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Autore: GretaCrazyWriter    18/10/2014    4 recensioni
Mia prima storia Malec. Parla di Magnus e Alec, le stesse persone che conosciamo, ma l'universo non è più quello creato dalla Clare.
E' una Malec!Sherlock (e intendo la serie tv), con Magnus come Sherlock ed Alec come John.
In pratica, è la rivisitazione della serie tv in versione Malec (con qualche piccolo - o grande - accorgimento per adattarlo alla Malec).
Può essere letta da chiunque, ovviamente.
Spero che vi piaccia.
Genere: Angst, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Uno studio in rosa
Capitolo 4
Il taxi si fermò poco tempo dopo, quando la notte era già calata da un pezzo, in una strada malandata, davanti ad un gruppo di case abbandonate. Quella che doveva ospitare la scena del crimine era evidente a distanza. Le macchine della polizia erano parcheggiate tutto attorno all’edificio, circondato da agenti che si muovevano entro i confini del nastro posto per tenere lontani i passanti curiosi. L’unico punto di accesso era sorvegliato da una donna in tenuta da poliziotta, con lunghi e ricci capelli neri e la pelle color cioccolato. Fu proprio verso di lei che Magnus, una volta uscito dalla macchina, si diresse con passo baldanzoso, seguito da Alec.
«Ho sbagliato qualcosa?» chiese mentre camminavano l’uno a fianco all’altro.
Alec sospirò. «Io e mio padre non siamo mai andati d’accordo.» Deglutì, incerto se proseguire o meno. «I miei genitori si sono lasciati pochi mesi fa, hanno divorziato. E sì, Robert ha il vizio del bere.»
«Quindi ho fatto giusto.» fece l’altro, compiaciuto. «Non mi aspettavo di avere ragione su tutto.»
Alec sbuffò, fermandosi e voltandosi verso di lui. «Si può sapere che ci faccio io qui?» sbottò.
Magnus proseguì dritto senza nemmeno rispondergli, parendo troppo preso dalle proprie capacità deduttive per potergli parlare.
«No, sul serio, che ci faccio io qui?» insistette Alec, seguendolo, nel momento stesso in cui arrivavano davanti alla donna all’entrata.
«Ecco quello strambo.» fece lei, roteando gli occhi in direzione di Magnus.
«Devo vedere l’ispettore Herondale.» fece lui, senza sentire l’appellativo con lui l’aveva chiamato l’agente, o più probabilmente senza curarsene.
Il sorriso canzonatorio di lei scomparve, e si accigliò. «Per quale motivo?»
«Sono stato invitato.» Nella voce dell’altro c’era l’arroganza tipica di chi sa di avere il potere di fare ciò che aveva intenzione di fare.
«Per quale motivo?» ripeté la poliziotta.
«Penso che voglia che io dia un’occhiata qui.» Fece un cenno con la testa verso l’edificio alla loro destra, e stringendosi nelle spalle come a dire “Che ci vuoi fare?”.
«Beh, sai come la penso io?» fece lei, parendo quasi arrabbiata.
«Sempre, Sally.» Le baciò la guancia e, approfittando dello sconcerto che quel gesto aveva causato, passò sotto il nastro. Quando si voltò verso Alec e l’agente – Sally, a quanto pareva – aveva un leggero sorrisino stampato in faccia. «So anche perché non sei tornata a casa l’altra sera.»
«Ah, io…» iniziò lei, spiazzata, per poi bloccarsi quando Alec fece un passo avanti con l’intento di oltrepassare il nastro. Gli posò la mano sul petto, per bloccarlo. «E lui chi diavolo è?»
«Un mio collega,» disse Magnus. «Il dottor Alec Lightwood.» Si rivolse ad Alec:.«Alexander, le presento il sergente Sally Donovan.» Las guardò con il capo inclinato. «Una vecchia amica.»
«Un collega?» fece lei, fissandolo incredula. «Come mai ti hanno assegnato un collega? Ti ha per caso seguito a casa?» chiese, come se Alec fosse un marmocchio fastidioso.
Quest’ultimo si accigliò, e guardò Magnus, accorgendosi che l’espressione di pacata nonchalance di poco prima stava cominciando a cedere il passo all’irritazione. Prevedendo aria di guai, decise di intervenire. «Va bene, posso restare qui, non c’è…»
«No.» disse Magnus, deciso. Afferrò il nastro e lo sollevò per lasciar passare Alec, il quale non poté far altro che assecondarlo.
