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Autore: Fragolina84    18/10/2014    1 recensioni
Sequel di Un raggio di luce per l'umanità
Driven to tears, spinto alle lacrime.
Loki è tornato e vuole vendetta. Gli Avengers e soprattutto Tony saranno spinti alle lacrime dalla rabbia del semidio di Asgard che si abbatterà su ciò che hanno di più caro al mondo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I love Avengers'
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Avete ragione: sono sparita troppo a lungo,
ma impegni personali e di lavoro mi hanno impedito di postare l'ultimo capitolo.
Ad ogni modo, eccolo qui.
Gli Stark tornano alla normalità, ma Tony vuole assicurarsi che
quanto accaduto non succeda mai più,
e che la sua famiglia rimanga al sicuro.
E per farlo c'è un solo modo...
A voi... e commentate, please!

 


Villa Stark tornò lentamente alla normalità.
Gli Avengers, che avevano atteso il ritorno di Victoria, se ne andarono. Ognuno di loro era ansioso di restare da solo con la propria donna e Tony li comprendeva benissimo.
Elizabeth non si staccò da loro per tutto il giorno. A breve Tony ed Elizabeth avrebbero dovuto pensare di affiancarle una psicologa per superare quel momento.
Quel giorno Tony fece ogni cosa sua figlia gli chiedesse: nemmeno lui aveva molta voglia di staccarsi dalla piccola. Era stato troppo vicino a perdere tutto e nel suo intimo nascondeva il pensiero oscuro che un giorno potesse accadere davvero. Ma non sarebbe successo quel giorno e poteva ragionevolmente pensare di potersi godere la compagnia di Victoria ed Elizabeth.
L’obiettivo del giorno era stancare il più possibile la bambina, in modo che a sera piombasse in un sonno profondo e senza sogni. Non voleva che ricordasse i terribili eventi della giornata.
Ci riuscì, ma quando la portò a letto le lasciò una lucina accesa, chiedendo a Jarvis di tenerla d’occhio e avvisarlo di qualsiasi stranezza.
«Sì, signore».
Si allarmò quando non trovò Victoria in camera da letto, ma poi la sentì muoversi in bagno e si tranquillizzò: forse Elizabeth non era l’unica che avrebbe dormito con la luce accesa quella notte.
Mentre l’aspettava armeggiò con il telescopio, poi rimase in piedi, vicino alla finestra, a guardare uno spicchio di luna che si specchiava sulla superficie calma dell’oceano, perso nei propri pensieri. Non la sentì arrivare e sussultò leggermente quando lo abbracciò da dietro, passando le braccia sotto le sue e posandogli i palmi sul petto. Si strinse a lui, posando la fronte contro la sua schiena.
«A che pensi?» gli chiese.
Tony posò le mani su quelle di lei. «Che sono andato ancora troppo vicino a perdervi» disse, abbassando la testa e baciandole le dita intrecciate alle proprie.
Victoria lo fece voltare verso di sé.
«Ti prego, non tormentarti così. Ne abbiamo già discusso. Tutto questo è inevitabile, come diventerà inevitabile per mia sorella o per chiunque orbiti attorno agli Avengers. Io però sono sicura di una cosa: qualsiasi cosa succeda, tu e gli altri sarete lì per proteggerci».
Tony le accarezzò il viso, posandole dolcemente una mano sulla guancia.
«C’è qualcosa che devo dirti» annunciò.
Sedette sulla poltrona, e lei gli sedette in braccio.
«Ho come l’impressione che non sia una cosa bella» disse lei, seria.
Lui distolse un attimo lo sguardo, raccogliendo le parole giuste. Non ne trovò.
«Quando ti ho portata su Asgard, eri in fin di vita» cominciò. «La ferita era vicinissima al cuore e tu avevi perso così tanto sangue che l’unico modo per salvarti era affidarti alle loro guaritrici». L’uomo sospirò. «Ero lì mentre quelle donne usavano i loro poteri su di te».
Cercò di spiegarle della proiezione 3D che aveva visto, anche se non fu facile perché era una tecnologia totalmente aliena.
«Che stai cercando di dirmi, Tony?» chiese lei. «C’è qualcosa che non va in me?».
