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Autore: Midnight_whisper    17/10/2014    1 recensioni
Una storia forse leggera all'apparenza, ma molto introspettiva, sull'adolescenza. La storia nasce come sceneggiatura, quindi spero mi perdonerete alcuni passaggi poco narrativi, ma ho dato il massimo. Spero possa piacervi la storia di Claudio, Andrea, Mario, Liliana, Paola e Alessandro.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’interno di quella casa era tipico di una signora anziana. Quel vago odore di incenso, la tappezzeria appena sbiadita, ma allo stesso tempo testimone di colori sgargianti che il tempo ha condannato alla scomparsa. Mancava un gatto, in realtà. Eppure non tutti sarebbero stati capaci di notare quei mille particolari, quei particolari vecchi. Liliana li osservava tutti ad uno ad uno. Il servizio in porcellana che ormai non usciva da anni dall’armadio. Il divano che la faceva sprofondare fra i cuscini, troppo morbidi. Le sue gambe si intrecciavano in una postura apparentemente scomposta. Quadri, libri, soprammobili dal dubbio gusto. Un presepe, nell’angolo della stanza, con le lucine tutte spente, a luglio.
‹‹Liliana, eccomi.››
Liliana pensò un momento se fosse giusto alzarsi. Rispose alla frase della vecchia signora con un sorriso, debole, spento, ancora immerso nell’immagine del presepe.
La signora portava con sé un vassoio con due tazzine e una teiera. Lo poggiò sul tavolino e si accomodò su una poltroncina di fronte Liliana, non sembrava affatto affaticata. Liliana osservò il fumo uscire dalla teiera. Amava il tè caldo, era così dolce, rilassante. Quasi sensibile.
‹‹Ora siamo in estate, spero di non doverti più chiedere di badare a Edoardo.››
Dopo aver esordito la signora iniziò a versare la bevanda nelle tazze e a mettere il tè ‹‹Si figuri, signora. Non è affatto un disturbo. Anzi, mi piace.›› Liliana si aprì in un sorriso.
Completate le manovre con la teiera, la signora rimase un momento immobile, pensierosa, lo sguardo perso nel vuoto, come in contemplazione di un’evidente verità che gli era, fino a quel momento, sfuggita ‹‹Oggi avevo una visita importante da fare...››
Liliana si chiese se la riflessione volesse essere il modo per convincerla a fare una domanda, ma, dopo un momento interrogativo, rimase in silenzio. E iniziò a sorseggiare il tè.
La signora sembrò ridestarsi dopo pochi attimi e si portò una mano dietro la schiena per sistemare il cuscino su cui era poggiata, che evidentemente era scivolato troppo. Poi riprese a parlare, con fare gioviale stavolta ‹‹Allora, avevi qualche programma per questa mattina? Non ti ho sottratto al fidanzato, vero?››
Liliana sorrise alla dolcezza del tono della nonna di Edoardo e rispose quasi subito, ironica ‹‹Magari avrei potuto in realtà, ma credo che mi manchi la materia prima!››
La signora poggiò la tazza con il tè sul vassoio, interrompendo in fretta un sorso per parlare ‹‹Una ragazza bella e giovane come te senza il fidanzato? Oh, in che tempi stiamo vivendo...!››
‹‹No, non c’entra. Diciamo che non mi attrae troppo l’idea di fidanzarmi, ecco.››
‹‹Non vuoi darla vinta a tutti i pretendenti, eh? E non dirmi che non ce ne sono!››
Una discussione del genere, con una persona così poco familiare, avrebbe certo messo in imbarazzo Liliana, ma non quella volta, non in quella stanza, non con quel tè, non con quella signora. Liliana cercò di trovare le parole adatte ‹‹Probabilmente ci sono, ma non tanti quanti pensa lei, di sicuro... Io penso che, aldilà della bellezza, il mio carattere non sia, come dire, il più ricercato dai ragazzi...››
‹‹Sei una ragazza adorabile! Cosa c’è che non va nel tuo carattere?››
Liliana sembrò quasi rifletterci su mentre il sole smetteva di penetrare nella stanza, oscurato da qualche nuvola ‹‹Io... sono un po’ insicura...››
‹‹Oh, l’insicurezza è un ingrediente fondamentale dell’adolescenza, ricordatelo, cara. Alla tua età lo sono tutti.››
‹‹Non come me...››
Il sarcasmo di Liliana convinse la signora a guardarla fisso negli occhi, portando una mano sul mento ‹‹Come mai?›› chiese improvvisamente seria.
‹‹Ho avuto un fidanzamento tempo fa. Una cosa seria e... bellissima. Credevo non potesse finire mai... e invece è finita molto prima del previsto.›› Rievocando, il tono di Liliana si abbassò.
‹‹Eh, cara mia, non viviamo in una favola. Non può andare sempre tutto bene...››
Liliana ricambiò lo sguardo della signora dopo aver tenuto la testa bassa sulla teiera.
‹‹Tuttavia›› continuò ‹‹non può neanche andare sempre male. Ma se pensi a un nuovo fidanzamento vuol dire che un motivo ci deve essere. E questo motivo è senz’altro un ragazzo, immagino.››
‹‹Si chiama Mario...›› La stessa Liliana dopo aver pronunciato il suo nome si chiese a cosa sarebbe potuto servire parlare di tutto quello con la nonna di un bambino a cui aveva occasionalmente fatto da baby-sitter.
‹‹E lui com’è?››
