Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: MadHatter96    20/10/2014    2 recensioni
Le domande sono un'esigenza umana, sono inevitabili, come è inevitabile respirare.
C'è chi crede che tutto abbia una logica, altri invece negano completamente l'esistenza di qualcosa di simile.
Ma per qualcuno che pur avendo perso ogni cosa, è riuscito a rinascere grazie ad un aiuto che può sembrare quasi divino, tutti i dubbi passano in secondo piano.
Non importa se dovrà rompere gli schemi e le convenzioni poste dalla gente, a lei basta vivere. Non una vita di sopravvivenza, ma di speranza. La forza di qualcuno che mette a rischio ogni cosa, pur di non perderla.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Judal, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Dosen't matter


Kougyoku continuava a parlare di cose che a Judar non interessavano minimamente.
Era da un po’ ormai che si chiedeva quando quella ragazza avrebbe capito che aveva smesso di ascoltarla ormai da tempo.
Se ne stava ben comodo, steso su un davanzale, sbadigliando, grattandosi la nuca, la pancia, fischiettando… facendo tutto tranne che prestare attenzione alla principessa.
Fondamentalmente si stava annoiando, e stava meditando di uscire un po’, per infastidire chi gli capitava a tiro.
Doveva ammettere che gli piacevano le espressioni di terrore, lo facevano sentire potente, e per questo vivo.
Si alzò sulla schiena, interrompendo la parlantina della giovane.
“Judar-chan?” Chiese lei.
Il Magi si alzò in piedi stiracchiandosi: “Vado a fare un giro… torno più tardi.”
L’ottava principessa puntò in piedi: “Ma come? Non ho ancora finito!”
Il ragazzo la ignorò, e camminò verso l’uscita della stanza, quando all’improvviso qualcun altro apparve sull’uscio.
“Uh?”
Kouha entrò nella stanza con aria annoiata, sbuffò e si guardò attorno.
Il sacerdote alzò un sopracciglio: “Non eri con Rayenne?”
“L’ho mollata ad Hakuryuu.” Rispose l’altro con una scrollata di spalle “Ad un certo punto non riuscivo più a star dietro alle sue domande.”
Kougyoku rise: “Ma è curiosa!”
“Troppo!” Esclamò il terzo principe, mentre veniva raggiunto dalle sue tre devote servitrici.
Judar non si era scomposto più di tanto.
Con ogni probabilità il vero fastidio del giovane dai lunghi capelli rossi era quello del non saper rispondere a quelle domande, ma poco importava.
L’Oracolo aveva avuto modo di osservare la ragazza in quei giorni, e aveva notato subito quella sua strana curiosità. Aveva visto come lei spesso si concentrasse su dettagli piccoli, trascurando magari cose  più essenziali. In lei c’era anche una certa timidezza che la rendeva molto distante dall’essere una principessa modello, soprattutto quando si trattava di conversare con sconosciuti di genere maschile.
Aveva ritenuto questo come un fatto stupido e insensato.
Non dipendeva dal pudore, né da qualunque altra caratteristica femminile, era forse imbarazzo per troppa ammirazione, aveva pensato il Magi.
Kouha aveva decretato quegli atteggiamenti come “divertenti”, ma a lui risultavano solo irritanti, soprattutto pensando al fatto che qualunque comportamento si annullava quando erano solo loro due.
Scrollò le spalle. Se lei era con Hakuryuu non aveva alcun motivo per andare a riprenderla.
Oltrepassò senza altre parole il principe, deciso ad andarsene, quando quest’ultimo lo richiamò: “Dove vai?”
Judar si voltò con espressione seccata senza rispondere.
“Guarda che Kouen ti vuole.” Lo informò il giovane Ren.
“Proprio ora?” Chiese il corvino, ricevendo come risposta un’irritante affermazione.
Sbuffò e con passo nervoso si diresse verso la sua destinazione.
Non gli piaceva quando era chiamato dal Primo principe Imperiale, voleva dire lavoro, solitamente, e seccature. Gli piaceva soltanto quando gli dava carta bianca, ma in quel periodo questo era difficile.
