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Autore: ValentinaRenji    17/10/2014    0 recensioni
“Buongiorno Grimmjow, hai già bevuto il caffè oggi?”
Un uomo dai capelli argentati e lo sguardo beffardo, quasi socchiuso, scruta felino Grimmjow senza mai assopire il tagliente e ironico sorriso impresso sulle labbra sottili. La sua carnagione è chiara, anzi, chiarissima, talmente pallida da sembrare un raggio di luna.
“Avvocato Gin, buongiorno a lei.” Mormora l’azzurro, corrucciando le sopracciglia: ecco, il suo momento di serenità è già terminato. Sbuffa impercettibilmente, fra sé e sé: in fondo lo sapeva bene che quell' attimo magico non poteva durare in eterno.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Espada, Gin Ichimaru, Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Vi avviso ora (anche se ci rivediamo a fine extra): ho deciso di scriverne un altro che sarà l'ultimo davvero! Detto questo ... a dopo, buona lettura! 



Extra n° 3: Il passato di Grimmjow e Szayel Aporro



Gli ultimi raggi di sole trafiggono la fitta coltre di dense nubi, ora rade all’orizzonte nonostante alcuni cumuli continuino a sovrastarsi sopra i tetti delle case dai muri bagnati e le alte vette dei grattacieli del centro cittadino. Sono ammassi grigiastri, strascico di una pioggia ottobrina durata per l’intero pomeriggio ticchettando con il suo canto autunnale le foglie degli alberi dalle tonalità calde, rosse, aranciate, avvolgenti come il vento fresco che le trasporta per le strade asfaltate in una danza perpetua.
Szayel cammina tranquillamente, appena più spedito del solito per sfuggire alla brezza pungente della sera, così giocosa da insinuarsi fra i capelli soffici e giocarvi, scompigliandone le ciocche rosate, carezzando la pelle liscia del volto, delle mani, del collo. Si stringe nelle braccia, vagliando l’idea di portarsi un giubbotto leggero la prossima volta che torna a casa a quell’ora, terminato il rientro scolastico pomeridiano: ormai le giornate si sono accorgiate, la bella stagione si è consumata come un residuo di candela, mordendo le ore di luce simile ad un topo che rosicchia del pane. Le iridi ambrate scorrono sul grigiore umido della strada, vagando sulle chiome quasi spoglie delle betulle inondate dagli ultimi rivoli dorati del tramonto, riflessi sulla luminosa corteccia candida per poi tornare ai propri passi, notando qualche passante più rapido di lui, lo zaino pesante sulle spalle, la stanchezza della giornata penetrata fino alle ossa.
Diamine, in tutti i suoi sedici anni di vita può decisamente affermare di non aver mai sostenuto tante materie così tremende tutte lo stesso giorno! Anzi, riflettendoci bene, non sono le discipline ad essere noiose o snervanti, è più probabilmente l’insieme di interrogazioni e verifiche affollate tutte insieme nello stesso momento, assemblate alla notevole complessità degli argomenti; per fortuna quello strazio è appena volto al termine: ancora il venerdì e poi si sarebbe profilato un sereno fine settimana privo di studio e preoccupazione, costituito solamente da cioccolata calda (che adora da quando è piccolo), lunghe dormite sotto le morbide coperte di flanella e magari, perché no? Una passeggiata con suo fratello Yylfordt o una serata al cinema. Il tutto intervallato dalla piacevole lettura di un manuale d’anatomia o un romanzo dalle cinquecento pagine in su comodamente accoccolato fra i cuscini del divano.
Sorride fra sé pregustando quella magnifica atmosfera autunnale e le usanze ad essa connesse, avvicinandosi passo dopo passo alla sua semplice casa a due piani dai pavimenti di parquet, al calore della sua famiglia, al consueto abbraccio di sua madre che abbandona i fornelli per salutarlo con affetto domandandogli com’è andata a lezione.
Apre il piccolo cancello con calma, ascoltando l’usuale clic metallico della maniglia, per poi richiuderlo alle sue spalle infreddolite ed avviarsi nel minuto giardino dall’erba ancora verdeggiante, puntellata da mucchietti di foglie simili a buffe gocce di colore precipitate dall’unico alto albero, i rami protesi verso il cielo via via più scuro e bluastro, nudi, ghermiti dalle grinfie dell’algida sera.
 
“Kaasan, Tosan! Sono a casa!”
 
Una lunga chioma rosata fa capolino oltre lo stipite della cucina dalla porta semiaperta, i morbidi boccoli cadono dolcemente sulle spalle minute conferendo alla donna un’aria estremamente eterea ed elegante. E’ giovane, giovane davvero e non dimostra affatto i suoi 37 anni, ma nei suoi occhi neri come la pece si cela la maturità che solo una madre amorevole e saggia può conservare nel cuore; le labbra vellutate si stendono in un sorriso affabile, la luce biancastra del minuto e semplice lampadario donna alla pelle nivea e liscia un aspetto maggiormente delicato e fragile.
Lo saluta con un lieve cenno della mano, timidamente, con quelle movenze essenziali e gentili che la contraddistinguono da sempre.
 
“Bentornato tesoro, com’è andata oggi? Scusa se non mi avvicino ma altrimenti brucio tutto!”
 
Il ragazzo si stringe nelle spalle, cercando di celare la profonda stanchezza ed apparire normale, per non preoccupare la madre particolarmente apprensiva. Accenna un sorriso, avvicinandosi a lei e stampandole un bacio sulla guancia.
 
“Come al solito.”
 
“Allora è andato tutto benissimo.”
 
