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Autore: Ciloculo    22/10/2014    2 recensioni
Frank e Gerard vivono a New york e stanno insieme fino a quando Gerard non tradisce Frank con Bert.
Il ragazzo non riesce a sopportarlo e quindi decide di tornare nella sua città natale, Belleville, per dimenticarsi di Gerard.
Ma sarà davvero così facile o il passato continuerà a perseguitarlo?
E se, per esempio, Gerard decidesse di andarsi a riprendere Frank? Cosa succederebbe?
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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02. Do I wanna know?




Non era mai stato un ragazzo particolarmente studioso.
Certo, non aveva mai saltato una lezione prima di rompere con Gerard perché pensava fosse una cosa stupida e inutile. Perché alzarsi la mattina, arrivare a scuola e poi non entrarci? Era da idioti.
Non odiava studiare come la maggior parte dei suoi coetanei, ma era selettivo. Studiava solo storia, letteratura inglese e frequentava dei corsi di arte extrascolastici assieme a Gerard, che aveva interrotto dopo aver rotto con lui.
Si diede un pugno in testa. Era sveglio da soli trenta minuti e aveva già pensato a Gerard due volte, o forse ben più di due volte.
L’orologio sul comodino segnava le 6:45, avrebbe dovuto fare una doccia, fare colazione, preparare i libri e uscire di casa visto che era un bel po’ lontana dalla scuola, e invece no. Rimaneva lì fermo, nel buio della sua stanza, a pensare al suo ex che probabilmente in quel momento stava ancora dormendo, magari tra le braccia di Bert.
In realtà non pensava unicamente a lui. O meglio, pensava a cose che gli riportavano alla mente lui e che con lui erano strettamente collegate, in primis la scuola. Anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce neanche sotto tortura, aveva paura.
Non era mai stato bravo a socializzare, aspettava che le persone gli si avvicinassero e questo di solito accadeva perché tutti nella vecchia scuola a New York conoscevano la sua situazione economica e speravano di poter ottenere qualcosa da lui. Ma lì, nella sperduta Belleville, dove probabilmente nessuno lo conosceva, nessuno si sarebbe mai avvicinato a lui.
E aveva paura che non sarebbe stato capito e accettato per via del suo aspetto. Frank non era stupido, sapeva perfettamente di non essere un adone o anche solo carino.
Era piuttosto bassino e per nulla esile, anzi, aveva su qualche chiletto di troppo, dei comunissimi capelli castani e degli occhi verdi che non gli piacevano un granché perché troppo facili da leggere; ecco perché copriva il suo corpo con i tatuaggi e cercava di migliorare il viso con i piercings , oltre ad amare la sensazione che provava ogni volta che faceva un nuovo tattoo o piercing.
Era un modo come un altro per dare libero sfogo all’arte che sentiva dentro di se, che non riusciva ad esprimere se non attraverso il suo corpo e la sua musica.
Sapeva di essere abbastanza bravo nel suonare la chitarra e nel comporre dei testi, ma non credeva nella sua musica e non ci si era mai esercitato davvero con quella chitarra per via dei suoi genitori e in particolar modo di suo padre.
“ Non vivrai a lungo se vivrai di musica. E poi, non ti sembra una cosa da gay? ”, diceva sempre con un ghigno compiaciuto.
Se solo si fosse reso conto dell’omosessualità di suo figlio, ne sarebbe morto. Se solo avesse saputo che era gay da quando, a tredici anni, era rimasto a fissare intensamente il culo di Alan negli spogliatoi , dopo un allenamento di lacrosse - inutile dire che due giorni dopo aveva lasciato la squadra con una scusa banale – l’avrebbe mandato in qualche centro di rieducazione.
Sorrideva al solo pensiero.
Guardò l’orologio che ora segnava le 7:10, e decise che era arrivato il momento di alzarsi. Fece tutto di gran fretta e uscì di casa, cercando per una volta nella sua misera vita di pensare positivo.
Pensò a Mikey, in fondo anche per lui quello era il primo giorno di scuola, l’ultimo alle superiori. E pensò a Gerard, una volta ancora, che si ripromise sarebbe stata l’ultima.
Si chiese dove potesse essere in quel momento mentre si accendeva una sigaretta e saliva sulla sua Aston Martin DB9, il suo gioiellino, piccolo regalo di suo padre per i suoi sedici anni. In effetti, Frank non amava molto le auto, cui preferiva mille volte le moto, ma per quella aveva fatto una piccola eccezione.
