Anime & Manga > Inazuma Eleven
Segui la storia  |       
Autore: Melabanana_    19/10/2014    3 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buongiorno! :) L'ultima parte di questo capitolo l'avevo in programma da un bel po' -in effetti l'avevo scritta un mesetto fa, poi l'ho modificata per collegarla alla parte scritta ieri, in modo che non ci fossero incoerenze. In questo periodo, visto che sono finalmente libera dagli esami, cercherò di aggiornare tutto ciò che posso, quindi credo che possiate aspettarvi anche il prossimo capitolo di Fairytale, magari tra qualche giorno. Intanto, buona lettura! ♥


Qualche mattina dopo, quando uscii dalla doccia, trovai un post-it attaccato alle mie scarpe: Diam aveva scarabocchiato un messaggio con la sua scrittura incomprensibile, da cui riuscii a capire solo che dovevo scendere in mensa il prima possibile.
A dispetto di tutti e senza chiedere il permesso a nessuno, Diam si era impossessato di metà della stanza che doveva essere mia e di Kazemaru. Non avevo più provato a parlare con Kazemaru dopo quello che era successo nella sala addestramenti e Diam non aveva più riaperto l’argomento. Era difficile dire con certezza cosa ne pensasse; lui e Kazemaru s’incrociavano di rado e in quelle occasioni sembravano ignorarsi a vicenda, pacificamente.
Accartocciai il messaggio di Diam nella tasca dei pantaloni e mi infilai le scarpe. Prima di uscire lasciai il mantello sulla sedia della scrivania, ma misi la pistola nella fondina.
Erano circa le dieci di mattina e la mensa era apparentemente vuota, ma potevo sentire la voce di Tobitaka provenire da dietro il bancone. Suonava esasperato e lievemente isterico.
-No… no! Avete fatto un disastro… non si mette la marmellata in frigorifero, dannazione!
Marmellata?
-Come? E dove si conserva allora?- chiese Maki ingenuamente.
-Intendevo… argh. Mi state facendo ammattire. Prima di tutto, l’avete fatta bollire troppo. Secondo, bisogna lasciarla raffreddare fuori, non potete metterla nel frigo mentre è ancora bollente. Non ha alcun senso! Guardate cosa è successo, guardate!
Feci il giro del bancone, curioso di dare un’occhiata anch’io.
Maki era seduta su uno dei ripiani, proprio vicino al largo frigorifero. Indossava un vestito a righe rosse e, accanto a lei, Diam stava su uno sgabello, con una gamba a ridosso dell’altra e pantaloni di un rosso brillante, quasi si fossero messi d’accordo per vestirsi uguali. Diam e Maki, un’accoppiata a dir poco scoppiettante: non mi sorprendeva che i nervi di Tobitaka avessero ceduto. Al di là dell’apparenza scorbutica ed introversa, Tobitaka era una persona paziente e comprensivo, a modo suo, ma non sopportava chi gettava caos nel suo regno, la cucina.
-E dai, sciogliti un po’! Il sapore è buono, non è questo che conta?- disse Diam con un largo sorriso.
-Cosa succede?- domandai, frapponendomi tra loro prima che Tobitaka lo prendesse a schiaffi.
Maki scese dal ripiano con un salto e mi abbracciò.
-Buongiorno!- esclamò. –Diam ed io ci stavamo annoiando, così abbiamo fatto qualche ricerca su internet e, pensa un po’, abbiamo trovato un sito di ricette fantastiche per fare la marmellata. Sei-chan ci ha prestato la cucina per fare degli esperimenti!
-Siete piombati qui all’improvviso e non avete seguito nessunissima ricetta- fece notare Tobitaka.
–Questo tipo insisteva che le ricette sono solo linee guida e ha fatto tutto di testa sua- aggiunse accusatorio, indicando Diam.
-Beh, non è così? Dai, Sei-chan, non dirmi che tu le usi davvero!- ribatté lui allegro.
-No, perché io so cosa sto facendo. E piantatela di chiamarmi con questo stupido soprannome.
-Ho un brutto presentimento riguardo al perché sono stato chiamato qui- intervenni.
Diam e Maki mi sorrisero.
-Vuoi assaggiarla? È deliziosa- disse la ragazza.
-Appunto, il brutto presentimento si è avverato…
Diam si alzò, mi mise un braccio intorno alle spalle e iniziò a trascinarmi verso il ripiano su cui era poggiato un inquietante barattolino di vetro.
-Ta-daa!- canticchiò il ragazzo. –Marmellata di prugne!
Maki mi ficcò un cucchiaino tra le mani, aprì il barattolo ed io guardai all’interno. La marmellata si era del colore dell’ambra, si era cristallizzata sui bordi in una spessa massa di zucchero, mentre sul fondo appariva rilucente e fluida. Mi girai verso Tobitaka, ma lui scrollò le spalle ed incrociò le braccia al petto con un’espressione rassegnata.
-Dai, Midorin, non la guardare così. Devi essere tu a mangiare lei, non lei a mangiare te- esclamò Maki.
-Lo spero- risposi. Sospirai, non potevo dire di no ai loro sguardi speranzosi. Infilai il cucchiaino nel barattolo e cercai di raschiarne un po’ il fondo, operazione che richiese non poco sforzo perché la marmellata era più collosa del previsto ed opponeva una strenua resistenza, alla fine riuscii nell’eroica impresa, estrassi il cucchiaino e me lo misi in bocca. Diam aveva ragione. Nonostante il pessimo aspetto, era davvero buona. Mi si sciolse in bocca e sentii subito il bisogno di prenderne ancora, ma non potevo rimettere il cucchiaino dentro dopo averlo leccato, per cui lasciai perdere.