Liliana fu colpita dalla forza della domanda e non poté far altro che rispondere ‹‹Non credo di conoscere un ragazzo più spigliato di lui.››
‹‹Beh, questo lo credi tu! Sono stata adolescente tanti anni fa, ma non credo che i ragazzi siano poi cambiati molto nonostante le apparenze. I più sicuri fuori spesso sono i più insicuri e fragili, dentro.››
Inizialmente Liliana pensò di dover ribattere a quella frase, ma poi cambiò idea ‹‹Cioè?››
‹‹Posso sbagliarmi, anche se, detto fra noi, in questo genere di cose mi capita davvero raramente. Parlagli e digli quello che pensi, potrebbe pensarlo anche lui, come potrebbe invece essere il ragazzo sicuro che tu credi già di conoscere. Ma la vita è fatta di tentativi e non puoi permetterti di viverla da spettatrice, mai e poi mai.››
Liliana si lasciò trascinare dalle parole. Poi non seppe cosa rispondere. Annuì appena e iniziò a guardare le strane righe che sulle mattonelle disegnavano qualche asimmetrica fantasia. La signora si portò una mano sul volto, sotto gli occhi, come se stesse asciugando delle lacrime. Aveva gli occhi appena lucidi, in effetti. Liliana trattenne un momento il fiato, indecisa se parlare ‹‹Ecco... non vorrei sembrarle indiscreta... Ma che visita tanto importante ha dovuto fare? Mi scusi, la vedo un poco... turbata.››
‹‹Oggi è l’anniversario della morte di Luigi.››
La frase fu lapidaria nel silenzio della stanza. Il sole tornò a penetrare dalle finestre dopo il passaggio della nuvola. Liliana cercò le prime parole che le vennero in mente ‹‹Ah. Suo marito?›› solo un momento dopo si chiese se la sua affermazione potesse essere considerata indelicata.
‹‹No, non mio marito.›› Cadde un momento il silenzio, poi la signora riprese ‹‹Allora avevo circa vent’anni, ero in villeggiatura con la mia famiglia, come ogni anno. Lì incontrai Luigi, era un ragazzo molto attraente e simpatico. Aveva le idee molto chiare sulla sua vita. Era due anni più piccolo di me e, nonostante piacesse molto alle ragazze, non aveva relazioni. Una sera a una festa mi invitò a ballare e subito dopo si dichiarò.  Sul momento mi sembrò molto strano, non lo presi sul serio: aveva due anni meno di me.  Tuttavia, dopo il mio primo rifiuto, chissà perché, io cominciai a sperare che lui insistesse... Che si dichiarasse di nuovo.  Ma non lo fece. Perdemmo i contatti. Pensai a lui molto negli anni successivi, ma ebbi sue notizie solo una ventina di anni dopo. Dopo una vita intera era come se avessi soppresso il rimpianto per non averlo conosciuto davvero. È strano come sia tornato prepotentemente nella mia vita... Come se non accettasse di essere stato dimenticato... E volesse dirmi “Ricordati ancora di me”... Dopo soli quattro anni dalla nostra conoscenza, Luigi ebbe un banale incidente d’auto. Passò due settimane in coma, ma alla fine non riuscì più a svegliarsi.››
Il discorso si interruppe. Liliana restò in silenzio, immobile. La signora si schiarì appena la gola e continuò, appena più rilassata. ‹‹Certo, lo venni a sapere solo molti anni dopo, quando fui contattata dalla sua famiglia. Andai a trovare sua madre. Lei aveva subito un trauma enorme ed era rimasta così attaccata all’immagine di suo figlio minore che aveva cominciato quasi a praticarne un culto. Aveva una gigantografia di Luigi in camera da letto... Non si sarebbe separata da nessuna delle sue reliquie per nulla al mondo... Eppure, stranamente, decise di regalarmi alcune foto e il suo diario... Solo allora conobbi veramente Luigi.››
Liliana si rese conto di avere gli occhi lucidi. Non prestava più attenzione ai mille oggetti sparsi nella stanza già da un poco. Non c’erano altro che le parole di quella signora. E più volte, nel suo discorso, si chiese se fosse giunto il momento, per lei, di intervenire, di dire qualcosa. Ma non ci riuscì.
‹‹Ho vissuto una vita piena, ma non l’ho mai dimentico. E non tanto perché ne fossi innamorata veramente. Il mio più grande rimorso è stato quello di averlo rifiutato... così, senza un vero motivo. Forse solo per rendermi più preziosa. Rimpiango di non avergli dato nemmeno un bacio... Forse, se ci fossimo fidanzati, quel sabato sera io e lui saremmo stati da tutt’altra parte. Forse non ci sarebbe stato nessun incidente e forse... lui sarebbe ancora qui.››
Liliana iniziò a singhiozzare, mentre l’anziana signora recuperava progressivamente il contegno che, di tanto in tanto, in qualche parola mozzata, sembrava stesse per venir meno ‹‹Signora... io...››
Liliana affondò una mano fra gli occhi. La mano sottile della signora le si poggiò sulla spalla, ma nessuno parlò.
Solo quando riprese fiato lentamente Liliana fece quasi la stessa domanda che la signora le aveva fatto poco prima ‹‹Ma... che tipo di ragazzo era?››
‹‹Di persona sicuro di sé, forse fin troppo, con degli obbiettivi chiarissimi. Era determinato, glielo si leggeva negli occhi. Eppure, nel diario... sembrava un’altra persona››.
 