Cinguetta lei, scandendo quelle parole mentre fissa con attenzione la pentola colma fino all’orlo, mescolandola con cura. Il profumo della pietanza si espande fragrante fra le pareti bianche, stuzzicando l’appetito di entrambi e gli stomaci, che brontolano rumorosamente.
La donna si lascia sfuggire un risolino divertito, osservando con la coda dell’occhio il figlio intento ad appoggiare lo zaino ai piedi del tavolo ed accomodarsi sfinito sulla sedia di legno chiaro, accorgendosi d’un tratto del mestolo colmo di brodo bollente esattamente sotto al suo naso.
 
“Assaggia, oggi è venuta più buona del solito!”
 
Szayel vi soffia appena, lasciando solleticare il mento dai rivoli di vapore profumato. Sorseggia piano, annuendo con il capo per restituire infine la stoviglia alla madre, in attesa del responso.
 
“Ottima davvero! Sei bravissima Kaasan! Yylfordt ti svuoterà la pentola.”
 
Lei scoppia in una risata cristallina, portando le dita affusolate davanti la bocca, con pudore, scostando una ciocca pastello dietro le orecchie e pinzandola con una mollettina marrone.
 
“Sei fortunato allora, non è ancora tornato a casa! Dev’essere rimasto in giro con i suoi amici. Vuoi cenare adesso tesoro?”
 
“No grazie, lo aspetto, mangio insieme a lui.. in fondo è ancora presto, sono appena le sei e un quarto. Vado a cambiarmi.”
 
Dopo venti minuti Szayel può finalmente considerarsi una persona appagata e felice: è comodamente accomodato sull’angolo sinistro del divano, rannicchiato come un gatto, addosso una morbida tuta profumata di pulito come il resto del corpo da poco emerso dal getto bollente della doccia. Si stringe al cuscino, giocherellando con il telecomando della televisione accesa su un qualsiasi telegiornale, finchè il suono inaspettato del campanello lo fa sussultare; balza in piedi, precipitandosi alla porta per aprire a quello che crede sia suo fratello.
Ciò, o meglio chi, trova in attesa sull’uscio lo fa assottigliare le palpebre perplesso, aggrottando le sopraciglia e passando l’indice sulla guancia magra.
 
 E questo tizio chi sarebbe?
 
Osserva incuriosito quell’armadio dalle perle cerulee, azzurre come il cielo estivo e la folta zazzera di capelli turchesi, scompigliati, con alcuni ciuffi sofficemente adagiati sulla fronte.
Si fissano in silenzio per un’eternità di minuti, quanto basta per scambiarsi dei vicendevoli sguardi decisamente perplessi, studiandosi a vicenda. Il primo a prendere la parola è l’ospite dall’aspetto minaccioso, le sopraciglia corrugate, le mani ficcate nelle tasche dei jeans blu scuro.
 
“Yylfordt perché hai i capelli rosa?”
 
Szayel sgrana le iridi dorate all’inverosimile, schiudendo le labbra per l’inaspettata domanda: cosa diavolo si era bevuto quello? E soprattutto chi diavolo è e cosa vuole da suo fratello?
Non risponde, lasciando che l’altro gli si avvicini di un passo, catturando una ciocca pastello fra le dita ed analizzandola scrupolosamente.
 
“Li hai anche tagliati! E sei più basso! Kami, Yylfordt fai veramente schifo  conciato così!”
 
Scoppia a ridere in una fragorosa risata, mostrando al più giovane due canini pronunciati ed un modo di sgolarsi da mettere i brividi a chiunque. Ben presto, però, il suo entusiasmo si frantuma in mille cocci:
 
“Sono suo fratello Szayel, vaffanculo chiunque tu sia.”
 
“S… suo fratello …”
 
"Esatto. Muori. Crepa. Inculati porca miseria."
 
Impallidisce, mordendosi la lingua per la terribile figura appena commessa. In una frazione di secondi il sedicenne rientra in casa, palesemente offeso, cercando di chiudere la porta in faccia a quel maleducato amico di suo fratello quando una mano lo afferra sul polso, salda, sicura, forte. Sussulta, ma cerca di non darlo a vedere. Diamine, quel ragazzetto ha davvero un bel caratterino!
 
“Scusami, scusami! Siete identici, non arrabbiarti! Eddai sicuramente ti è già capitato altre volte di essere scambiato per lui no?”
 
“No.”
 
“Ah ok … ma c’è sempre una prima volta! Ora mi chiami tuo fratello per favore?”
 
“Non è in casa.”
 
Si fissano dubbiosi per qualche istante, soppesando le prossime azioni, cosa dire, cosa fare, se azzuffarsi o meno. Alla fine Szayel opta per le buone maniere, affidandosi ad una corrente interiore di passeggera benevolenza.
Tanto, in ogni caso, gliel'avrebbe fatta pagare in seguito perciò tanto vale non rovinarsi la giornata.
 
“Come ti chiami?”
 
“Grimmjow. Tu invece sei Szayel vero?”
 
Il rosato sbatte le palpebre, stupito, percependo le guance imporporarsi vistosamente: possibile che Yylfordt parlasse a tutti di lui? Chissà cosa gli aveva raccontato, dato che si divertiva parecchio a spiattellare al mondo le cose più assurde che combinava.
Annuisce, ingoiando la curiosità, facendo cenno all'altro di entrare, non senza averlo fissato malamente per un'ultima volta.
 
“Vieni, mio fratello dovrebbe tornare fra poco.”
 