-Allora?- mi esortò Diam. –Buona, vero?
-Un po’… appiccicosa, ma buona- ammisi, tranquillo. Maki si mise a saltare sul posto e a battere le mani, mentre Diam si girò trionfante verso Tobitaka.
-Io non ho mai detto che fosse cattiva- precisò l’aiuto-cuoco alzando un sopracciglio. –Le testuali parole sono state che “ha la consistenza del calcestruzzo fluido”.
-Il che non toglie che il sapore sia ottimo- ribatté Diam.
-No- convenne Tobitaka. –Ora, fuori di qui.- Indicò la porta con un gesto deciso.
Diam allargò le braccia in segno di resa e s’incamminò ridendo
-Okay, okay, ma dopo torniamo a trovarla!- esclamò.
-Non tornate mai più- gli disse Tobitaka. –Soprattutto lasciate in pace quella cosa.
-Ehi, non chiamarla così! E se poi ti sente?- lo rimbeccò Maki imbronciandosi, ma l’altro ne avuto abbastanza. Aspettò che Diam ed io fossimo usciti, poi la sollevò di peso passandole le braccia sotto le ascelle e la portò fuori. Maki si dimenò invano finché lui non la rimise a terra, al di là del bancone, rientrò in cucina e sbatté la porta.
Ci guardammo tra di noi. Diam scoppiò a ridere.
-Okay. Tempo di trovarsi qualcos’altro da fare- commentò, passandosi una mano tra i capelli. Notai che portava un polsino a scacchi e le sue unghie erano colorate di viola scuro. Maki si mise a lisciarsi le pieghe del vestito, che si era spiegazzato a causa del trasporto precipitoso. Qualcosa catturò la mia attenzione; senza pensarci troppo presi una delle sue mani e la studiai: anche sulle sue dita spiccavano le unghie smaltate dello stesso colore di Diam.
-Da quando siete così amici?- chiesi abbozzando un sorriso.
-Reina è occupata con Natsumi e le altre. Le sta aiutando a perfezionare alcune strategie, o non so esattamente… Con lei ci sono anche Zell e il capo di Diam. Mi hanno lasciata sola soletta… Poi stamattina Diam ha bussato e mi ha chiesto se mi andava di fare qualcosa. Il resto è storia- Maki sospirò e fece un gesto casuale con la mano.
-Sembrate andare molto d’accordo- osservai. Diam mi sorrise.
-Sei geloso, eh? Ma scommetto che Maki ha un po’ di smalto anche per te.
-No, grazie, passo.
Scoppiammo a ridere, poi Diam tornò serio ed incrociò le braccia al petto.
-Qui dentro sono tutti così noiosi. Si preoccupano solo del lavoro. Maki è l’unica che a darmi un po’ di soddisfazione…
-Siamo in un periodo critico. È ovvio che il lavoro venga prima di tutto- gli feci notare.
Diam fece un lungo sospiro.
-Sì, ma se ci togliamo tutto il divertimento prima ancora che lo faccia il nemico, che senso ha? Farsi una risata ogni tanto non vuol dire non fare il proprio lavoro. Vuol dire solo non volersi rovinare ogni minuto della giornata. Finché sono vivo, voglio vivere- disse. La sua voce era calma e seria. Riflettei sulle sue parole ed assentii.
-Credo che tu abbia ragione- osservai. Mi venne un’idea. –Vi va di fare due tiri a pallone?- suggerii, e il modo in cui i loro sguardi si illuminarono mi fece sorridere. Sembravano due bambini.
-Grandioso, ora abbiamo anche Midorin dalla nostra parte- esclamò Maki allegramente. –Che ne dite se arruoliamo anche Haruyan? Così possiamo fare un due contro due.
-Per me va bene. Haruyan è il tuo amico con il buffo fiore sulla testa?- chiese Diam curioso.
-Proprio lui- Maki ridacchiò –ma non chiamarlo così in sua presenza sennò succede il finimondo.
-È permaloso?
-Non ne hai idea. Cercherebbe di darti fuoco.
-Sembra simpatico- Diam fece uno strano sorriso guardando oltre le mie spalle. –Ehi, Reize, c’è il tuo ragazzo che avanza a ore dodici- mi avvisò.
Mi accigliai, sorpreso, e mi voltai per vedere Hiroto alla fine del corridoio. Il mio primo istinto fu di chiamarlo, ma stava parlando animatamente con la figlia del presidente Zaizen. Accanto a loro c’erano Hitomiko, Burn e Gazel.
-Che brutte facce- disse Maki, esprimendo a voce alta ciò che pensavo anche io.
-La rossa ha l’aria di una a cui è appena morto il gatto. Cosa sarà successo?- chiese Diam accigliandosi. Lo guardi torvo, perché talvolta la sua schiettezza risultava abbastanza sgradevole, e lui mi fece un fiacco sorriso di scuse. Non le doveva nemmeno a me, le sue scuse.
Tornai ad osservare Hiroto e lo trovai eccezionalmente pallido. Avevo i miei dubbi che stesse veramente bene, così come rispondeva a chiunque glielo chiedesse; dormiva e mangiava abbastanza, ma aveva sempre un’aria stanca, nervosa. Probabilmente era l’ansia a produrre quest’effetto. Hiroto era una persona molto ansiosa, anche se controbilanciava la cosa con una straordinaria abilità nel nascondere le sue vere emozioni. Anche in quel momento, qualunque cosa lo turbasse, nulla traspariva dalla sua espressione ferma e dal tono di voce calmo e modulato. Le sue mani erano appoggiate sulle spalle di Zaizen, senza farle pressione.
