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Autore: Viviane Danglars    16/10/2008    4 recensioni
Ichigo è un investigatore, ha un cliente e un “caso” da risolvere.
Non è pulito, non è delicato e non finisce bene.
[ Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
]
~ [Liberamente ispirato al film Million Dollar Hotel.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Renji Abarai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo primo.
Come as you are




[ Come as you are, as you were, as I want you to be.
As a friend, as a friend, as a known enemy. ]


-Dio che triste ‘sta tappezzeria, ma perchè non la cambi?
- Ma io sono qui di passaggio…
- E chi non lo è, tesoro.
Pane e tulipani




Renji si era svegliato con un cattivo sapore in bocca, quella mattina, e si era agitato un po’ nel fagotto di coperte che era il suo letto, occhieggiando la finestra dalle imposte traballanti che, di conseguenza, lasciava sempre filtrare un bel po’ di luce.
Il cielo quel giorno aveva un colore triste, e qualcuno stava già suonando del jazz o aspirante tale qualche piano più in basso.
Il ragazzo aveva mugugnato qualcosa, col risultato di assaporare di più, suo malgrado, il gusto sgradevole che sentiva sulla lingua; e aveva ficcato la testa sotto le coperte, poco desideroso di alzarsi. Ma poi la porta si era aperta, e c’era stato il consueto rumore e un breve strillo da parte della ragazza che era entrata.
- Renji? –
Renji borbottò incoerentemente e si sollevò sul letto, puntandosi sui gomiti. Momo entrò in quel momento nel suo campo visivo, con un grosso cesto in mano, il viso arrossato. – Ma quando hai intenzione di riparare quella mensola?! Mi sono quasi ammazzata… -
- ‘giorno, Momo. -
- ‘giorno, Renji – sospirò lei fermandosi di fianco al suo letto. Posò il cesto e ne estrasse una certa quantità di indumenti che avevano più l’aria di essere stracci, ma che lei piegò con amore riponendoli sull’unico, disordinato tavolo presente nella stanza. – Ti ho lavato la tua roba… -
- Oh, grazie. –
Il ragazzo si mise a sedere sul letto, a gambe incrociate, ritenendo che lei si meritasse come ringraziamento almeno un po’ di considerazione. Momo sospirò di disapprovazione notando che indossava solo dei pantaloni leggeri, e che avevano visto tempi migliori, ma si limitò a distogliere lo sguardo e continuare il suo lavoro.
Finì in poco tempo. – Ecco qui. -
- Lavi la biancheria di tutto il Million Dollar Hotel, Momo? – chiese l’altro, sbirciando il cesto ancora carico. Prese con due dita un perizoma di pizzo nero che spuntava dal mucchio, sollevandolo davanti al proprio naso. – Questo non è tuo… -
- … Rangiku, – replicò Momo secca, a mo’ di spiegazione, riafferrando il capo di biancheria – sai che a lei servono per lavoro. -
- Ah, certo… -
Momo non aggiunse altro, né Renji. Lei riprese il suo cesto e si diresse verso la porta, ricordandogli ancora una volta di far riparare quella trappola mortale che aveva nell’ingresso.
- Salutami Shiro. -
- Certo. -
Renji si fece una doccia, e la cosa lo rinfrancò. Benedetto Shinji, che aveva riparato le tubature. E benedetta anche Momo perché, quando tornò in camera, Renji trovò decisamente piacevole infilarsi un paio di jeans ed una maglia puliti.
Avevano un odore buono, di sapone; dovevano essere state lavate nella lavanderia a gettoni che stava due isolati più in là. Nulla di trascendentale, ma le cose semplici, Renji così pensava, sono spesso le migliori.
Uscì legandosi i capelli alla bell’e meglio e richiudendo la porta della camera con una mandata soltanto. Nessuno rubava nulla, lì.
Passò davanti alla camera di Rangiku e Gin; a quell’ora lei aveva appena staccato, e di solito dormiva. E lui, be’… lui chissà cosa faceva.
