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Autore: flyingangel    14/10/2008    1 recensioni
"Amarti, il mio incubo. Che cosa nascondi dietro ai tuoi occhi?"
Chey è una ragazza come tante, ma qualcosa dietro l'angolo sconvolgerà la sua vita, e le farà vivere l'esperienza più eccitante, dolorosa, e pericolosa che abbia mai immaginato.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- OTTAVO CAPITOLO -

*

Era una bellissima giornata quella mattina. Come non ne capitavano da millenni. Il sole era quasi dorato, e non ero
abituata alla sua vista per poter dire che fosse stato sempre così. Brillante.
I giorni che erano passati erano come nuvole sul mio cielo, ma forse non dovevo preoccuparmi troppo, di solito il
peggio doveva ancora venire, e ora non ero decisamente nel peggio.
Di solito al peggio non c’era limite. Non volevo preoccuparmi con anticipo, volevo semplicemente godermi quella
bellissima giornata di sole e non pensare a nulla. Ma il suo viso, i suoi capelli e persino quei suoi occhi così luccicanti
mi affiorarono in testa e mi fecero accapponare la pelle, come mai prima. In realtà, erano passati alcuni giorni dall’
ultima volta. Dall’ultima volta che avevo visto Loud. Perché doveva già mancarmi? Eppure, ancora non ero innamorata.
“Chey, hai sentito tua madre?” mi disse Jen, dall’altra parte del cellulare.
Alzai le spalle. “Lo sai che la pensa come te” bofonchiai, con poco entusiasmo.
Lei sorrise. “Appunto, concentrati, studia, devi rimanere con la testa sulla terra, come si osa dire”.
“Veramente è con i piedi per terra” corressi, scuotendo la testa.
“Va bhè, restaci con quello che vuoi, ma restaci” replicò ancora lei, con un soffio che squillò troppo nelle mie orecchie.
Già, dovevo impegnarmi, rimanere sulla terra…
Scossi ancora la testa. “D’accordo, lo farò” conclusi, annuendo.
“Ehi, ma non mi puoi già lasciare così!” esclamò lei, con disappunto.
La vista che avevo davanti agli occhi superava qualsiasi aspettativa. Un parco, la panchina sulla quale ero seduta,
e un meraviglioso cielo rosa e azzurro, contornato dai raggi del sole, di quel sole un po’ dorato che faticavo a riconoscere.
Sorrisi.
“Hai visto che bella giornata?” mormorai al cellulare.
Jen, dall’altra parte, annuì, e ne sentì il mugugno. “È splendida”.
“Già, è proprio splendida. Senti, quand’è che ci dobbiamo vedere?” chiesi; non ricordavo il giorno.
“Siccome oggi siamo a casa, possiamo vederci anche oggi. Posso passare io” disse; sentii un rumore in sottofondo,
forse stava contorcendo il filo del telefono tra le dita.
“Sei a casa?”
“Sì, ma ti posso raggiungere in breve” quasi sorrise e il rumore di sottofondo svanì.
“D’accordo. Ti aspetto, sono al parco”.
Jen mi raggiunse che erano passati alcuni minuti, mentre mi godevo con tranquillità quella pace mattutina, seduta in
quell’isolata panchina; non c’era proprio nessuno. Mi voltai varie volte indietro, verso la quercia e gli altri alberi e
verso lo spazio dietro di me. Ero come immersa in quella vista, da sola.
“Ciao” mi salutò, togliendosi lo zaino dalla spalla e mettendoselo accanto ai piedi, quando si sedette vicino a me.
“Come stai?”.
La guardai un attimo e annuii. “Tutto bene, e tu?”
Anche lei mi guardò. “Non c’è male”.
“Mi dai uno specchio? Questa mattina uscendo, mi sono fatta un livido” mormorai, a denti stretti, ancora imprecando
mentalmente per il piccolo incidente contro lo stipite della porta.
“Accidenti, okay” lei rovistò per un po’ alla ricerca dello specchietto nel suo zaino. “Fortuna che ho sempre
l’occorrente” mi sorrise di sbieco.
Presi lo specchio, quando me lo tese, e mi stava su un palmo della mano. La faccia di un assurdo animale mi
guardò per alcuni secondi, prima di aprirlo e potermi fissare. La mia frangetta castana, di quel castano non
troppo chiaro né troppo scuro, non spento, ma non troppo acceso, mi copriva quasi del tutto il livido, o
bernoccolo, sulla fronte. Mmm, mormorai, seccata.
“Ma come hai fatto?” chiese Jen, guardandomi un po’ sconcertata.