Intanto, Donovan aveva preso il walkie talkie e stava parlando, presumibilmente con uno dei suoi colleghi. «E’ arrivato quello strambo, lo faccio entrare.» Alec rimase sorpreso della punta di irritazione che provò sentendo il nomignolo che la donna aveva dato a Magnus.
Mentre si avvicinavano alla porta d’ingresso dell’edificio, un poliziotto con indosso un camicie di plastica di protezione e dei guanti, anch’essi di plastica, venne loro incontro. Aveva capelli scuri, zigomi sporgenti, il volto contorto in un’espressione arcigna. Fissava Magnus come si potrebbe fissare un cimice spiaccicato sotto la scarpa. «Ah, tenente Anderson.» fece questi, in segno di saluto.
«E’ una scena del crimine.» ribatté l’altro, con voce minacciosa. «Non voglio che venga contaminata, chiaro?»
«Chiarissimo.» L’interpellato studiò l’agente – Anderson – con un velato interesse. «Tua moglie starà via ancora per molto?»
«Oh, non pretendere di aver azzeccato la cosa.» disse l’altro, acido. «Te l’ha detto qualcuno.»
Magnus sbuffò. «Me l’ha detto il tuo deodorante.»
«Il mio deodorante
«E’ maschile.»
«Certo che è maschile, l’ho addosso io.» disse Anderson, esasperato come se stesse parlando ad un bambino ritardato.
«E anche il sergente Donovan.» Il tenente, a quelle parole, si voltò di scatto verso Donovan, che intanto si era avvicinata e che in quel momento pareva pentirsene, ma, quando Magnus parlò di nuovo, riportò l’attenzione su di lui. «Posso entrare?»
«Senti» ringhiò Anderson. «Se vuoi insinuare qualcosa…»
«Non voglio insinuare nulla. Sono certo che Sally sia passata per una chiacchierata...» Mentre parlava, li aggirò e si diresse verso l’entrata. «…e che sia finita per rimanere da te tutta la notte.» La sua voce si fece leggermente acida mentre si voltava un’ultima volta verso di loro. «E presumo che ti abbia lucidato i pavimenti, a giudicare da come sono conciate le sue ginocchia.» Detto questo, si voltò ed entrò nella casa. Dopo un attimo di esitazione e dopo aver guardato i due poliziotti che si scambiavano occhiate scioccate, Alec si affrettò a seguirlo. 
 
 
***
 
 
Entrarono in una stanza vicino all’entrata in cui si trovava un gran numero di gente della polizia. Magnus si diresse verso un tavolo su cui erano appoggiate varie divise simili a quella di Anderson. Lì, Will Herondale li aspettava.  «Deve indossare uno di questi.» disse, facendo un gesto con la mano verso il tavolo a fianco a sé. Afferrò uno dei camici, iniziando ad infilarselo, e così fece Alec. Fu solo in quel momento che l’ispettore parve accorgersi della presenza di quest’ultimo. «Lui chi è?» chiese.
«E’ con me.» rispose Magnus con voce asciutta.
«Ma chi è?»
«Ho detto che è con me.»
Will scosse la testa, apparentemente troppo stanco per rispondergli a tono. «Lei non indossa un camice?»
Invece di rispondere, Magnus chiese: «Dove dobbiamo andare?»
L’altro si accigliò, ma apparentemente era abituato a quel suo modo di fare, e rispose. «Al piano di sopra.»
Mentre salivano velocemente le scale traballanti, Will, che li precedeva, disse: «Vi concedo due minuti.» fece una pausa, come aspettandosi una replica di Magnus, che non tardò ad arrivare. «Potrebbe servirci di più.»
Lui scosse la testa. «Due minuti.» Un'altra pausa, mentre svoltavano un corridoio e imboccavano una nuova rampa di scale. «Si chiamava Jennifer Wilson, secondo i dati sulla carta di credito. Ora stiamo verificando gli altri dati personali.» Entrarono in una stanza. «Non è qui da molto. L’hanno trovata dei ragazzini.»
L’agente si fece da parte, in modo che loro potessero vedere ciò che c’era all’interno della piccola camera. Era  completamente spoglia, la carta da parati scrostata e il pavimento scheggiato. In confronto a quello spazio tetro, il corpo steso a terra era fin troppo appariscente, con quei vestiti rosa shocking, i capelli biondissimi che vi risaltavano contro e la macabra posa che la morte gli aveva dato. La donna non poteva avere più di una trentina d’anni. Alec deglutì. Aveva visto tante volte la morte, fin troppe, ma questo semplicemente era in qualche modo diverso.
