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Autore: Atomic Chiken    15/10/2014    4 recensioni
Le ragazze di una piccola cittadina cominciano a sparire all'improvviso. Cosa si nasconde dietro a tutto questo? Un assassino, o qualcosa di molto più complesso e terrificante?
Dal testo:
Non poteva essere una persona. Non aveva nulla di umano. Era la cosa più disgustosa che avesse mai visto.
Perse i sensi, li riebbe.
Sentì il respiro della cosa sulla propria pelle. La sua bocca sfiorò l'orecchio di Marie.
Prima di divenire preda del buio udì qualcosa che le fece accapponare la pelle.
" Mamma ".
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Janet McBeth si guardò in giro con circospezione. Aspettò ancora qualche secondo, poi si decise ad entrare nel locale. Era davvero grande, per una ragazza minuta come lei, e per un attimo le balzò in testa l'idea di tornare sui propri passi.
Studiò l'interno puzzolente e sporco, attirando non pochi sguardi. Era minuta sì, ma aveva anche un corpo mozzafiato e il viso, come diceva sua madre, angelico. Sentì qualche fischio e dei commenti intimidatori. La paura e l'insicurezza s'impossessarono di lei. Ripassò mentalmente il momento in cui era sgusciata fuori di casa di nascosto, a come il cuore avesse rischiato di saltarle fuori quando un amico di suo padre era arrivato a tanto così dal scoprirla. Ignorando la testa e l'istinto aveva continuato il tragitto, fino a raggiungere il bar più malvisto della città.
Non si sentiva per niente a suo agio in quel posto. Non era quel genere di ragazza. Dio, a ventiquattro anni era ancora vergine!
E adesso, forse, le cose stavano per cambiare. Quando andava a scuola veniva derisa da tutti, ricordava ancora i commenti disprezzanti delle altre ragazze, su come le dicessero aspramente di scopare, cominciando a ridere subito dopo.
Anche adesso le derisioni continuavano, e Janet era arrivata al limite della sopportazione. Non riusciva più a nascondere la tristezza che la mangiava dietro i falsi sorrisi che mostrava ai suoi genitori. No, non ce la faceva più.
Facendosi coraggio avanzò nel locale sotto gli sguardi ispettori di tutti gli uomini presenti. Strinse i pugni e iniziò a pregare sottovoce.
Fa che finisca in fretta
Finalmente lo vide. In fondo ad un tavolone mezzo distrutto c'era il ragazzo che si era offerto di farle il favore. Avanzò con il cuore a mille e la testa in subbuglio. Non riusciva ancora a credere che stesse per fare una cosa simile. Non era da lei!
"Finalmente ti sei fatta viva" le disse Jamie. Era carino, ma non era un motivo abbastanza convincente per Janet.
Torna a casa, bimba
Invece si sedette al bancone, facendosi piccola piccola e sperando così di attirare meno sguardi.
"Quando...Quando si comincia?" balbettò mangiandosi qualche lettera. Un sorriso perfido si stampò sul volto dell'altro, che per l'ennesima volta la squadrò da capo a piedi. Le era stato esplicitamente ordinato di mettersi qualcosa di appariscente, e così Janet aveva fatto, seppur contro tutta la buona volontà che la rodeva dentro.
"Meglio appartarsi, qui le voci girano e la gente guarda". Detto fatto la prese per il braccio, stringendolo con troppa forza. Janet tentò di dirgli di lasciarla quando una seconda mano fece la sua comparsa sull'altro braccio.
"Che cosa state facendo?! Lasciatemi andare!". Venne letterlamente trascinata fuori dal locale, senza che nessuno accorresse in suo aiuto. La portarono sul retro, all'aperto.
E poi Janet vide un terzo uomo spuntare dietro le loro spalle. Il respiro le venne a mancare mentre implorava con le lacrime agli occhi di lasciarla andare. In tutta risposta una mano le sfiorò il collo, per poi iniziare a scendere.
