tu, invece?».

La sentii sospirare.

«Anche io, tesoro. Solo… adesso cerca di chiarirti con Christian, va bene?».

«Lo abbiamo già fatto, mamma».

«Davvero? Avete chiarito… ogni cosa?».

Ma di cosa stava parlando?

«Che cosa intendi?».

«Solo che è una situazione complicata, la vostra. E, per una volta, io vorrei vederti felice, Chelsea. Veramente felice».

«Lo sono, mamma».

«Avrei soltanto voluto che tu me ne parlassi, tesoro… ».

«Di cosa?».

Lei sospirò nuovamente.

«Ne parleremo quando tornerete. Ieri mi ha chiamato Constance; ha detto che aveva sentito Christian e che la settimana prossima verrete qui, per parlare con tutti noi».

Lanciai uno sguardo allarmato a Chris e lui mi prese una mano.

«Sì, è vero… ».

«E allora va bene così, Chelsea, parleremo di tutto quando tornerete a Phoenix».

«Va bene. Buonanotte, mamma».

«Buonanotte, tesoro».

Così, riagganciai.

«Che cosa succede?», mi chiese subito Chris.

«Non lo so. Mamma mi ha detto che tua madre l’ha chiamata per dirle non so bene cosa sul fatto che tu fossi a Santa Barbara con me e che saremmo tornati a Phoenix, la settimana prossima».

«E meno male che le avevo detto di non dire niente ai tuoi… », rispose lui, rassegnato.

«Sai com’è… madri… ».

«Stai dicendo che diventerai così anche tu?».

Sorrisi alle sue parole.

«Ovvio che mi preoccuperò per nostra figlia».

«Tu ti preoccuperai, io non le permetterò di uscire di casa prima di aver compiuto almeno trent’anni».

«Oh, cielo… mi sa che dovrò farle da complice, allora… ».

Chris sorrise, scuotendo la testa.

«Su, torniamo in albergo adesso. È tardi».

Così, dopo venti minuti, eravamo già sdraiati sotto le coperte del nostro letto.

 

I giorni passarono velocemente, fin troppo velocemente, per i miei gusti. Una giornata, Chris mi permise di dedicarla interamente allo shopping, sia per me, sia per la bambina. Inutile dire che quella sera, tornammo in albergo straripanti di buste. Lo shopping a New York, era tutta un’altra cosa.

L’ultimo giorno, il ragazzo mi portò a visitare il campus della Julliard, mentre per la sera, aveva comprato i biglietti di un concerto che la scuola aveva organizzato.

Fu veramente meraviglioso ed io ne restai incantata.

Quando tornammo in albergo, lo strinsi forte.

«Grazie, Chris. Per il concerto; per tutta questa settimana… io… grazie, davvero».

Lui mi baciò la fronte.

«Lo sai che per te farei di tutto, vero?».

«Lo so».

Ci infilammo sotto le coperte, poi Chris si voltò verso di me  e disse: «Sai, ho notato una cosa, mentre eravamo a casa».

«Che cosa?».

«Il pianoforte… è ancora chiuso. Chelsea… è rimasto chiuso da quando… ?».

«Dal giorno della sepoltura del nonno. Non ho più suonato. Io… non ci riesco».

Lui sospirò e mi accarezzò una guancia.

«Credo che dovresti ricominciare. Credo che dovresti farlo per te, per tuo nonno e… per lei», così dicendo, mi posò una mano in grembo.

«Io… Chris, non so se ne sono ancora capace».

«Io penso di sì. E penso che dovresti davvero farlo. Era una cosa che, prima di tutto, ti faceva bene, riuscivi a sfogarti. E amavi. Forse, se avessi suonato, avresti superato meglio i primi mesi della gravidanza».

«Può darsi, Chris, ma… non lo so… il nonno mi ha insegnato tutto e… ».

«E tu insegnerai tutto a Danielle. Perché è questo che lui vorrebbe. Lui ti voleva bene, Chelsea e la musica… era ciò che ha sempre cercato di trasmettere a voi. Con te ce l’ha fatta e vorrebbe che ora fossi tu a continuare».

Strinsi forte la mano di Chris e, con le lacrime agli occhi, dissi: «Lui mi manca così tanto».

Il ragazzo mi circondò la vita, cullandomi fra le sue braccia.

«Lo so, amore mio».

Mi sfuggì un singhiozzo, ma poi mi imposi di calmarmi e tornai a fissare i miei occhi in quelli di Chris.

Gli presi il volto tra le mani e lo attirai a me per baciarlo.

Lui rispose con dolcezza, dapprima, poi mi mordicchiò leggermente il labbro inferiore, facendomi ridere.

«Non mordermi; sei diventato un vampiro?».

«Mmm, potrei. Tu sei buona».

Di colpo mi venne una vampata di calore.

«Sai, è la stessa cosa che hai detto quel giorno nel tuo ufficio, dopo che… ».

«Dopo che ti avevo spogliata sulla mia scrivania».

Lo guardai di sottecchi.

«Esatto».

«Il lavoro non mi è mai piaciuto così tanto come quel giorno».

