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Autore: Midnight_whisper    16/10/2014    1 recensioni
Una storia forse leggera all'apparenza, ma molto introspettiva, sull'adolescenza. La storia nasce come sceneggiatura, quindi spero mi perdonerete alcuni passaggi poco narrativi, ma ho dato il massimo. Spero possa piacervi la storia di Claudio, Andrea, Mario, Liliana, Paola e Alessandro.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Andrea fissava il soffitto, disteso sul suo letto, convinto di potervi scorgere qualcosa da un momento all’altro. La chitarra di Jimmy Page gli riempiva le orecchie attraverso i piccoli auricolari che indossava.
“Mi chiedo solo dove abbia sbagliato. Com’è possibile che non mi voglia parlare per una cazzata così... Perché? Ne vale la pena?”
Le voci di casa si affollarono per qualche istante al piano di sotto e Andrea pensò che qualcuno avesse di nuovo sbattuto il piede contro il vaso messo all’ingresso. Avrebbero dovuto mettere quel vaso in un altro punto, o almeno cambiare il basamento della pianta. Era fin troppo ingombrante.
Il suo cellulare era poggiato sul suo comodino, immobile “E se bastasse davvero... così poco?”
I suoi movimenti si sprigionarono come se avessero appena rotto delle catene che li intrappolavano. Si alzò, allungò il braccio e afferrò il cellulare. Scese rapidamente per la rubrica lasciando scorrere il suo sguardo fra i nomi, poi improvvisamente un nuovo freno lo prese. Le dita ripresero ad accennare lievemente un movimento. “Ma sì, che mi costa?”
Non se la sentiva proprio di telefonare, ma non c’era niente di male nell’inviare un messaggio, dopotutto. Ehi.. Ti vorrei parlare, ti va se ci vediamo alla piazzetta fra mezz’ora? Ti aspetto lì, spero di trovarti.
 
Nonostante l’ora, una piacevole brezza accarezzava il volto di Andrea, su quella panchina. Allargò appena le braccia per potervi appoggiare i gomiti e per usare le mani come sostegno per il viso. Il suo casco ruotava appena, lì poggiato per terra, sul pavimento sporco. Il suo sguardo era fermo, quasi intimorito di poterlo vedere se avesse vagato per la piazza. ‹‹Ohilà, Andrea!››
Andrea si voltò di scatto ‹‹Clau... Oh, sei tu...››
Il volto di Mario si corrugò in un sorriso appena beffardo, di superiorità, che sempre lo accompagnava ‹‹Aspetti, qualcun altro, per caso?›› Il suo sorriso si spense appena mentre si poggiava col sedere sullo schienale della panchina.
‹‹Già, veramente pensavo che fossi Claudio... Dovevamo vederci ma sembra che sia in ritardo.››
Mario sfregò la mano sulla testa dell’amico scompigliandogli i capelli, consapevole di fare un’azione sgradita ‹‹Ho parlato l’altro giorno con Claudio, ma ho scordato di dirgli una cosa. Se lo vedi dopo, puoi fargli sapere che... anzi no, digli di chiamarmi, appena può, okay?››
Andrea annuì con al testa, l’aria assente, mentre si sistemava i capelli, ormai consapevole che le sue proteste non avrebbero cambiato i futuri gesti di Mario. ‹‹E tu, invece? Perché sei qui? Anche tu devi vederti con qualcuno?››
Mario si grattò appena il bordo del labbro con la mano destra, portando istintivamente gli occhi verso l’altro ‹‹Più che altro con qualcuna›› ammiccò ‹‹Avevo questo mezzo appuntamento, ma credo che alla fine non andrò e mi farò solo un giretto per prendere un po’ d’aria... Fa caldo in questi giorni!››
Andrea non poté fare a meno di ridere fra sé e sé con un pizzico di amarezza per la ragazza che sarebbe rimasta sola a breve, ma dopotutto conosceva Mario e quell’atteggiamento non lo stupiva nemmeno troppo ‹‹Che bastardo che sei...››
‹‹Dai, non esagerare!›› sfoderò un sorriso davvero eccessivo ‹‹Non posso farci nulla, io sono fatto così! Però magari, la prossima volta, le darò il tuo numero di telefono, per farmi perdonare.›› fece l’occhiolino ad Andrea che lo guardò dal basso con fare predicatorio.
Mario soffocò la sua ultima frase in una risata e poi, salutando, andò via.
Erano le cinque e un quarto. Andrea era di nuovo solo, dopo che Mario se n’era andato tanto spensierato. Claudio era in ritardo. Era sempre puntuale, di solito.
 