La porta di Toushiro e Momo era anch’essa chiusa, segno che il ragazzino non era in casa. Forse era uscito, di nuovo, a cercarsi un lavoro. Come se ci fosse una minima possibilità; ormai aveva girato tutti i posti di quella zona della città, sempre a piedi, con l’unico completo decente che avesse, amorevolmente piegato da Momo perché non si stropicciasse. Renji lo trovava patetico, perché si rifiutava di trovarlo straziante: era troppo giovane, Shiro, per essersi ridotto a vivere lì con sua moglie, a vivere di una ridicola pensione mensile.
Poi Renji prese le scale e bandì i pensieri malinconici dalla mente. Non aveva senso stare lì a rimuginare.
Avrebbe pure potuto farsi tutto il piano pensando alle disgrazie dei poveretti con i quali, per l’uno o l’altro caso del destino, si era trovato ad abitare; e ancora questo non sarebbe stato d’aiuto a nessuno.
Era meglio andare a vedere se poteva dare una mano a Nanao.


- … Renji! Ah, grazie al cielo. Proprio di te avevo bisogno. -
Il ragazzo sospirò, posando il piede sull’ultimo gradino. Neanche il tempo ad entrare nella hall, e già c’era qualcosa che non andava.
- Problemi, Nanao? -
- Sì – sospirò lei, parandoglisi davanti. – E’ di nuovo ubriaco. – Non c’era neppure più irritazione nella sua voce, solo una certa preoccupazione. – E tutti vengono a chiedermi di questa dannata perdita nelle tubature, insomma, io non ne so nulla, dovrebbe aver chiamato qualcuno lui, no? -
- Non ne ho idea… - Renji si passò una mano tra i capelli, dirigendosi alla reception, seguito dalla figura minuta di Nanao Ise. Cercava sempre di apparire il più possibile in ordine, Nanao; Renji non capiva perché si ostinasse ancora a prestare attenzione a quei dettagli.
Se non fosse stato per i segni sotto gli occhi, comunque, qualcuno avrebbe anche potuto cascarci.
Shunsui era seduto al suo posto, la testa appoggiata al tavolo, proprio di fronte alle alte file di ganci dove un tempo venivano appese le chiavi, quando ancora quel posto funzionava come un vero e proprio hotel.
Borbottò qualcosa simile a “Nanao” quando Renji entrò nel suo campo visivo.
- No, mi spiace – rispose lui, prendendolo per le ampie spalle e sollevandolo, col risultato di farlo appoggiare ora allo schienale della sedia.
Nanao stava dietro di lui e osservava la scena mordicchiandosi un labbro, la fronte corrugata e uno strano velo di tristezza sugli occhi. Era proprio per quest’ultimo dettaglio che Renji trovava soffocante rimanere troppo a lungo nella stessa stanza con lei.
Renji sapeva un sacco di cose sugli altri inquilini del Million Dollar Hotel, ma non sapeva cosa avesse potuto portare una donna come Nanao Ise tra loro. Certo, non che si stupisse; ne aveva viste, lui, di persone insospettabili, che poi per un motivo o per l’altro si rivelavano fin troppo sospettabili. Gente che non avresti mai detto potesse cadere tanto in basso, e poi finiva per sprofondare in abissi dai quali, siamo sinceri, non si può tornare fuori.
Pochissime persone, pensava Renji, erano veramente pure.
Quasi nessuno, per la verità.
- Se non fosse per queste dannate tubature, riempirei un buon secchio d’acqua… - borbottò, mentre tentava con schiaffi più o meno leggeri di far riprendere conoscenza al loro portinaio sulla via del coma etilico.
- Io glielo farei bere - consigliò una voce raschiante, proveniente da dietro le loro spalle – magari è la volta che vomita un po’ delle schifezze che ha in corpo. -
- Grazie dell’opinione, Kenpachi – rispose Nanao lanciando un’occhiata gelida all’uomo che era comparso dietro di loro. Era alto e ben piazzato, vestito di scuro – pelle, borchie e quant’altro - e con l’aria poco raccomandabile; avresti detto che fosse un terribile cliché se non fosse stato per i capelli che pettinava in maniera assurda.