Gli tirai un pugno sul braccio.

«Sei proprio un… », ma lui mi sovrastò, facendo sempre attenzione a non premere sul mio corpo.

«Sì? Che  cosa sono?».

Detto questo scese a posarmi un bacio sulle labbra.

«Un cretino».

Un bacio sul collo.

«E… ».

Un bacio sulla clavicola.

«Ti amo».

Un bacio sul petto.

In qualche modo, era riuscito a sbottonare la camicia che portavo senza che nemmeno me ne rendessi conto ed ora, accarezzava il mio seno con la punta delle dita, massaggiando laddove la mia pelle non era coperta dalla biancheria intima.

«Chris», sospirai, mentre lui era troppo impegnato a baciarmi il collo.

Dopo un po’, le sue carezze si fecero più audaci e lui scese per torturare il mio seno con la bocca, cominciando a lasciare dei piccoli baci, che, nel giro di un minuto, diventarono un contatto molto più passionale.

Lo strinsi a me e lui continuò quella sua dolce tortura. Dannazione, gli ormoni della gravidanza mi rendevano molto più sensibile a quel genere di effusioni.

Lui insinuò una mano sotto la mia gonna ed iniziò ad accarezzarmi l’interno coscia, finché, dopo qualche minuto, si staccò bruscamente, ansante, rotolando di schiena sul letto e fissando gli occhi nei miei.

«Chelsea… non hai idea di cosa vorrei farti in questo momento, ma temo che non  riuscirei a trattenermi oltre».

Per un attimo ricambiai il suo sguardo, poi, mi venne un’idea. Un’idea tanto folle che non sapevo nemmeno come mi era potuta venire in mente.

Mi misi in ginocchio sul letto e lo osservai con sguardo furbo; il mio viso trenta centimetri sopra il suo.

«Amore… perché mi stai guardando così?».

«Così come?», chiesi in tono falsamente ingenuo.

«Come se fossi un dolce… ».

Sorrisi, mi stavo facendo scaltra.

«Interessante metafora. Aspetta, fammi assaggiare».

Detto questo, mi chinai a baciarlo.

Prima le labbra, poi indugiai qualche minuto sul suo collo e Chris emise dei sospiri, forse involontariamente. Ma vederlo così mi dava coraggio e mi spinsi sempre più oltre.

Scesi sul petto, sull’addome piatto e, infine, cominciai a sbottonargli i jeans.

A quel punto, lui aprì gli occhi di scatto, mettendosi a sedere.

«Chelsea… che cosa hai intenzione di fare? Perché tra poco potrei non essere più responsabile delle mie azioni… ».

«Bene… allora lo sarò io per entrambi», dissi lanciandogli un’occhiata che la diceva lunga.

«Chelsea, l’ultima volta non siamo stati molto responsabili… benché non me ne penta».

«Qual è il problema? Tanto non rimango mica incinta… ».

Lui mi guardò dapprima con sguardo sorpreso, poi scoppiò a ridere.

«Dio… tu mi manderai al manicomio», disse passandosi una mano tra i capelli.

Ridacchiai, poi, a sorpresa, feci cadere la mia gonna, mi tolsi completamente la camicia e porsi una mano a Chris.

«Che cosa hai in mente?», mi chiese  lui, visibilmente sorpreso.

«Poche storie e vieni con me».

Lui afferrò la mia mano ed io lo condussi in bagno.

«Chelsea… ».

«Sssh», sussurrai contro le sue labbra, e lui rispose al mio bacio.

Aprii il box della doccia e regolai il getto in modo che uscisse tiepida.

«Tesoro… », riprovò lui, ma io lo baciai di nuovo, mentre stavolta gli sfilavo definitivamente i pantaloni.

Non sapevo proprio da dove, improvvisamente, arrivasse tutta quell’audacia, cosa che, prima di allora, non avevo idea che facesse parte di me.

Probabilmente era Chris a farmi quell’effetto; con lui era come… essere partiti dal cinquantesimo appuntamento. Non avevamo dovuto affrontare l’imbarazzante fase del conoscersi e ora tutto mi appariva chiaro davanti agli occhi: quello che avevo sempre desiderato, ciò che avevo sempre aspettato… era sempre stato a portata di mano.

Lo spinsi contro la porta chiusa del bagno, mentre lui si lasciava andare a baci, carezze e sospiri e, quando il vapore della doccia cominciò a spandersi nella stanza, lo trascinai dentro con me.

«Chelsea… mi stai davvero mettendo a dura prova… », ansimò lui sulla mia spalla. La sua voce era come ovattata dall’acqua, dai nostri respiri affannosi e dall’eccitazione.

«Il fatto che tu non voglia fare l’amore fino alla nascita della bambina… non significa che io non possa dedicarmi a te… », risposi baciandogli il collo e spostando i suoi capelli bagnati che cominciavano ad appiccicarsi alla pelle.

In quel momento, quei pozzi di un indescrivibile azzurro che erano gli occhi di Chris, si fissarono nei miei, ed io mi avventai nuovamente sulle sue labbra, come se fossero un richiamo troppo forte per resistergli.