Kouen era un uomo forte, e Judar lo sapeva. A lui piacevano le persone forti, ma nonostante questo il suo preferito rimaneva Hakuryuu, era chiaro. La verità era che Hakuryuu era quello che, tra i principi, gli assomigliava più di tutti.
Ma era debole, in confronto agli altri, e Judar voleva farlo diventare il più potente.
Scosse la testa, costringendosi alla realtà.
Spinse la pesante porta di legno e metallo ed entrò nella stanza.
La maestosa figura di Kouen era seduta con le mani incrociate sulle quali nocche si poggiava la fronte.
I suoi occhi si posarono sul Magi solo quando questi chiuse la porta alle sue spalle.
“Allora?” Chiese Judar puntando le mani ai fianchi.
“L’hai portata qui?”
Il corvino sospirò annoiato: “Sì sì, pensavo lo sapessi…”
“Ha armi con sé?”
“Nessun’arma.”
Il principe tornò in silenzio, quasi dimenticando la presenza del sacerdote.
Fu proprio quest’ultimo a richiamare su di sé l’attenzione, storcendo il naso: “Si può sapere che ha di speciale quella ragazza?”
“Nulla.” Rispose secco il principe, lasciando il Magi interdetto.
Dopo un attimo di riflessione, Judar parlò di nuovo: “E allora si può sapere perché l’hai chiamata qui?”
“Perché il suo paese è stato raso al suolo?” Lo interrogò Kouen.
Il più giovane alzò un sopracciglio: “E io dovrei saperlo?”
“Dovresti.” Rispose fermo il rosso “Credimi, dovresti.”
L’Oracolo scosse la testa, non avendo la ben che minima voglia di capire.
“In quella vicenda… è andato perso un oggetto… che probabilmente era lo scopo dell’attacco.”
A quelle parole, gli occhi scarlatti di Judar si sgranarono: “Un oggetto? Un Artefatto Geniesco?”
Il principe spostò il peso sullo schienale puntando il gomito sul poggiolo e reggendo la testa con la mano: “Chi lo sa.”
“Ma si può sapere chi ha attaccato quel regno? “ Chiese il Magi, risvegliato da un nuovo interesse.
Se Un oggetto, qualunque fosse, valeva la pena di una strage, doveva essere qualcosa di prezioso e potente.
L’uomo reale lo guardò per un attimo, prima di rispondere: “Ci furono molti attacchi, ma solo uno andò a segno… ma… non è ben chiaro chi ci riuscì… forse tu puoi capire qualcosa di più.”
Sul giovane volto del sacerdote si dipinse un sorriso di sfida: “Con piacere. E quell’oggetto che vuoi nelle tue mani… dove può essere finito?” Lo chiese, ma aveva già intuito la risposta.
“La ragazza è stata soccorsa da Sindria.” Non serviva che Kouen continuasse la frase.
“Lascia fare a me.” Concluse Judar.
Non si sarebbe lasciato sfuggire una tale occasione. Non gli interessava minimamente trovare quell’oggetto ,qualunque  esso fosse,  per l’impero Kou, né per Kouen. Quello che davvero aveva intenzione di fare era metterlo nelle mani di Hakuryuu, avrebbe reso quel principe come lui voleva.
Uscì dalla stanza senza aggiungere altro, con un semplice cenno della mano.
Era convinto che in realtà il Primo Principe non si fidasse ciecamente di lui, ma era comunque consapevole che ciò non aveva importanza in quel momento.
Uscì dal palazzo senza più soffermarsi con nessuno. Si alzò in volo, lasciandosi accarezzare dalla leggera brezza che gli avvolgeva il corpo.
Camminò sul vuoto, come se sotto i suoi piedi ci fosse un comune suolo, pensieroso, e allo stesso tempo eccitato.
Scese nel bel mezzo di un mercato. Non era amante di cose simili, ma erano i luoghi più comuni per la gente.