La voce di Magnus ruppe quello stato di immobilità. «Silenzio.» disse, con voce scocciata ma pacata, rivolgendosi a Will.
«Non ho detto nulla!» fece questi, sulla difensiva.
«Stava pensando.» disse l’altro con sufficienza «Mi infastidisce.»
L’uomo assunse un’espressione corrucciata, solo leggermente smarrita. Era ovvio che fosse abituato a lavorare con Magnus.
Quest’ultimo intanto si era avvicinato al cadavere, infilandosi dei guanti e accovacciandovisi a fianco. «Rache...» mormorò, fissando qualcosa sul pavimento, vicino alla mano sinistra della donna. Alec strinse gli occhi, cercando di vedere cosa guardasse, e finalmente riuscì a vedere la scritta, posta a fianco della testa e coperta in parte dai capelli biondi. “RACHE”, diceva.
Intanto Magnus stava esaminando il cadavere, esaminando ogni cosa nei più piccoli particolari.
Dopo un po’, Will parlò. «Trovato nulla?»
Magnus si alzò, togliendosi i guanti. «Non molto, purtroppo.» sospirò.
«E’ tedesca.» disse una voce, dietro di loro. Alec si voltò, trovando Anderson appoggiato allo stipite della porta, le braccia conserte. «”Rache” in tedesco significa “vendetta”. Probabilmente cercava di dirci qualcosa…»
Fu interrotto da Magnus, che lo spinse via, come se fosse un moscerino irritante, e gli chiuse la porta in faccia, dicendo:  «Sì, grazie del suggerimento.»
«Quindi è tedesca?» chiese Alec, parlando per la prima volta da quando erano entrati.
«Certo che no.» disse Magnus con ovvietà, voltandogli le spalle. «Però viene comunque da fuori. Aveva programmato di stare a Londra per una sola notte, prima di ritornarsene a casa a Cardiff. Più ovvio di così.»
«Ovvio?» Il tono incredulo di Will fece voltare Magnus. «E che mi dice del messaggio?»
«Dottor Lightwood, cosa ne pensa?» chiese l’investigatore privato.
«Del messaggio?» fece Alec, leggermente spaesato.
«Del corpo.» rispose Magnus. «Lei è un medico.»
«Ma abbiamo un intera squadra della Scientifica!» protestò con forza l’ispettore.
«Non lavorano con me.» Fu la semplice risposta.
Will contrasse la mascella. «Ho contravvenuto alle regole facendovi venire qui.» 
«Certo.» lo interruppe l’altro. «Perché ha bisogno di me.»
l’ispettore sospirò rumorosamente. «Sì,» ammise. «E’ vero.» Incrociò le braccia, appoggiandosi alla parete, come se quello fosse l’unico muto segno di protesta che gli era permesso, almeno con Magnus. Alec provò un moto di simpatia verso Will. Non doveva essere facile ritrovarsi a chiedere aiuto a qualcuno di così saccente.
«Dottor Lightwood!» disse questi, alzando la voce e ridestandolo dai propri pensieri.
In cerca di un assenso, si voltò verso l’ispettore, che scosse la testa. «Faccia pure quello che le dice di fare.» disse, prima di uscire a grandi passi dalla stanza. Sentirono la sua voce parlare un’ultima volta. «Anderson, tieni lontani tutti per un paio di minuti.»
Si accovacciarono uno ad entrambi i lati del corpo steso a terra, Alec appoggiando il bastone a fianco a sé.
«Allora?» fece Magnus, impaziente.
«Che ci faccio io qui?» chiese Alec, invece di rispondergli. Si stava ponendo quella domanda da quando erano arrivati.
«Mi aiuta a chiarire una cosa.» disse Magnus con semplicità.
«Avrei dovuto aiutarla a pagare l’affitto.» rispose Alec, duro. Stava iniziando a stancarsi dell’atteggiamento del suo nuovo coinquilino.
«Sì, ma questo è più divertente.» disse Magnus, sporgendosi in avanti verso di lui.
«Divertente?» fece Alec, incredulo, facendo un gesto verso il cadavere tra loro. «C’è una donna morta stecchita.»
«Analisi inappuntabile.» fu la risposta.  «Ma mi sarei aspettato che verificasse meglio le cose.»