La casa sembrava deserta. Una sola luce, mezza fulminata in realtà, brillava fiocamente in cucina. Il tavolo era cosparso di fogli. Giornali, foto, ritagli, appunti. Paola aveva le mani sul tavolo, coi polsi uscenti verso l’esterno, e le spalle alte. Guardava lentamente e analiticamente ogni dettaglio di quel materiale.
“Ricordati Paola, tu vuoi ricordare.”
La determinazione sul suo viso, la freddezza, sopprimevano un vago senso di rabbia e di insoddisfazione. “Tu puoi. Ricordare.”
Staccò le braccia dal tavolo, ritrovandosi appiccicata alcuni pezzi di giornale a cui la pelle aveva aderito. Se li scollò e iniziò a girare intorno al tavolo. Come parlando a se stessa, sbirciando il tavolo di tanto in tanto, come se, da un momento all’altro, si aspettasse di trovarci sopra non quegli stessi fogli, ma un’unica, semplice, risposta.
“Avanti, avanti! Cavolo... cosa devo fare?”
Iniziò a colpirsi la fronte. Chiuse gli occhi. Li strizzò tanto da sentirne quasi dolore.
Scendeva le scale... Un rumore, un tonfo... Il corrimano è umido... Un orologio casca a terra... C’è qualcuno dentro... Si sveglia dal letto... Una sirena... Passi veloci... Le lenzuola la imprigionano... Grida, tensioni, corse, spinte, oggetti caduti e oggetti raccolti. Occhi chiusi.
“Perché? Perché?”
Paola tornò alla situazione iniziale, braccia sul tavolo, sguardo verso il basso, i capelli penzolanti in ciocche le rigarono la pelle candida. Ma questa volta con gli occhi chiusi. Strinse le mani stropicciando una foto e un foglietto. Piccoli cerchi scuri iniziarono a decorare i fogli di giornale. Pianse.
 