Guidando con solo Gerard in mente, arrivò a scuola alle 8:10 e pregò intensamente che l’insegnante della prima ora non fosse già in classe.
Perfetto, in ritardo già il primo giorno, pensò e sbattendo lo sportello della sua macchina entrò all’inferno sotto lo sguardo attento dei ragazzi che in quel momento si trovavano nel parcheggio, chi intento a fumare, chi a ripassare e chi a cazzeggiare, facendo finta che la scuola non fosse effettivamente iniziata da dieci minuti. Questo atteggiamento mandò su tutte le furie Frank, che aveva corso come un pazzo per arrivare puntuale e comunque non c’era riuscito.
Lo accolse una signora simpatica quanto grassoccia, che doveva avere sulla cinquantina d’anni, di nome Mindy, che con un grande sorriso gli mostrò la planimetria della scuola e gli consegnò un foglio con su stampato il suo orario della settimana e l’elenco dei professori. Frank rimase zitto e non le disse che, da bravo nerd quale riteneva di essere, aveva già scaricato l’orario completo e il curriculum di ogni professore, perché Mindy sembrava davvero felice di poterlo aiutare, e così lui rimase lì ad annuire ed ascoltare, convinto di aver assolto alla sua buona azione quotidiana, obiettivo che si era prefissato di raggiungere da quando si era reso conto che c’era gente che stava peggio di lui.
Storia a prima ora si rivelò una benedizione e una maledizione allo stesso tempo.
Ovviamente adorava quella materia ma il loro insegnante, il signor Brooks, lo mandava in confusione, impedendogli di concentrarsi. Era giovane - secondo lui si aggirava sulla trentina, ma non poteva aver superato i trentadue -, slanciato e con i giusti muscoli. Aveva un viso proporzionato, con due occhioni grandi e di un limpidissimo azzurro, incorniciati da una massa di ricci e un filo di barba. Inutile dire quanto Frank se ne fosse innamorato.
Il professore gli sorrise ma non gli chiese di presentarsi alla classe, che fino a quel momento si limitò a guardarlo con circospezione, così decise di prendere posto. Ultimo banco, terza fila di sinistra. Era il lato che dava sulla finestra, e il posto accanto al suo era libero, mentre davanti si ritrovò un tizio con una massa di ricci tanto alta da assomigliare ad un afro-americano, ma bianco.
Aveva già capito da chi doveva diffidare, ovvero il gruppetto centrale formato da due energumeni - che con ogni probabilità facevano parte della squadra di football visto che in quella cazzo di scuola non era contemplato il lacrosse – che non sembravano particolarmente intelligenti, e da due ragazze che indossavano le uniformi da cheerleaders e che molto probabilmente erano le rispettive ragazze dei due energumeni sopracitati.
<< Allora ragazzi >>, iniziò il professore, << io sono Henry Brooks, il vostro nuovo insegnante di storia. Purtroppo la vostra vecchia insegnante è dovuta andare via per motivi che non mi sono stati comunicati, quindi… >>, stava spiegando, quando uno dei due giocatori di football lo interruppe.
<< La Sanders è dovuta andare via perché si sbatteva un ragazzo della nostra classe, Bob Bryar, che oggi non è qui. Se siamo fortunati avrà deciso di impiccarsi >>, disse esplodendo in una fragorosa risata quello che, avrebbe scoperto in seguito, si chiamava Fred.
Il signor Brooks aveva corrucciato il viso in un’espressione contrariata, palesemente pronto a rispondere, quando la porta della classe si aprì repentinamente, e ne entrò un ragazzone alto, con i capelli biondi, un filo di barba e qualche piercing. Frank sentiva di conoscerlo, ma non credeva possibile che si fossero già visti.
<< Mi dispiace deludervi, mia adorata massa di idioti, ma 1. Sono vivo e 2. Non mi sbattevo la Sanders, sono gay. Come se non lo sapeste poi! >>, e senza aggiungere altro andò ad accomodarsi nel banco accanto al suo ma non lo degnò neanche di uno sguardo.
<< V-va bene ragazzi, cerchiamo di fare una lezione quantomeno dignitosa sulla storia americana di quest’anno. Inizieremo da Theodore Roosvelt.. >>, ma dopo poco Frank non lo ascoltò, troppo impegnato ad origliare la conversazione che stava avvenendo tra l’afro e Bob Bryar.