 
* * *
 
Quando Grimmjow si sveglia la luce del mattino invade la stanza con i suoi raggi dorati, caldi, carezze di velluto aureo profumate di ciliegio, di natura in fiore, di vento soffiato dalle membra della stessa primavera inondando di polline le strade, i parchi, le vie, il cielo ricco di queste minuscole figure danzanti leggere come la polvere.
Stropiccia lentamente gli occhi, sollevando placido le palpebre per abituarsi allo splendore del sole splendente all'esterno della finestra dal vetro socchiuso, le veneziane alzate a metà; rabbrividisce appena, stringendosi al petto nudo del biondo ancora assopito al suo fianco, il manto color panna sparso sul cuscino, le labbra schiuse talmente appetibili da indurlo a baciarle avidamente senza nemmeno rendersene conto.
Due perle ebano si puntano sulle gemme cerulee dell'azzurro, un sorriso divertito si schiude nell'esatto istante in cui le bocche si uniscono, due mani afferrano prontamente la canottiera bianca di cotone che ricopre quel petto liscio e muscoloso, massiccio, scultoreo.
 
"Eri sveglio?"
 
Yylfordt ridacchia mellifluo, stringendo a sè il proprio fidanzato per imprimergli un profondo bacio prima di liberarlo e lasciarlo respirare, tuffando le dita affusolate nella zazzera azzurra, soffice, arruffata. Rimane steso tranquillamente, le spalle scoperte punzecchiate dalla fresca temperatura, la schiena percorsa da brividi mentre il resto del corpo è protetto dalle lenzuola dalle note di sapone per il bucato. Fa cenno al compagno di sdraiarsi nuovamente accanto a lui, ma questi rimane seduto su quel materasso troppo stretto per due persone, creato apposta per farle dormire abbracciate tutta la notte inducendole a sfiorarsi e desiderarsi continuamente.
Ma per volere quel diavolo biondo non gli serve di certo un letto singolo, lo brama già abbastanza e da ben tre anni non se n'è stufato nemmeno un secondo, neanche un istante.
Grantz afferra la sveglia poggiata sul comodino, leggendone distrattamente l'ora: le 10 e mezza, nemmeno così tardi considerando la sua terribile pigrizia domenicale che, fin dalla prima infanzia, lo ha sempre caratterizzato.
 
"Che dici, scendiamo a fare colazione? I miei staranno ancora dormendo."
 
Grimmjow lo scruta sbieco, mordendo il labbro inferiore, pensieroso: colazione? Ma quali cereali e latte, l'unica cosa che avrebbe voluto divorare sono quegli addominali meravigliosi, quella pelle rosea ancora profumata di bagnoschiuma, il collo ricettivo già tempestato di macchioline bluastre. Ha una fame destinata a non saziarsi mai, si sente vittima di un piacevole sortilegio al quale non intende sottrarsi.
Gli si lancia addosso, affondando i denti nelle carne morbida, nell'incavo fra il collo e la spalla, facendo mugolare di dissenso il più giovane che, come risposta, inarca la schiena invitandolo a dargli di più, a cibarsi ancora e ancora, facendo di lui ciò che preferisce.
Lo sa bene, lo sa che Grimmjow è un ragazzo particolare: brutale, violento, dalle maniere abbastanza rustiche e spesso prive di tatto e delicatezza. Non sa cosa siano i convenevoli nè le bugie, non ha idea di cosa significhi fare buon viso a cattivo gioco. Jeagerjaques è così, semplice, un animale allo stato brado che mostra immediatamente il peggio di sè, seguendo l'istinto, le pulsioni, le emozioni perennemente forti e vive in lui come lava nelle vene.
Solleva appena le palpebre, lasciando spazio alle iridi color cioccolato fondente di individuare un lungo graffio sull'addome del compagno, intento ora a straziarlo di morsi e baci lungo le ossa sporgenti del bacino,  tormentate da quel contatto bollente, bisognoso, urgente.
Trattiene un gemito, portando la mano fra le ciocche cerulee dell'altro nel vano tentativo di allontanarlo dalla zona di non ritorno, con inevitabile insuccesso.
Poco importa, non gli dispiace affatto. Solamente ... desidera chiedergli una cosa prima d'abbandonarsi completamente alle sue cure e bearsene fino all'ultima lappata, fino a quando la vista s'annebbia ed il cuore batte talmente forte da provocare le vertigini.
 
"Mhm, Grimmjow..."
 
Questi alza lo sguardo, scostando una goccia di saliva dalle labbra con il dorso della mano e lanciandogli un'occhiata perplessa.
 
"Che vuoi?"
 
"Chi ti ha fatto quello?"
 
Indica la ferita con un cenno del capo, i capelli biondi oscillano mollemente.
Il ragazzo non risponde, piuttosto lascia sfuggire un ringhio sommesso, infastidito, ricominciando ad occuparsi alla sua viziosa attività finchè l'altro non riesce a resistere, a contenersi, le gambe nude strette attorno al suo torace finchè il respiro ritorna regolare.
 
"Kami Grimmjow ... di prima mattina... tu vuoi farmi prendere un infarto."
 
Lo sente ridere, mentre passa dispettosamente la lingua lungo le labbra, sul volto impresso un ghigno che non promette nulla di buono.
 
"Hai 19 anni, sei ancora giovane per gli infarti."
 
"Hmm, già ... ma ora rispondimi. Hai fatto di nuovo a botte con qualcuno?"
 
L'azzurro si stringe nelle spalle, ridendo sguaiatamente e tirandolo per i fianchi verso di sè tanto da sfiorarsi.
 
"Anche se fosse? Dovresti esserci abituato. E poi di che ti preoccupi, lo sai che nessuno può battermi."
 
Annuisce, decidendo di lascia scivolare altrove la questione: in fondo, discutere con il suo ragazzo non ha senso, è un caso perso, irrecuperabile; se non fa una rissa al giorno non è soddisfatto e, probabilmente, questo suo aspetto non muterà mai in parte perchè è insito nel suo carattere, in parte in quanto non ha nessuno a cui rendere conto delle sue azioni vivendo da solo, lontano dalla famiglia rimasta in Europa; si era trasferita in Germania da quando aveva appena 14 anni, inviandogli rette mensili per sopravvivere ed un tetto sopra la testa, elementi che di certo non si possono definire come amore genitoriale. Ma a Grimmjow pare non importare, anzi, forse ad uno spirito libero come lui questa situazione può solo che giovare.
 
