L'archivio
Ormai aveva imparato a capire quando sua madre stava
per avere un attacco di rabbia. Iniziava dalle mani, che si contraevano a un
ritmo sempre più frenetico. Poi le sedie rovesciate, gli oggetti lanciati, e
infine le urla.
Di solito cercava di abbandonare la casa prima che lei
iniziasse a lanciarle qualsiasi oggetto contundente le venisse a tiro, ma
quella sera non era stata abbastanza svelta, così dovette schivare una serie di
oggetti volanti mentre prendeva i libri di scuola e guadagnava l’uscita.
Non la guardò nemmeno in faccia. Non lo faceva da anni.
Per lei sua madre era solo una specie di figura indistinta, magra, sciupata e
dai capelli biondo-grigiastro. Non ricordava di aver mai ricevuto un gesto
d’affetto da lei, né di averla mai vista sorridere. Non le aveva mai nemmeno
rivolto la parola, se non per urlarle le solite cose. Quelle che stava urlando
anche in quel momento, mentre si chiudeva la porta di legno alle spalle e ci si
appoggiava sospirando e ricacciando le lacrime.
«Tu non sei mia figlia.»
Era quasi estate, quindi anche se l’ora di cena era
passata c’era una luce crepuscolare grigia e piatta, che rendeva le case dei
canali ancora più decadenti del solito.
Anton la aspettava seduto sulle scale, con il quaderno
di scuola aperto sulle ginocchia e l’aria di chi era lì per caso. «Hey, li hai
già fatti i compiti per domani? Mi fai copiare?» Emma sbuffò nascondendo un
sorriso e si finse spazientita.
«Non sei capace di farteli da solo, scemo?» Anton
scrollò le spalle, ed Emma si rassegnò con altezzosità simulata. «Va bene dai.
Per questa volta.»
In realtà era una recita, una specie di rituale tutto
loro. Emma sapeva benissimo che Anton si teneva sempre i compiti per l’ultimo
minuto, così nel caso lei avesse avuto bisogno di una via di fuga, lui poteva
offrirgliene una senza essere invadente.
Lei faceva finta di prendersela tutte le volte, come
per dimostrare di essere completamente ignara della strategia di Anton, però
portava sempre con sé la borsa dei libri. Lui finge di non sapere, io fingo di non sapere che lui
sa, lui finge di non sapere che io so che lui sa. Pensava attorcigliandosi oziosamente la mente attorno a queste strane
dinamiche, nello stesso modo in si attorcigliano i capelli attorno alle dita
quando si è pensierosi.
Il loro posto preferito era un ponte di pietra, di
quelli senza parapetto che facevano venire gli incubi a tutte le madri dei
rioni. Si inarcava sopra a un canale stretto e con pochissima acqua, trascurato
e pieno di foglie marce, in mezzo alle quali si aggiravano pigre un paio di
carpe dall’aria malaticcia.
Era al secondo livello, non a quello dei bassifondi,
quindi il canale era quattro o cinque metri sotto di loro. Comunque ancora
troppo in basso per i gusti di Agnes, che se li avesse saputi lì avrebbe staccato
loro le orecchie: i livelli che i ragazzini per bene potevano frequentare erano
dal terzo in su.
Come se non bastasse, nessuno passava di lì, perché era
quasi al confine con la zona interdetta. Le case erano disabitate da molti anni
e cadevano a pezzi, con le imposte mezze staccate e il sole che filtrava dai
buchi nel tetto.
Emma lanciò sassi e pezzetti di muschio in acqua,
osservando le carpe affannarsi attorno al punto dove erano caduti sperando di
trovare del cibo, mentre Anton copiava diligentemente le risposte alle domande
sui patroni che stavano studiando in quei giorni. «… e il centotrentaduesimo
patrono Ericsen IV nella sua munificenza decise che i primogeniti avrebbero
potuto ereditare il mestiere dei padri, i secondi avrebbero servito le mura…
mancano i terzi! I terzi servono la terra!»