Lei sembrava effettivamente molto agitata, era impulsiva e non aveva paura di mostrarsi così com’era. La sua guardia del corpo, la ragazza coi capelli azzurri e la pelle caramellata di cui avevo scordato il nome, stava dietro di lei, distante appena qualche passo, e non le staccava gli occhi di dosso. Gazel fu il primo ad accorgersi della nostra presenza e si avvicinò.
-Midorikawa- disse, piano –ti stavo giusto cercando.
Sospirai, sapevo cosa voleva dire. Non avrei avuto il tempo di giocare a calcio.
-Cosa succede?- domandai.
-Pare che Garshield abbia mandato una sorta di ultimatum al presidente.
-Un ultimatum? E nessun media ne ha parlato? Com’è possibile?
-Il presidente ha ricevuto una lettera scritta con tanto di sigillo. Consegnata a mano da un misterioso ragazzo con un mantello. Si è introdotto nelle stanze del presidente, apparentemente disarmato, ma di fatto è morta una guardia e non sappiamo come. E non sappiamo ancora cosa ci sia scritto nella lettera, perché il presidente vuole che Seijurou sia presente quando l’aprirà.
-E nel frattempo ha fatto attenzione perché tutto ciò resti segreto- aggiunsi. Gazel annuì.
-Quindi è per questo che la Zaizen è così turbata- osservò Maki. –Poveretta, deve essere in pensiero per suo padre… Vorrà andare da lui subito, no?
-Immagino di sì- disse Gazel. –Non lo so, non capisco davvero ciò che prova. Non ho né un padre né un madre a cui fare riferimento.
Diam non commentò. Io e lui eravamo uguali a Gazel in questo. Maki lo capì e sospirò.
-Beh, sarebbe lo stesso con qualunque persona vi stia a cuore- mormorò.
-Comunque il punto è- continuò Gazel –che la Zaizen vuole andare da suo padre e Hitomiko non vuole lasciarla andare da sola. Visto che Seijurou deve andare là in ogni caso, Hitomiko pensa che sia meglio per lei aspettare che venga con noi non appena saremo pronti.
-Beh, cosa aspettiamo?- intervenne Diam.
-La polizia. Servono agenti per fare numero- rispose Gazel, poi assunse un’espressione pensierosa.
–Purtroppo le altre squadre che aspettavamo non sono ancora arrivate. L’arrivo era previsto per oggi, presto o tardi, ma dubito fortemente che faranno in tempo a raggiungerci sul posto.
-E chi andrà dei nostri?- non potei trattenermi dal chiedere.
Gazel mi guardò, forse ponderando se dirmelo subito o aspettare che ci arrivassi da solo, alla fine però decise che non aveva senso nascondermelo.
-Hiroto e Burn sicuramente, sono tra i più forti che abbiamo. Endou e Kazemaru, probabilmente, in fondo sono già fuori per il giro di ronda. Mi piacerebbe poter dire anche Kidou e Gouenji, ma loro sono già impegnati con i due Fubuki, quindi sono fuori per il momento. E Reina è occupata con Desarm e Raimon, quindi non c’è neanche lei- disse.
Sospirai: come avevo sospettato, non ero incluso nell’elenco. Non lo era nemmeno Maki, né la squadra di Hokkaido, il che escludeva Diam, ma loro due non parevano dar peso alla cosa. E Gazel naturalmente sarebbe rimasto alla base, se non altro perché aveva in programma una seduta di psicoanalisi con me.
-Ho l’impressione che il mondo stia andando a rotoli- brontolai.
Gazel mi lanciò un’occhiata penetrante.
-Non dire sciocchezze- disse. –Non è un’impressione.
 
xxx
 
Il corridoio degli uffici era immerso in un’atmosfera vivace e rumorosa, come accadeva sempre quando c’era qualcosa di cui (s)parlare. Le voci giravano più in fretta di una giostra in quel posto.
Durante la mattina Seijurou, Hitomiko e le altre persone nominate da Gazel avevano lasciato l’edificio, cosicché nella mensa, a pranzo, c’eravamo solo io e Gazel, Maki e Diam, Heat e Nepper, Clara, IC e IQ. Occupavamo a stento due tavoli, ma grazie a Nepper, Maki e Diam la stanza fu ugualmente animata di risate e battutine.
Nepper amava provocare Diam e Diam spesso cedeva alla tentazione di rispondere: se non li avessi visti veramente arrabbiati avrei detto che stessero litigando, invece era solo il loro modo di scherzare. IC, Heat ed io li seguivamo allegramente, sostenendo ora l’uno, ora l’altro. Al tavolo a fianco, Gazel ascoltava silenziosamente i lunghi discorsi di IQ sull’informatica, dando ogni tanto cenni di assenso, o interrompendolo per parlare con Clara.
Finimmo persino per mangiare la marmellata di prugne fatta da Maki e Diam, perché Tobitaka l’aveva messa nei piccoli muffin allo yogurt che ci portò alla fine del pasto.
-La mia piccolina è tornata- disse Maki portandosi un muffin vicino alla guancia e coccolandolo come un cucciolo. Diam rise e staccò un morso dal suo. Gazel ne assaggiò uno, curioso, e commentò impietosamente che aveva la consistenza del collante per mobili.
-Grazie, Sei-chan- disse Maki. Tobitaka alzò gli occhi al cielo, era chiaro che non li avrebbe mai più fatti entrare in cucina, armati o meno di ricetta. Spingendo il carrello colmo di piatti vuoti e tovaglioli usati, fece il giro del bancone, attraversò la porta della cucina e non tornò indietro. Gazel si alzò in piedi, scavalcò la panchina e mi afferrò un braccio.
-Andiamo- disse. Assentii e lo seguii.
-Reize, Reize, possiamo venire anche noi?!- esclamò Diam alzandosi dal suo posto.