"Oi Yylfordt, ma a tuo fratello non da fastidio che ogni weekend lo sbattiamo a dormire in soggiorno?"
 
Grantz ridacchia infimo, unendo le labbra sottili con quelle dell'altro in un bacio poco casto.
 
"Credo che dopo tre anni ci abbia fatto l'abitudine. E poi non ha mai fatto storie, quando torno a casa da scuola lo trovo già con le sue cose sistemate accanto al divano."
 
"Ma passa tutto il suo tempo a studiare? Non esce mai con i suoi amici?"
 
Il biondo sgrana le gemme scure come la notte, osservandolo palesemente perplesso.
 
"Amici? A cosa gli servono? Lui ha già me."
 
Lancia un'occhiata al letto vuoto del fratello poco distante dal suo, le lenzuola ben ripiegate e qualche libro sparso sul comodino. Che razza di domanda ha appena ascoltato? Solo lui può realmente capire Szayel, nessuno è in grado di sostituirlo, di prendere il suo posto nè tanto meno intende permetterglielo. Il rosato è cosa sua, e tale deve rimanere.
Parli del diavolo ...
Un colpetto di tosse distoglie dalla conversazioni i due ragazzi, facendoli sussultare dallo spavento.
 
"Mi dispiace disturbarvi e interrompere la vostra adorabile ... scenetta ... ma ho bisogno di quello."
 
Indica una piccola scatoletta bianca appoggiata sulla scrivania, mentre l'altra mano porta al naso un fazzoletto stropicciato Starnutisce numerose volte di seguito, stringendo le palpebre di quelle iridi ambrate ed annacquate, vitree, le guance paonazze come il collo e gli arti.
Tossisce di nuovo, questa volta per davvero, attendendo un cenno di conferma prima di addentrarsi nella stanza indifferente al fatto di ritrovarsi di fronte a due coetanei bellamente nudi interrotti in chissà quale punto cruciale.
Poco importa, l'allergia chiama, dannatissima primavera.
 
"Oi confetto ... che brutta cera che hai."
 
Due lame dorate si puntano nelle perle turchesi dello sfacciato interlocutore, maledicendole silenziosamente, tanto da farlo sogghignare divertito.
 
"Dai Grimm lascialo stare, poverino, ha sicuramente aspettato così tanto per non darci fastidio. Stenditi un pò Szayel, noi scendiamo a fare colazione."
 
Il rosato scuote la testa, facendo loro segno di rimanere comodi. Si sfila tranquillamente la maglia del pigiama, brandendone una dall'armadio ed indossandola sotto lo sguardo interessato dell'azzurro, ripetendo la medesima azione con i pantaloni larghi ben presto sostituiti da un paio di jeans chiari.
Grimmjow non può fare a meno di notare la differenza fra la fisionomia dei due fratelli: il suo compagno è più robusto, probabilmente con qualche centimetro d'altezza in più, massiccio, dai muscoli ben definiti, decisamente snello. Suo fratello è invece più esile, longilineo, quasi femminile sia nel modo di atteggiarsi che nella stessa corporatura esile e raffinata.
La voce del biondo lo riscuote dai suoi pensieri.
 
"Che fai, esci? Dove vai?"
 
"A fare la spesa, Kaasan e Okasan sono usciti, torneranno stasera."
 
Sorride, ripensando alla gentilezza del padre che ogni domenica mattina lascia un sacchetto colmo di brioche e ciambelle sul tavolo conscio di fare un enorme piacere ai suoi figli, soprattutto a Szayel, terribilmente goloso di dolci. Ogni volta che ne addenta uno non può evitare di ripetersi che è l'uomo migliore del mondo, che come li ama lui non è in capace nessuno.
Lui, che trascorre la maggior parte del suo tempo lungo le autostrade del Giappone, volante alla mano per caricare a scaricare ininterrottamente quel camion che lo allontana dalla sua famiglia facendolo ritornare stanco, stremato, ma non privo della voglia di riabbracciare le sue due gioie e di trascorrere del tempo con loro.
E' una persona speciale, una di quelle che venderebbero la propria anima per salvare chi amano e Szayel lo sa bene, sia quando lo ascolta rientrare in casa all'alba, sia quando addenta felice la propria ciambella glassata di fragola.
Spesso si domanda cosa farebbe senza di loro, senza la sua Kaasan e il suo Okasan, finendo sempre con lo scuotere il capo ripetendosi che non vale la pena chiedersi una cosa tanto sciocca, perchè li avrà sempre accanto: li vedrà sorridere fieri il giorno della sua laurea, proprio com'erano entusiasti quando ha comunicato loro pochi mesi prima di aver passato brillantemente il test d'accesso alla facoltà di medicina; li vedrà abbracciarsi e piangere di gioia quando presenterà loro la donna della sua vita e , perchè no? gli comunicherà la data del matrimonio o gli dirà che stanno per diventare nonni.
Ha ragione Yylfordt, a cosa gli servono degli amici? Tutto il calore di cui ha bisogno lo trova fra le mura accoglienti della sua casa.
 
