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Autore: CowgirlSara    24/01/2005    2 recensioni
Un racconto che parla di guerra, delle perdite che essa porta, del dolore, dell'amore che può nascere e crescere, preservarsi, nelle condizioni più avverse... come un fiore bianco nel vento del Riddermark.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Eomer, Eowyn
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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12

Come sempre, prima di tutto, mi scuso per il mio ormai prodigioso ritardo nel postare i capitoli; non vi prometto nulla, ma il lavoro procede, anche se lentamente. Poi, voglio ringraziare Nat per la sua garbata critica, anche se temo non abbia ben compreso alcune delle mie intenzioni mi fa piacere che abbia espresso la sua opinione in modo educato, terrò presenti i suoi suggerimenti. Naturalmente ringrazio anche tutti gli altri lettori, che abbiano commentato o meno! Un bacione a tutti! Sara

 

12. La battaglia più grande

 

Non ci sarà l'estate, se non viene primavera

Su queste rovine, oltre questi anni di frontiera

Dietro alle urla, che non riesci nemmeno più ad ascoltare

In queste mani che ora stringono, terra da riconquistare

(Anni di frontiera - Nomadi)

 

La furia dei Rohirrim travolse le linee del nemico, sorprendendolo mentre era concentrato sull'assalto alle mura di Minas Tirith; la spada di Theoden non risparmiava orchi, uomini di Harad, mannari, ma nel suo furore guerriero era rimasto quasi isolato dai suoi uomini. L'unico che era riuscito a mantenere il suo passo era Dernhelm.

Le sorti della battaglia sembrarono volgersi in favore degli assediati, da quando erano scesi in campo i cavalieri di Rohan, ed il vento da sud, e il giorno che sorgeva, davano nuova speranza agli uomini. C'era qualcuno, però, che non era disposto ad arrendersi...

Fu come se l'oscurità, con la violenza della sua ancora superiore forza, avesse deciso di rifarsi cupa ed eliminare definitivamente il giorno; il grido della bestia volante si alzò ancora più acuto, mentre il signore dei Nazgûl la faceva planare sui campi dove infuriava la battaglia. Doveva fermare colui che guidava l'attacco.

L'agghiacciante verso della creatura fece nitrire e impennare i cavalli, che, dopo aver disarcionato i loro cavalieri, fuggirono preda di un terrore furibondo. Il grido del Nazgûl fece il resto: gli uomini correvano impazziti incontro a nemici armati, o si rannicchiavano su se stessi, sconvolti dalla paura. Ma il re di Angmar aveva un obiettivo.

Nevecrino non fu immune al terrore e, dopo essersi impennato con violenza, cadde sul fianco, schiacciando Theoden; l'orrida bestia volante si appollaiò sul cavallo, affondando gli artigli nella sua carne e aumentando così il peso sul povero corpo del re.

La creatura emanava un fetore di morte, digrignando le fauci crudeli, mentre il suo padrone si stagliava, nero fantasma, contro il cielo livido.

Theoden sembrava essere rimasto solo, nessun uomo della sua guardia era accanto a lui, ma c'era qualcuno che non lo aveva abbandonato. Dernhelm, anche lui disarcionato da Windfola, era in piedi al fianco della carcassa di Nevecrino, con la spada sfoderata e lo scudo a proteggerlo dallo sguardo del Nazgûl.

Merry, che era caduto insieme al suo accompagnatore, dopo gesta valorose accanto al sovrano, finalmente ritrovò il coraggio di aprire gli occhi; il terrore del grido lo aveva quasi paralizzato, ma ora vedeva Dernhelm di fronte alla bestia, unico cavaliere a difendere le spoglie del re.

"Non osare toccarlo, o ti rimanderò all'inferno da dove sei venuto!" Minacciò l'esile cavaliere; Merry si chiese quanta forza possedesse una persona che osava minacciare un Nazgûl.

"Scostati essere inutile!" Ribatté la voce metallica e agghiacciante del cavaliere nero. "Nessuno può mettersi tra il Nazgûl e la sua preda!"

"Fossi anche l'unico a possedere abbastanza sangue e coraggio per fronteggiarti, io resterò!" Replicò Dernhelm; Merry riusciva quasi a vedere i suoi occhi scintillare.

"Stolto, nessun uomo vivente può uccidermi." Dichiarò il re stregone, sicuro nella sua imbattibilità.

Dernhelm lo fissò, per un attimo infinito, allo hobbit sembrò di sentirlo quasi ridere, poi alzò la mano e si sfilò l'elmo. Una cascata di capelli biondi come un fiume d'oro gli scese fin oltre la vita, appena mossi dalla lieve brezza del sud che continuava a soffiare sul Pelennor. Gli occhi color fiordaliso di Eowyn non si erano mossi da volto invisibile del suo nemico, che la sovrastava, gigantesco e terribile come un'ombra di disperazione.