Alec strinse i denti, ma si chinò comunque sul corpo, iniziando ad esaminarlo, proprio mentre Will rientrava nella stanza, osservando,li a braccia incrociate.
Quando finì l’esame, si raddrizzò, alzando il volto verso Magnus. «Possibile asfissia.» diagnosticò. «Morta soffocata dal suo stesso vomito. Non sento traccia di alcol. Potrebbe essere stato un colpo apoplettico. Forse della droga.»
«Lo sa cosa è stato.» disse Magnus, lentamente. «Ha letto il referto.»
«Beh,» fece Alec, con una leggera scrollata di spalle. «E’ una dei suicidi. La quarta?»
«Magnus,» intervenne Will, deciso. «Ho detto due minuti. Mi dica tutto ciò che sa.»
L’interpellato sospirò, e senza nemmeno guardare l’ispettore, tenendo lo sguardo fisso sul cadavere, iniziò a spiegare. «La vittima ha trent’anni. È una professionista, a giudicare dagli abiti. Suppongo lavori per i media, a giudicare da quell’accesa tonalità di rosa.» Mentre parlava, si era alzato, seguito da Alec, ed ora stava percorrendo avanti e indietro il perimetro della stanza. Sembrava che ora più che spiegare a loro stesse riflettendo tra sé e sé, come se avesse dimenticato di essere in una stanza con altre due persone. «Arrivata oggi da Cardiff, intendeva rimanere a Londra per una sola notte, a giudicare dal suo bagaglio.» Uscì dalla stanza, senza smettere di parlare.
«Bagaglio?» chiese Will, perplesso, seguendolo insieme ad Alec.
Magnus si fermò e si voltò verso di lui. «Bagaglio, sì.» disse. «Sposata da più di dieci anni, ma non felicemente. Ha avuto diversi amanti, ma nessuno di loro sapeva che era sposata.»
«Oh, per carità di Dio,» sbottò Will, incredulo. «Se ti stai inventando tutto…»
«La fede nuziale,» spiegò Magnus, interrompendolo ancora prima che potesse terminare la frase. «Vecchia almeno di dieci anni. Il resto dei gioielli sono stati accuratamente lucidati, ma non la sua fede nuziale. Lo stato del matrimonio è chiaro. L’interno dell’anello è più lucido rispetto all’esterno. Significa che veniva regolarmente tolto, e si lucidava automaticamente quando se lo toglieva dal dito. Ma non per lavoro. Guardate le unghie. Non faceva lavori manuali. Quindi per cosa, o piuttosto per chi, si toglieva l’anello? Sicuramente non un amante, visto che non sarebbe mai riuscita a fingere così a lungo di essere single, quindi diversi amanti. Semplice.»
«Stupefacente.» disse Alec, senza riuscire a trattenersi. Sia Magnus sia Will si voltarono a fissarlo, e lui arrossì. «Scusate.» fece, maledicendosi.. perché diavolo aveva parlato?
«E’ ovvio, vero?» chiese Magnus, e pareva sinceramente aspettarsi una risposta affermativa. Alec quasi si sentì in colpa nel rispondere: «Non lo è per me.»
Ma il senso di colpa scomparve rapidamente, quando l’altro fece: «Buon Dio, ci si deve annoiare a morte, con dei buffi cervellini come i vostri.» Si voltò verso Will. «Il suo cappotto! È leggermente umido. Deve essere rimasta sotto la pioggia nelle ultime ore. Non ha piovuto a Londra in quel lasso di tempo. Anche il bavero del cappotto è umido. L’aveva usato per ripararsi dal vento. Aveva un ombrello nella tasca sinistra, ma è asciutto, non è stato usato. Non semplice vento, quindi, ma un vento forte, troppo per poter usare l’ombrello. Sappiamo dal bagaglio che intendeva rimanere qui per la notte, quindi deve venire da fuori città. Ma non ha viaggiato più di due o tre ore, perché il cappotto non si è ancora asciugato, quindi… dove si sono avuti forte pioggia e forte vento nelle ultime ore?» Estrasse il cellulare, facendolo vedere ad entrambi. Era aperto sulla pagina del meteo di Cardiff. «Cardiff.»
Di nuovo, Alec parlò prima di riuscire a trattenersi. «Fantastico.»
Magnus roteò gli occhi verdi dorati verso di lui. «Lo sa che l’ha detto ad alta voce?» disse, ma sembrava comunque compiaciuto.