* * *
 
Il rumore delle auto scivola sulle note della notte, scandito dai bagliori delle insegne a neon di quei locali mai dormienti addensati lungo le vie brulicanti, dense di persone che paiono non assopirsi mai.
Dalle veneziane abbassate filtrano ugualmente dei raggi rossastri, intermittenti, destinati ad affievolirsi solo con il sorgere del sole quando ormai non arrecano più alcun fastidio; il vocio della strada risale acido fino alla finestra chiusa di quell'appartamento al quinto piano, insinuandosi fra le crepe e gli spifferi, inondando la stanza fredda con i suoi molesti suoni alticci, spine di una Tokyo perennemente sveglia e malata nel profondo.
Non ce la fa più, non sa per quanto ancora riuscirà a resistere.
Grimmjow passa una mano sulle palpebre abbassate, l'altra poggiata sulla cicatrice ancora fresca, ironicamente dolorante nonostante non dovrebbe fare ancora male. E' lì, immobile, come un tatuaggio impresso nella pelle, una ferita straziante che non si richiuderà mai schiaffeggiandolo ogni istante con la sua mera presenza.
Sospira, ascoltando lo scorrere dell'acqua nel rubinetto, segno che il suo coinquilino si è svegliato ancora una volta, l'ennesima, per rigettare quei pochi bocconi di cena morsicchiati svogliatamente davanti al suo sguardo indagatore, le perle cerulee puntate nelle sue ambrate finchè non si decideva a ficcare in bocca quel maledetto cibo.
Ed allora Szayel lo scrutava con un misto di rabbia e tristezza, portando alle labbra qualche pezzetto dal piatto sempre colmo , giusto per poterlo fissare con lo sguardo di chi vorrebbe urlargli addosso che ecco, ha mangiato e quindi ora deve solamente stare zitto e lasciarlo in pace. Si chiudeva quindi nel silenzio, relegandosi in un angolo del letto e tuffandosi fra le pagine di un libro anche se, ne era certo, probabilmente si limitava a far scorrere le perle giallastre sulle parole affollate senza carpirne realmente il significato.
Evidentemente non era bastato portarlo via da quella casa pregna del passato, non è stato sufficiente allontanarlo dai suoi ricordi per donargli nuovamente una vita normale: sono trascorsi appena due mesi, due mesi intensi costruiti da cambiamenti radicali a spaventosi per due ragazzi come loro a cui la vita sembra non aver nulla da offrire ed il mondo pare avergli voltato le spalle: gli aveva promesso di salvarlo, di risalire insieme dall'abbandono in cui erano stati gettati, gli aveva giurato di non lasciarlo affogare ma ha la tremenda impressione di vederlo appassire giorno dopo giorno senza poter influire in alcun modo. Da quella volta, dal loro primo incontro dopo la dimissione di Grimmjow dall'ospedale, non si erano più sfiorati, nemmeno casualmente: quell'abbraccio e quel bacio consolatorio erano spariti nel baratro della disperazione, dissolvendosi come nebbia al crepuscolo. A dire la verità aveva provato ad avvicinarsi qualche volta ma Szayel si era sempre allontanato, scansandolo come se avesse la peste, come se ogni briciola di calore umano gli corrodesse l'anima facendolo agonizzare e perire. Ed allora aveva accettato il suo distacco, il suo silenzio, le lunghe occhiate cariche di parole ed allo stesso tempo vuote, concluse perennemente con una smorfia dispiaciuta, niente di più.
Lo sente aprire la porta del piccolo bagno, avvicinandosi con passi silenziosi e leggeri al letto condiviso da entrambi in cui ognuno trascorre le notti insonni nel mutismo, confinato nel proprio angolo. Ascolta il fruscio delle coperte, percepisce il calore di quel corpo esile steso su un fianco ora nuovamente accanto a lui; ne percepisce i tremiti, causati dalla stanchezza e dal freddo provocato dal termosifone rotto, trattenendo il respiro nella speranza che, almeno questa volta, non si sciolga in quei singhiozzi scomposti e strozzati dalla mano premuta sulla bocca nel vano tentativo di non farsi sentire dal suo amico. Durano per ore, finchè sfinito crolla in un sonno buio e tenebroso, risvegliandosi il mattino successivo con gli occhi gonfi e l'aria indifferente stampata sul volto.
Tutto questo gli fa male: il suo cambiamento, la sofferenza impressa in quello sguardo vitreo, le labbra prive di qualsiasi sorriso. Ma non solo.
Ciò che gli trafigge il petto, ancor più dell'enorme cicatrice, è la consapevolezza di essere stato abbandonato anch'egli dalla persona che amava da anni: come ha potuto Yylfordt fare le valige e scomparire da un giorno all'altro senza alcuna spiegazione? Come ha potuto condividere con lui anni della propria esistenza ritrovandosi poi con un pugno di mosche fra le mani?
Non solo non lo accetta, ma la rabbia è talmente forte da divorarlo lentamente partendo dall'interno, soffocandolo e bruciandolo al medesimo istante.
Come se non bastasse, per quanto cercasse di non soffermarsi su quel pensiero, la sola presenza di Szayel accanto a lui è uno schiaffo perpetuo: il suo aspetto, i modi di fare, i ricordi; tutto di lui gli riporta alla mente Yylfordt, stringendogli lo stomaco come una morsa dai denti acuminati.
Ed ecco che lo sente sciogliersi in lacrime, ancora una volta, separato da un muro invisibile ed invalicabile costruito da entrambi. Ma oggi no, non lo lascerà consumarsi nel dolore, è stufo di aspettare una soluzione divina che cada dall'alto perchè o te la crei da solo o non arriverà mai.
E, soprattutto, è stanco.
Si volta verso la sagoma dell'amico , allungando appena la mano, sfiorandone le scapole ossute. Questi trasalisce, smorzando un singhiozzo nella gola in fiamme, colto in flagrante. Percepisce il palmo dell'azzurro farsi maggiormente presente oltre la stoffa della maglia, per scendere poi lentamente lungo il suo fianco sottile.
Rimane immobile, rabbrividendo a quel contatto inaspettato, imponendosi di non tremare nella speranza di tranquillizzarlo e farlo tornare a dormire.
Grimmjow, invece, coglie quel silenzio come un invito a proseguire ed allora gli si avvicina, facendo aderire il petto alla sua schiena ed abbracciandolo teneramente, come farebbe un bimbo con il suo peluche preferito quando si sente triste. Gli posa un bacio tenue sulla spalla, sprofondando il viso nei capelli rosati dalle note di miele e muschio, inspirandone a fondo il profumo fino ad inebriarsene. Cerca le sue mani per allacciarle alle proprie, ma non appena le raggiunge il rosato balza in piedi con un urlo soffocato, intimandogli di andarsene, di non osare sfiorarlo e di lasciarlo in pace.
Perchè ...
 