Mario vide quasi subito suo cugino, appena svoltato l’angolo ed entrato in piazza. Era vicino alla fontana, indossava la sua classica giacca di pelle, anche se sarebbe stato benissimo anche in maglietta, e stringeva una ragazza con un braccio attorno alla vita. Era sicuramente Giovanna, la sua ragazza, ma c’era già anche qualcun altro.
‹‹Scusatemi, sono un poco in ritardo!››
Da vicino, non conosceva la ragazza con cui stava parlando Giovanna. Però, senza subbio, era molto carina. Portava i capelli corti, in un caschetto scuro, ed era particolarmente abbronzata; era piuttosto bassa e indossava una maglietta senza maniche e dei pantaloncini corti di jeans. Mentre Mario si avvicinava, Alberto gli rivolse un sorriso ‹‹Figurati, stiamo ancora aspettando Stefania, l’altra amica di Gio. E tu, a proposito? Hai potuto contattare qualcuno?››
Mario raggiunse il gruppo e salutò prima Giovanna con un bacio sulla guancia e poi abbracciò suo cugino ‹‹Guarda... Ho chiamato Claudio, ma ormai sono settimane che il cellulare gli è morto e quindi niente, non l’ho trovato. Andrea non se l’accollava e Alessandro, ricordi Alessandro?››
‹‹Si, si ,certo. Ci siamo visti spesso io e lui.››
‹‹Ecco: lui non so che cazzo gli è preso, ma mi evita. Quindi, insomma, niente. Non ho trovato nessuno.››
‹‹Mh... Tranquillo non fa nulla. Ah, a proposito di Alessandro: lei è Valentina e ho scoperto che lo conosce da un bel po’!›› la ragazza si avvicinò a Mario mostrando un sorriso molto curato ‹‹Valentina, lui è mio cugino Mario.›› completò.
‹‹Piacere...››
‹‹Piacere mio! E così conosci quel bellimbusto di Ale? Come mai?›› Mario ruppe subito il ghiaccio. Aveva facilità ad attaccare bottone con le persone sconosciute e, a prima vista, sembrava che lei non aspettasse altro.
‹‹Eh sì, siamo vicini di casa dai tempi delle elementari, una vita!››
Mario annuì all’affermazione con fare disinvolto e sorridendo. Non ebbe nemmeno il tempo di replicare che tutto il gruppo si mobilitò. Era appena arrivata Stefania, l’unica assente. Lo scambio di saluti fu piuttosto veloce. Mario conosceva già Stefania per altre occasioni precedenti e se ne ricordò subito. La serata iniziava.
 