La fissai da sotto le ciglia. “Per la fretta di andare a vedere il sole” bofonchiai, disillusa.
Era viola, e cercai di coprirlo bene con la frangia. “Si vede?”
Jen mi scrutò un istante, e scosse la testa. “Non direi. Non molto”.
“Okay” dissi, porgendole lo specchietto.
“Che cosa facciamo?” mi chiese, rovistando ancora nello zaino per metterlo via, questa volta bastarono solo
alcuni secondi.
“Perché non andiamo a fare un salto su in collina?” alzai un sopracciglio, cercando di notare la sua espressione.
“Perché proprio in collina?”
“Perché no?” rimarcai, decisa sulla mia idea.
“E che cosa intendiamo fare in collina?” lei assunse un’espressione stupita, mentre mi guardò.
Scrollai le spalle. “Tutto e niente” le sorrisi, cercando di convincerla a fare qualcosa, oltre a stare ferme su
quella panchina isolata.
Lei annuì. “Ma niente pericoli”.
“Di quali pericoli parli?” la guardai, sgranando gli occhi e lei sbuffò, scuotendo la testa.
“Lascia perdere, che è meglio”.
Arrivare a piedi in collina era per me come qualcosa che mi era apparso solo in sogno, finora, a parte quella
volta con mia madre quand’ero piccola, avevo sempre percorso quella distanza a piedi.
“Caspita, ma è faticoso” biascicò Jen.
“Ma no, che dici” le diedi una pacca sulla spalla.
“Come mai ti interessa così tanto?”
Scossi la testa. “Per fare un giro, dai”
“E che si fa quassù?” chiese Jen, dando un’occhiata in giro, al posto.
Erano presenti abbastanza case, ma la maggior parte occupavano uno spazio ristretto ed erano tutte ammucchiate,
come se fosse un paesino sulla collina.
“Io ho voglia di avventura” dissi, compiaciuta.
Jen mi squadrò, con la bocca aperta. “Ma allora sei tu che te le vai a cercare”.
La guardai, sgranando gli occhi. “Ma no”
Lei scrollò la testa. “Figuriamoci… se non era così” bofonchiò.
“Ma no, ti ho detto che non è così” rimarcai, corrugando lo sguardo.
Jen mi guardò. “Ma per piacere”
La fissai delusa.
“E dunque?”
“Che cosa?”
“Che cos’è quest’enorme villa?” lei fissò la villa ad occhi apertissimi.
“È enorme, vero?” la guardai anch’io, come sempre sorpresa.
“Caspita se lo è, ma che c’è dentro?”
“Vorrai dire chi… bhè non lo per certo…” dissi, dandole un’occhiata di sbieco. Alzai le spalle. “I misteri…”
Psst.
Psst.
Mi voltai di scatto. Ma cos’è?
Jen mi guardò spaventata. “Cos’è stato?”
“Non lo so” ammisi, alzando le sopracciglia.
“Chey, ma non mi riconosci?”Antoine venne verso la mia direzione, con fare elegante.
“Antoine, ciao”
“Oh, ecco… dicevo” sorrise, ammiccando con qualsiasi muscolo del viso. “E tu chi sei?” squadrò, prima
velocemente, poi soffermandosi in un modo più accurato su Jen.
Lei arrossì violentemente e la guardai, corrugando le sopracciglia.
“Sono Jen… mi chiamo Jen” era visibilmente accaldata in volto.
“Piacere, ma cheri Jen” lui le tese la mano, e se la strinsero. “Sei molto jolie…”
Jen si voltò fulminea verso di me, sgranando gli occhi. “Cos’è jolie?” mi chiese.
Trattenni un sorriso. “Sei carina, bella, quello che ti pare”
Ricevetti uno sguardo di consenso da Antoine, e un sorriso.
“Ma cheri” mi venne vicino “è da un po’ che non ci si vede” affermò. “Come stai?”
“Sto bene. E tu?” la sua vicinanza mi preoccupava non poco.
Notai una cosa curiosa: Antoine mentre parlava, rimaneva sotto alle chiome degli alberi, e non capivo il perché.
Lo guardai, cercando una spiegazione. “Che bella giornata non trovi?” gli chiesi, di sbieco.
“Già” lui sorrise.
“Ti piace il sole?” continuai, mentre Jen mi lanciava un’occhiata confusa.
“Non tanto a dir la verità” ammise, sempre con il sorriso stampato.
“Ah” dissi. Adesso avevo capito. Era un po’ come un nemico del sole. Anche a me una volta non piaceva.
Sorrisi.
“E dov’è Loud?” continuai, inarcando le sopracciglia.
“Loud? Non è nei dintorni?” lui aveva un’espressione sorpresa.
“Non penso. Non l’ho visto. Per la verità sono giorni che non lo vedo” ammisi, alzando le spalle, perplessa.
“Ah, davvero? Strana cosa” Antoine mi stava pericolosamente vicino.
Jen ci squadrava a pochi centimetri da noi.
“Non l’hai visto per niente?” continuai, cercando di spezzare la nostra vicinanza con le parole.