"Io non sono Yylfordt!"
 
Da quando se n'era andato lo ripeteva in continuazione, come per esorcizzare il legame ossessionante che li teneva uniti da sempre, per cancellarlo, calpestarlo, bruciarlo fino a liberarsene per acquisire un'identità propria, solitaria ed unica.
Quelle parole, però, avevano ed hanno il potere di farlo incazzare -detto a parole sue- a dismisura.
 
"Cazzo Szayel, che non sei quell'idiota me ne sono accorto anch'io."
 
"E allora lasciami in pace."
 
Basta, ha raggiunto il suo limite.
Accende la luce tastando malamente la parete gelida dietro il letto, premendo l'interruttore ed inondando la camera con un alone biancastro, incolore. La prima cosa che lo colpisce sono le guance bagnate del compagno, le ciocche pastello aderenti alla fronte sudata, una spalla nuda lasciata scoperta dalla maglia troppo larga che arriva fino alle cosce scoperte.
Lo guarda stranito, intimorito da quelle iridi cerulee dense d'ira, di rabbia, per nulla disposte a lasciarlo sfuggire di nuovo.
 
"Cosa devo fare con te? Dimmelo Szayel. Perchè io non so davvero cosa inventarmi."
 
Il ragazzo sostiene il suo sguardo, incrociando le braccia al petto ma arretrando di un passo; rimane in silenzio, restio a fornire una qualsiasi risposta.
 
"Lo vedi? Non ti lasci aiutare! E sai che ti dico? Sei uno stronzo egoista perchè non te ne frega se fai colare a picco anche me!"
 
Quelle parole sembrano ferirlo, tanto da riempire nuovamente le iridi ambrate di lacrime calde e salate, sull'orlo di colare lungo gli zigomi pallidi. Si morde la lingua, torcendo le mani dall'agitazione, consapevole che l'azzurro ha ragione e non può affatto negarlo.
 
"A me non interessa se ogni giorno te ne vai a lezione con il tuo bel faccino indifferente! Non me ne frega che vai a lavorare e tutti pensano che stai bene! So che non è così perciò come credi che possa stare? E per quanto sappia che non è uguale ... ti ricordo che sono stato piantato in asso anch'io."
 
"Non ti ho chiesto io di fare tutto questo."
 
Una fiammata di rabbia invade il petto dell'azzurro: possibile che esista un essere umano dotato di tanta arroganza e ingratitudine mescolate insieme? Evidentemente si.
Balza dal letto, fulmineo, afferrando i polsi del rosato con una mano mentre l'altra cinge il suo mento, costringendolo a fissarlo.
 
"Razza di idiota inutile e spocchioso. Secondo te avrei avuto la faccia tosta di piantarti dov'eri?"
 
Ora due sono le scelte: o lo picchia come si deve, perchè una passata la meriterebbe eccome, o si sfoga in altra maniera.
Ma ormai è ben noto a tutti che Grimmjow Jeagerjaques non brilla certa per calma e riflessività.
Non lascia il tempo all'altro di rispondere, avventandosi con foga sulle sue labbra, cogliendone il gusto del dentifricio dalle note di menta; lo viola immediatamente, infischiandosene di non essere ricambiato, ricercando ugualmente la sua lingua fino a farlo quasi miagolare di dissenso, le ciocche pastello tirate dalle dita strette sulla cute, i polsi ancora cinti dietro la schiena. Lo lancia sul letto, premurandosi di bloccarlo con il proprio peso lasciandogli alcuna via di fuga e allora, solo allora, si concede di sfilargli la maglia sotto quelle perle sgranate dalla sorpresa e leggermente spaurite perchè, ne è certo, in vita sua non si è mai cimentato in imprese del genere per quanto l'orgoglio gli impedisca di ammetterlo.
Allora un pò sei rimasto uguale, vero?
Ghigna soddisfatto, allietato dal riscoprire lentamente, carezza dopo carezza, quella sua personalità stralunata e buffa, allo stesso modo di un tesoro riesumato dalla sabbia e spolverato con cautela.
Lo tormenta di morsi e baci lungo il collo, le clavicole, i fianchi morsi da brividi, vedendolo arrossire ogni qualvolta sofferma le gemme turchesi sui boxer neri, attillati quanto basta da non lasciar spazio nè all'immaginazione nè alle bugie: forse è solo una mera reazione fisica, forse non è altro che un effetto delle sue attenzioni voluttuose ma il dato palese è che lo vuole, lo desidera tanto quanto lo brama lui in quel momento.
Anche quell'ultimo capo scivola via, ricadendo con un sommesso fruscio sul pavimento: Szayel rimane immobile, fissando spaurito l'azzurro sopra di lui, per nulla rassicurato dai suoi palmi grandi ed umidi, caldi, posati sui fianchi stretti nella piena intenzione di attrarlo a sè.
Farà male?
Il dolore è così forte da dargli l'impressione di soffocare. Conficca le unghie nella schiena di Grimmjow, che ringhia di dolore, godendo dell'aver suscitato almeno una reazione nel compagno fra le sue braccia. Lo osserva stringere le palpebre, i ciuffi chiari sparsi sulle lenzuola madide di sudore, il cuore talmente selvaggio e feroce da essere quasi udibile.
"Non ... non respiro."
Un bacio smorza le sue proteste, mentre un dolore lancinante gli manda in fiamme il ventre , i fianchi, l'addome, costringendolo ad urlare per dare sfogo ad una sofferenza dalla duplice essenza, sia puramente fisica che interiore.
Nonostante ciò, diversamente da quanto si aspettava, non lo supplica di smettere, nè gli intima di allontanarsi.
Si lascia prendere totalmente, forse spinto dalla stanchezza, forse dalla speranza di poter provare a sentire di nuovo qualcosa in quel cuore freddo e vuoto.
E questo qualcosa si riaccende davvero.
Non ne conosce il motivo, nè mai lo capirà negli anni a venire: sa solo che all'improvviso una tremenda voglia di stringerlo a sè lo invade, una voglia di abbandonarsi a lui e ripetergli grazie all'infinito. Di ricambiare quei baci, perchè li merita, perchè è lì con lui e questo già gli basta, vincendo la paura di essere solo un mero fantoccio sostituto del fratello o un passatempo per distrarsi dalla realtà schifosamente cinica..
Inarca la schiena, assecondando i movimenti dell'azzurro e fiondandosi sulle sue labbra morbide, assaporandole pienamente per la prima volta. E ciò che ne deduce è che sono meravigliose.
 