"Io non sono un uomo." Proclamò la bianca dama. "Sono Eowyn, figlia di Eomund, e tu non toccherai il re del mio stesso sangue!" Il Nazgûl sembrò incerto, per un breve momento, poi incitò la bestia ad attaccare.

Eowyn non si fece spaventare dal suo orrido ruggito e, con una mossa perfetta, tagliò di netto la testa della bestia volante; il suo enorme corpo di afflosciò a terra, il Nazgûl si levò sulle staffe e poi discese, avvolto dal suo nero mantello.

La ragazza fece un passo indietro, continuando a ripararsi dietro lo scudo, ma lui avanzava, portando un'enorme mazza ferrata nera. La lama di Eowyn brillò. Il re stregone colpì, lei si riparò, ma lo scudo s'infranse, il braccio si ruppe e la ragazza gridò di dolore, cadendo seduta a terra. Perse la spada, che cadde a poca distanza dal suo braccio destro.

"E ora... muori." Sibilò il re di Angmar.

Ma fu in quel momento che il coraggio, finora sopito, raggiunse il cuore di Merry. Il nemico non poteva vederlo, era dietro di lui, era piccolo e insignificante. Lo hobbit afferrò la sua piccola spada e, con un grido determinato, si lanciò contro il Nazgûl, conficcando la lama nel suo ginocchio.

Il cavaliere nero si lamentò violentemente, piegandosi sulle gambe; la spada di Merry si polverizzò. Eowyn lo guardò, comprendendo che quello era il momento giusto. Girò il capo verso destra, vide la sua spada, l'afferrò, poi, slanciandosi in avanti, conficcò la lama nel vuoto tra la corona ed il mantello del re stregone, con tutta la forza e la disperazione che aveva.

Sentiva il suo braccio sempre più debole, mentre insisteva il colpo, finché la spada si sbriciolò ed il Nazgûl emise un grido acutissimo e terribile, che si diffuse per tutto il campo di battaglia fino alle mura di Minas Tirith, fino ai bastioni di Minas Morgul. E tutti seppero che il re di Angmar era sconfitto.

 

Merry era rimasto in piedi, in mezzo a tutta quella distruzione; si sentiva confuso. Vide Eowyn osservare le proprie braccia, quello sinistro sanguinava, poi la fanciulla si girò di scatto verso Theoden e cercò di strisciare a terra per raggiungerlo, ma non ce la fece: perse conoscenza, accasciandosi, con i capelli biondi sparsi sul terreno.

Lo hobbit si voltò verso il re; Nevecrino era rotolato via, andando a morire pochi passi più in là. Merry si avvicinò al sovrano e gli prese la mano, lasciandosi cadere seduto accanto a lui; Theoden aprì lentamente gli occhi.

"Addio Messere Holbytla..." Mormorò poi. "Il mio corpo è spezzato. Ritorno alle case dei Padri senza vergogna, ho combattuto il nemico e tramonto nella gloria..." Merry non riusciva a parlare, le lacrime gli bloccavano la gola.

"Perdonatemi Sire..." Riuscì a dire infine. "Vi ho disubbidito e non sono stato capace di fare nulla, se non di piangere ora che è troppo tardi..." Theoden fu capace di un breve sorriso.

"Sei perdonato, hai un grande cuore, ora vivi e sii felice, e pensa a me, quando fumerai la tua pipa..." Chiuse gli occhi, e Merry credette che fosse morto, ma ebbe la forza di poche altre parole. "Dov'è Eomer? Avrei voluto rivederlo, e sai... m'è parso di vedere Eowyn, la mia piccola Eowyn, non la rivedrò mai più..." Merry avrebbe voluto dirgli che era lì anche lei, ma non ebbe il coraggio di turbare gli ultimi momenti del sovrano.

Poi, quasi all'improvviso, lo hobbit si ricordò che stavano in mezzo ad una battaglia che continuava e, forse, si stava ingigantendo. Si alzò e spostò lo sguardo intorno a se, e vide i rinforzi del nemico giungere da sud e da est, poi riconobbe Eomer che stava riorganizzando le fila dei cavalieri. Si diressero verso di lui, ma Merry non sapeva se lo avrebbero trovato in piedi, poiché sentiva le gambe sempre più deboli...

 

Quando, avvicinandosi, Eomer, Elfrid, ed i superstiti della prima compagnia dei Rohirrim, videro la carcassa della bestia rimasero esterrefatti; i loro cavalli si rifiutarono di avvicinarsi, ma Eomer scese di sella, riconoscendo Nevecrino.