Camminava tra la folla, non troppo riconosciuto, visto che, chi era lì, non era gente che aveva a che fare con la Famiglia Reale.
Forse solo alcuni ricchi mercanti di pregiate stoffe o preziose essenze erano in grado di comprendere chi fosse, proprio perché entrati, per qualche colpo di fortuna, nelle stanze del palazzo imperiale.
Si spinse a forza più avanti, dove la folla iniziava a scemarsi e il suo corpo non era pressato da quelli altrui.
Camminava con disinvoltura, perso nei suoi pensieri, mentre si guardava attorno distrattamente.
Il filo dei suoi ragionamenti fu interrotto da qualcosa che cadde pochi metri più avanti di lui. Si avvicinò con fare stizzito, notando che altro non era che un pezzo di legno mal tagliato; lo calciò via, incurante del perché fosse piombato proprio lì, ma la sua attenzione fu di nuovo catturata da altro.
Si accorse di aver lanciato l’oggetto abbastanza lontano da lui e dal corso dei clienti del mercato, all’entrata di una via buia, e proprio da quella penombra sbucò fuori timidamente un’esile figura di bambino, che corse a riprendere quello scarto, per poter riprendere a giocare con il suo piccolo compagno nascosto ancora dietro ad un muro.
Judar alzò il naso con superbia, mentre guardava quei due piccoli riprendere la loro finta battaglia.
I loro abiti erano sporchi, come i loro visi, ed evidentemente gli unici giochi di cui potevano usufruire erano le immondizia della gente.
Avrebbe voluto ridere di quei semplicissimi esseri umani, in quello stato di degrado, che in quel momento si illudevano di essere chissà quanto potenti.
Voleva ridere della superiorità che aveva su di loro. Voleva mostrargliela, voleva vedere i loro volti terrorizzati e sentire le loro voci implorare pietà. Ma non fece nulla, si voltò e proseguì.
Pensò che in fondo anche lui era lì per giocare. Nemmeno lui aveva mai usato dei veri giocattoli; l’unico gioco che gli era concesso era quello della sua magia.
Aveva sempre seminato morte e distruzione, fin dai suoi primi anni. Si era da sempre sentito gridare contro le maledizioni peggiori, e ora si sentiva abituato.
Non gli facevano alcun effetto.
Era divertente passare il tempo in quel modo.
Eppure…ancora, in qualche attimo, davanti a certe espressioni nel suo cuore si ergeva ancora un grido: “Ero solo un bambino!
Grido che immediatamente Judar metteva a tacere, o qualcun altro?
Non riusciva a capire, e questo lo faceva imbestialire.
“Ehi…”
L’uomo sulla strada si voltò a guardarlo, era decisamente più grande di Judar.
Ma nulla aveva importanza per lui, perché era più potente, e furente.
“Perché non gridi?” Chiese il Magi con fare annoiato.
L’individuo lo guardò con la derisione sul volto: “Eh?”
“Ti ho detto di gridare.”
Lo scettro si alzò a mezz’aria e un fulmine violaceo si scagliò da esso.
Di nuovo la bestia aveva ripreso a ringhiare.
Il cielo si oscurò, minacciando pioggia, e mentre tutti correvano al riparo, il sacerdote dell’impero Kou insisteva nel rimanere fuori casa.
Non ne aveva davvero motivo, a dire il vero, ma non avrebbe saputo che fare al palazzo.
Gli occhi cremisi puntarono i nuvoloni che sovrastavano il territorio, e il suo corpo si avvicinò ad essi.
Se avesse voluto, con quelle, avrebbe potuto spazzare via tutte le terre circostanti; sarebbe stato divertente certo, ma una volta distrutto tutto… con cosa si sarebbe divertito?
Sorrise comunque, maligno e compiaciuto, nella consapevolezza del suo potere. Un potere che chiunque avrebbe voluto.
Sentiva il magoi dentro il suo corpo esaltarsi a quel pensiero.
Rise.