«No, Vicky. Quello che sto cercando di dirti è che…» Fece una pausa e fissò gli occhi nei suoi. «Eri incinta, tesoro» disse, il più dolcemente possibile.
Lei rimase immobile. Vide passare ombre nei suoi occhi mentre considerava la notizia sotto ogni aspetto. Poi aggrottò la fronte e guardò in basso, verso la sua pancia assente.
«No… io non…» disse, rialzando lo sguardo.
«Lo so: non lo sapevi. Sarà stato di appena tre settimane».
Lei abbassò di nuovo lo sguardo, lasciando che i capelli le nascondessero il viso, e posò una mano sul ventre liscio e piatto. Tony non era sicuro che avesse capito. Coprì la mano con la propria.
«Per lui era troppo tardi, Victoria. Il bambino non ce l’ha fatta».
Lei annuì e una lacrima le cadde dal viso. «Quindi Loki ha ucciso qualcuno nella nostra famiglia» disse.
Tony sentì il cuore scoppiare di pena e tormento. «Vieni qui» sussurrò, attirandola verso di sé. Lei posò il capo sulla sua spalla e lui la circondò con le braccia. Victoria pianse in silenzio per quel bambino non nato, bagnandogli la maglietta di lacrime. Non c’era nulla che lui potesse dire, poteva solo starle talmente vicino da condividere quel dolore con lei, sperando che diventasse meno pesante.
Era un bene che lei non si fosse ancora accorta di essere incinta, che non avesse visto quella sfera luminosa, che non avesse sentito quel piccolo cuore battere frenetico. Il dolore sarebbe stato ancora più straziante.
Quando i singulti si placarono, Tony la stava ancora tenendo stretta, accarezzandola come aveva fatto con Lizzy solo poche ore prima.
«Sai cosa trovo terribile?» gli chiese poi, la voce ancora rotta dal pianto.
«Che cosa?»
«Che di lui, o lei, non ci resti nulla».
«Era un lui» disse Tony.
«Come lo sai?» chiese la donna.
«Non so spiegartelo. Ma era un maschietto, ne sono sicuro» affermò. «E comunque non è vero che non abbiamo nulla» disse. La fece alzare e la portò al telescopio, invitandola a guardarci dentro. Lei era perplessa. «Fidati» disse lui.
«Vedi quelle quattro stelle al centro della lente?» le chiese quando abbassò la testa. «Una, quella centrale, due giorni fa non c’era».
«Non capisco cosa…»
Poi drizzò la testa lentamente, guardandolo negli occhi.
«I frammenti di quella sfera luminosa sono saliti in cielo, si sono fissati tra le stelle» spiegò lui.
La vide sorridere: aveva capito.
 
Tony osservava New York risplendere di luci sotto di lui. Dall’attico della Stark Tower poteva godere di una vista mozzafiato su una delle città più straordinarie del mondo.
Erano trascorsi circa tre mesi dalla morte di Loki e quella sera, per la prima volta, avrebbero lasciato Elizabeth da sola con Zoey. La bambina sembrava essersi ristabilita del tutto dalla brutta avventura, anche se di notte capitava che Tony e Victoria dovessero alzarsi per svegliarla dagli incubi e cullarla finché non si riaddormentava.
Victoria aveva lasciato una lista di raccomandazioni lunga quanto la Route 66 e si era convinta definitivamente ad andarsi a preparare solo quando aveva visto l’imponente spiegamento di uomini che Happy aveva reclutato per la protezione della piccola in loro assenza.
Sorseggiò lentamente il suo whisky, mentre aspettava sua moglie. Lei e le altre ragazze erano uscite nel pomeriggio a fare shopping – con la carta di credito illimitata di Stark – per prepararsi all’evento di quella sera.
L’uomo tolse un granello di polvere dalla giacca. Indossava un completo scuro ricamato su cui erano stati applicati alcuni minutissimi strass che catturavano le luci e risplendevano. Sapeva che Victoria non sarebbe stata del tutto d’accordo con quell’abbigliamento.