Una volta Kenpachi aveva raccontato a Renji di quanto si divertiva a guidare per la strada ascoltando “vera musica”, e così Renji si era fatto l’idea che i capelli e il resto fossero una questione vagamente culturale. Si era anche fatto l’idea che la macchina di cui sopra fosse stata rubata, ma, ehi. Nessuno sarebbe mai andato ad importunare uno come Zaraki solo per quello.
Attaccata alla gamba del padre, c’era come sempre la piccola Yachiru, che osservò Shunsui incuriosita.
- Sta male? – domandò. – Se sta male, io lo so curare! – aggiunse, volonterosa. – Me lo ha insegnato Testa Blu! -
- No, non sta male, è solo pigro – rispose Renji, con un altro schiaffo sulla guancia, – ehi, Shunsui! Sorgi e splendi! – lo apostrofò a voce decisamente alta.
Nanao rise – anche se era una risata un po’ tirata – e Yachiru le fece eco con la sua risata cristallina. Kenpachi si limitò ad uno sbuffo divertito mentre Shunsui apriva un occhio.
- Che diavolo vuoi, Abarai… - borbottò, con voce sepolcrale.
- Hai un alito tremendo – replicò l’altro.
- Ma vai a… -
- Signor Kyouraku! – intervenne Nanao sollecita, battendogli su un braccio. – Signor Kyouraku, avanti, è già tardi… -
- Oh, Nanao. – L’altro si sforzò di rivolgerle un’occhiata brillante, e si mise un po’ più diritto. – Sì, d’accordo, d’accordo… -
Renji sospirò, sollevato. Non c’era più bisogno di lui; con un sorriso a Nanao, fece per avviarsi fuori.
- Grazie, Renji – gli sussurrò lei mentre le passava accanto.
- E di che. – Ormai, non era che non ci fosse abituato.
Aveva lanciato un’occhiata alla grande hall, per controllare se Grimmjow o Tatsuki erano da quelle parti, pensando distrattamente che poteva uscire e fare una passeggiata e vedere se in officina c’era qualche soldo da racimolare, quando la grossa mano di Zaraki lo aveva fermato posandoglisi sul petto.
- Cazzo. Che ci fa quello qui? -
- Eh? – Renji si fermò, lanciando un’occhiata nella direzione in cui l’altro fissava, ovvero l’ingresso.
Due uomini stavano entrando; non solo non erano conosciuti a Renji, ma a giudicare dall’aspetto non erano di certo nemmeno nuovi futuri inquilini in cerca di una stanza a buon prezzo e di zero domande: uno era vestito tutto sbagliato, in un completo scuro che era un insulto per tutti quelli che al Million Dollar, vendendolo, ci avrebbero campato per un mese… e l’altro sembrava…
- Quel dannato sbirro. E’ la seconda volta che lo vedo qua attorno in una settimana – ringhiò Zaraki.
- E’ già stato qui? – chiese Renji, studiando con un certo scetticismo l’altro uomo, che aveva capelli di un colore assurdo e l’aria leggermente meno fuoriposto del suo compagno.
- Qualche giorno fa. L’ho visto in giro, faceva domande. -
Renji storse la bocca. - E’ uno sbirro, hai detto? -
- Un detective, da quel che ho capito… -
- Sempre meglio che uno sbirro. -
Zaraki si lasciò sfuggire un verso indefinibile. – Sì, be’, dipende. Senti, io preferisco non dare nell’occhio. Dov’è Yachiru… -
Nanao li raggiunse; dietro di lei Shunsui sembrava essere un po’ tornato in sè. La donna teneva Yachiru attaccata a un fianco. – Che succede? -
- Niente, Nanao. Devo andare. Me la tieni tu? – chiese Kenpachi, indicando Yachiru con un cenno del mento. – Torno a prenderla dopo. -
- Sì, certo… -
La bambina lo salutò mestamente. – Ciao, Ken. A dopo. - Lui la salutò a sua volta, con un sorriso che soltanto sua figlia poteva trovare confortante, e si dileguò alla svelta. Non era un segreto per nessuno che certe persone, al Million Dollar Hotel, per un motivo o per l’altro non volevano aver niente a che fare con la polizia o simili.