Quando apre gli occhi il cielo è già chiaro da un pezzo, avvolto nella sua cappa grigiastra cullata dai raggi flebili di un malaticcio ed effimero sole invernale. Lo strombazzare dei clacson ed il vocio della domenica pervade le strade di Tokyo, invadendo le mura dell'appartamento immerso in uno statico silenzio, scandito solamente dai ticchettii della sveglia posata sul comodino e dal familiare cric croc dei serramenti non propriamente nuovi, che scricchiolano ad ogni vibrazione del terreno.
"Ohi, ti sei svegliato."
Il ragazzo fa scorrere le iridi ambrate sull'interlocutore tranquillamente seduto accanto a lui, il petto e la cicatrice coperti da una felpa blu notte che non aveva mai visto prima. Si domanda se è nuova, decidendo che in ogni caso gli sta davvero bene; si stropiccia gli occhi ancora annacquati dal sonno, rabbrividendo a causa della temperatura fredda, poco accogliente, stringendosi nelle braccia nude come il resto del corpo morso dalla pelle d'oca.
Mugola qualcosa in risposta, quasi a confermare che sì, è sveglio davvero, ma si infila nuovamente sotto le coperte tiepide cercando di riscaldarsi perchè, è certo, non ha alcuna intenzione di alzarsi senza alcun vestito addosso davanti al suo amico nè tanto meno ha intenzione di dargli la soddisfazione di vederlo in imbarazzo.
 
"Alza il culo Szayel, vestiti che usciamo."
 
Il rosato scosta una ciocca pastello dalla fronte, scrutando perplesso il compagno dalla chioma azzurra e spettinata.
 
"Ah? Uscire? Dove?"
 
"Andiamo a fare un giro."
 
Grantz inclina le labbra in una smorfia contrariata, dispiaciuto dal dover abbandonare quel nido confortevole nel quale avrebbe sonnecchiato volentieri ancora un pò.
Inarca un sopracciglio, stiracchiandosi con un gatto:
 
"Non devi andare a lavoro oggi?"
 
Grimmjow scuote il capo, ghignando soddisfatto:
 
"No, la videoteca è chiusa per una settimana. Ferie!"
 
"Il solito fortunato."
 
"Di cosa ti lamenti? Anche tu oggi hai il giorno libero."
 
"Hmm già, peccato che domani ho il turno di sera in quello schifo di fast food."
 
"Se vuoi ti accompagno a lavoro allora. Facciamo la strada insieme."
 
Szayel annuisce, afferrando una canottiera dal pavimento ed infilandola in fretta,sperando di passare inosservato allo sguardo indagatore del compagno; se solo ripensa a quello che è successo poche ore prima ... kami, che terribile imbarazzo" Potrebbe arrossire da un momento all'altro.
Si schiarisce la voce, invitando Jeagerjaquel a voltarsi per lasciarlo vestire tranquillamente ma questi rimane immobile, le braccia conserte al petto ed il peggior sorriso sadico dipinto sul volto affilato, nel pieno tentativo di farlo arrabbiare.
Lo ascolta piacevolmente sibilare qualche insulto dalle labbra strette, mentre si volta di schiena e si alza stizzito dal letto sfatto, tirandosi dietro la coperta in una rovinosa caduta sul tappeto provocata da una lancinante fitta di dolore partita dai glutei e culminata nella schiena.
In una frazione di secondo si ritrova ad abbracciare il pavimento, accompagnato dalle risate sguaiate dell'azzurro che per poco non rotola dal divertimento nel vederlo in quello stato.
 
"Questa me la paghi, bastardo ..."
 
Grimmjow si asciuga una lacrima dagli occhi, aiutandolo ad alzarsi senza smettere di sghignazzare neppure un secondo.
 