«È solo un modo di dire scemo! Perché si dice che i
terzi diventano criminali, ma non è una legge. È una stupida superstizione. Non
c’è nessuna regola per i terzi.»
«Ah.» Sembrava ancora perplesso.
«Copia e basta, che è giusto.»
«Ma anche tutti questi paroloni? Che cavolo vuol dire
munificenza, almeno lo sai?» Emma si sentì offesa. «Certo che lo so, è inutile
che provochi solo per fartelo spiegare. Vuol dire che è stato magnanimo.» Anton
sollevò un sopracciglio. «Buono e generoso!» Semplificò Emma scocciata.
Anton sbuffò divertito. «Magnanimo come sto cazzo.»
Emma gli tirò uno scappellotto, un po’ divertita un po’ spaventata.
«Non farti sentire mentre dici queste cose!»
«Cosa, sto cazzo?»
«Lo sai benissimo cosa.» Anton sbuffò e finì di copiare
scrupolosamente ogni risposta. Sapeva benissimo che erano giuste, Emma prendeva
sempre appunti in classe, parola per parola.
«Ma tu almeno ci credi a tutte ste boiate?» Le chiese
corrucciato. «Perché a me fanno venire i brividi.»
«Vuoi stare zitto o hai il desiderio segreto di farti
strappare la lingua? Non c’entra se ci credo o no. Sono compiti e basta.»
«No che non lo sono. È indottrinamento.» Emma lo guardò
con gli occhi sgranati.
«Non conosci la parola “magnanimo” e conosci
“indottrinamento”? Dove l’hai sentita?» Anton diventò rosso e non rispose.
«Vorrei almeno che non facessi il test per quella
stupida scuola da fregnette.» Emma sospirò.
«Tre anni. Ci sono ancora tre anni di scuola rionale
prima che possa fare il test. Intendi fare lo stesso discorso ogni giorno fino
ad allora?» Anton scosse la testa rassegnato.
«Che facciamo cretina, torniamo a casa?» Emma lanciò un
altro sasso nel canale. Non intendeva affrontare la rabbia di sua madre prima
del tempo.
«No. Andiamo al pozzo.»
«Tu sai
qualcosa che non mi vuoi dire!» Dopo una notte passata ad arrovellarsi su
quello che il professor Astropher si era lasciato sfuggire, aveva
improvvisamente realizzato di avere a portata di mano una persona a cui
estorcere informazioni.
Stavano
lavando i vetri del corridoio del terzo piano e Yuri stava passando lo straccio
sullo stesso punto da quasi dieci minuti, con lo sguardo perso nel vuoto.
Emma la
osservò corrucciata. Era evidente che non l’aveva nemmeno sentita. Forse era
morta nel corso della notte e nessuno gliel’aveva detto, per questo Yuri non
poteva né vederla né sentirla e aveva un’aria così funerea.
O più
probabilmente la stava bellamente ignorando.
Spazientita
sventolò lo staccio a un palmo dal suo naso, spruzzandole acqua insaponata sul
viso. Con la massima lentezza l’attenzione di Yuri si focalizzò finalmente su
Emma, che era a un passo dal mettersi a saltellare in preda al nervosismo.
«Cosa c’è?»
Chiese con voce trasognata.
«Dimmi cosa
succede quado finisci di leggere il libro!» Yuri riprese a passare lo straccio,
meditabonda.
«Mmh… di
solito quando finisco di leggere un libro ne inizio un altro. Cos’è, un
indovinello?»
Questo straccio è bello lungo e resistente. Sembra
fatto apposta per strangolare le persone… non può volerci più di un minuto, poi
la spingi di sotto e dici a tutti che è stato un incidente.
Emma scacciò
quella voce molesta stringendo i denti e scuotendo la testa. Ormai lo sapeva, Yuri si comportava così
apposta per irritare le persone. Se avesse reagito arrabbiandosi non le avrebbe
cavato una parola di più. Però se faceva una faccia abbastanza afflitta…
«Dai, per
favore… lo sai cosa voglio dire!» La voce le uscì patetica come il miagolio di
un gatto affamato, e Yuri dovette nascondere un sorriso.