Nella sua stanza da letto la luce era spenta ma il lampione acceso in strada le permetteva di muoversi senza sbattere da nessuna parte. Liliana osservava alcune vecchie foto scattate con lei e Mario insieme. Dopo quelli che reputò essere troppi sospiri, si mise in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, senza un pensiero preciso. Il bracciale che indossava luccicava regolarmente, ogni volta che passava vicino alla finestra, dove la luce del lampione, per quanto debole, lo raggiungeva e si rifletteva.
Poggiò la schiena all’armadio a muro. Iniziò a lasciar scivolare le gambe. Chiuse gli occhi, si portò le mani in volto, poi dietro il collo. Scese ancora un poco. Giù. Poi toccò per terra. Si ritrovò rannicchiata in un angolo della stanza, al buio. In silenzio.
 
I cinque ragazzi passeggiavano lungo il marciapiede. Alberto sussurrava qualcosa alle orecchie di Giovanna, mentre le altre due ragazze pendevano dalle labbra di Mario, intento a raccontare episodi scolastici con partecipazione.
‹‹...il professore inizia a sbraitare che non è possibile fare una cosa del genere in corridoio, che se ci vogliamo baciare ce ne andiamo a casa nostra. E io lo guardo e gli dico: ma lei è nato già vecchio, vero?››
Il duo di ascoltatrici rise all’unisono, enfatizzando evidentemente un divertimento non così spontaneo ‹‹Ma davvero? Sono le esatte parole che hai detto?››
‹‹Si, lo giuro! E il bello è che l’ho turbato tanto che se n’è andato senza dire nulla e quando sono rientrato in classe non mi ha nemmeno richiamato per l’orario. Un vero fesso!››
La stessa risata, fotocopiata dalla precedente, risuonò nelle orecchie di Mario. Subito dopo uno squillo: il suo cellulare ‹‹Scusate un attimo...››
Mario si fermò, lasciando che le ragazze lo precedessero di qualche passo. Aveva ricevuto un messaggio: la sua promozione mensile per il cellulare sarebbe stata rinnovata fra soli due giorni. Mario ripose subito il cellulare nella tasca e ritornò nel gruppo sorridendo fra sé e sé. Alberto richiamò subito la sua attenzione ‹‹Era qualcosa di importante?››
‹‹Macché! Solo una tipa... non riesco proprio a togliermela di torno! Mi perseguita!››
‹‹E tu non ci stai?›› Valentina lo osservava fisso.
Mario resse lo sguardo, senza distoglierlo ‹‹No, con lei no.››
‹‹Ragazzi, dove vogliamo andare?›› Giovanna si era messa in mezzo al gruppo per ottenere in fretta una risposta alla sua domanda, interrompendo lo sguardo inavvertitamente.
Mario si rivolse subito al cugino ‹‹Andiamo a berci qualcosa?››
 
‹‹Che cazzo, Claudio, ma vuoi rispondere a ‘sto cellulare?››
Andrea scaraventò il cellulare sul letto e lo osservò rimbalzare contro la parete. Sbuffò, pentitosi dell’eccesso d’ira. Non ebbe nemmeno il tempo di riflettere che si sentì chiamare dal piano di sotto: ‹‹La cena è in tavola!››
Non aveva affatto fame. E non aveva affatto voglia di andare a cenare coi suoi, che gli avrebbero di certo chiesto cosa non andasse e perché fosse così in tensione. Non ci rifletté nemmeno molto su: fece due passi verso la porta e la chiuse a chiave.
 