<< Esibizionista del cazzo >>, gli disse l’afro con un sorrisetto.
<< Non posso farci nulla se io, a differenza sua che probabilmente non lo usa abbastanza, non ho problemi col mio cazzo >>, rispose ed entrambi esplosero in una risata contagiosa a cui Frank cercò di resistere, ma con pessimi risultati. Fu allora che Bob lo guardò con interesse per qualche secondo, prima di spalancare gli occhi e sorridergli.
<< Porca puttana! Tu sei Frank! Frank Iero, giusto? Amico, da bambini giocavamo insieme praticamente ogni giorno e ne combinavamo così tante che le nostre mamme iniziavano ad urlare come oche! Non ti ricordi di me? >>
<< Ehm.. si, sono Frank, ma francamente non ho la più pallida idea di chi tu sia, mi dispiace >>, rispose Frank grattandosi nervosamente la nuca.
Aveva pochissimi ricordi di quand’era bambino. Sapeva di essere andato via da Belleville per qualcosa di brutto che era successo a lui e alla sua famiglia, ma nessuno si era premurato di spiegargli cosa fosse successo esattamente e lui dal canto suo non aveva mai chiesto più di tanto. Sapeva di essersi svegliato un giorno sulla loro bella macchina in direzione di New York con il profumo di sua madre ad inondarne l’abitacolo e le chiacchiere di suo padre su questa e quella squadra di lacrosse, e nient’altro.
I dottori erano indecisi se definirlo come un disturbo da stress post-traumatico o una semplice, per modo di dire, amnesia selettiva. Era come se avesse completamente rimosso una parte della sua infanzia, quella che andava dai cinque ai sette anni, nonostante a volte ricordasse cose che aveva fatto in quegli anni, se ci si metteva d’impegno. E il fatto che nessuno riuscisse a capire cosa fosse, lo rendeva nervoso e arrabbiato, quindi preferiva non pensarci più di tanto.
Si riscosse dai suoi pensieri quando Bob gli sfiorò una spalla.
<< Ehi amico, scusa, non volevo disturbarti >>, gli disse abbassando lo sguardo, dispiaciuto. A Frank fece tanta tenerezza, sembrava un cucciolo abbandonato, e non faticava a credere che da bambino avesse voluto essere amico di un ragazzo come Bob.
<< Non è questo, è che io… >>, stava per spiegargli del suo problema, ma le parole gli morirono in gola.
Era sempre così, ogni volta che cercava di parlare del suo problema, non riusciva a trovare le parole e gli si seccava la gola, come se ci fosse qualcosa ad impedirglielo. Anche con Gerard era sempre stato così, nonostante in più di un’occasione avesse davvero voluto parlargliene.
<< Tranquillo! Comunque, mi fa piacere che tu sia tornato! >>
<< Bryar, Iero, non siamo in un salotto. Andate fuori a continuare la vostra conversazione >>, e con queste parole vennero sbattuti fuori.
Andarono nel parcheggio e si sedettero su una panchina. Si accesero una sigaretta - entrambi fumavano le Rothmans, e già questo fece sorridere Frank - nello stesso momento.
<< Ancora non posso credere che tu sia tornato e che io stia davvero parlando con te >>, cercò di iniziare Bob.
“ Se dice questo, significa che da bambini dovevamo avere proprio un ottimo rapporto ”, pensò, anche se proprio non riusciva a ricordare chi fosse.
<< Non ho mai capito perché siate dovuti andare via. Sai, nella mia mente di bambino, avremmo dovuto continuare a vivere assieme le nostre avventure per il resto della vita >>, aggiunse con un sorriso lievemente accennato quando si rese conto che Frank non era particolarmente disposto a collaborare quel giorno.
<< Comunque, da quanto siete arrivati? >>, chiese ancora, sperando di ottenere un qualche cenno di vita.
<< Da qualche giorno. Non ricordavo che Belleville fosse un tale mortorio >>, rispose cercando di recuperare in qualche modo.
<< E ancora non hai visto la gente che la popola >>, sghignazzò Bob.
<< Ho già capito da chi devo tenermi alla larga, però, come per esempio quei due energumeni che abbiamo in classe >>.