Si voltò quando la sentì dietro di sé e rimase senza fiato. Sua moglie indossava un abito color vinaccia, con scollo a V, molto attillato. La fascia sotto il seno era tempestata di Swarovski che brillavano come piccole stelle, così come l’allacciatura dietro il collo. L’abito le arrivava a metà coscia ed era profondamente scollato sulla schiena.
«Non ti piaccio?» chiese civettuola, piroettando davanti a lui.
Lui posò il bicchiere, facendo un paio di passi verso di lei.
«Se non fossi un uomo sposato, ti prenderei in braccio in questo preciso momento, ti porterei in camera e farei l’amore con te fino a domattina».
Victoria rise, ma fece un passo indietro: conosceva il suo uomo, e conosceva quello sguardo. Significava: faremo tardi al concerto.
«Ha ragione, signor Stark» mormorò, reggendogli il gioco. «Sua moglie la ucciderebbe. Ora sarebbe meglio andare».
«Sì, dovremmo andare» replicò, continuando però ad avanzare verso di lei.
Quando si accorse che lei non poteva più indietreggiare, la schiena premuta contro la vetrata, si passò la lingua sulle labbra. Victoria sentì un brivido di pura elettricità scorrerle in tutto il corpo, ma si costrinse a mantenersi lucida.
«Tony».
Lui ormai le era addosso e l’afferrò per i fianchi.
«Cosa?»
«Dovremmo davvero andare» disse, ma lui rispose con un mugugno indistinto.
Si abbassò su di lei, bloccandola contro il vetro, sfiorandole la pelle con le labbra appena dischiuse. Victoria sentì il suo respiro, sulla tempia, sulla guancia, sull’orecchio, mentre il proprio si era fatto affannoso: Tony sapeva benissimo come farla impazzire.
L’uomo mosse una mano, sollevandole il mento con due dita. Non la baciò, limitandosi a farle sentire il proprio respiro sulle labbra, allontanandosi leggermente quando lei muoveva la testa per congiungere le labbra con le sue.
Mi hai provocato? Bene, ora supplicherai.
Nessuna donna, mai, l’aveva acceso in quel modo e aveva continuato ad accenderlo dopo la prima volta. Per tutte le altre aveva perso interesse quasi subito: poche erano restate nel suo letto per due notti consecutive, pochissime per tre, nessuna per quattro. Ma bastava uno sguardo di quegli occhi verdi per scatenarlo, facendogli perdere letteralmente la testa. Erano sposati da sei anni e la desiderava ancora con lo stesso identico fervore della prima volta.
«Sai una cosa?» sussurrò lui.
«Cosa?»
«Dobbiamo proprio andare». Si allontanò e Victoria rimase per qualche istante contro il vetro, ad occhi chiusi. Quando li riaprì, ansimava ancora come se avesse corso.
Tony non l’aveva più guardata, dirigendosi verso l’ascensore e premendo il pulsante di chiamata. Lei raccolse la pochette e lo raggiunse. Salirono sull’ascensore e rimasero fianco a fianco, senza toccarsi, mentre l’elevatore si metteva in moto.
Improvvisamente lei si alzò in punta di piedi. «Non ce la faresti a fare l’amore con me fino a domattina» gli sussurrò all’orecchio.
La mano di Tony scattò velocissima e premette il pulsante di blocco. Le luci dell’ascensore si spensero, tranne una luce rossa d’emergenza.
«Scommettiamo, dolcezza?»
Usò il proprio corpo per spingerla indietro, incuneando un ginocchio fra le sue gambe. La baciò, stavolta sul serio, profondamente. Victoria gli si aggrappò mentre lui faceva scivolare le mani sul suo corpo, insinuandosi sotto il bordo del vestito e facendoglielo risalire sulle cosce.
«Tony!» Aveva cercato di fermarlo, prima di perdere totalmente il controllo. «Così faremo tardi sul serio», aggiunse.
«Colpa tua».
«Tony! Non vorrai farlo qui!» esclamò.
Lui alzò la testa. «L’ascensore è mio: se ho voglia di farci l’amore con mia moglie, sono libero di farlo. Però hai ragione: non possiamo restare rinchiusi qui fino a domattina. Torniamo di sopra».
Si mosse per premere il pulsante dell’attico ma Victoria gli abbassò il braccio, ridendo.