La temperatura dentro la sala, nonostante le dimensioni, era altissima. Le persone si comprimevano e si spingevano per farsi spazio, nella folla ondeggiante. La musica, da fuori un vago rumore ovattato, spalancando la porta si faceva assordante. Mario percepiva un lieve tremolio delle sue orecchie ogni volta che qualche basso rimbombava nella discoteca.
Il dj mixò un pezzo particolarmente in voga in quei mesi. Urla, perlopiù femminili, si accavallarono mentre braccia e gambe si dimenavano nel mezzo di una pista troppo piccola per tutte quelle persone. Caldo. I movimenti dei corpi, sciolti dai freni inibitori, si perdevano, rallentati da un’aria densa, quasi di vapore acqueo. Adrenalina. Il barista si faceva volare le bottiglie dietro la schiena o sopra la testa e riempiva i bicchieri con grande disinvoltura.
Stefania raggiunse Mario appena distante dalla calca di persone sbandierando un bicchiere nella mano destra, in alto, come in trionfo, urlando qualcosa. Forse erano le luci lampeggianti verdi e rosse della discoteca o forse il liquido era davvero di un colorito violaceo ‹‹Ehi! Mario! Vuoi provare un goccio? È fantastico, ti giuro!››
Mario capì il significato della frase solo grazie al gesto di offerta che l’accompagnava e rispose con le urla necessarie a farsi sentire ‹‹Grazie! Questo giro lo passo!››
‹‹Come?››
‹‹Per adesso non mi va!››
‹‹Ma tu bevi, no? Prova, dai!››
Mario cercò di rifiutare ma prima ancora di poterlo fare si sentì braccato da Alberto, il braccio appena umido sul suo collo ‹‹Cugino! Devo dirti una cosa!››
‹‹Che cosa?››
Alberto avvicinò la bocca alle sue orecchie e gridò con forza ‹‹Seguimi in bagno che così non urlo!››
Il bagno era vuoto, oltre che stranamente poco rumoroso, considerato lo spessore poco rilevante della porta il legno che lo divideva dalla sala. Un ragazzo, dentro, cercava di pulire alla meno peggio una maglietta che si era porcata, certamente con qualche drink.
‹‹Mario, ma cosa... cosa stai combinando?›› Il respiro di Alberto era un poco affannato.
‹‹Che vuoi dire?››
‹‹Dai, ci sono due belle ragazze, Vale ci sta provando da quando vi siete visti! Perché non ti lasci un po’ andare? Da quando siamo arrivati qui sembri nel mondo dei sogni!››
‹‹No, è che questa musica ad alto volume mi ha fatto venire il mal di testa...››
‹‹E fattelo passare, no? O vuoi che andiamo via? Stai... stai bene, no?››
‹‹Si, si, certo! Figurati!››
Entrò un tipo evidentemente su di giri, che andò subito a chiudersi dentro il bagno. Per quel breve istante in cui la porta si era aperta il volume della musica era raddoppiato. Mario ne fu stranamente catturato.
‹‹...allora?››
Mario tornò a guardare il cugino ‹‹Scusa? Non stavo sentendo!››
‹‹Ti dai una mossa con Vale?››
Mario scoppiò in una risata improvvisa ‹‹Ma sì, ma sì! Di che ti preoccupi? Usciamo insieme da anni, lo sai che non mi lascio sfuggire certe occasioni!››
Alberto non disse nulla. Gli diede un colpo sulla spalla e uscì in fretta dal bagno, seguito a ruota dal cugino.
 
Normalmente Paola detestava quel pigiama troppo largo, quando camminava sentiva strisciarlo a terra. Ma era così stanca da non riuscire a pensarci. Si era sciacquata il viso varie volte, ma le erano rimasti i segni del pianto sotto gli occhi. Avanzò lentamente in corridoio, ascoltando il rumore ovattato dei suoi passi sul tappeto. Si affacciò in camera di sua madre, la porta era semichiusa.
‹‹Buonanotte mamma...››
Nessuno rispose, Paola fece per proseguire fino in camera sua, poi un sussurro ‹‹Buonanotte›› soffocato dai cuscini.
Si sforzò di sorridere fra sé e sé e raggiunse la sua camera. La luce accesa sul comodino aveva sicuramente attratto delle zanzare in quei minuti. Si infilò in fretta sotto le coperte e spense la luce. Non prese subito sonno. Un ronzio. Si nascose la testa sotto le coperte, per non sentire.
 
Privo di ogni desiderio notturno, Mario si era lasciato andare su una piccola poltrona lontana dalla pista da ballo. Solo dopo essersi guardato attorno si rese conto che Valentina era seduta al bancone, ferma. La osservò un paio di minuti, non si muoveva. Si alzò, poco deciso sul da farsi, mentre la musica ormai aveva definitivamente smesso di farsi sentire nella sua testa. Alla fine le si avvicinò. A pochi passi da lei, una mano gli si posò sul braccio. Giovanna gli fece l’occhiolino e lo invitò a farsi avanti con un cenno della testa. Mario non riusciva a capire cosa tutti volessero da lui quella sera. Da quando era entrato in quella discoteca, non aveva fatto che annoiarsi. Sorrise ipocritamente a Giovanna e si mise a sedere accanto a Valentina, rassegnato all’idea che avrebbe dovuto urlare per farsi sentire ‹‹Ehi! Che fai?››
Valentina alzò un bicchiere mezzo vuoto ormai da qualche minuto ‹‹Bevo qualcosa!››
‹‹Com’è? Ti piace?››
‹‹Vuoi assaggiarlo?››
‹‹No, in realtà non mi va molto di bere adesso!››
La ragazza lasciò scivolare con un gesto elegante il bicchiere sul bancone ‹‹In effetti, faceva anche piuttosto schifo...››
Mario rise, lei alzò lo sguardo e lo osservò attraverso un ciuffo di capelli solitario del suo caschetto ‹‹Vuoi ballare?››
La ragazza fece una smorfia ‹‹Non so, dipende...››
‹‹Da che?››
‹‹Sai essere abbastanza convincente?››
Sorrisero.
 