Si avvicinò a Theoden, col dolore dipinto sul volto sporcato dalla battaglia, e rimase immobile e silenzioso, mentre Elfrid raccoglieva il vessillo di Rohan. La ragazza vide il profondo turbamento sul viso di Eomer, e quella sua immobilità la preoccupava più che se avesse visto una reazione violenta; finché il maresciallo si chinò presso Theoden, il quale aveva riaperto gli occhi. Gli prese la mano.

"Ti saluto Re del Mark!" Disse all'erede. "Cavalca verso al vittoria! Porta il mio addio ad Eowyn!" Furono le sue ultime parole; Eomer socchiuse gli occhi, calde lacrime scesero sul suo volto, strinse al petto la mano del suo predecessore e gli baciò la fronte, mentre gli uomini intorno cantavano le lodi di Theoden Re.

In mezzo a quelle grida di saluto per il re scomparso, Elfrid fu colta da un terribile sospetto; forse furono le ultime parole di Theoden, forse l'accorgersi della presenza di Merry, ma il suo cuore cominciò a battere all'impazzata. Si chinò, afferrando per le spalle lo hobbit.

"Dov'è lei?!" Gli chiese con gli occhi già pieni di lacrime.

"La mia spada non ce l'ho più... è diventata di polvere..." Mormorò Merry, con lo sguardo perso nel vuoto.

"Non parlo della spada, Merry..." Affermò Elfrid, disperata.

"Lei era là, era bellissima e terribile... e splendeva come il sole..." Alzò gli occhi sulla guerriera. "Lo ha ucciso, sai?"

"Dov'è..." Riuscì soltanto a sussurrare Elfrid tra le lacrime.

"Laggiù..." Merry indicò una direzione alla sua destra, ma guardando verso Theoden; la ragazza gli lasciò le spalle, rimettendosi in piedi.

Appena si fu alzata la vide subito: a pochi passi da dove giaceva il corpo enorme della bestia volante, c'era Eowyn. Era sdraiata a terra, la posizione un po' scomposta, senza elmo, i lunghi capelli biondi abbandonati sulla terra sporca, ai suoi piedi un vuoto mantello nero. Elfrid si morse il labbro inferiore, il senso di colpa, per un attimo, le attanagliò il cuore e non riusciva a fermare le lacrime di rabbia e di dolore che le scendevano sul viso.

"Maledizione..." Imprecò scuotendo il capo, come per negare quell'immagine. "Lo sapevo..." Mormorò poi, portandosi una mano alle labbra.

Eomer si era appena rimesso in piedi, quando sentì la voce di Elfrid pronunciare quel nome: "Eowyn..." Si voltò di scatto verso il capitano dai capelli rossi e incrociò i suoi occhi disperati, poi il suo sguardo oltrepassò la figura della ragazza, posandosi sul corpo della sorella.

Nessuna ferita, nemmeno una mortale, avrebbe potuto dargli maggiore dolore, il suo viso divenne pallido ed una rabbia sorda e disperata gl'invase il cuore; scostò bruscamente Elfrid e corse dalla fanciulla riversa a terra. Cadde in ginocchio accanto a lei.

"Eowyn!" Chiamò, voltando la sorella e stringendola se. "Eowyn perché hai fatto la follia di seguirci?! Stolta... Morte, che la morte ci prenda tutti!" Gridò sconvolto.

E poi si alzò, all'improvviso, e con un grido risalì a cavallo e ordinò la carica, senza aspettare i rinforzi dalla città

"Eomer!" Lo chiamò Elfrid, sorpresa dal suo gesto. "Che cosa stai facendo?!" Aggiunse sconvolta, ma lui non l'ascoltò e soffiò nel corno; allora la ragazza si girò indietro, dove gli uomini erano ancora più allibiti di lei. "Voi, presto, ricomponete i corpi e portateli in città, oltre le mura, gli altri seguano il Re, dobbiamo coprirgli le spalle!" Ordinò, mentre saliva su Neronube.

 

La furia di Eomer e dei suoi cavalieri spazzò via ogni cosa si trovarono davanti; il nemico fuggiva davanti alla ferocia dei Rohirrim, e colui che li guidava era il più terribile di tutti.

Elfrid cercava di stare vicino ad Eomer, perché aveva paura; temeva che il suo dolore lo privasse di lucidità, che potesse commettere un'imprudenza di troppo. Era terrorizzata di poterlo perdere.

Penetrarono dentro le linee nemiche, senza una precisa strategia di battaglia, ma i cavalli si rifiutavano di andare dove si ergevano i giganteschi mumakil degli Haradrim, e in poco tempo si trovarono quasi circondati.