“Era a casa, prima” rispose.
Aguzzai la vista, sorpresa. “A quale casa ti riferisci?”
Lui si girò verso la villa. “A questa” disse, il suo tono era serio.
“Voi due abitate qui?” mormorai, incerta.
Lui annuì. “Ma paghiamo l’affitto” aggiunse.
“Pagate l’affitto?” lo guardai, sorpresa.
“Già, al proprietario” mi sorrise, guardandomi negli occhi. Mi persi per un istante nei suoi, ancora, ancora…
“Ho capito” dissi, quando riacquistai le parole. “Comunque, complimenti per la casa”
“Grazie. E la tua amica non parla?” Antoine rivolse lo sguardo verso Jen, che lo fissava a occhi mezzi chiusi.
“Tutto bene, ma cheri?” lui la guardò, un po’ preoccupato.
Jen si destò impercettibilmente e annuì. “Sì, certo, grazie”
Antoine sorrise, era un bellissimo sorriso.
“Posso entrare?” chiesi, rivolta verso l’entrata della villa. Il portone era davvero enorme.
Lui mi squadrò un instante. “Certo” il suo tono era allusivo, ma continuò a sorriderci.
Mi avvicinai al portone d’ingresso, e mi voltai un’altra volta verso Antoine, guardandolo negli occhi,
lui aveva sempre quel sorriso di prima…
“Ehm… puoi aprire?”
“È aperto, entra” disse, inclinando la testa.
“Ah, okay” aprii, tastando sulla porta. Si aprì ed entrammo.
“Caspita” dissi squadrando l’incantevole e alto soffitto, e così fece pure Jen.
“Ma quant’è alto?” disse lei, a bocca aperta; Antoine sorrise.
“Dunque, se vi volete accomodare, possiamo andare di là. Seguitemi, pure” si incamminò a sinistra,
verso un’altra enorme porta e noi lo seguimmo. Poi, entrammo dopo di lui.
“E questo è il salotto?” chiesi.
Antoine si girò a guardarmi e annuì. “Accomodatevi, arriva il tè”
Ci sedemmo su delle poltrone magnifiche, parevano importate da un altro stato, e il tappeto a terra era rosso
e oro, di un tessuto che pareva pregiato.
“Chey” disse una voce in lontananza. Loud si avvicinò a noi.
“Loud, questa è casa tua… potevi anche dirmelo” lo fissai, alzando le sopracciglia.
“Già” lui sorrise. “Che ci fate qui?”
“Nulla, un controllino” biascicai, continuando a fissare i suoi incredibili occhi.
“Ah” mormorò lui, sempre col suo sorriso. “Benvenute a casa nostra, allora. Antoine gli hai offerto il tè?”
Antoine lo guardò. “Sì, lo stavo andando a prendere” fece un sorriso compiaciuto.
“Ma siete ricchi, quindi?” domandai, perlustrando con lo sguardo il posto, ad occhi spalancati.
Antoine rise. “Non così tanto come ti immagini, ma ce la caviamo, sì”
“E poi, bè… siete francesi” mormorai, a denti stretti.
Lui mi lanciò un’occhiata. “Ah quindi dovremo essere ricchi?” rise.
Annuii. “Già, perché non è così?” corrugai le sopracciglia.
“Non proprio” lui era divertito. Uscì dalla stanza.
Loud si sedette al divano rosso e oro, che era al centro della stanza, di quello che chiamavano salotto.
“Allora, che mi raccontate?” accavallò le lunghe gambe esili, aveva i pantaloni beige, incollati… e notai
un anello bellissimo al suo dito, rosso con un rubino.
Lui notò il mio sguardo e mi fissò negli occhi. Lo distolsi e mi concentrai sulla domanda. “Nulla di particolare,
devo recuperare qua e là, e tu che ci racconti?”
Sorrise. “Non molto. Questa collina diventa assai noiosa, se non hai nuova gente…”
Ebbi un brivido, leggero. “Già”
“Mi fa piacere che siate passate”.
Non capivo il suo tono, a volte sembrava più sicuro di sé, quasi arrogante nel modo di porsi, e altre volte mi
sembrava più propenso ad una sensibilità normale. O forse ero solo io che mi facevo di quelle paranoie.
Probabilmente non lo avrebbe notato nessun’altro o nessun’altra.
“State comunque attente ad aggirarvi da queste parti” il suo sguardo divenne serio. “Non si è mai certi di chi si
potrebbe incontrare”.
Lo guardai, concentrandomi sui suoi occhi, e anch’io assunsi un’espressione seria, ma nel mio volto ce n’era una
anche interrogativa.

*

Ringraziamenti a chi mi legge e a:

valevre: grazie mille! :) ehhh ci sarà un po' di tutto, piano piano questi personaggi si vedranno meglio, penso hahaha !
  
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