Liliana si era ormai alzata da terra da un po’, da quando aveva iniziato a sentirsi scomoda. Le sue gambe lunghe sembravano fatte per stare in piedi. Era vicino alla scrivania, aveva preso in mano il pupazzetto anti-stress. Se lo spremeva gli uscivano gli occhi dalle orbite. Un dito si arrotolava intorno a una ciocca di capelli.
“Quasi quasi domani lo chiamo... Dopotutto un giorno in più o uno in meno cosa può cambiare? Gli parlo e mi butto. Domani mattina”.
I suoi occhi, allo specchio, le sembrarono più espressivi del solito. Era struccata, forse era per quello. Eppure non metteva mai molto trucco. Le sue ciglia le sembrarono più lunghe del solito e la pelle intorno agli occhi più scura. Si portò le mani sulle braccia opposte, quasi ad abbracciarsi, stringendosi nelle spalle. Per un momento le sembrò quasi che la stesse abbracciando qualcun altro.
“Domani mattina”.
 
Luci. Buio. Gesti, sorrisi, spasmi, contatti, sguardi. Le mani, le braccia, le gambe, i visi, le schiene, le pance, i nasi, le spalle, le labbra, le dita, gli occhi, i capelli. Mario sentiva il suo corpo, il corpo di quella ragazza attaccato al suo. Aveva le labbra secche, se le leccò. Qualcuno dietro di lui lo urtò per passare. Le mani di tutti al cielo, al soffitto. Rumore, rumore, casino. Le loro gambe si intrecciavano. Una ragazzina salì sul cubo baciandosi con un ragazzo molto più grande di lei. Qualcuno gridò all’inizio di una nuova canzone.
 
Si agitava nel sonno, non si era mai agitata tanto, forse. Non per il ronzio, non la sentiva nemmeno più la zanzara. Un altro rumore. Uno sparo. Dei passi che scendono delle scale. La voce di suo padre che urla, sconvolto, distrutto. Cosa è stato? Deve scendere ancora qualche gradino per vedere.
 
‹‹Oh... sono stanchissima! Non ho mai ballato tanto in vita mia!››
L’esterno della discoteca, immerso nel buio estivo, rinfrescava piacevolmente dopo il caldo della sala da ballo. Mario e Valentina erano in piedi, poggiati con la schiena contro lo stesso muro, uno affianco all’altra.
‹‹Sì, è stato divertente.››
‹‹C’è silenzio.››
‹‹C’è sempre silenzio, solo che ci parliamo sopra di solito.››
Valentina staccò la schiena dal muro e si mise di fronte a Mario, le sue labbra vicine al suo mento ‹‹Magari non questa volta. Magari possiamo rimanere in silenzio.››
Si baciarono. Mario portò istintivamente una mano sul fianco sinistro di lei, come per controllare la situazione, poi lo allontanò subito. Poi si allontanò subito ‹‹No, aspetta, che fai?››
‹‹Certe volte penso sia meglio lasciarsi un poco andare...››
‹‹Non hai capito. Non voglio. Rientriamo.››
Mario si voltò ma la ragazza lo afferrò per un braccio ‹‹Ma che hai? Che ti prende? Sei strano, eh! Un momento fai il provocante e poi te ne vai?››
Mario rimase un momento in silenzio, senza riuscire a parlare ‹‹Io, sinceramente, non ti capisco.›› continuò lei.
‹‹Sì, hai ragione... Scusa io... Credo di avere qualcos’altro per la testa, mi spiace.››
Mario rientrò. Valentina si sistemò i capelli scompigliati con le mani. Decise di non seguirlo e di non rientrare. Per come la vedeva lei, non aveva senso provarci, con un ragazzo già innamorato.
 