Il vento, però si levò improvvisamente più forte, da sud, spazzando le nubi, mentre il sole bucava la pioggia che scendeva ancora sulle loro teste; l'aria si fece limpida, così come il grido che si levò dalle sentinelle sulle mura della Cittadella. Era un grido disperato, poiché l'immagine che essi videro, sulle acque dell'Anduin, era segno di terribile sventura: grandi navi dalle vele nere risalivano il corso del fiume, veloci e sospinte dal vento, le navi dei corsari di Umbar...

I Rohirrim erano a poco più di un miglio da Harlond, e vedevano bene le navi, mentre dalla Cittadella ordinavano la ritirata. Eomer era separato dal porto da una folla di nemici, e altri stavano arrivando alle sue spalle, dividendolo dai rinforzi. L'uomo maledisse il vento che all'inizio della battaglia sembrava di buon augurio, nel momento in cui l'esercito di Mordor ordinava l'attacco.

Eomer scambiò uno sguardo con Elfrid, e lei si accorse che era ridiventato freddo, la sua mente era tornata limpida: radunò gli uomini a difesa, pronti a resistere fino all'ultimo, intorno al vessillo del cavallo bianco. Erano in cima da una collinetta, e lui pianto il vessillo che sventolò alto. Guardò di nuovo Elfrid.

"Sei pronta a lottare fino alla fine e compiere azioni che i menestrelli canteranno per lunghi anni, se ci sarà ancora qualcuno per cantare le gesta dell'ultimo Re del Mark?" Le chiese con determinazione; la ragazza aveva gli occhi lucidi.

"Perché non dovrei, sei il mio Re, e se moriremo oggi, moriremo insieme." Rispose poi, con fierezza e orgoglio, occhi negl'occhi dell'uomo che amava. "Arrivano." Annunciò infine, ed Eomer si voltò verso il porto.

"Combattiamo Rohirrim! Minas Tirith non cadrà, finché ci sarà un solo uomo di Rohan a difendere le sue mura!" Incitò il nuovo re, e gli uomini risposero gridando la loro approvazione.

Dette queste parole, Eomer alzò la sua spada verso le navi, in segno di sfida, ma fu allora che sulla prima si levò uno stendardo. "Sì!!!" Gridò l'uomo ridendo, e poi lanciò la sua spada in aria e la riprese; Elfrid lo guardò sconvolta e sorpresa, poi girò gli occhi verso il porto. "Lo sapevo che ce l'avrebbe fatta!" Continuò lui, ancora ridendo.

Il vessillo garriva nel cielo chiaro, era nero, ma nel suo centro luccicava un ricamo di mithril: l'albero bianco di Gondor, sovrastato da una corona alata e da sette stelle, era l'emblema della stirpe di Elendil... Aragorn tornava, nel modo più inaspettato, al momento più giusto!

 

I nemici rimasero sconvolti che dalle loro navi scendessero oppositori, invece che rinforzi, e ben presto si trovarono stretti tra le forze uscite dalla città, i Rohirrim e la nuova armata venuta dal sud. Al centro della battaglia si ritrovarono Eomer ed Aragorn.

"E così ce l'hai fatta." Affermò il re del Mark.

"Ebbene sì." Confermò il ramingo. "Ma non te lo avevo forse promesso, al Trombatorrione, che avremmo combattuto di nuovo insieme?"

"Lo facesti." Annuì Eomer. "E ringrazio la tua lungimiranza, poichè il tuo aiuto giunge nel momento più opportuno, ci sono state grandi perdite e grandi dolori..." Aggiunse tristemente.

"E allora vendichiamo i nostri caduti, ancora prima di parlarne!" Proclamò risoluto Aragorn, e insieme cavalcarono dentro la battaglia.

Legolas, seguito da Gimli, si avvicinò ad Elfrid, prima che la ragazza potesse salire a cavallo e raggiungere i due amici.

"Sono lieto di rivederti, sana." Le disse dolcemente; lei gli sorrise.

"Anch'io, amico Elfo." Rispose poi. "E sono anche felice di poter combattere ancora insieme a te, e al Mastro Nano." Aggiunse, facendo un piccolo inchino a Gimli, che rispose allo stesso modo.

"Adesso andiamo, che la mia ascia non aspetterà un solo altro attimo, prima di sterminare questi rifiuti!" Incitò il nano, stringendo l'impugnatura della sua arma.

E ricominciarono a combattere. Ci furono molte altre perdite, tra le loro fila, ma la battaglia fu comunque vinta; non rimase un solo nemico in vita sui campi del Pelennor.

Il primo trionfo del re che tornava, e dei suoi amici, sarebbe stato cantato a lungo come la più grande battaglia della Terra di Mezzo.

 

CONTINUA...

   
 
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