«Non vorrai
mica conoscere il finale. Se conosci il finale di un libro leggerlo tutto
diventa noioso…»
«Ma è un
atlante, non un romanzo di avventure! Io voglio sapere se dopo ti ha
contattato…» Si interruppe all’improvviso, notando lo strano sguardo negli occhi
di Yuri. Sembrava quasi spaventata.
«Qualsiasi
cosa ti abbia detto il professore, non parlarne con nessuno. Nemmeno con me.»
Emma la fissò confusa, stupita dalla nota di rabbia nella sua voce.
«Non…»
«Shush!
Silenzio! Non dire nulla.»
«Ma lui
non…» Yuri le mise una mano sulla bocca, impedendole di parlare ed Emma la
scostò con rabbia, reprimendo l’istinto di morderla.
«Non dirmi
nemmeno cosa non ti ha detto, ok? Tutto quello che devi sapere è che… finisci
il libro solo se te la senti di affrontare le conseguenze.»
«Quali
conseguenze?»
«Non importa
quali. Qualunque conseguenza.»
Emma mandò
al diavolo il suo proposito di non arrabbiarsi e gettò con violenza lo straccio
nel secchio, spruzzando acqua su tutto il pavimento. «DIMMELO!»
Yuri
sospirò, ricominciando a lavare il vetro. «Non te lo posso dire.»
«E che
succederebbe se me lo dicessi?»
«Non posso
dire nemmeno questo.»
Emma
gemette, frustrata, raccolse sdegnosamente lo straccio e iniziò a infierire
sulla povera finestra, che non aveva più nessun bisogno di essere pulita e
rischiava solo di andare in frantumi.
«Stai
cercando di rompere il vetro?» Chiese Yuri con tono preoccupato. Emma la
fulminò con lo sguardo, pensando di imprecarle contro nel modo più volgare
possibile, poi scrollò le spalle. «Non lo posso dire.» Annunciò scimmiottando
il tono di Yuri.
«Non sei
così arrabbiata se hai voglia di scherzare.» Decise Yuri seraficamente.
«Sì che sono
arrabbiata! È che ho un modo infantile di dimostrarlo, va bene?» Lanciò di
nuovo lo straccio nel secchio e se ne andò, infuriata, lasciando che fosse Yuri
a portare le cose in magazzino.
Emma si era
ritrovata di nuovo nell’archivio, sdraiata sul pavimento fresco, e fissava il
punto in cui aveva nascosto l’atlante qualche giorno prima. Si era presa un po’
di tempo per riflettere su quello che le aveva detto il professore,
sull’allusione di Yuri al fatto che doveva essere preparata a qualsiasi
conseguenza.
Erano giorni
che teneva il muso alla sua compagna di stanza. Una cosa stupida, faticosa e
inutile. Quella mattina era cominciata la settimana dorata, in cui ogni gilda e
ogni rione organizzava una festa per celebrare il culmine della primavera, e
Yuri, come tanti altri studenti, era tornata a casa. Aveva dovuto fare uno
sforzo per salutarla con freddezza. Era una cosa senza senso e decisamente
troppo infantile, persino per lei. Decise che quando sarebbe tornata, alla fine
della settimana, le avrebbe chiesto scusa per essersela presa così tanto.
Nel
frattempo aveva un altro problema da risolvere: l’atlante. L’avrebbe finito o
l’avrebbe rimesso sul suo scaffale?
Se fosse
stata saggia l’avrebbe messo via, avrebbe fatto finta di nulla. Si sarebbe
diplomata, avrebbe trovato un lavoro tranquillo in biblioteca…
Ma lei
voleva sapere. Astropher con le sue allusioni, Yuri con i suoi “non lo posso
dire”, non avevano fatto altro che soffiare sul fuoco che da sempre le bruciava
dentro ogni volta che c’era qualcosa da imparare o da scoprire. Non era nemmeno
una vera scelta: lei aveva bisogno di
sapere.