-No- tagliò corto Gazel prima che potessi rispondere. –Anzi, state ben lontani dal mio ufficio.
Diam mise il broncio per un attimo, poi però fu distratto nuovamente da Nepper. Sperai che si fosse rassegnato; se si fosse presentato ugualmente in ufficio, Gazel non l’avrebbe presa bene. Magari gli avrebbe spillato la maglia ad una sedia, come aveva fatto una volta con Burn.
Mentre uscivamo, incrociammo Tachimukai, Toda e Tsunami. Stavano chiacchierando vivacemente tra loro vicino alla macchinetta; Toda aveva preso un caffè, mentre gli altri sorseggiavano quello che sembrava succo di frutta.
-Non so proprio come riuscite ad andare avanti con quello- rise Toda.
-Ehi, amico, qui dentro ci stanno un botto di vitamine- rispose Tsunami nel suo fortissimo accento di Okinawa. –Non so come tu faccia a bere quella roba. Ha un sapore orrendo di ferro, vero, Yuuki?
Tachimukai gli diede ragione. Stava appoggiato contro il muro in mezzo ai due amici e sorrideva, apparentemente a proprio agio: era di natura timida, ma Toda e Tsunami erano le persone a lui più vicine e quando era con loro sembrava sentirsi al sicuro, in qualche modo protetto.
Gazel gli si avvicinò ed interruppe i loro discorsi.
-Quelle fotocopie che ti avevo chiesto sono pronte?- domandò al castano, che si mise in fretta sull’attenti.
-S-sì, signore!- esclamò, serissimo.
-Bene. Portamele in stanza tra…- Gazel guardò rapidamente l’ora segnata sul display della macchinetta e poi tornò a rivolgersi a Tachimukai. –Tra mezz’ora nel mio ufficio, okay?
Tachimukai annuì con energia. Gazel si voltò e s’incamminò verso la propria stanza, io feci cenno di saluto ai tre ragazzi e lo seguii.
 
Gli impiegati dovevano aver finito da poco la pausa, perché rientrarono nei propri uffici ed il volume del loro vociare si abbassò poco a poco fino a trasformarsi in un bisbiglio e attraverso i muri si sentiva a malapena il ticchettio delle tastiere dei pc.
Gazel era seduto sulla scrivania a gambe incrociate, incurante dei fascicoli che lo circondavano. Teneva penne e matite ammassate in modo confuso in una tazza bianca sul davanzale della finestra e, come sempre, la stanza dava un’idea di disordine generale. Alcune sedie di legno pesante erano state messe in fila lungo la parete a lato della porta e nell’angolo vicino alla scrivania c’era un’alta abat-jour, tutte cose che non c’erano l’ultima volta che ero venuto.
Fissavo il retro del suo taccuino mentre parlavo: era un buon modo per non farmi intimidire dallo sguardo indagatorio di Gazel.
Mi aveva chiesto se facevo altri sogni oltre quelli che riguardavano il mio blocco.
-Non sogno ogni notte, ma quando succede, so che è quello- risposi. –Di recente l’ho fatto solo un paio di volte, però è diventato… incredibilmente concreto.
-Cosa vuoi dire?- mi domandò Gazel curioso.
-Ci sono più dettagli. Prima non era così, era tutto più… sfumato- tentennai. –I contorni degli oggetti erano più tenui, la porta più offuscata, insomma era una dimensione da sogno. Ora sembra reale, è una visione molto più vivida ed intensa.
Gazel si era messo a prendere appunti, assentendo o facendo ogni tanto un verso per indicare che stava ascoltando; come al solito, era velocissimo a scrivere ed impugnava la penna in modo strano, quasi all’estremità della punta, con la mano sinistra. Non mi sorprendeva che dopo un po’ dovesse fermarsi a sgranchirsi le dita.
Morivo dalla voglia di leggere cosa scriveva tutto il tempo nel blocchetto, ma Gazel si rifiutava fermamente di mostrarmelo, e anche se avesse accettato c’era anche una buona probabilità che sarei stato capace di decifrare la sua calligrafia.
-Cosa ne pensi?- chiesi, stufo di aspettare.
-Mmh, l'unica cosa che mi viene in mente è che il tuo blocco si stia indebolendo. Per caso hai notato se i tuoi poteri si sono rafforzati?
-Non mi pare... Be', non ci ho fatto caso. Non ho abbattuto nessuno ultimamente- dissi. -Posso dirti che non mi sento... diverso.
-Devi farci caso. Se il tuo blocco si indebolisce, ti avvicini alla verità- replicò Gazel, severo. -I sogni diventano più vividi perché smettono di essere sogni e diventano veri e propri ricordi. Inoltre, i tuoi poteri… S’interruppe e alzò lo sguardo verso la porta.
-I miei poteri cosa?- lo esortai, ma lui mi fece cenno di restare in silenzio. Dal corridoio provenivano rumori confusi, voci, o forse qualcuno che bussava con violenza alla porta. Gazel disintrecciò le gambe e scese dalla scrivania, lasciò il blocchetto e andò verso la porta. Lo seguii, lui aprì la porta lentamente e gettò un’occhiata nel corridoio. C’era qualcosa che non andava. Gli uffici erano tutti chiusi e da dentro si sentivano grida.
-Cosa succede?- esclamò Gazel, seccato. Qualcuno rispose che le porte erano bloccate e non potevano uscire. Gazel si accigliò e le studiò con attenzione; gli bastò un’occhiata alle serrature, i suoi occhi si spalancarono di sorpresa e subito tornò indietro, mi spinse dentro la sua stanza e serrò la porta dall’interno.
-Che stai facendo? Che succede?- lo interrogai, ansioso. –Non andiamo ad aiutarli?