<< Ah, ti riferisci ai due giocatori di football.. Tranquillo, non dovreste condividere molte classi, e vuoi sapere una cosa scioccante? Si chiamano Fred e George*! >>
<< Non è possibile! Fred e George come quelli di Harry Potter? Sacrilegio! >>, disse sconvolto. Amava Harry Potter, aveva riletto l’intera saga per più di tre volte.
<< Già – sghignazzò – quindi stavolta sei intenzionato a restare? >>
Frank ci pensò. Non si era ancora posto questa domanda, e non ne conosceva la risposta. Sarebbe rimasto lì o sarebbe, una volta terminato il liceo, tornato a New York consapevole di aver dimenticato Gerard? Non lo sapeva. Era lì da appena una settimana, faceva ancora una tremenda fatica ad ambientarsi, a riconoscere le strade, a considerare la casa in cui viveva, casa sua.
<< Non lo so, non ho ancora pensato a questa cosa >>, rispose rabbuiandosi.
<< Posso chiederti perché siete tornati? >>, gli domandò Bob vedendo il suo viso rabbuiarsi.
<< E’ una storia piuttosto lunga >>, rispose evasivo. Nonostante giocassero insieme da bambini, conosceva davvero Bob da nemmeno due ore, non poteva sbandierare il suo segreto tanto prezioso e infamante ai quattro venti.
No, Frank non si fidava di Bob e dietro non c’era nessun motivo particolare. Semplicemente lo conosceva da troppo poco per poter anche solo pensare di raccontargli la sua vita.
<< E’ una lei o un lui? >>, chiese allora quello stupendolo.
<< Come hai fatto a capirlo? >>
<< Oddio, non dirmi che c’ho preso! Ho tirato a caso >>, rispose sbellicandosi.
<< E’ un lui >>, disse comunque.
Non capì mai cosa successe in quel momento, perché glielo disse. Non si era sentito in dovere di farlo, sapeva che se avesse voluto, avrebbe potuto cambiare argomento o semplicemente astenersi dal rispondere, e invece quelle parole erano scivolate fuori dalla sua bocca in modo del tutto naturale, come se stesse parlando a Mikey, e non ad un, a conti fatti, perfetto sconosciuto. Bob rimase interdetto per un attimo, ma poi recuperò il sorriso.
<< Quindi tu sei gay come me? Te lo chiedo giusto per avere una conferma di quello che ho sentito >>.
<< Si, decisamente >>, ridacchiò Frank.
Tutto sommato non era stato tanto difficile dirglielo. Nella vecchia scuola non si era mai esposto tanto. Certo, non si vergognava di ciò che era, e teneva Gerard per mano nei corridoi, e lo baciava anche a mensa, ma diceva mai espressamente di essere gay. Non sapeva perché, non lo faceva e basta.
<< Tranquillo, siamo dalla stessa parte. Comunque, credo sia arrivato il momento di rientrare, ci vediamo a mensa, ti va? >>, chiese Bob alzandosi.
<< Si, non credo di avere altri piani.
Dopo un’estenuante lezione di fisica, arrivò il momento del pranzo. Entrò in mensa e subito individuò Bob e l’afro che, scoprì successivamente, si chiamava Ray. Era un ragazzo veramente simpatico, come Bob del resto, e scoprirono di avere in comune tantissime cose, come i gusti musicali e, solo con Bob, culinari. Erano entrambi vegetariani, non riusciva a crederci!
Probabilmente da bambini dovevano essersi influenzati a vicenda, stava cominciando a pensarlo, e gli veniva da sorridere se pensava di sentirsi già emotivamente legato a Bob da qualcosa che non riusciva ad individuare. Ed era strano perché, solitamente, passava una vita prima che sentisse davvero affetto per qualcuno. Così, spinto da uno strano impulso, si avvicinò a Bob nel corridoio.
<< Ti va di venire da me oggi? Vorrei saperne di più su quello che facevamo da bambini >>, gli disse con qualche difficoltà. Non erano cose che diceva ogni giorno.
<< Per me va benissimo >>.

E così si ritrovavano sul letto di Frank, mentre ascoltavano un vecchio pezzo dei Def Leppard, una delle band che Gerard adorava, mentre parlavano del più e del meno.
<< Quindi davvero non ti ricordi di me? >>, chiese ad un tratto Bob, mettendo su un’espressione da cucciolo abbandonato.