«Mi dispiace, sto zitto.» 
«No,» fece Magnus, e sembrò calmare leggermente la propria foga, mentre lo fissava con il capo inclinato. «Va… benissimo.»
«Perché continua a parlare di bagaglio?» chiese Will, interrompendo lo scambio di sguardi.
«Già…» disse Magnus, e si voltò verso di lui. «Dov’è finito?» si diresse di nuovo verso la porta. «Deve aver avuto un cellulare o un palmare.» continuò. «Troviamolo… e scopriamo chi è Rachel.»
«Stava scrivendo “Rachel”?» domandò Will.
L’altro si voltò verso di lui, e gli si avvicinò. «No.» disse. «Ci stava lasciando una nota piena d’ira in tedesco. Certo che stava scrivendo “Rachel”, non potrebbe essere altrimenti.» si avvicinò di nuovo al cadavere. «Il problema è: perché ha atteso di essere in punto di morte prima di scriverlo?»
«Come fa a sapere che aveva un bagaglio?» chiese per l’ennesima volta l’ispettore, e finalmente Magnus rispose. «Guardi la gamba destra.» Indicò con la mano l’arto pallido. «Piccoli schizzi sul calcagno destro, e sul polpaccio, ma nulla sul lato sinistro. Aveva un trolley che si tirava indietro con la mano destra. Si vede bene dalla disposizione degli schizzi. Un trolley piccolo, vista la distribuzione. Una valigia così piccola per una donna così chic… è chiaro che sarebbe rimasta a dormire per una sola notte.» Si chinò di nuovo sul corpo. «Dov’è la valigia? Che cosa ne avete fatto?»
«Non c’era nessuna valigia.» fu la risposta secca di Will.
A quel punto, Magnus si alzò, voltandosi lentamente a guardarlo. «Come, prego?»
«Non c’era una valigia.» ripeté l’ispettore. «Non c’è mai stata una valigia.»
L’altro lo fissò un attimo, per poi dirigersi spedito verso la porta, uscendo dalla stanza, iniziando a percorrere i corridoi e a scendere le scale e chiedendo a gran voce: «Una valigia! Qualcuno ha trovato una valigia? C’era una valigia in questa casa?»
«Magnus!» lo chiamò Will, da l pianerottolo di sopra, dove ancora si trovava insieme ad Alec. «Non c’è nessuna valigia!»
Questi si voltò verso di lui, sbottando. «Ma prendono il veleno spontaneamente, ingoiano le pillole per conto loro. C’erano segni evidenti, nemmeno a voi potevano sfuggire.» Iniziò a scendere rapidamente le scale, e Will dovette sporgersi per parlargli, le mani appoggiate sulla balaustra, e Alec fece lo stesso. «Sì, beh, gentilissimo. E?»
Magnus si fermò, finalmente, inclinando la testa per guardare in alto, verso il suo interlocutore. Si trovava su un pianerottolo insieme a vari poliziotti, che lo guardavano come se fosse pazzo. «Sono tutti casi di omicidio. Non so spiegarlo, però. Ma non sono suicidi. Sono omicidi, omicidi seriali.» Si sfregò le mani. «Abbiamo un serial killer! Fantastico! Le sorprese non finiscono mai.» Riniziò a scendere le scale.
«Come fai a dirlo?» chiese Will, sporgendosi ancora di più e alzando la voce fin quasi a gridare per farsi sentire dai piani che li separavano.
«La sua valigia!» Magnus non si fermò nemmeno, mentre rispondeva. Continuò semplicemente a scendere. «Andiamo, dov’è la valigia? Se l’è mangiata? C’era qualcun altro, qui, qualcuno che le ha preso la valigia! Quindi il killer è venuto qui in macchina e si è scordato di scaricare la valigia.» A quel punto, si era di nuovo fermato, e stava rivolgendo loro uno sguardo esasperato.
«Magari era andata in un hotel e ha lasciato lì la valigia.» rispose Alec, e Will gli lanciò uno sguardo grato, come se anche quel minimo supporto lo facesse sentire meno stupido come Magnus li faceva sentire tutti.
«No,» rispose quest’ultimo. «Non è mai arrivata all’hotel. Guardale i capelli! Mette rossetto e scarpe dello stesso colore! Non sarebbe mai uscita da un hotel con i capelli ancora…» Si bloccò di scatto, alzando le mani come a chiedere il silenzio, e spalancando gli occhi da gatto. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, senza apparentemente riuscire a formulare parola. Si battè le mani davanti al viso, come giunto ad un’illuminazione divina.  