-Sarebbe inutile. Qualcuno ha sciolto le serrature e ha bloccato le porte dall’esterno, così che nessuno potesse uscire. Forse non voleva intralci e, chiunque sia, è sicuramente meglio che quelli là restino chiusi dentro, dove sono più al sicuro di noi- affermò Gazel, passandosi nervosamente le dita tra i capelli che gli cadevano sulla fronte.
-Vorresti dire- sussurrai –che qualcuno di esterno si è introdotto nella base…?
La mia domanda restò senza risposta. Non ce ne fu il tempo: improvvisamente la porta davanti a noi fu squarciata da un’esplosione, che distrusse i muri a fianco e la scardinarono, lanciandocela addosso. Per fortuna Gazel ebbe la prontezza di afferrarmi per le spalle e buttarmi a terra, di modo che la porta volò sopra le nostre teste e oltre la scrivania, finì sugli archivi e abbatté alcuni mobiletti di ferro, che si schiantarono con un clangore, a cui si aggiunse il fragore delle sedie di legno che si rovesciavano a terra. Il rumore si ripeté come un eco per alcuni secondi e, solo quando l’intensità di quella vibrazione diminuì, riuscimmo a percepire i passi di una persona che avanzava.
Stordito, alzai il capo a fatica e guardai oltre le spalle di Gazel. Davanti a noi c’era un misterioso ragazzo che indossava una mantella; un cappuccio gli copriva il volto, rendendo impossibile leggerne l’espressione, ma sicuramente non era amichevole considerata la lunga spada che impugnava nella mano sinistra. La destra era ancora sollevata, fumante. Era un drifter.
-Merda- soffiò Gazel.
-Mi sa che ce l’ha con noi- dissi, rotolai sul fianco trascinando Gazel con me, così da evitare per un soffio la lama che si era mossa verso di noi. Riuscii anche a tirargli un calcio, che andò a vuoto ma lo costrinse ad indietreggiare per scansarsi.
Gazel approfittò del momento per alzarsi e trascinarmi con sé sotto la scrivania, nella fretta fece anche cadere il blocchetto, alcuni fogli e il tagliacarte che li teneva fermi.
Un secondo dopo, l’incappucciato girò su se stesso e affettò l’abat-jour, la cui parte di sopra piombò a terra, la lampadina andò in frantumi esalando un’ultima scintilla di vita. Gazel si coprì le orecchie d’istinto a causa dello schianto, io distinsi a stento il grugnito seccato dell’aggressore, che probabilmente non era molto contento di averci mancato. Fece un paio di passi verso di noi, vedevo le sue scarpe muoversi sotto il mantello marrone.
-Ehi, tu! Che diavolo stai facendo qui?!
Gazel sussultò e si sporse verso fuori. -Cazzo, non ora- sibilò. –Me n’ero dimenticato…
Mi chinai a mia volta e intravidi Tsunami, Toda e Tachimukai sulla porta; il più piccolo, tremante come una foglia e con le mani piene delle fotocopie che Gazel gli aveva ordinato di portare, strillò fissando un punto del pavimento. Chi da un lato e chi dall’altro seguimmo il suo sguardo e notammo delle macchie rosso scuro vicino alla lampada spezzata. Gazel bestemmiò, accorgendosi solo in quel momento del graffio sul proprio braccio: si era tagliato per sbaglio col tagliacarte quando era stato costretto a nascondersi precipitosamente sotto la scrivania.
Ma ovviamente i ragazzi non potevano saperlo.
-Cos’hai fatto a Gazel?!- gridò Toda, parandosi fra l’intruso e Tachimukai, mentre Tsunami, più propenso all’azione che al pensiero, afferrava una delle pesanti sedie di legno e la scagliava nella stanza. L’altro, tuttavia, la scansò facilmente, lasciando che si schiantasse rovesciata sul pavimento con ulteriore fracasso, e prese ad avanzare verso di loro. Toda si girò, pronto ad imitare l’esempio dell’amico, ma prima che potesse afferrare una sedia da poter usare come arma l’incappucciato lo colpì: la lama della spada squarciò i vestiti e affondò nella cassa toracica, tagliandola come fosse stata burro e non carne ed ossa, poi venne sfilata con eleganza.
Il tempo sembrò fermarsi per un attimo mentre tutti fissavamo a bocca aperta la ferita, così netta e pulita che pareva irreale. Toda stesso parve incredulo per alcuni secondi, poi il sangue iniziò a fiottare irruento come il getto di una fontana a lungo tappata; si piegò su se stesso, come se gli fossero stati recisi i legamenti, e scivolò fra le braccia di Tachimukai, le cui ginocchia cedettero per il peso. Le fotocopie si sparsero sul pavimento. Tsunami corse verso di loro ed iniziò a premere con entrambi le mani sulla ferita di Toda cercando di fermare l’emorragia.
-È inutile. È troppo tardi- soffiò Gazel cupo.
Una sola occhiata bastava a capire che aveva ragione.
Il colore rosso vivo e la vasta quantità di sangue che con pochi secondi di ritardo aveva iniziato a scorrere suggerivano che l’aorta fosse stata recisa di netto. Forse anche Tsunami se ne rese conto, ma non si arrese finché il petto di Toda non ebbe un ultimo fremito: la pulsione cessò e il ragazzo rimase fissare il soffitto con gli occhi sbarrati. Solo a quel punto, Tsunami crollò a terra, con il busto e le braccia coperte di sangue fino ai gomiti, e il viso rigato di lacrime. Qualche secondo dopo Tachimukai scoppiò in un pianto isterico.
Accorgendosi che stavo tremando, Gazel si voltò subito verso di me.
-Non azzardarti a perdere la testa anche tu- sibilò stringendomi all’altezza delle spalle.