L'uomo ritirò la mano quando Jamie gli ordinò di fermarsi. Per un secondo Janet fu invasa da pura speranza.
"Dobbiamo portarla via, poi falle quel che ti pare". La ragazza sgranò gli occhi.
"Dove volete portarmi?!"
"Oh, lo vedrai presto".
Qualcosa di freddo e pungente venne a contatto con la tempia di Janet.
"Se sento anche un suono da quella bocca ti faccio saltare la testolina, capito? Adesso muoviti". Esitando, ancora incredula che tutto quello stesse succedendo per davvero, Janet obbedì. Aveva voglia di piangere, di mettersi a gridare e chiedere aiuto. Era stata una stupida ad avventurarsi in quel posto, ed ora ne stava pagando le conseguenze. Se lo meritava, ma non era giusto.
La fecero entrare in macchina. Jamie si sedette accanto a lei e senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi prese il suo volto tra le mani sudice. Sembrava il diavolo in persona.
"Giuro che non lo dirò a nessuno" lo supplicò Janet.
"Fammi andare, nessuno saprà niente, lo giuro...".
"Shh, lo sai che sei bellissima? ". La ragazza provò a liberarsi senza risultati.
"Ti divertirai un casino, vedrai. Finirà presto".
Il viaggio sembrò un'eternità, ma durò solo cinque minuti.
Il cuore di Janet prese a battere ancora più veloce. No. Doveva essere un incubo, poteva solo essere un brutto incubo. E allora perché tutto sembrava così reale?
La fecero uscire dall'auto spintonandola verso il campo di grano. Il silenzio regnava indisturbato, interroto solamente dalle continue risate dei tre uomini e le suppliche di Janet. Venne spinta in avanti, cadendo rovinosamente tra le spighe. Qualcuno le afferrò entrambe le braccia.
"Josh? Dove cazzo sei finito?". Come per magia, il tipo robusto fece la sua comparsa ai piedi di Janet.
Non perse tempo e iniziò a sfilarle i vestiti. Con il volto bagnato dalle lacrime Janet guardò verso Jamie. Fissava la scena con occhi divertiti, un sorriso perfido stampato sulla bocca.
E poi successe l'incredibile. In un primo momento Janet pensò di aver avuto un'allucinazione.
Qualcosa sbucò alle spalle del ragazzo e lo atterrò come fosse stato un pupazzo. L'urlo improvviso fece voltare anche gli altri due,  sorpresi e storditi quanto Janet. La ragazza notò con orrore che il ragazzo a terra non si muoveva più.
Poi riuscì a tornare con i piedi per terra. Doveva sfruttare quel momento di distrazione.
Con più forza di quanta credesse di avere, mollò un pugno prima a quello che la teneva, infine raggiunse l'altro con un calcio. Successe tutto in meno di tre secondi. Janet si alzò noncurante di avere indosso solo le mutandine e il reggiseno e iniziò a correre alla cieca, gridando aiuto come una forsennata. Non le passò minimamente in testa di entrare in macchina. Inciampò diverse volte procurandosi ferite lungo le gambe. Poi, proprio mentre iniziava a credere d'avercela fatta, qualcuno le afferrò un piede. La ragazza volò a terra con un gridolino. Voltò la testa preparandosi alla vista di uno dei rapitori.
Un urlo le morì in gola, cercò di strisciare via, scalciò in preda al terrore, chiuse gli occhi e li riaprì.
Era ancora lì, a fissarla. Janet provò a dare un volto a quella cosa ma non ci riuscì. Non c'era un volto, là sopra. Non c'era niente, davanti ai suoi occhi increduli. Non era una persona, quella cosa. Aveva mani, braccia, gambe.
Dov'era la faccia, allora?
All'improvviso la vista di Janet iniziò ad offuscarsi. Cercò con tutte le sue forze di rimanere sveglia, cercò di aggrapparsi a qualcosa per non volare nel buio, afferrò addirittura le braccia di quella cosa, braccia dure e fredde ma nel contempo morbide come quelle di un bambino.
E svenne.