Senza più
esitare prese il libro e si immerse nella lettura. Un mondo sconosciuto le si
spalancò davanti agli occhi, dove la magia era una realtà tangibile, gli
spiriti si aggiravano fra gli umani, carovane di mercanti viaggiavano lungo
pendii spazzati dal vento e alla fine di ogni autunno la neve copriva le
montagne come una cuffia di lana candida. La poca neve che cadeva in citta dopo
poche ore era solo una poltiglia marrone, e dopo meno di un giorno di solito
era sciolta. Doveva essere strano vedere il mondo coperto da una coltre bianca
per mesi e mesi di fila.
Arrivò
all’ultima pagina con il cuore e la mente in subbuglio. Si era aspettata di
leggere di una guerra o di qualche evento catastrofico che avessero cambiato la
fisionomia dell’isola, ma l’autore si limitava a descrivere tutto quello che
aveva visto, suggerendo di mandare un piccolo gruppo di coloni per costruire
una nuova città.
Trovo adeguato inviare una delegazione di uomini e
donne, che possano costruire da principio una comunità in cui i nostri
compatrioti possano vivere nella pace e nella prosperità di queste terre.
Si guardò
attorno nervosa. Sarebbe successo qualcosa adesso? Girò nervosamente un paio di
pagine bianche, e sul retro della copertina vide un lungo elenco di nomi e
date. I primi risalivano a una cinquantina di anni prima, l’inchiostro ormai
era sbiadito. L’ultimo risaliva all’inverno di quello stesso anno. Doveva
essere Yuri, per forza, anche se si era firmata con un nome falso: Gatta
D’Agosto.
Le venne
quasi da ridere. Solo Yuri poteva uscirsene con un nome tanto strano e stupido.
Gli altri nomi, con poche eccezioni (circa sei anni prima c’era un certo
“Signor Scoreggia Stantia”) erano seri, quasi pomposi. Lei come avrebbe potuto
firmarsi? Visto come si era comportata con Yuri in quei giorni, forse “Zitella
Dodicenne” sarebbe stato lo pseudonimo più adatto a lei, ma non ci teneva ad
essere ricordata dalle generazioni future in quel modo.
Ci rifletté
un attimo, poi, preso un pennino dalla borsa, fece un semplice disegno di due
carpe che nuotavano in cerchio. Scrisse accanto la data e decise che sarebbe
stato sufficiente come segno del suo passaggio. Perché poi avrebbe dovuto
firmare? Chi glielo imponeva?
Chiuse
l’atlante sospirando, col cuore pesante e un leggero senso di delusione. Non
che si aspettasse che qualcuno sarebbe saltato fuori dalle pagine del libro, o
che per qualche magia si trovasse trasportata nello scenario di cui parlava… ma
qualcosa del genere. O almeno la rivelazione del segreto delle mura. Invece di
quelle non parlava per niente.
Se tutti
vivevano in pace su quella terra perché erano state costruite delle mura per
difendersi? E perché adesso non potevano abbandonarle senza perdere quanto meno
il senno? Erano umani i nemici misteriosi di cui non si poteva parlare?
Piena di
domande rimise il libro a posto e tornò in camera sua.
Erano
passati due giorni da quando aveva finito di leggere l’atlante, e ancora non
era successo nulla. Erano ancora nel bel mezzo della settimana dorata e lei era
alla scrivania, cercando disperatamente di dedicarsi allo studio. Se non avesse
recuperato tutti i compiti che aveva lasciato indietro sarebbe stata bocciata,
e lei non aveva nessuna intenzione di andare a vivere nei rioni.