<< No, mi dispiace tantissimo ma.. io non ci riesco. Non ho molti ricordi di quando eravamo bambini, è come se qualcuno me li avesse rubati, e non credo di poterci fare molto >>, rispose con la verità, perché a quel punto non aveva più senso mentirgli.
<< Sai, quando sei andato via ci sono rimasto davvero male, perché nessuno mi aveva detto che te ne saresti andato. Così, ogni giorno, nonostante mia madre mi dicesse che non saresti venuto, io andavo nel parchetto che c’è proprio sopra scuola e ti aspettavo, perché credevo fermamente che saresti arrivato per giocare con me. Ovviamente non succedeva, e quindi verso sera mia madre veniva a riprendermi e si sorbiva i miei piagnistei >>.
<< Io non so neanche perché siamo andati via, i miei genitori non me l’hanno mai detto >>.
<< Tu non gliel’hai mai chiesto? Io non sarei riuscito a resistere alla curiosità. Comunque non preoccuparti, riuscirò a farti ricordare chi sono >>, sussurrò con un ghigno malizioso stampato in viso prima di depositargli un lieve bacio sulla guancia.
<< Ora credo proprio sia arrivato il momento per me di andare, ma se vuoi sapere altro possiamo sempre vederci domani pomeriggio. Magari davanti ad una tazza di caffè nel bar all’angolo tra Monroe Street e Park Ave >>, suggerì raccogliendo le sue cose.
<< E’ un appuntamento, Bryar? >>, chiese spiazzato Frank.
<< Se vuoi considerarlo così fai pure >>, gli fece un occhiolino e scomparve al di là della porta principale.
Era tutto così nuovo per Frank. Si trovava in città da nemmeno due settimane e aveva già un appuntamento. Che fosse davvero il fascino dell’ultimo anno?

Quella notte i suoi sogni furono agitati.
Non riusciva a capire dove si trovasse, ma stava correndo, anzi, stava scappando da qualcuno. Inciampò in qualcosa e, tastandola, pensò si trattasse di un ramo, ma quando lo prese tra le mani la realtà si svelò in tutto il suo orrore; era un osso.
Urlò e si rialzò, la gamba gli faceva male, ma sapeva di dover correre, perché quel qualcuno lo stava raggiungendo, non poteva permetterselo. L’avrebbe ucciso.
Cadde di nuovo, si rese conto di stare congelando e capì di essere senza vestiti. Perché era senza vestiti?
Una voce lo chiamò; si trattava di una voce profonda, roca ma familiare. Conosceva chiunque lo stava raggiungendo, quindi magari poteva fermarsi. Ma no, un campanello d’allarme risuonò nella sua mente. Doveva scappare.
E corse, corse, corse a perdifiato, fino a quando si svegliò nel suo letto.
Era stato solo un brutto sogno.


Cilo’s corner.
Ciao a tutti, come state?
Allora, per prima cosa vorrei ringraziare le due stupendissime persone che hanno recensito lo scorso capitolo, la persona che ha aggiunto la storia tra le preferite, e le due che l’hanno aggiunta tra le seguite. Mi avete resa felice <3
Detto ciò, vi è piaciuto il capitolo? Non ho tantissimo da dire, Bob mi piace un sacco e l’idea di lui e Frank mi ha sempre allettata parecchio, senza contare che in un’intervista ai My Chem che ho trovato per caso un po’ di tempo fa, Frank dice proprio che il suo primo bacio gay è stato con Bob. O forse ho capito male io, ma non ho mai avuto modo di appurare la cosa perché non sono più riuscita a trovare quell’intervista ahahah
*= Sono una fansfegata di HP, e Fred e George sono i miei personaggi preferiti, dopo Luna e Remus, quindi ho semplicemente sentito la necessità di inserirli anche in questa storia, dove non c'entrano nulla, un po' come il prezzemolo ahah
Comunque, per finire, vorrei fare una piccola e probabile anticipazione. Fino ad ora abbiamo visto la vita di Frank.. ma Gerard, in tutto ciò, dov’è finito? Il prossimo capitolo potrebbe essere, rullo di tamburi… dal punto di vista del nostro Gerardo. Magari ci spiegherà meglio le sue motivazioni e vedremo dove sta buttando la sua vita.
Voi mi raccomando recensite, che mi fate tanto contenta e ci vediamo al prossimo capitolo!
Cilo
   
 
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