-Ha già perso interesse per loro, perciò farò io da esca. Tu devi correre verso l’uscita più veloce che puoi… Ci sei fin qua? Smettila di fissare il sangue- mi ammonì, dandomi uno schiaffetto sulla guancia per farmi girare. Il suo avvertimento mi strappò dai miei pensieri macabri e mi riportò alla realtà.
Dovevo concentrarmi sulle istruzioni di Gazel, non mi era permesso di fallire.
-Nell’ufficio di Hitomiko c’è una bacheca di vetro, appesa al muro. Rompila e abbassa la leva che troverai dentro. Dal momento che l’allarme intrusi non è scattato in automatico, dovrai attivare manualmente l’allarme esterno…- Non ebbe il tempo di spiegarmi meglio di cosa si trattasse; il fiato gli si mozzò in gola quando la punta della lama sbucò proprio sopra le nostre teste: l’intruso aveva deciso di liberarsi della scrivania, nella convinzione che ogni ostacolo andasse fatto in pezzi.
-Vai!- gridò Gazel, mi diede una spinta ed io scattai in piedi e come da piano corsi verso la porta. Lo sconosciuto mi vide partire, ma non poté fermarmi; per fortuna, infatti, la sua spada s’era incastrata per bene nel legno rigido della scrivania e, prima che potesse provare a liberarla, Gazel era già rotolato fuori dal nascondiglio: lo atterrò con una manovra di soppressione, togliendogli di fatto la possibilità di recuperare l’arma. Sentii rumori di colluttazione, ma non mi voltai indietro. Non avevo il tempo materiale di preoccuparmi.
Il più veloce possibile, mi lanciai sulle scale e risalii verso il secondo piano, che era piombato nel caos: gli uffici non erano le sole stanze sotto attacco.
-No!!
Appena arrivato sul piano, delle urla mi fecero sobbalzare.
Erano IC e Clara. In fondo al corridoio, infatti, c’era un altro tizio con una spada e IQ, che lo stava fronteggiando, era stato ferito ad una spalla. Per fortuna sembrava che la lama avesse appena toccato alcune vene superficiali. Avrei voluto restare ad aiutarli, ma non avevo tempo. Mi costrinsi a voltare loro le spalle e continuare a correre: svolgere la missione affidatami da Gazel aveva la priorità su tutto.
 
L’ufficio di Hitomiko era chiuso, sperai non a chiave.
Non appena mi ci avvicinai, un terzo nemico sbucò da un angolo e cercò di colpirmi, ma riuscii ad evitarlo grazie al mio istinto: mi abbassai rapido e la lama affondò nella porta. L’altro grugnì infastidito e, approfittando del suo inconveniente, gli tirai una ginocchiata nello stomaco, facendolo volare contro il muro di fronte. Sbatté con la schiena e il cappuccio gli scivolò dal capo, rivelando due occhi taglienti e un punto rosso sulla fronte. Si rialzò, nonostante la sua spada fosse ancora conficcata nel legno non sembrava scoraggiato: aveva altre armi, me ne resi conto solo quando avvertii una sensazione di gelo penetrarmi nelle ossa. Caddi in ginocchio, in balia del suo sguardo penetrante, mentre il mio corpo si atrofizzava e la mia coscienza cominciava a scivolare via.
Poi di colpo quella sensazione cessò e lasciò il posto ad una vibrazione familiare. Alzai gli occhi e vidi che lo sconosciuto aveva smesso di fare qualsiasi cosa mi stesse facendo, e ora si premeva le mani sulle orecchie nel tentativo di sfuggire al frastuono. Gettai un’occhiata veloce all’altro capo del corridoio, dove stavano Maki e Diam. Lui aveva la bocca spalancata e lei, che indossava una specie di paraorecchie col pelo, mi fece cenno di affrettarmi. Erano venuti ad aiutarmi.
Aprii la porta di Hitomiko, lieto che non fosse bloccata, e mi fiondai nella stanza prima che le onde sonore di Diam potessero stordire anche me; per fortuna la stanza pareva essere insonorizzata, il che significava che io ero al riparo dal rumore, mentre il nemico no. Ignorando la crudele felicità che quel pensiero mi procurava, mi guardai intorno ed individuai subito la bacheca descrittami da Gazel. Non ci pensai su due volte a romperla usando uno dei fermacarte di pietra posati sulla scrivania: mentre i pezzi di vetro mi cadevano sulle scarpe, tesi la mano libera, le mie dita si chiusero sulla leva, la abbassai con rabbia, una specie di sfogo.
Il mio orologio iniziò ad emettere un verso simile ad una sirena, una luce laterale lampeggiava: di certo tutti gli orologi degli agenti, anche fuori da lì, stavano facendo lo stesso. Ecco cosa intendeva Gazel per allarme esterno. Avevo lanciato un SOS senza saperlo.
Quando mi voltai per uscire, la prima cosa che notai era che la lama era stata rimossa dalla porta.
Trovai Diam e Maki che combattevano corpo a corpo con lo spadaccino, che aveva indossato una sciarpa rossa per coprire le orecchie e schermarsi così dagli attacchi speciali del mio ex-partner.
Vidi Diam abbassarsi per scansare la spada, girare su se stesso e sferrare un calcio mirato al torace, l’altro lo evitò spostandosi all’indietro e il movimento repentino fece fluttuare il suo mantello. La spada sferzò l’aria, ma a muoversi verso di lui fu l’altra mano: l’aveva tenuta nascosta sotto il mantello per caricare un attacco senza che ce ne accorgessimo.
Sapevo che Diam non sarebbe riuscito ad evitarlo e avevo solo pochi secondi, centesimi di secondi, per reagire, perciò corsi e senza pensare mi frapposi fra di loro, con le braccia alzate per difendermi il volto.