 

-
 

Alex Smith era nervoso. Ancora più nervoso della volta in cui si era dichiarato alla sua vicina di banco alle elementari.
La vista di Ilyas lo rassicurò un po', ma non abbastanza da calmarlo. Non si capacitava proprio di come quell'uomo potesse essere così sicuro e calmo in un momento simile. Più volte Alex fu tentato di tornarsene in macchina, e stava per farlo quando la porta si aprì. Alex maledì il tempismo mostrando un sorriso cordiale e il distintivo all'individuo di fronte a lui, Howard Lincoln. Quest'ultimo non mosse un muscolo, invitandoli con sua sorpresa ad entrare. Alex seguì Ilyas, studiando l'interno con attenzione. Notò che lo stesso faceva Pendergast. Vennero guidati fino a quello che sembrava il soggiorno, una camera grande quanto una sala da ballo.
"Molto accogliente" furono le prime parole di Ilyas, pronunciate con una certa ammirazione. Anche Alex doveva ammetterlo, era ben arredato, seppur con un certo gusto per l'antico.
"Desiderate qualcosa da bere?" chiese Howard Lincoln. Ilyas scosse il capo.
"Grazie, ma non ne abbiamo bisogno". Ad Alex non sarebbe dispiaciuta una tazza di caffè, ma preferì non discutere.
Howard Lincoln prese posto sulla poltrona davanti ai due e incrociò le mani all'altezza del petto. Era un uomo davvero affascinante.
"Cosa posso fare per voi, dunque?". Fu Alex a rispondere.
"Vorremo porle delle domande".
"Che tipo di domande?".
"Riguardo..." lo sceriffo andò a cercare aiuto nello sguardo di Ilyas.
"Abbiamo fatto una lista di sospettati per l'omicidio di Marie Anne, ne avrà sicuramente sentito parlare, e lei fa parte della lista" rispose Pendergast.
"Ah sì? E in base a quali parametri sarei sospettato?".
"Vive in un luogo isolato dalla città, da solo, in un'abitazione enorme, non esce mai e nessuno sa quasi niente sul suo conto. Mi dica lei in base a quali parametri dovremmo sospettarla". La risata di Howard Lincoln squarciò l'aria.
"Molto divertente, mio caro...".
"Ilyas".
"Ilyas, un nome molto bizzarro, per l'epoca d'oggi. Proviene da una famiglia ricca, o mi sbaglio?".
"Che ne dice di dirmi qualcosa su di lei, signor Howard? Qualcosa sul suo passato, ad esempio".
"Non c'è niente d'importante da sapere, signori, nulla che abbia a che fare con quello che siete venuti a sapere. Perché non mi chiedete dov'ero mentre avveniva il misfatto, invece di far perdere tempo prezioso ad entrambi?".
"Allora mi dica dov'era, signor Howard". Un sorriso compiaciuto si stampò sulle labbra di Lincoln.
"Ad un importante riunione per la salvaguardia delle grotte di Mainhill, fuori città".
"Grotte?" chiese Ilyas inarcando le soppracciglia.
"Certamente, mio caro. Dovrebbe saperlo che sono il proprietario della meraviglia di questa cittadina. Aperta al pubblico, tra l'altro". Stranamente, Ilyas cambiò argomento.
"Chi è quella graziosa signora?" chiese indicando una fotografia appesa al muro.
"Mia moglie" rispose l'uomo con un improvviso cambiamento del tono di voce "e' morta in un incidente molti anni fa". Passarono dei minuti, prima che Ilyas ponesse un'altra domanda. Alex guardava la scena incuriosito.
"Avete avuto dei figli?".
"Uno" disse l'altro "all'epoca della morte della madre aveva solo dieci anni, povero bimbo. Adesso si è trasferito con la ragazza". Con sorpresa di Alex, Pendergast si alzò.
"Molto bene, signor Howard. La ringrazio per averci dedicato il suo prezioso tempo".
"Ce ne andiamo di già?" proruppe Alex alzandosi a sua volta, seguito da Howard Lincoln.
"Sarà pieno di impegni come lo sono io e non vorrei disturbarla troppo". Howard annuì.
"E' stato un piacere. Spero di rivederla Ilyas, magari per una chiaccherata più amichevole".


-

 
 
Howard Lincoln chiuse la porta e attese la partenza degli ospiti. Una volta che il suono del motore fu abbastanza lontano, tornò nel soggiorno e si sedette sulla poltrona. Rimase in quella posizione per un'ora intera a meditare. C'era qualcosa che non quadrava in quell'uomo bizzarro di nome Ilyas, qualcosa che gli incuteva un timore primordiale.
Per la prima volta in vita sua, immerso nel silenzio racchiuso tra quelle mura, Howard Lincoln tremò di paura.
  
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