«Chelsea… Dio, quanta pazienza che ci vuole con te… ».

Risi sommessamente a quella frase e in un attimo feci sparire anche i suoi boxer.

Lo guardai attentamente per dieci secondi e lui osservò me, per captare ogni mia singola reazione.

«Dunque?», mi chiese quando tornai a guardarlo in faccia.

«Dunque cosa?».

«Cosa decreta, vostro onore?», mi prese in giro lui.

«Mmm… l’imputato… è assolto da tutte le accuse e… se dovessi dare un voto… non ce ne sarebbe uno abbastanza alto. Ma per adesso… possiamo accontentarci di un dieci», gli baciai il collo.

«Per la lode… dovremmo aspettare i prossimi mesi».

Lo sentii ridere contro il mio orecchio, ma si zittì immediatamente quando, in modo assolutamente volontario, sfiorai con la mano l’eccitazione tra le sue gambe.

«Ora… posso dedicarmi un po’ a te».

Dopodiché, mi avventai nuovamente su di lui.

 

Uscimmo dalla doccia stravolti e accaldati, consapevoli di aver consumato, probabilmente, tutta la riserva di acqua calda di quell’albergo.

Eravamo entrati in bagno che erano le undici e mezza ed ora era quasi l’una.

Ci buttammo sul letto esausti e felici e, prima di spegnere la luce, Chris si voltò verso di me e disse: «Tu… non hai la minima idea di cosa succederà dopo la nascita della bambina».

Risi e mi strinsi a lui.

«Allora non vedo l’ora di scoprirlo».

Mi sollevai a dargli un ultimo bacio, prima di crollare sfinita contro il suo petto e addormentarmi come un sasso.

 

Due giorni dopo, ormai eravamo quasi arrivati a Santa Barbara, quando, il telefono di Chris prese a squillare, mentre il ragazzo stava guidando.

Lui lo tirò fuori dalla tasca e guardò il display, poi me lo porse dicendo: «È Adam, puoi rispondere tu, per favore? Non vorrei distrarmi… ».

Afferrai l’oggetto con un sorriso e risposi al cellulare.

«Ciao, Adam!», dissi allegramente.

Ma la voce del ragazzo, non era affatto allegra e, quando sentii le sue parole, mi portai una mano alla bocca.

Chris mi guardò preoccupato e mi prese una mano.

«Chelsea, che cosa c’è?», mi chiese apprensivo, ma io ascoltavo le parole di Adam.

 «Sì, certo che arriviamo. E… Adam? Stai tranquillo, andrà tutto bene, vedrai. Certo, glielo dico io», detto questo, chiusi la chiamata.

«Cosa, Chelsea? Cosa mi devi dire?».

Mi voltai a guardarlo, non sapendo come fare a trovare le parole per dargli una notizia del genere.

«È meglio se accosti l’auto, Chris… ».

Lui obbedì, poi mi fissò intensamente.

«Chelsea… è successo qualcosa ad Adam? Io… non gli parlo praticamente dal Ringraziamento; sono stato un vero stronzo con lui in questi mesi e… ».

«Chris… Adam sta bene».

«E allora cosa… ?».

Gli posai una mano sulla guancia.

«Si tratta di tuo padre… ha avuto un arresto cardiaco».

 

 

Note dell’Autrice:

Ok, lo so che in questo momento mi state odiando. In questo capitolo c’era troppo miele, quindi ho deciso che doveva succedere un altro disastro, per riequilibrare un po’ la situazione XD

All’inizio in realtà non doveva essere il signor Williams, ma il padre di Chelsea, però… lei ne ha passate troppe in famiglia. Allora, un’altra opzione che mi era venuta in mente, era un incidente di Adam, ma amo troppo quel personaggio per fargli del male. Dunque, alla fine la pagliuzza più corta è toccata al povero Traver.

Ebbene, nel prossimo capitolo sapremo se è ancora vivo o se ha tirato le cuoia anche lui, intanto fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto.

Io ho trovato Chelsea e Chris estremamente dolciosi, scusate il termine, e mi sono divertita da matti a scrivere la scena in cui Chelsea fa perdere la testa a Chris.

Anche lei, ha tirato fuori una parte del suo carattere che non sapeva di avere.

Bene, a questo punto vi saluto, scusandomi come al solito per l’immane ritardo e sperando di non farvi attendere così tanto anche per il prossimo…

A presto!

 

DAL CAPITOLO 25:

“«Christian Devon Williams!», esclamò con impeto e Chris, al mio fianco, s’irrigidì.

Jenna venne avanti.

«Scusate, ragazzi, Adam ha cantato».

Adam ci rivolse uno sguardo di scuse.

«Sa essere davvero convincente, quando vuole», borbottò lui, burbero.

«Tu farai meglio a non parlare; ce ne sarà anche per te e per tua sorella».

«Che cosa?! E io che c’entro?», si mise sulla difensiva Jenna.

«Tu lo sapevi e non hai detto niente. Per mesi».

Detto ciò, Constance Williams si voltò nuovamente a guardare il terzo dei suoi figli, con aria a dir poco minacciosa.”
  
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