‹‹Andrea, ti decidi a scendere o no? E almeno apri la porta!››
Andrea era buttato sul letto a pancia in su ‹‹Mangiate senza di me. Non ho affatto fame stasera.››
‹‹Ma perché ti sei chiuso dentro?››
Andrea osservava la sua sveglia proiettare l’orario sul soffitto con il suo laser rosso ‹‹E non bussate più, sto cercando di dormire.››
Da fuori Andrea percepì chiaramente i suoi genitori confabulare e discutere sul da farsi. Era troppo giù per uscire dalla stanza. Non avrebbe voluto vedere nessuno in quel momento. Tranne una persona. Tranne Claudio.
 
Mario rientrò a passo spedito dentro la discoteca e si diresse in fretta a recuperare il suo giubbotto, abbandonato da qualche parte. Nella folla riuscì a vedere Alberto, gli si avvicinò, lo salutò ‹‹Ma come? Te ne vai già via?››
‹‹Sì, scappo.››
‹‹Ma perché? E poi scusa dov’è Vale? Non era con te?››
‹‹Non saprei, ci siamo persi di vista. Mi saluti tu Giovanna, okay? Ah, e anche Stefania. Di' che mi spiace non averle salutate io.››
‹‹Mario, ma che sta succedendo? Mario!››
Le persone rumorose che popolavano la stanza si mangiarono le ultime parole di Alberto, troppo stanco e troppo stupito per correre dietro al cugino che, non c’era dubbio, stava scappando.
 
Adesso vedeva finalmente. Suo padre osservava sconvolto il corpo inerte dell’uomo con cui, fino a poco prima, si stava prendendo a pugni. Il suo sguardo era perso, perso in quella macchia scura che si allargava sul pavimento. Il sangue scorreva più veloce negli spazi vuoti fra le mattonelle. Non sembrava rosso, piuttosto marrone. La poca luce non permetteva di distinguere bene i colori. Suo padre alzò lo sguardo. Il suo volto non chiedeva altro che pietà. Si accorse di lei. Non riuscì a parlare. Paola non disse nulla, neanche lei. La pistola era rimasta contesa a metà fra le mani dei due uomini, ma la canna era puntata verso il pavimento. Il morto aveva gli occhi aperti, chissà se si era accorto di lei prima dello sparo. Il sangue era così scuro. Forse non era la luce, forse era davvero marrone. Cadde a terra una scatola da un tavolo, poco distante da suo padre. Aveva reagito in ritardo quello scatolone. E invece il cadavere no, lui aveva reagito subito.
Si svegliò in preda a uno spasmo, ansimando. Si chiese se avesse urlato nel sonno. Le sue gambe si erano attorcigliate nelle coperte che le si erano annodate alle caviglie. Come faceva a esserci così tanto silenzio? Dov’erano tutti? Dov’era il mondo?
 
Liliana riempì un bicchiere d’acqua fino all’orlo, benché non avesse nemmeno tanta sete. Si sforzò di bere fino all’ultima goccia. La notte era calda, sentì il fresco dell’acqua uscita dal frigo scorrerle giù lungo tutta la gola. Posò il bicchiere, ancora assorta negli stessi pensieri che l’avevano accompagnata nelle ore precedenti e rimase qualche secondo in contemplazione del frigo, che, aperto, illuminava artificialmente qualche metro attorno a lei, di una luce triste.
“Forse è meglio di no, forse è meglio aspettare il pomeriggio.”
Iniziò a tornare in camera sua, stavolta seriamente decisa a dormire e a smetterla di vagare per la casa e col pensiero “Sì. Decisamente meglio il pomeriggio. Così sarò anche più sveglia. E più sicura. Devo essere sicura. Lo guarderò negli occhi.”
 
Mario fece girare la chiave nella serratura due volte. Gli scatti di quel meccanismo erano particolarmente rumorosi. Si era fatto inspiegabilmente tardi. Aveva perso un sacco di tempo per tornare a casa. Nonostante l’ora tarda, soprattutto in centro si camminava a passo d’uomo. Mario estrasse la chiave dalla toppa e si voltò subito verso la credenza del corridoio. Aprì un cassetto, vi lasciò cadere le chiavi. Spense la luce del corridoio.
‹‹Che serata di merda...››
  
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