«Magnus?» chiese Alec, iniziando a preoccuparsi.
«Che succede, che c’è?» aggiunse Will.
«E’ sempre dure con i serial killer.» disse Magnus, quasi in modo assente. «Devi sempre aspettare che facciano un errore.»
«Non possiamo aspettare!» sbottò l’ispettore.
«No!» assentì Magnus, mentre ricominciava a scendere i gradini. «Basta aspettare! Osservala, osservala per bene! “Houston, abbiamo un errore”! Andaste a Cardiff! Trovate amici e parenti di Jennifer Wilson. Trovate Rachel!» Ormai  era arrivato alla fine delle scale.
«Sì, certo» fece Will, con fare accondiscendente. «Ma… che errore?»
Magnus si sporse di nuovo per farsi vedere. «Rosa!» fu tutto ciò che rispose, prima di voltarsi e correre via come se avesse avuto il fuoco sotto i piedi.
 
 
***
 
 
Uscito all’esterno, Alec si guardò intorno, ma di Magnus non c’eras traccia.
«Dannazione.» imprecò con uno sbuffò. «Se n’è andato.»
La voce del sergente Donovan lo riscosse, facendolo voltare verso di lei. «Chi, Magnus Bane?» Annuì. «Sì, è appena partito. Lo fa spesso.»
«Secondo lei tornerà?» chiese Alec con una punta di speranza.
«Non ne sembrava intenzionato.» fu tutto ciò che ottenne. Non che non se lo fosse aspettato. Da ciò che aveva capito di Magnus, era così che andavano le cose, quando passavi il tempo con lui.
Si morse un labbro, indeciso. «Bene.» sospirò. Guardò di nuovo la donna davanti a sé, ora intenta in un’accesa conversazione con un passante. «Scusi… dove siamo?»
«A Brixton.» rispose lei, tornando a guardarlo.
«Sa dove potrei rimediare un taxi?»
Lei si diresse verso il nastro divisorio, alzandolo per permettergli di passare. «Provi sulla strada principale.» disse.
«Grazie.» Mentre si accingeva ad andarsene, la voce di lei lo richiamò.  «Però lei non è suo amico.» Alec si fermò, senza voltarsi a guardarla. «Lui non ha amici. Quindi lei chi è?»
«Io…» iniziò Alec in imbarazzo, voltandosi finalmente verso di lei. «Io non sono nessuno, l’ho appena conosciuto.»
«Okay, allora le do un consiglio.» disse Donovan, e lo fissò negli occhi, con sguardo fermo. «Stia alla larga da lui.»
«Perché?»
Donovan emise una risata gelida. «Sa perché si trova qui? Non è che lo paghiamo, eh! È solo che gli piace. Si eccita con queste cose. Più il caso è strano, più è eccitato. E sa una cosa?» chiese, e, senza attendere risposta, continuò. «Un giorno non gli basterà più venire qui. Un giorno troveremo un cadavere e sarà stato Magnus Bane a mettercelo.»
«E perché mai dovrebbe farlo?» chiese Alec, spiazzato, aggrottando la fronte. Magnus era la persona più strana che avesse conosciuto, ma non gli aveva mai dato, nelle poche ore in cui l’aveva visto, l’impressione di essere un assassino.
«Perché è uno psicopatico.» La risposta arrivò più diretta e dura di quanto si fosse aspettato. «Gli psicopatici si annoiano.»
«Donovan!» la voce di uno degli agenti interruppe il discorso del sergente.
«Arrivo!» rispose questi, e iniziò ad allontanarsi da Alec, per poi fermarsi all’ultimo minuti, e voltarsi verso di lui. «Stia lontano da Magnus Bane.» disse, poi rientrò all’interno dell’edificio, lasciando Alec solo, con l’unico eco di quelle parole che non volevano andarsene dalla sua mente.
 
 
 
 


 
ANGOLO AUTRICE:
Dunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Non ho avuto molto tempo per scriverlo, anzi, solo poche ore, causa scuola e impegni vari, ma spero che non faccia totalmente schifo. Ringrazio come sempre tutti i coraggiosi che seguono la mia storia e che trovano il tempo di recensire. Vi adoro tutti.
E… niente, non ho niente da dire, anche perché sono talmente stanca che rischio di mettermi a vaneggiare.
 
 
Greta
  
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