«Mi dispiace di aver messo in dubbio le tue prestazioni. Non lo farò mai più. Ma ora dobbiamo andare. Dobbiamo passare a prendere gli altri».
Le regalò un sorriso malizioso e, senza una parola, riattivò l’ascensore. Quando le porte si aprirono nell’atrio, Tony si abbassò verso il suo orecchio.
«Non è finita. Più tardi ti darò una lezione, signorina».
Lei girò appena la testa, sbattendo lentamente le ciglia. «Oh, è quello che spero» sussurrò.
Per quella serata, Tony aveva noleggiato un Hummer H2 Limousine, in modo che potessero andare tutti insieme, e il mezzo era già fermo davanti alla Stark Tower. Presero posto sui lussuosi divanetti in pelle e raccolsero per via il resto degli amici.
Il Beacon Theatre era strapieno di gente quella sera. Una sezione della platea era stata riservata ai VIP e Tony era in prima fila, con Victoria al suo fianco. Accanto e dietro di loro c’erano gli Avengers, con rispettive fidanzate. Le ragazze erano tutte meravigliose nei loro abiti da cocktail al braccio dei loro uomini in abito elegante.
«Ehi, Stark!»
Tony si voltò: Bruce Springsteen era a due passi da loro. I due si strinsero la mano.
«Ehi, Boss! Ti trovo in forma» aveva detto Tony e l’altro scoppiò a ridere.
«Sì, anche tu» rispose, guardando però Victoria.
«Carino!» esclamò Tony. «Ti sarei grato se la smettessi di rovistare nella scollatura di mia moglie». Springsteen si era allontanò con una risata e loro si accomodarono.
Quella sera, Tony era stato invitato al concerto che Sting aveva organizzato per il suo sessantesimo compleanno. L’uomo e la star britannica erano amici da tempo e Tony gli aveva chiesto se poteva portare un po’ di amici. Sting aveva acconsentito e ora erano tutti lì a godersi quella splendida musica e una carrellata di ospiti davvero notevole.
Quando Tony si scusò con Victoria dicendo di doversi assentare per qualche minuto, lei non ci fece caso. Non sapeva mai pienamente cosa gli frullasse per la testa. Pensava di essere ormai abituata alle sue stranezze, ma nel momento in cui lo vide comparire sul palco, rimase a bocca aperta.
«Figlio di puttana!» esclamò Rogers dietro di lei, e Victoria sorrise.
Tony salì sul palco a passi lenti e se ne impadronì immediatamente. Il pubblico lo riconobbe e gridò, mentre lui si inchinava davanti a Sting, baciandogli la mano.
La canzone era Driven to tears, un successo un po’ datato dei Police, che Victoria sapeva essere una delle sue favorite. Tony si voltò verso l’orchestra, applaudendo. Poi mise le mani in tasca, le strizzò l’occhio e iniziò a cantare. La folla esplose in delirio.
Tony si muoveva sul palco a ritmo con la musica mentre la sua voce, calda e graffiante, riverberava nel teatro.
«Ti hanno mai detto che tuo marito è piuttosto sexy?» le chiese sua sorella e Victoria annuì.
«Qualche volta!»
Tony saltellava sul palco e batteva le mani e Victoria vide i piccoli strass cuciti sulla sua giacca mandare bagliori: Tony Stark sapeva sempre come attirare l’attenzione su di sé.
La canzone arrivò al culmine, che lui e Sting cantarono insieme, allo stesso microfono. Poi, mentre Sting lo ringraziava della sua partecipazione, Tony gli fece un inchino e si girò verso l’orchestra, dandole lo stop. Poi si girò verso il pubblico, fece un secondo inchino e scivolò via dal palco.
Quando tornò al fianco della moglie, lei lo guardò stupita.
«Volevo farti una sorpresa» disse.
«Ci sei riuscito» replicò lei, sfiorandogli le labbra con un bacio.
Quando la festa terminò – dopo che le ragazze obbligarono Tony a presentarle ad un buon numero di star presenti – tornarono tutti a bordo della limo. Nonostante l’ora tardissima, Tony diede istruzioni all’autista di portarli alla Stark Tower.
«Come mai ci fermiamo lì?» chiese Jane.
