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Autore: Francine    18/10/2014    3 recensioni
E poi ci sono loro. Le infiltrate. Quelle che necessitano di più spazio di quello garantito da cento parole secche. Quelle che non hanno un posto dove andare, come i coralli aggrappati allo scoglio. Quelle che non hanno legami, non hanno radici, non hanno una genesi. Quelle che ho scritto quando avrei dovuto concentrarmi su qualcos’altro. Quelle che sono un tappeto di nuvole. Un’accozzaglia di cause perse, insomma. Le ho raccolte tutte qui, nella speranza che possa farvi piacere.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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#36 L’isola
Prompt: Lui – Lei - Isola
Fandom: Saint Seiya – Serie Classica (Post Hades)
Personaggi:  Scorpio Milo
Note: non so dove, non so come, non so quando... ma sono tornati. Li faccio tornare. Anche a costo di spaccare quella statua pacchianissima dall’interno.
 
L'isola esiste. Appare talora di lontano
(Guido Gozzano, La più bella)
 


L’isola esiste e non esiste.
Appare talora di lontano, emergendo all’improvviso dalle acque come un miraggio che inganna il pescatore. Chiamandolo. Attirandolo a sé. Facendo il suo nome e lusingandolo con promesse. E il pescatore ascolta. Con un orecchio solo, mentre le mani issano a bordo le reti. Ché se il pescatore dovesse credere a quelle parole soavi, sarebbe perduto. Pur tuttavia, ascolta, fino a quando le sirene non si stancano di chiamarlo e l’isola si inabissa. Lui tende l’orecchio. Per rinfrancarsi lo spirito. Perché pur se sa che si tratta di dolci menzogne, è bello credervi. Anche se con un piede a bordo. Si allontanano i crucci, il mare che fa bestemmiare e le mani che si spaccano per il sale e il vento e la fatica, ed il sole che batte sulla pelle secca. Lo si ritiene possibile. Magari in un altro momento. In un’altra vita. O anche mai. Ma è la possibilità – piccola, ingenua, bugiarda – ad essere ricoperta d’oro. E il sapere che, un giorno, il pescatore lascerà cadere le sue reti nell’acqua, restituendo il bottino al mare. E dirigerà la sua barchetta verso quelle voci e quell’isola, che appare oltre la nebbia, per poi inabissarsi. E sparire. Fino alla prossima volta.

L’isola esiste e non esiste.
Te lo ha spiegato Aristoteles, durante gli anni dell’addestramento. «Ognuno ha la propria. Una canzone. Un pensiero felice. Il ricordo di un viso. Una voce. Il sapore dei melomakarona», ma quando hai chiesto ad Aristoteles quale fosse il suo, il tuo maestro – tuo padre – ha risposto con un sorriso.
«Trova il tuo. Non importa quale sia, purché sia tuo. Solo tuo. Solo così può funzionare», e per un lungo, lunghissimo periodo il tuo ricordo felice, la tua isola galleggiante, è stata la voce frusciante di carta ingiallita di tua nonna, che ti chiamava nella quiete ombrosa del pergolato del Kallistê. Una voce di donna per un figlio nato senza madre. Logico. Umano. Perché la sirena che canta dall’isola sa bene dove affondare i suoi denti. Dove c’è uno spiraglio. Dove fa più male.

«L’isola?», diceva lei. Guardando Roma imporporare da dietro le imposte accostate, una mano tra le assi verde scuro dalla vernice sbeccata. Fissava qualcosa, un gatto che passeggiava sui sampietrini guardando il mondo dall'alto come se potesse mettersi in tasca la Città Eterna, sfilando tra le ombre della sera e il rintocco delle campane di S. Francesco. Fissava qualcosa e pensava, mentre ti scoprivi ad aspettare. Curioso. Di sapere se vi fosse un posto anche per te, nella sua isola. Piccolo. Anche aggrappato ad una boa di galleggiamento.
«Non lo so», ti diceva alla fine, abbandonando il gatto alla sua passeggiata e riportando gli occhi su di te. «Non credo di averne una, ma se l’avessi…»
«Se l’avessi?».
Silenzio. Come a chiederti conto e ragione di quella domanda inopportuna. Sfacciata, com’è il sole in Grecia. «Qui è meno chiassoso», ti aveva detto, schermandosi gli occhi con la mano. E qualcosa ti diceva che lo stesse facendo anche in quel momento.
«Se l’avessi, la custodirei gelosamente», rispondeva, infine. «Ma fino ad allora…»
«Fino ad allora?»
«Mi farò bastare un cioccolatino», diceva. Estraendo dalla tasca del giubbino un incarto argentato.
 
L’isola appare di nuovo. E il canto delle sirene si fa più pressante. E adesso lo ascolti con entrambe le orecchie, le mani salde sulle reti non sai ancora per quanto. E capisci perché Ulisse si sia fatto legare dai suoi compagni. Perché adesso è possibile. Adesso credi davvero a tutto. Anche che la tua oasi sia più vicina di quanto non sembri. Più reale. Tangibile. Adesso la sirena ha una voce forte e chiara, anche se è ridotta ad un sussurro. Ti sta chiamando. Sta facendo il tuo nome, mentre riemergi dal sonno e le tua braccia si chiudono attorno a lei. Capelli soffici sul viso. Profumo di cocco e vaniglia.
Staresti una favola coi capelli rossi, pensi. Respirandola. Per tenertela dentro, almeno per qualche istante.
«Sei sveglio?», ti chiede. Contro la pelle del tuo collo.
«No», mugugni. Perché non vuoi alzarti. Perché non vuoi abbandonare l’isola, adesso che l’hai raggiunta.
«Sì, che sei sveglio.»
«No», protesti. Tuffandoti nei suoi capelli. Schiacciandola con il peso del tuo corpo. Dovrai passare sul mio corpo, per alzarti.
«Dai, che sei sveglio», insiste lei. Accarezzandoti i capelli. La schiena. Le spalle. «Il caffè si fredda», aggiunge. Nella speranza che questo ti convinca ad alzarti.
Illusa.
Sollevi una palpebra. Gli occhi ti sono diventati verdi, ma pazienza. Ti racconti che è perché cercavi il suo, di sguardo, e non per un capriccio divino. E le dici: «Lo rifaremo». Stringendotela contro.
«Mio fratello ti aspetta tra meno di un’ora», e l’isola è scossa da un terremoto. Si sta già per inabissare tra i flutti?
«Mmmm…», contro i suoi capelli.
Rossi. Dico davvero. Rosso corallo. A te piace il rosso, no?
«Milo…»
«Altri cinque minuti», dici. Perché vuoi restare così. Sospeso. In un attimo ideale, nell’istante perfetto. Con il suo profumo nel petto e le sue braccia a cullarti, anche se sei tu che cingi lei.
Lei che sospira. «E va bene. Altri cinque minuti», dice. Con fare plateale. Come se ti stesse facendo una concessione. E dentro di te speri che la tua isola e la sua combacino, anche se solo in parte. Anche se solo per quanto riguarda una piccola boa di galleggiamento, in ammollo nell’azzurrità del mare.
   
 
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