Eppure non
riusciva a concentrarsi, era particolarmente consapevole del battito ansioso
del suo cuore e del fatto di avere uno stomaco. L’aria calda, umida e stagnante
alimentava la sensazione di angoscia e non era certo d’aiuto. Avrebbe voluto
almeno mollare i libri e andare a immergersi nella vasca dell’acqua fredda, per
togliersi di dosso quella sensazione di calore appiccicoso.
Fallo, che t’importa? Comunque è molto probabile che
morirai prima degli esami. Non c’è bisogno di impegnarsi tanto.
La voce
della sua coscienza prediceva sempre più frequentemente la sua morte, e anche
questo non era d’aiuto. Doveva comportarsi normalmente, non destare sospetti,
impegnarsi nello studio, e tutto sarebbe andato bene. Aveva controllato in
biblioteca e l’Atlante era sparito, quindi presto una di quelle persone
misteriose di cui le aveva parlato il professore si sarebbe messa in contatto
con lei e finalmente ci avrebbe capito qualcosa. Fino ad allora doveva solo
resistere alla tensione nervosa senza mettersi a correre nuda per i corridoi
della scuola urlando e strappandosi i capelli.
Avrebbe
tanto voluto confidarsi con Yuri in quel momento, ma non sarebbe tornata prima
di tre giorni.
Qualcuno
bussò piano alla porta e per la sua mente passò subito l’immagine di soldati in
divisa che la trascinavano via urlante e scalciante. Sentì il cuore pulsare nei
denti e nelle orecchie, mentre stringeva le mascelle.
Te l’avevo detto, avresti dovuto andare a farti un
bagno. Hai sprecato l’ultimo pomeriggio della tua vita a studiare.
Però se
fossero andati per farla sparire probabilmente non avrebbero bussato in quel
modo esitante. Sì, avrebbero semplicemente buttato giù la porta. Cercò di
tranquillizzarsi facendo un paio di respiri profondi e andò ad aprire
incuriosita e preoccupata. Non le era mai successo di ricevere visite, non una
volta in tre anni. Forse era un altro scherzo di Rebecca?
Era un
ragazzo del primo anno, la pelle chiara lentigginosa e le spalle larghe. Veniva
dal rione dei carpentieri.
«Posta.» Disse
asciutto allungandole una lettera. Emma la prese titubante, ringraziandolo con
un cenno del capo. Era una busta rossa con un sigillo ufficiale di Sianel.
Il suo cuore
si fece pesante, ogni pulsazione era come un pugno contro il diaframma. Busta
rossa di solito voleva dire brutte notizie. Era successo qualcosa a qualcuno.
Era successo
qualcosa a Yuri? L’avevano fatta sparire mentre tornava a casa? Tutto per
quello stupido libro, non l’avessero mai letto! Respirare era molto difficile,
l’aria si fermava nella trachea rifiutandosi di raggiungere i polmoni affamati
d’ossigeno.
Il ragazzino
se ne era andato da un pezzo, mentre lei era rimasta paralizzata sulla porta,
fissando la busta con orrore, senza il coraggio di aprirla, come se,
rifiutandosi di prenderne atto, avesse potuto cancellare qualsiasi cosa
orribile fosse successa. Con uno sforzo immane chiuse la porta e si lasciò
scivolare a terra. Aprì la busta con le mani tremanti.
Ci duole informarla della prematura scomparsa di sua
madre.
È pregata, in quanto parente più prossima, di raggiungere quanto prima la sua residenza nel rione di Sianel, per occuparsi delle esequie e ricevere l’eredità.
Yep, sono ancora viva. <3
Lo so, è un finale di capitolo un po'... insomma... ecco. Ed Emma diventa un po' infantile quando qualcuno si rifiuta di rivelarle un segreto.
Se vi fa sentire meglio ho già scritto buona parte del capitolo successivo, quindi probabilmente pubblicherò già nel week end! Forse. 40% di possibilità. Anzi, 35. Anzi, diciamo che posso promettere che un giorno pubblicherò! Abbastanza presto però! Pisendlov --- 羽毛