Il parco sembrava più vuoto rispetto a qualche giorno prima. Paola si diresse a passo spedito verso l’albero sottile che usava spesso come appoggio. Anche quel giorno aveva il suo block notes, ma era convinta che non ne avrebbe fatto davvero uso. Alessandro era già lì.
‹‹Sei in anticipo...›› Gli sorrise portandosi un ciuffo di capelli dietro le orecchie e inclinandosi appena in avanti per poterlo vedere meglio.
‹‹Ehi! Scusa per l’altra volta, sono scappato via di corsa ma non avevo proprio tempo!›› Portò la mano sul collo, sentendo il bisogno di muoversi in qualche modo, e iniziò a strofinarla con fare sovrappensiero.
‹‹Figurati, non fa niente.››
La osservò dal basso, le forme del suo viso erano piuttosto pronunciate e le mettevano in risalto gli occhi. Forse era anche per quella strana posizione, in piedi, il busto in avanti, la maglietta larga molleggiante nel vuoto, che Alessandro per un momento vide in lei una ragazza molto più grande.
‹‹Non ti siedi?››
Paola si stupì quasi della domanda, era come se avesse raggiunto un suo equilibrio in quella posizione ‹‹Sì, scusa...››
Il silenzio iniziò a stuzzicarli. Era evidentemente uno di quei momenti in cui non si sa cosa dire, ma ci si ritrova insieme e, inevitabilmente, ci si chiede il perché.
‹‹L’altra volta, mi sono finto il tuo ragazzo... Ovviamente non ci provavo, l’avrai capito...››
‹‹No, figurati. Tra l’altro ti eri già scusato. E poi, insomma, mi stavi solo aiutando, no?››
‹‹Sì, mi danno fastidio quelli che attaccano briga... credo.›› Alessandro portò lo sguardo per terra e iniziò a strappare dei fili d’erba solo per dare l’impressione di essere intento in qualcosa ‹‹Piuttosto, mi hai chiesto tu di vederci... di che si parla?››
‹‹Scusa, ti sarò sembrata pazza, visto che non ci conosciamo. Però, insomma, mi sembri un ragazzo a posto e poi mi avevi incuriosito l’altro giorno. In realtà vorrei solo poter parlare con qualcuno, non lo faccio da troppo.›› Il volto di Paola si tinse di un velo di serietà che Alessandro non le avrebbe mai saputo immaginare: a scuola gli era sempre sembrata una un po’ su di giri.
‹‹Mi piace parlare. Hai trovato la persona giusta.››
Paola sorrise amaramente ‹‹Raccontami un po’ di te. Io non ti conosco affatto, mentre credo che per te sia diverso. La mia brutta fama mi precede, dico io.››
‹‹Io non la farei così facile. Una cosa è quello che senti in un telegiornale o che si vocifera per le strade, un’altra è la realtà. Mi piacerebbe sentire, per una volta, parlare te e non gli altri, se ti va...››
‹‹Ecco, vedi... Vedi, io non credo di poterlo fare perché tutto quello che io ho visto quella sera, quello che in giro si dice che io abbia visto, io non lo ricordo. La mia mente l’ha tipo rimosso, cancellato. È strano, mi sono sempre chiesta come sia soffrire d’amnesia.”