Renji e Nanao si scambiarono appena un’occhiata, prima che i due nuovi arrivati si avvicinassero.
Renji tornò a studiarli, lo sguardo vagamente ostile; Nanao diede un colpetto a Yachiru, spingendola verso uno dei divani, e andò loro incontro.
- Salve! Che posso fare per voi? -
Ma perché diavolo si sforzava di parlare così? Neanche fossero stati in una dannata profumeria per signore.
- Salve, - salutò il tizio dai capelli arancioni, - stiamo cercando una persona… -
L’uomo dai capelli neri si era fermato due passi indietro, e stava facendo scorrere sulla hall uno sguardo di superiorità che Renji trovò di primo acchito insopportabile. Per evitare di decidere di prenderlo a pugni, tornò a concentrarsi sul discorso tra Nanao e l’altro.
- Oh, capisco, ma vede, - Nanao era già sulla difensiva, e lanciava occhiate un po’ nervose a Shunsui, che stava seduto dietro al bancone seguendo tutto con un’espressione tutt’altro che amichevole – qui le cose non funzionano proprio così… i dati sono riservati e ognuno gode della massima privacy… -
- Capisco. – Lo sconosciuto estrasse qualcosa dalla tasca e lo mostrò a Nanao. Shunsui fece una faccia disgustata, neanche si fosse ritrovato in bocca della birra tiepida, e lei divenne un po’ più nervosa.
- Mi rendo conto, signor… Kurosaki, ma questo non… - - Senta, davvero, non voglio procurare guai a nessuno – disse l’uomo che era stato identificato come Kurosaki. – Io e il mio cliente siamo qui solo per cercare una persona. Non ci interessa altro. Come vede non sono della polizia… mi basta fare in giro qualche domanda, tutto qui. -
- E chi è che stareste cercando? – domandò Renji, facendosi finalmente avanti.
Nanao quasi sobbalzò nel sentirlo arrivare; i due uomini spostarono gli occhi su di lui.
– Il mio nome è Ichigo Kurosaki – si presentò di nuovo il detective. Con il pollice indicò il suo accompagnatore: - Il signore, qui, è Byakuya Kuchiki. -
Renji assottigliò le palpebre.
- Siamo cercando sua cognata. Rukia Kuchiki. – E Ichigo estrasse dalla tasca una piccola foto, che sollevò perché non solo Nanao e Renji, ma anche Shunsui potessero vederla: - Qualcuno di voi la conosce? -
Nanao sbarrò impercettibilmente gli occhi. Dietro di lei, Shunsui si schiarì la gola – non un suono piacevole – e si alzò in piedi, venendole di fianco.
- E perché la state cercando qui? – domandò, il tono dichiaratamente ostile.
- Qualcuno ha detto di averla vista da queste parti – chiarì Ichigo. Renji sollevò lo sguardo dalla foto, posandolo su Kuchiki, che non aveva ancora parlato, ma li fissava da un bel po’ con attenzione.
I due si studiarono per un istante, prima che Renji tornasse a concentrarsi sul discorso portato avanti dal detective.
- No, io non l’ho vista – stava dicendo Nanao, scuotendo la testa, un po’ rigidamente. Shunsui aveva riacquistato una vaga compostezza e le rimaneva accanto palesando tutta la sua considerevole stazza e statura, probabilmente a beneficio di Kurosaki, mentre negava a sua volta: - Non l’ho vista. Se è passata di qui, non la ricordo. -
Ichigo non sembrava sorpreso. – Be’, vorrei fare qualche domanda a qualcuno dei vostri… inquilini. -
- Si accomodi – lo invitò Shunsui, vagamente beffardo. – O vuole che glieli chiami quaggiù uno ad uno? -
Per un istante, Ichigo non rispose. Renji pensò che non era come quel palo di legno di Byakuya Kuchiki; probabilmente aveva un’idea precisa su come funzionavano davvero le cose da quelle parti. E probabilmente sapeva anche che Shunsui era ben lungi dal sapere esattamente chi, come e perché risiedesse all’hotel. Era il portinaio per modo di dire; soprattutto negli ultimi tempi.