Qualcosa mi sfiorò il gomito, un gelo tanto inteso da bruciare, poi accadde l’incredibile.
Il mio potere si risvegliò.
Senza che l’avessi programmato né previsto in alcun modo, circondò il mio corpo e inghiottì il colpo dell’avversario come un sorso d’acqua. Di colpo sentii una forza sconosciuta crescere all’interno del mio corpo e istintivamente feci quello che mi aveva insegnato Kidou: premetti le mani contro il torace del nemico e rilasciai tutta quell’energia distruttiva. Per un istante intravidi gli occhi neri del ragazzo riempirsi di confusione e al tempo stesso consapevolezza, ma ormai era tardi per scansarsi. La mia furia esplose contro di lui e, proprio come era successo ad Atsuya Fubuki qualche tempo prima, lo sollevò da terra e lo fece volare e atterrare a qualche metro di distanza.
Svuotato, sentii le ginocchia cedermi e l’immagine di qualcosa mi offuscò la vista per un istante... Una maniglia, un lembo di vestito, e...
Tutto scomparve, e d'un tratto mi trovai di nuovo nel corridoio con i miei amici. Il nemico, agile e leggero come un ninja, si era già rimesso in piedi e ci stava osservando, come valutando le persone che aveva davanti. Quando Diam gli corse incontro per attaccarlo, il ragazzo si esibì in alcune capriole su se stesso e finì per gettarsi dalla finestra. Maki si affacciò, urlando insulti. Diam si fiondò preoccupato su di me.
-Stai bene?- chiese. –Cos’è appena successo? Hai annullato il suo potere, e poi il tuo ha fatto… wham! Tutta quell’energia… sei stato fantastico! Non sapevo che potessi fare una cosa del genere!
Mi sorrise mentre mi rimetteva in piedi, incredulo ed ammirato.
-Non… non lo sapevo nemmeno io, credimi- mormorai, rilassandomi nel suo abbraccio. Avevo la sensazione che fosse successo qualcosa d’importante, ma quello non era il momento giusto per ricamarci sopra. –Raggiungiamo gli altri- proposi, e Diam annuì. Maki tornò verso di noi ed insieme scendemmo al piano di sotto.
Clara e IC stavano fasciando la ferita di IQ. Il ragazzo alzò il volto stanco verso di noi. Notai che la lente sinistra dei suoi occhiali era attraversata da una crepa.
-Sono scappati tutti, come se avessero ricevuto un segnale di ritirata- brontolò. Fece per sistemarsi gli occhiali che, spezzati, gli erano scivolati sul naso, ma si bloccò in un sussulto di dolore: Clara aveva accidentalmente fatto troppa pressione sulla ferita, così accecata dalle proprie lacrime da non vedere ciò che stava facendo.
-M-mi dispiace! Stai b-bene?- balbettò, spaurita. Lui tentò di fare un sorriso impacciato.
-È un taglio da nulla- disse.
-Può bastare, Clara- intervenne dolcemente Maki, posò una mano su quella dell’amica e gliela strinse. –Il sangue si è fermato, ora ci penso io. IQ, non muoverti- affermò. Il ragazzo annuì e rimase immobile ad osservare estasiato il modo in cui Maki ricuciva la sua spalla: assistere al suo potere per la prima volta faceva quell’effetto. Quando la ragazza ebbe terminato il suo lavoro, Diam gettò un’occhiata alla lunga linea rosa che corrispondeva al taglio chiuso e soffiò:- Wow. Maki, sei meravigliosa.
Maki gli rispose con un sorriso imbarazzato. –Ordinaria amministrazione- mormorò, le sue guance si erano tinte appena di rosa. IQ la ringraziò e Clara le diede un abbraccio.
–Ma come hanno fatto ad entrare? Credevo che ci fosse della sicurezza al piano terra!- esclamò intanto IC, non l’avevo mai sentita così furiosa.
Purtroppo avevamo tutti lo stesso, bruttissimo presentimento riguardo alla risposta, e nessuno osò esprimerlo ad alta voce, anche perché fummo distratti dall’arrivo di Nepper e Heat: sbucarono all’improvviso dalla fine del corridoio, affannati e coperti di sangue.
-Merda- commentò Diam. –Quel sangue…
-Non è nostro, abbiamo solo…- Nepper non completò la frase. Heat fu scosso da un forte tremito, si portò le mani alla bocca: si piegò, di colpo, in avanti, e il vomito gli proruppe dalle labbra. Nepper e Diam fecero istintivamente un passo indietro per non essere sporcati. Heat si alzò un secondo, borbottò una scusa e barcollò nuovamente in avanti tra conati e colpi di tosse; soltanto Clara gli si avvicinò, gli diede delle pacche sulla schiena e gli tirò dolcemente i capelli all’indietro.
La vista del sangue sui vestiti di Nepper mi ricordò di Gazel.
-Devo andare di sotto- sbottai. Mi parve di vedere gli occhi di Nepper lampeggiare allarmati.
-Reize, aspetta, al piano di sotto…- Non rimasi a sentire quel che aveva da dire e corsi verso le scale da cui erano appena saliti, seguito soltanto da Diam.
 
Le porte degli uffici erano ancora barricate dall’esterno e gli impiegati continuavano a sbattere pugni e ad urlare di lasciarli uscire. Mi dispiaceva per loro, ma non avevo né il tempo né la testa per aiutarli. L’unica camera aperta era quella che più mi interessava, quella di Gazel, e proprio in quel momento Tsunami ne uscì in gran fretta.