Alessandro rimase un momento titubante, calibrando il peso selle sue prossime parole ‹‹Dici sul serio?››
Paola annuì nuovamente, grave. Poi decise di aprire il block-notes e a sfogliarlo senza cercare nulla, per occupare le mani in qualcosa. Andrea riprese a torturare i fili d’erba lanciandoli via.
‹‹Forse sei solo tu che in realtà non vuoi sapere. Forse hai paura di quello che potrebbe succedere dopo. Okay, scusa, sto sparando una cazzata...›› Si chiese da dove gli fosse uscita una frase del genere.
‹‹Non fa niente, ne sento tante. Piuttosto, vai alla mia stessa scuola?››
‹‹Quarta F.››
‹‹Conosco dei ragazzi in quarta F.››
‹‹Tipo?››
Paola non rispose subito. Prese una matita dalla tasca del retro dei pantaloni e scarabocchiò qualcosa a caso su uno dei fogli del suo blocco ‹‹Tipo Claudio.››
Alessandro si fece pensieroso ‹‹Claudio...››
‹‹Sai, una volta voleva convincermi a uscire con alcuni suoi compagni, ma non so per quale motivo alla fine erano tutti impegnati e la serata saltò. Voleva farmi conoscere un suo amico, Andrea credo.›› Gli occhi di Paola esprimevano gratitudine mentre un lieve sorriso la accompagnava nei suoi scarabocchi.
‹‹Guarda un po’, quel Claudio... Era per Andrea... Quando è successo?››
‹‹Non saprei, qualche tempo fa, ancora si andava a scuola, però.››
‹‹Certo, capisco. Senti, Paola, vorrei darti un consiglio. Non provare ad avvicinarti ad Andrea, va bene? Lui è un po’ strano, da un po’. Anche altri miei amici lo sono, da un po’.›› Quel “da un po’” gli si strozzava in gola. Bruciava ancora.
‹‹Comunque è una strana coincidenza, non trovi? Claudio voleva farmi conoscere ai suoi compagni e oggi eccoci qui: io e te a parlare in un parco. Penso che domani glielo dirò.››
‹‹A chi?››
‹‹A Claudio!›› Spiegò in un sorriso.
Alessandro rimase un momento in silenzio, senza sapere cosa dire ‹‹Domani... ti vedi con Claudio?››
‹‹Penso di sì. Ci vediamo spesso, anche se in effetti da un poco parliamo meno. L’altra volta, prima di venire al parco l’ho incontrato quasi per caso. È bello stare con lui.››
Alessandro si sentì quasi paralizzato, come era successo in passato ‹‹Io... cioè io non... non credo che...››
‹‹Non hai un buon rapporto con lui?››
Alessandro riuscì a sorridere ‹‹No, ma che dici. Al contrario. Solo che mi sono ricordato che non posso... non posso restare perché dovevo uscire con i miei, ci sono dei parenti di Roma a casa e, sai com’è, non mi sembra carino stare tanto fuori.››
Paola lo osservò alzarsi in fretta e andare via quasi di corsa, salutandola a male pena. “E adesso che ho fatto di male?”
 