Fu a quel punto che, per un motivo non del tutto chiaro, Renji si fece avanti e parlò.
- Se volete, vi do una mano io. Qua ci conosciamo un po’ tutti. Se è solo questione di fare qualche domanda… -
Tutti si voltarono verso di lui; Nanao e Shunsui non erano meno stupiti di Ichigo. Persino Byakuya lanciò a Renji uno sguardo meravigliato. Lui pensava che in fondo era meglio così: con una guida, avrebbero fatto le loro domande e se ne sarebbero andati. E poi lui sapeva come fare in maniera di tenerli alla larga da certe stanze e certe persone.
- Davvero? – domandò Ichigo, vagamente sospettoso, per poi aggiungere subito, più alla mano: - … Certo, buona idea. Così faremo prima, no? -


- Be’, allora… da dove volete iniziare? -
Erano nella hall, seduti su un divanetto un po’ sfondato, e Renji aveva accettato una sigaretta che Ichigo gli aveva offerto.
Byakuya non aveva ancora parlato, fino a quel momento. – Mia cognata è sparita di casa due mesi fa – spiegò, in tono calmo, e Renji ebbe l’impressione che stesse parlando di titoli finanziari. La sua voce era efficiente e professionale. Avrebbe potuto essere bella, probabilmente, se non fosse stato per il fatto che Renji continuava a provare il desiderio di prendere a pugni la bocca dalla quale usciva. – … L’ho cercata a lungo, finché qualcuno non ci ha rivelato di averla vista qui. -
- Chi? – domandò subito Renji.
Ichigo scosse la testa. – Informazioni riservate, signor… -
- Solo Renji. Nessuno è un signore, qua – rise l’altro, anche se non era precisamente una risata divertita.
Ichigo, diversamente dal manichino in giacca e cravatta che era con lui, colse al volo e non fece complimenti. – Bene, Renji. Non possiamo dire da dove arriva l’informazione, ma direi che ormai è un dato accertato, perciò… -
- Ehi. – Renji sollevò entrambe le mani, la sigaretta stretta tra i denti. – Ve l’ho detto: io non l’ho vista. Però può darsi che non l’abbiamo notata. Qua passa molta gente… -
- Lo immagino. – Ichigo fece scorrere una veloce occhiata tutt’attorno. - Però dovete capire, - aggiunse Renji, - che qua a nessuno piacciono le domande. Se date l’impressione di portare guai, non caverete un ragno dal buco. -
- Non ci interessano i guai… - iniziò subito Ichigo.
- Vogliamo solo ritrovarla – chiarì nuovamente Byakuya. Renji incontrò il suo sguardo e stavolta lo trovò diverso: era intensamente puntato su di lui, sembrava quasi che lo volesse ipnotizzare. Be’, il signorino avrebbe fatto prima a disilludersi; non era mica così semplice ipnotizzarlo.
- Ma si può sapere perché se ne è andata? – chiese beffardo, senza distogliere gli occhi da quelli dell’altro. – Magari vi sarebbe utile per ritrovarla. -
- Sospettiamo sia stata rapita – spiegò Byakuya, senza batter ciglio.
Ichigo lanciò un’occhiata al suo cliente – solo un istante – e Renji si mise a ridere. – Rapita? E poi portata qui? Il suo rapitore doveva essere un idiota, allora – concluse serafico, prendendo un’altra boccata.
Ichigo lasciò perdere qualsiasi messaggio avesse in mente di comunicare a Byakuya, e tornò a concentrarsi su Renji. – Perché? -
- Qua ci viene solo chi ci vuole venire – spiegò lui, semplicemente. – Non vogliamo grane. -
Byakuya incassò senza replicare e Ichigo nascose ancora una volta qualcosa nello sguardo – divertimento, forse? – prima di alzarsi. – Be’, - esordì, una volta in piedi – mettiamola, così… Renji. Tornerò domani. -
- Domani? – L’altro sollevò lo sguardo senza capire.