«Ho una proposta da farvi».
Raggiunsero l’attico e si accomodarono sul divano, mentre Victoria serviva loro l’ultimo scotch o una tazza di caffè: lei sapeva cosa Tony si stava preparando a dire e sapeva che il caffè sarebbe stato necessario.
«Allora, di che proposta si tratta?» chiese Thor, mettendo un braccio intorno alle spalle di Jane.
«Credo di interpretare il pensiero di tutti quando dico che tre mesi fa, quando Loki ha preso le nostre donne, ci siamo sentiti tutti estremamente coinvolti».
Vide negli occhi dei suoi compagni che, per quanto lui fosse stato colpito più duramente, era stato lo stesso per tutti loro. Steve baciò la tempia di Beth e Bruce prese delicatamente la mano di Violet.
«È più che evidente che, in questo modo, finiamo per mostrare il fianco ai nostri nemici e non possiamo permetterci di essere così vulnerabili. Se non ci fossimo trovati tutti sull’Helicarrier dello S.H.I.E.L.D. quando Loki ha attaccato, non sarebbe riuscito a prenderle tutte».
«Che proponi?» chiese Steve.
Tony schioccò le dita e Jarvis accese il maxischermo.
«Ecco a voi Avengers Hall».
Le immagini sullo schermo ultrapiatto appeso al muro mostravano il progetto di un’enorme villa. Steve riconobbe l’abitazione di Malibu eppure c’era qualcosa di diverso: era molto più grande e articolata, almeno tre volte più grande di quanto già non fosse.
«Che significa?» chiese Bruce, osservando le immagini che scorrevano davanti ai suoi occhi: anche lui aveva riconosciuto solo in parte la villa sulla scogliera.
«La villa di Malibu potrebbe diventare il nostro quartier generale» disse Tony e le sue parole furono seguite da un lungo silenzio. «So che è un grosso passo per tutti, e capisco che possa disorientare, ma ci ho pensato a lungo e questo è il modo più semplice per proteggere ciò che amiamo».
«Fury lo sa?» chiese Natasha, girandosi verso di lui.
«Sì» annuì Tony. «Lo sa e approva. Secondo lui averci tutti in un unico posto renderebbe meno complicata la logistica. Ogni volta che ha bisogno di noi deve rintracciarci in capo al mondo».
Di nuovo tutti tacquero.
«Allora, che ne dite?» chiese alla fine.
«Non so» disse Steve. «Parli di vivere insieme, nella stessa casa, ventiquattr’ore su ventiquattro. Non credo che la tua faccia sia la prima che voglio vedere appena sveglio».
Tony sogghignò. «Nemmeno io voglio beccarti a gironzolare nudo per casa mia, credimi. In pratica sono cinque appartamenti separati – sei, se contiamo anche quello di Pepper – indipendenti al cento percento. Ci sono aree comuni per gli Avengers e per lo svago, ma ogni abitazione è a se stante».
«Credi davvero di riuscire a costruire quella cosa?» domandò Barton, indicando l’enorme villa.
«È possibile, fidati. Non ve l’avrei nemmeno presentata se non fosse fattibile».
Sedette sul bracciolo del divano, accanto a Victoria che gli si appoggiò alla coscia.
«Io e Tony dovremmo solo rinunciare a qualche metro quadrato di casa, ma ne abbiamo anche troppi» aggiunse la donna.
«E che ne sarà del nostro lavoro?» chiese Violet e Beth annuì: entrambe lavoravano a New York, una in un negozio di animali, l’altra come cameriera in un bar.
«Ci siamo permessi di muoverci anche in questo senso» intervenne Victoria. «C’è uno splendido negozio di animali in centro a Malibu che si sta preparando a vendere. È grande tre volte quello di New York» disse, rivolta alla sorella.
«Quanto a te» disse all’indirizzo di Beth, «la tua laurea in economia basta e avanza per qualsiasi posto alle Stark Industries e ce ne sarebbe uno vacante come assistente personale del responsabile marketing che si sta preparando a godersi la pensione e ha bisogno di qualcuno che lo sostituisca».