Aveva un’aria sconvolta, il corpo coperto di sangue non suo ed il respiro corto: tra gli affanni, riuscì a stento a balbettare qualcosa riguardante degli asciugamani. Fortunatamente non ebbe bisogno di ripetersi perché Diam sembrò capire al volo, gli fece un cenno ed insieme corsero verso i bagni. S’infilarono dentro, senza curarsi di chiuderli. Li guardai sparire dietro l’angolo, quindi entrai nell’ufficio guardandomi intorno con circospezione.
Il pavimento al centro della stanza era coperto da strisciate di sangue appiccicoso, là dove… dove avrebbe dovuto esserci il corpo di Toda. Mi vennero in mente le parole di Nepper.
“Non è nostro, abbiamo solo…”
-…spostato un corpo- completai in un sussurro orripilato. Deglutii; non c’era da meravigliarsi che Heat avesse dato di stomaco.
Mossi un altro passo e calpestai qualcosa: al rumore di vetri infranti abbassai di scatto lo sguardo e vidi il pc di Gazel, il cui schermo a cristalli liquidi era completamente in pezzi. Ma non era l’unica cosa ad essere stata distrutta.
Le sedie di legno erano rovesciate, molti archivi erano stati buttati a terra, i fogli erano volati per ogni dove, anche a causa della finestra spalancata, e le tende erano a brandelli, come se avessero avuto una lite con un tigre. La scrivania era ridotta ad un ammasso di schegge e Tachimukai era chino su quella montagna di legno: le sue mani, le sue braccia e le sue gambe erano tutte graffiate e alcuni tagli sanguinavano di fresco. Mi gettai verso di lui e gli afferrai un polso.
–Ehi, dobbiamo medicarti subito…- cominciai, ma mi bloccai quando i suoi occhi blu, colmi di paura e lacrime, si piantarono nei miei. Mi spinsero a guardare a terra.
Diam e Tsunami entrarono in quel momento con una pila di asciugamani di spugna imbevuti d’acqua fredda. Anche le mani di Tsunami erano coperte di graffi, probabilmente a causa delle schegge che era stato costretto a spostare.
Sotto il macello di legno e carta, immerso in una pozza di sangue, giaceva Gazel: guardava il soffitto con occhi vacui, velati di lacrime, e le sue labbra erano socchiuse come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma non ne aveva la forza.
-Maki… ci serve Maki!- disse in fretta Diam, così agitato che parve ricordarsi solo in quel momento di lei e del suo potere. Nonostante stesse gridando, la sua voce mi giungeva ovattata. Sentivo il sangue rombarmi nelle orecchie ed un solo pensiero mi attraversava la testa: lo avevo lasciato da solo a combattere contro un mostro che già avevo visto uccidere.
Colto da una gelida rabbia contro me stesso, cominciai a scavare tra le schegge, le afferravo a piene mani e le gettavo dietro di me, senza curarmi del sangue che sgorgava rapidamente dalle ferite che mi procuravo. Nessuno provò a fermarmi. Diam corse fuori dalla stanza.
Soltanto quando non trovai più nulla da togliere, mi lasciai cadere all’indietro e osservai il risultato del mio lavoro: ora che non c’era più legno ad opprimerlo, i tagli sul corpo di Gazel erano ben visibili, particolarmente profondi e sanguinolenti su braccia e gambe. Sospettavo che perdesse sangue anche dalla testa, considerato quanto rapidamente s’arrossava l’asciugamano che gli avevano messo sotto la nuca. A quel punto Diam rientrò con Maki e lui e Tsunami mi spostarono di peso per lasciarle spazio: la ragazza si inginocchiò a terra ed iniziò a tessere la pelle di Gazel, ricucendo i suoi tagli ad uno ad uno. Anche se tremava, le sue mani e i suoi occhi erano fermi, concentrati. Io rimasi in disparte, sollevai le mani davanti al mio viso e attraverso le dita rosse e gonfie osservai il modo in cui il petto di Gazel si muoveva, lento ma regolare. Pensare che respirava ancora era l’unica cosa che potesse rassicurarmi e la fissavo come ipnotizzato.
Non è morto per colpa tua, gridavo dentro di me, non è morto.
Un luccichio catturato con la coda dell’occhio mi spinse ad abbassare le mani.
La luce che penetrava dalla finestra non scaldava per niente l’ambiente, freddo ed inospitale come sempre, ma faceva risplendere in modo particolare i muri. Mi soffermai sui leggeri riflessi d’arcobaleno che scivolavano lungo il pavimento allungandosi fino a me e finalmente me ne accorsi: le pareti della stanza erano rivestite da un fine, ma solido, strato di ghiaccio. 



 

**Angolo dell'Autrice**
Ieri mi sono divertita a scrivere la prima parte del capitolo, in cui Midorikawa, Diam e Maki ridono spensierati. La storia della marmellata è tratta da una mia esperienza personale (lol). Adoro Diam e Maki e sentivo il bisogno di una nota di allegria, di colore, in un capitolo che sapevo sarebbe diventato cupo e triste verso la fine. I nemici "incappucciati" hanno un ruolo chive in quest'ultima parte di storia: i protagonisti non hanno mai incontrato criminali del genere, così forti da eguagliare i loro poteri se non superarli, e l'idea della morte si fa molto più concreta. Stiamo entrando nella fase cruciale della lotta con Garshield. Questo è un capitolo decisivo anche per il personaggio di Gazel, come forse avrete intuito... A tal proposito, ho finalmente deciso di cominciare uno spin-off (dovrebbero essere circa sette-otto capitoli) incentrato su di lui; purtroppo per alcune ragioni dovrò aspettare un po' per postarlo, ma spero che vi piacerà. Anche Burn, Hiroto e altri saranno presenti nello spin-off. 
Bacioni e alla prossima,
                                Roby
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: Melabanana_