Non poteva essere tanto in ritardo. Erano le sei meno cinque. Claudio aveva senza dubbio deciso di non venire. Andrea sbuffò fra sé e sé, infastidito per la cocciutaggine dell’amico, e prese il cellulare per fare una telefonata ‹‹Rispondi Claudio, cazzo!››
“Il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile. Se si desid...”
Andrea riattaccò ‹‹Non potrai scappare sempre, ti chiamo fino a casa Claudio...›› Compose rapidamente un nuovo numero e restò in attesa di una risposta. Questa volta, qualcuno alzò la cornetta.
‹‹Buonasera, signora, sono Andrea. Sto telefonando perché dovevo vedermi oggi con Claudio e non lo trovo, volevo sapere se è uscito di casa o se... pronto? Pronto? Ha attaccato anche lei.››
Doveva essere stato lui, a dirle di non passarglielo, ne era sicuro. La piazza era ormai praticamente deserta. Andrea si mise in piedi, prendendo il casco. Si guardò un po’ attorno. Non c’era nessuno ‹‹Ma chi me lo fa fare?››
Si allontanò a passo rapido dalla piazza. La panchina rimase vuota.
 
Era un pomeriggio abbastanza piacevole, considerando il caldo che solitamente infuocava la sua stanza, esposta a sud. Liliana si trovava di fronte al suo computer, in contemplazione del monitor. Una finestra di chat la divideva dal parlare con Mario. Lui doveva essere in camera sua, anche lui al computer. Era come essere seduti nella stessa stanza, ma lei doveva parlare per farsi sentire. Elaborò più volte nella testa un messaggio neutro per salutarlo, poi, senza avere idea di cosa scrivere, inviò la prima cosa che le passò per la testa.
“Ehi Mario! Come va? Ti disturbo?”
Liliana lasciò passare qualche secondo chiudendo gli occhi e immaginando di leggere una risposta, riaprendoli. A occhi aperti non trovò nulla. Iniziò a toccarsi lentamente i capelli e a guardare ossessivamente i tanti piccoli oggetti abbandonati sulla sua scrivania.
“Oh, Liliana! Tutto bene, tu?”
“Pure io! Anche se mi sto un po’ annoiando in questi giorni... Ti va se qualche volta usciamo insieme, così almeno ci divertiamo?”
“Perché no? D’accordo, appena posso lo chiedo agli altri!”

Liliana lasciò cadere la ciocca dalle mani senza nemmeno rendersene conto “Ma come con gli altri?”. Mario scriveva di nuovo, si sarebbe corretto?
“A proposito di altri: hai sentito ultimamente Alessandro? Io ho la netta impressione che mi stia evitando, ma non mi pare di avergli fatto nulla! Con te si comporta diversamente?”
“Ma cosa vuole che me ne importi di lui?”
“Forse, può darsi. Non lo vedo da parecchio ormai. Senti invece una cosa divertente, sempre parlando di altri. Ero con Claudio l’altro giorno e mi ha chiesto se io e te stessimo flirtando! Ahah! Assurde le voci che mettono in giro, no?”
Esitazione. Mario provò più volte a trovare le parole giuste.
“L’avevo sentita anche io questa voce, sì”
“Quando me l’ha detto io sono rimasta stranita! Ti immagini, noi due?”

Mario rimase a guardare l’ultimo messaggio davanti al computer, portando le mani sotto il mento.
‹‹Mario! Scendi giù! C’è tuo cugino!››
“Ahah! Senti, devo andare per adesso! È appena arrivato mio cugino. Ci sentiamo per quell’uscita! Ciao!”
Mario si alzò rumorosamente, facendo strisciare le rotelle della sedia sul pavimento. Aprendo la porta si ritrovò faccia a faccia con Alberto, suo cugino, un ragazzo dall’atteggiamento molto coinvolgente, non un bel ragazzo, della sua età. Gli strinse immediatamente la mano amichevolmente, come se gli stesse dando il cinque.
‹‹Ohi! Il mio cugino preferito! Che mi racconti? Come va?››
‹‹Bene, bene! L’estate sta andando un po’ troppo in fretta in effetti, ma per il resto mi sto rilassando, sto vedendo qualcuno e cose così! Comunque aspetta: entra, sediamoci!››
Alberto si lasciò andare poggiando la schiena contro il muro.
‹‹No, tranquillo! Sono appena di passaggio, resto in piedi! Ti volevo dire che domani sera esco con alcune amiche e... se vuoi venire mi può solo fare piacere! Ti avrei chiamato, ma passavo di qua e ne ho approfittato. Dovremmo andare in centro!››
‹‹Fantastico, okay. Io sono libero da far schifo in questi giorni. Chi c’è? Conosco?››
‹‹C’è la mia ragazza con due sue amiche e io dovrei portare due ragazzi, per capirci! A proposito, i miei amici sono tutti in giro, quindi se riesci anche a portare anche un altro ragazzo sarebbe ottimo!››
‹‹Va bene, ti chiamo per la conferma ma conta già su di me! Magari faccio anche due telefonate e ti faccio sapere per l’amico!››
‹‹Fantastico, si può sempre contare su di te! Io adesso scappo, però! Fammi sapere!››
Alberto lo salutò con alcuni rapidi gesti.
‹‹Aspetta, ti accompagno di sotto!››
I due cugini si lanciarono giù dalle scale. La stanza rimase vuota e silenziosa. E l’unico suono, le uniche parole, l’unico urlo presente rimase chiuso dentro al monitor.
“Okay... Ciao, fatti sentire.”
  
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