Rise della sua consapevolezza, dicendosi che in fondo era l’unico bambino che aveva giocato per davvero.
Scese nuovamente a terra, e si avviò verso il palazzo, mentre la pioggia aveva iniziato a percuotergli copiosa le spalle.
Camminava a piedi nudi nel fango, e sapeva che Kougyoku si sarebbe lamentata per almeno una settimana delle orme che avrebbe lasciato ovunque, come se avesse dovuto pulir lei poi.
Pensò ad Hakuryuu e all’astio che sapeva provare per lui, e sorrise anche a quello.
Lo capiva.
Avrebbe chiesto a Kouen il nome di quel villaggio, e sarebbe andato a vedere che cosa ne rimaneva, e poi avrebbe costretto il Quarto Principe a trovare quel tesoro che fu causa della morte di quel regno.
Tutto ciò che era macchiato di sangue per lui era potere.
Una volta a casa si pulì al meglio, facendo dannare qualche povero servitore, per poi stendersi ancora umido nel suo giaciglio.
Non aveva alcuna voglia di svolgere un qualche tipo di compito, per cui aveva fatto in modo che nessuno si accorgesse della sua presenza.
In fondo anche poltrire era una cosa che al Magi riusciva abbastanza bene.
Chiuse gli occhi, mentre con la punta delle dita sfiorava la sua lunga treccia.
Per un attimo nella mente gli passò l’immagine di quel ragazzino dai capelli blu e i suoi occhi si spalancarono.
Sì, Aladdin comportava sempre un simile effetto su di lui.
Il fatto era che non lo capiva.
Era un errore nella storia, quel piccolo Magi. Non avrebbe dovuto esistere. Eppure era lì, che lo sconfiggeva con poteri che mai si sarebbero immaginati in quel misero corpicino.
Le palpebre di Judar si riabbassarono, voleva dormire e risvegliarsi solamente a ora di cena.
Mentre si lasciava rapire dal sonno si ripromesse ancora una volta che non avrebbe più cambiato sé stesso. Era diventato così, e non c’erano altre scelte.
Non importavano i sogni, non erano mai importati.
Quelle fiamme che certe notti gli laceravano la pelle, quelle grida che riecheggiavano nella sua mente senza che lui potesse individuarne la provenienza, non avevano alcuna importanza.
Preferiva sognare il mondo sotto i suoi piedi, preferiva ricordare ogni volta che lui poteva fare ciò che voleva, o per lo meno convincersi.
Era quello l’unico motivo per cui era legato ad Al-Thamen.
Il ragazzo si svegliò a causa di una porta sbattuta, chissà dove nel palazzo.
Quando i suoi occhi si aprirono ancora velati dal sonno, la prima cosa che incontrarono fu il cielo notturno, ora limpido e stellato, che si estendeva fuori dalla finestra.
Aveva dormito più di quanto aveva pianificato, ma non era una cosa che aveva importanza.
Si alzò lentamente stiracchiandosi. Aveva fame.
Probabilmente avevano tutti già mangiato ormai, e qualcuno se n’era anche andato a dormire, e per lui era un vantaggio: meno confusione in giro.
Di certo non si sarebbe accontentato di rubacchiare qualcosa in cucina, avrebbe trovato degli sfortunati servitori e si sarebbe fatto preparare ciò che più gli andava.
Nonostante teoricamente  fosse comunque un sottoposto, il suo potere all’interno del palazzo era praticamente al pari di quello dei principi.
D’altro canto lui era il Sommo Sacerdote, e soprattutto il prezioso oracolo. Il Magi dell’impero.
Lui era assolutamente inestimabile, era speciale, non potevano rinunciare a lui.
Ghignò, mentre camminava a passo ritmato verso il luogo desiderato.
Le luci ormai erano soffuse, tipiche della sera.
Continuò ad avanzare senza incontrare nessuno, per la sua felicità.
Stava pensando di andare a infastidire la Vecchia, una volta cenato, quando un rumore lo fece immobilizzare sul posto.