Quando finalmente riescono ad uscire dal portone del condominio sono circa le 10 e mezza passate, ed una pesante foschia grava nei vicoli stretti, bui, e fra le strade stranamente poco trafficate. Numerosi passanti camminano sui marciapiedi colmi di sacchetti, borse, alcuni anche con un ombrello nel caso inizi a piovere da quel cielo cupo , denso di nubi nebbiose.
Szayel si stringe nel cappotto nero, lungo fino metà coscia, rabbrividendo per l'algida temperatura di un inverno straordinariamente freddo, calandosi il berretto bianco sulla chioma rosata e liscia, lasciandone cadere le ciocche soffici sulle spalle. Osserva il compagno ripetere i medesimi gesti, infagottandosi nella sciarpa blu come il giubbotto dal cappuccio peloso e morbido; lo fissa in silenzio, sul volto pallido alcuna espressione nonostante, in realtà, si sente leggermente felice di uscire finalmente di casa per un motivo che non riguardi il lavoro o gli studi.
 
"Dove vuoi andare?"
 
Quella domanda lo riscuote dal torpore, facendolo sobbalzare di sorpresa. Bella questione: dove vuole andare? Non ne ha idea. Gli va bene qualsiasi posto, gli basta solamente stargli accanto perchè ogni secondo in sua compagnia lo fa stare bene.
 
"Non lo so, cosa c'è di interessante la domenica mattina?"
 
"Un cazzo."
 
"Beh, perfetto allora. Che ne dici di fare colazione intanto?"
 
L'azzurro annuisce consenziente, avviandosi insieme lungo il marciapiede diretti verso il centro città per imbucarsi poi in un Cafè abbastanza carino, dai piccoli tavolini rotondi di legno pulito e le poltroncine morbide dove accomodarsi. Consumano tranquillamente il cappuccino e le brioche, chiacchierando del più e del meno, riscoprendo un lato di vita che entrambi avevano scordato, un brandello sbiadito e scarno che finalmente inizia a riprende forma fra un risolino e l'altro, fra una bustina di zucchero lanciata nella chioma rosa ed un pezzo di dolce catapultato fra le ciocche turchesi sotto lo sguardo assassino del barista.
Da quanto tempo non sorridevano? Da quanto avevano scordato che a volte basta poco per ritrovare la serenità?
Certo, le ferite continuano a dolere, ma lentamente possono essere curate nonostante lascino una cicatrice eterna.
 
"Szayel smettila ci stanno guardando tutti. Finiscila."
 
Grimmjow assottiglia le iridi feline puntandole addosso all'amico paonazzo dal divertimento, intento a fare palline di carta con il tovagliolo e a lanciarle addosso ad un gruppo di studentesse sedute poco lontano.
Quest'ultimo scuote la testa in segno di diniego, buttandone una verso di lui.
 
"Stronzo, vuoi la guerra ah?"
 
"Non puoi battermi, micio."
 
"Lo vedremo, confetto."
 
Aveva scordato di quanto ci si potesse divertire con poco o forse il segreto è solamente avere la compagnia giusta: perchè dopo essere stati sbattuti fuori a calci dal bar , invece che arrabbiarsi, hanno iniziato a ridere come matti e a rincorrersi, le guance arrossate dal freddo, i capelli sciolti lungo il collo, scossi dal vento freddo.
Quando si fermano, troppo stanchi per continuare a inseguirsi, si lasciano andare ad una passeggiata dove le mani si allacciano senza nemmeno accorgersene e si stringono tanto da azzerare il gelo dell'inverno e dell'anima.
Hanno ancora il fiatone compresso nei polmoni, goccioline di sudore sulla fronte coperta dal berretto, ma gli occhi sono pieni di vita, lontani dallo spettro vuoto che li attanagliava fino quell'istante.
Le dita si intrecciano in una morsa dalla quale nessuno dei due si vuole sciogliere, entrambi emozionati, continuando a camminare vicini, indifferenti alle occhiate dei passanti o ai loro sguardi accigliati.
 
"Ti va di andare al parco? C'è lo zucchero filato."
 
A Szayel si illuminano le perle dorate: ama lo zucchero filato! A dire la verità ama tutto ciò che è dolce.
 
Anche i baci di Grimmjow sono dolci ...
 
Sorride, portando la mano libera alle labbra, delineandole delicatamente con l'indice sottile.
Annuisce entusiasta, lanciandosi verso il compagno e stampandogli un bacio sulla punta del naso , semplice, casto, sincero.
L'azzurro rimane basito, abbozzando un sorrisetto quasi ebete, diverso dagli usuali ghigni stampati su quel volto liscio.
 
"Piano piano, non farci l'abitudine! E' solo per oggi confetto! ... e poi chiunque sa che a te piace lo zucchero filato."
 
"E' così ... rosa."
 
"Anche tu sei ... rosa."
 
Ridacchiano, complici entrambi nel sapere che non sarà affatto l'ultima volta in cui si terranno per mano camminando per le vie di Tokyo, consapevoli che ben presto diventerà un 'abitudine costellata da baci e carezze, da zucchero filato e film davanti la televisione, dal suono della sveglia il lunedì mattina e dai bronci reciproci dopo una giornata di lavoro.
Ma non importa, perchè finiranno sempre per stringersi sotto le coperte, addormentandosi inspirando l'uno il profumo dell'altro, aggrappandosi a quegli abbracci dal tepore avvolgente per salvarsi da una realtà non più così buia.



Rieccomi! Allora, il prossimo extra sarà sul passato di Nnoitra e Ulquiorra. 
Ho cercato di riassumere in questo e nel prossimo tutte le vostre richieste (vi adoro) quindi ne sono usciti due.
So che è lunghissimo anche questo capitolo chiedo perdonooooo T__T Se vi dico che ho pure tolto una parte mi credete? La troverete nell'extra n°4.
Grazie di cuore a chi è arrivato fin qui e a chi mi segue sempre.
Mi sono emozionata tantissimo a scrivere questo testo, sono arrivata alla fine con le lacrime (sto diventando sentimentale, aiuto) e spero di avermi trasmesso almeno un pò di quanto ho provato io.
Un abbraccio :)

Valentina

 
   
 
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