Byakuya sembrò per un attimo altrettanto perplesso, ma si alzò in piedi a sua volta, senza contraddire Ichigo.
- Sì – riprese questi – per, diciamo… far capire che non cerco guai. E non ne porto. Intesi? -
Stavolta Renji sorrise apertamente. – Intesi. -
Dopo questo, la conversazione si concluse velocemente, e Ichigo e Byakuya si congedarono in fretta. Nanao li salutò con deferenza, in piedi dietro al bancone della reception; Shunsui era sparito, probabilmente a cercare una bottiglia.
Fuori, Ichigo si diresse senza parlare verso la portiera del guidatore, già soddisfatto per il fatto di aver ritrovato la macchina dove l’avevano lasciata e tutta intera.
- Perché ce ne stiamo andando? – domandò Byakuya, in piedi dall’altro lato della vettura, senza accennare a salire.
- Per permettere a quei poveracci di nascondere quello che hanno, - Ichigo si strinse nelle spalle, estraendo le chiavi, - droga, roba rubata. O di cambiare aria per un po’. -
- Credevo che questo fosse precisamente quello che non volevamo. – Stavolta nella voce di Kuchiki era ben percepibile l’irritazione. – Se lei è qui potrebbe… -
- Lei è senz’altro qui, o ci è stata – lo interruppe Ichigo. – Ha visto anche lei le facce di quei tre, no? Ma il nostro… amico, Renji, ha ragione: non otterremo niente se ce li faremo tutti nemici. L’unico modo di beccare sua cognata senza l’aiuto di qualcuno di loro, sarebbe perquisire ogni singola stanza senza preavviso, - con le chiavi ancora in mano sollevò un braccio per indicare vagamente la mole dell’edificio, - se ci vuole provare, in un giorno solo, buona fortuna. -
Byakuya strinse le labbra e non rispose, ma non smise di osservarlo con l’aria di chi si aspetta una spiegazione.
Ichigo sospirò e si grattò un po’ la testa. – Guardi… Non creda che in un posto come questo siano tutti una grande famiglia. Se uno può avvantaggiarsi a scapito di un altro, lo farà volentieri. Qualcosa salterà fuori molto più facilmente in questo modo, mi creda. -
Byakuya non sembrava del tutto convinto, ma non oppose più obiezioni, e salì in macchina.



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Ecco il primo capitolo! Grazie al quale potrete finalmente iniziare a decidere se questa storia vi piace o no.
Innanzitutto vorrei ringraziare le CINQUE persone (o.o) che hanno favvato questa fic, pur avendo a disposizione solo una Premessa e un Prologo, cioè decisamente troppo poco per giudicare. XD
Grazie per la vostra fiducia!
Lo stesso dicasi per chi ha recensito.

@Keute: la lonfic entusiasma anche a me, non sono mai riuscita a scriverne una, questa è la prima. *_*'' Spero che non ti deluderà. Inutile dire che sono felicissima che tu mi segua nelle mie follie XD
@AllegraRagazzaMorta: prima di tutto, sono felice di risentirti! Era un po', vero? Hai ragionissimo a dire che non puoi esprimerti essendo al prologo (XD), spero che la fic da ora in poi dia più pane per i tuoi denti. XD Ah, e sono molto felice di scoprire che il film è così apprezzato *_* Non pensavo fosse tanto noto °_°
@Ino_Chan: la costanza dei miei lettori mi commuove. *__* Sì, il clima metropolitano è un elemento del film che mi è molto piaciuto, per questo ho cercato di riprodurlo! Sono contenta che si noti. Per la canzone, se posso darti un consiglio, cerca la canzone cantata da Milla Jovovich (*_*), è la mia preferita anche se le altre versioni e l'originale sono opere di mostri sacri. XD
@tesar: innanzitutto benvenuta! Arduo dire chi sia il "protagonista" ma senz'altro Ichigo ha la sua bella parte in questa fic. XD Spero che ti piacerà :P Buona lettura!

Bene, si inizia... fatemi sapere cosa ne pensate :P
   
 
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