Veniva dall’esterno, e probabilmente tutti lo avrebbero ignorato perché considerato provocato da un qualche animale, ma Judar rimase attento.
Si appoggiò con le mani sul davanzale e si sporse.
Era evidente che nascosta tra i cespugli in basso ci fosse una persona. A lui in qualità di Magi non ci voleva molto a capirlo.
Sorrise beffardo; non gli importava chi fosse a quell’ora nel giardino, lo avrebbe scoperto tranquillamente.
Senza alcuna fatica si mise in piedi sulla sporgenza, per poi calarsi, scivolando nell’aria.
Più si avvicinava, più poteva sentire dei passi leggeri camminare lenti sul terreno.
Si posò dietro una colonna, in attesa che la persona fosse abbastanza vicina.
Quando una figura umana iniziò a rivelarsi oltre la struttura, senza aspettare un attimo Judar vi piombò davanti: “Che ci fai qui?” Chiese ancor prima di notare chi fosse.
In quel preciso istante sentì un urletto femminile, e due grandi occhi violacei lo fissavano spaventati.
Rayenne aveva sbattuto la schiena contro il muro, presa di sorpresa.
Le mani le coprivano le labbra mentre il viso era ancora scomposto dalla paura.
Ci fu un attimo di silenzio, quel che serviva al sacerdote per capire quella scenetta.
La prima risata che uscì fu leggera, quasi un sibilo, poi scoppiò. Si avvolse la pancia tra le braccia per le risate ora troppo forti, tanto a fargli male. “Stupenda…” Riuscì a mormorare mentre gli occhi gli lacrimavano “…la tua faccia è stupenda!”.
Gli occhi della ragazza si sgranarono leggermente davanti a quella reazione. Continuava a guardare il ragazzo con espressione confusa e un po’ offesa.
Prima che il magi potesse parlare di nuovo la ragazza si voltò, alzando il naso e avviandosi verso la direzione opposta.
“Cosa… ehi! Ferma!” Le ordinò il sacerdote, ma lei non gli prestò ascolto.
Judar avrebbe voluto inseguirla, ma la voce di Kouha che richiamava la ragazza lo convinse a lasciar perdere.
Alzò le spalle borbottando un “smorfiosa” e si diresse nuovamente verso le cucine.
Sempre di più vedeva come Rayenne fosse completamente diversa da lui, quasi come un opposto.
Eppure, nel vederla, c’era sempre qualcosa che lo interessava, senza che capisse.
Ora che ci pensava, c’era un elemento che forse li accomunava. Rayenne si comportava esattamente come se ciò che aveva passato fosse stato solo un sogno, qualcosa di non reale. Era il suo modo per esorcizzare l’accaduto.
E lui, in fondo, non era diverso in questo.
Ma non gli importava, non gli sarebbe mai importato.
Rise e raggiunse la destinazione.
Si fece preparare la cena, e ordinò che fosse portata nelle sue stanze.
Certe volte si era chiesto chi fosse davvero Judar, ma alla fine si era sempre detto che non gli interessava. Non voleva chiedersi cosa pensava di sé stesso.
La porta si chiuse dietro le sue spalle, lasciando fuori tutto quello che lui odiava, perché non avrebbe subito il suo destino. Fin nelle profondità delle tenebre, sarebbe stato lui a camminare, nel male che aveva scelto.
Era questa la convinzione che continuamente si imponeva Judar.
 
Ho avuto un sogno...? Sto piangendo?
Queste sono memorie...? Tristi?
Non ha importanza! Io sono...!” *
 
 
Salve! Sta mattina sono a casa da scuola...e visto che non avevo nulla da fare...ho pubblicato :P
Ecco qui il nuovo capitolo. L’ho revisionato un po’ velocemente, anche se è venuto un po’ più breve,  spero non ci siano troppi errori.
* Vorrei specificare che le ultime frasi scritte in corsivo sono tratte dalla character song di Judar, Kuroi Taiyo, o in inglese, Black Sun.
E con questo, vi saluto.
Grazie infinite :)


 
  
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