«Per te, invece, sempre che tu lo voglia» disse Tony a Jane, «c’è un posto come direttore della nuova sezione astrofisica delle Stark Industries. Avrai alle spalle la stabilità del gruppo per le tue ricerche e l’aiuto del dottor Banner e del sottoscritto per qualsiasi necessità». Indicò Thor con un cenno del capo. «E potrai tenerti tra i piedi questo bietolone che sembra piacerti così tanto» ridacchiò.
«A noi non hai pensato, eh?» chiese Barton.
«Oh sì, mio caro» replicò Tony. «Per te c’è un posto da direttore della sicurezza del gruppo, così che Happy possa tornare a concentrarsi solo ed esclusivamente sulla mia famiglia. E per la tua dolce metà» celiò, rivolto a Natasha, «sono sicuro che ha un curriculum talmente ricco che potrà fare ciò che vorrà nella mia azienda. Sono quasi sicuro che non abbiamo nessuno che parla latino tra i dipendenti».
«Memento audere semper [1]» disse la donna con il sorriso sulle labbra.
«Appunto! E comunque vostro compito sarà quello di mantenerci in contatto con lo S.H.I.E.L.D. e organizzarci in caso di chiamata».
Nessuno parlava nell’attico di Stark e lui pensò che forse aveva esagerato. In fondo non aveva alcun diritto di prevalere in quel modo, non poteva imporre ai suoi amici quel cambiamento di vita.
«Sentite» disse alla fine, schioccando di nuovo le dita e facendo spegnere il televisore, «non pretendo una risposta immediata. Pensateci su, so che per molti di voi è un cambiamento importante».
«Quando abbiamo pensato questa cosa» intervenne Victoria, «abbiamo considerato il benessere delle nostre famiglie, di quelle che già abbiamo e di quelle che verranno. La vostra forza è l’unione e stare tutti insieme ha degli innegabili vantaggi. Ma sentitevi liberi di decidere con la massima serenità, la nostra è solo una proposta».
Captain America alzò una mano e Victoria inarcò un sopracciglio. «Con la mano alzata? Sul serio, Cap?»
Beth ridacchiò.
«Dì pure» concesse Victoria, con il sorrisino indulgente di una maestra elementare.
«È proprio necessario chiamarla Avengers Hall?»
«Sì, quel nome non mi convince proprio» aggiunse Thor.
Tony sorrise: «Va bene. Il nome lo sceglieremo insieme ma, dato che la casa è mia e i soldi per l’ampliamento ce li metto io, avrò diritto all’ultima parola: non voglio trovarmi ad abitare alla Cap House o a Midgard Manor!»
«E potrò portare Lilly?» chiese Violet, riferendosi al suo Yorkshire.
«Basta che non venga a fare i suoi bisognini nel mio laboratorio».
«E potremmo scegliere noi l’arredamento interno?» domandò Jane.
«Certo. Sarà casa vostra a tutti gli effetti»
«E potremo usufruire della piscina?» s’informò Beth.
«Sì, quella fa parte delle aree comuni».
«E potrò avere un laboratorio tutto mio?» volere sapere Jane.
«Sì, non penso sia un problema». Tony cominciava a perdere la pazienza di fronte a quel bombardamento di domande e si alzò in piedi, bloccando Natasha che stava aprendo bocca.
«E se vuoi le pareti della tua stanza dipinte di color rosa confetto, per me va bene» disse e tutti scoppiarono a ridere.
Victoria rise con loro ed ebbe una sorta di visione sul futuro. Vide la villa, grande e maestosa così come le era apparsa la prima volta che aveva visto i nuovi progetti di Tony. Vide se stessa, a fianco dell’uomo che amava, in compagnia degli Avengers. E vide una schiera di ragazzini correre sul prato e giocare in piscina: erano i loro figli, fratelli di sangue o solo di giochi della sua Elizabeth.
, pensò, questo futuro non è per niente male.

L'idea di Tony Stark che partecipa al compleanno
di Sting nasce da un fatto realmente accaduto,
ossia la partecipazione di Robert Downey Jr alla suddetta festa,
dove canta davvero Driven to Tears.
Se voleve godervelo, il video è su Youtube.
Arrivederci!

 
 

[1] Ricorda di osare sempre
  
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