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Autore: flyingangel    17/10/2008    2 recensioni
"Amarti, il mio incubo. Che cosa nascondi dietro ai tuoi occhi?"
Chey è una ragazza come tante, ma qualcosa dietro l'angolo sconvolgerà la sua vita, e le farà vivere l'esperienza più eccitante, dolorosa, e pericolosa che abbia mai immaginato.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- NONO CAPITOLO -

*

“Ecco qua” ritornò Antoine, con due tazze di tè su un vassoio. “Per voi”.
Jen fece un sorriso di circostanza, e io la seguii. “Grazie mille, Antoine”
Lui fece un breve inchino col capo e si andò a sedere.
L’unica cosa che ci separava da loro due era quel tavolino nel bel mezzo del tappeto e della sala.
Sbuffai.
“Scotta troppo?” chiese Antoine, inarcando un sopracciglio.
Lo guardai, inclinando la testa. “Mmm? Oh, no, no, va benissimo” mi corressi in fretta, con un breve sorriso.
“Bene, allora” mi sorrise anche lui.
“Senti Loud, mi mostreresti il resto della casa?” asserii, spostando di scatto la mia attenzione a lui; Antoine
non sembrò molto contento.
“Mmm… d’accordo”.
“Perfetto. Torniamo subito” diedi un’occhiata di sbieco a Jen, mentre uscivo dalla stanza, seguendo Loud.
“E dov’è che vuoi andare?” mi chiese lui, quando la porta fu richiusa.
Alzai le spalle. “Tutta la casa, se vuoi”.
Inarcò le sopracciglia verso una direzione immaginaria. “D’accordo, ti mostro il possibile”.
Annuii.
Tutto per chiedergli spiegazioni.
Attraversammo la hall, e ci dirigemmo in un paio d’altre stanze, erano più o meno come quella chiamata sala,
però alcune ospitavano mobili diversi.
Parevano sempre d’antiquariato.
“Da quant’è che abitate qui?”
Lui ci pensò su un attimo. “Decenni”
“Decenni?”
“Anni”
“Quanti anni?” chiesi, curiosa.
“Mmm… non saprei, non ricordo” mi fece un sorriso furbo.
Alzai un sopracciglio, quando lui si stava già dirigendo verso un’altra stanza.
“E questa che sarebbe?”
“La cucina” entrammo, e richiuse la porta.
“Senti…”cominciai, notando che eravamo gli unici due a stare lì dentro.
“Sì?” lui alzò le sopracciglia, curioso.
“Dunque…” venni interrotta ancora.
“Volevi chiedermi qualcosa?” rimarcò lui, le braccia conserte; ma il viso non era teso in un espressione dura.
Annuii. “Cos’ha fatto di sbagliato Antoine?”
Lui mugugnò. “Ti ha per caso versato del veleno assieme al tè?” scherzò.
“Ma no” sbuffai, contrariata. “Cosa c’è che non va con lui, come mai hai detto che è cattivo? Vorrei sapere un
po’ della vostra storia, se non ti dispiace”.
Lui, a sorpresa, sorrise. “D’accordo… allora… veniamo da Toulouse, un piccolo paese della Francia…”
fece una piccola pausa. “… e avevamo il desiderio di trasferirci in America, da tutti vista come la grande patria…”
Inarcai le sopracciglia. “La grande patria?”
“Certo. Anche in Francia ce la cavavamo bene, ma dicevano che in America… bè in America, si stava meglio”.
Sgranai gli occhi, leggermente. “Ah, davvero?”
Lui fece di sì con la testa.
“E allora?”
“Allora, siamo partiti”.
“Ma cosa c’entri tu con Antoine?” chiesi, veramente curiosa.
“Abitavamo nello stesso collegio”
“Andavate in collegio?” sgranai ancora gli occhi, stupita.
“Già”.
Pensai a mia madre, che magari badava bambini e ragazzini come loro… della loro bellezza e…
“E dunque, siamo capitati qui, cioè le nostre maestre ci hanno fatto capitare qui”.
“Maestre?”
“Insegnanti, docenti, come le chiami tu?”
Annuii. “Ah sì, sì, ho capito”.
“E ci siamo stanziati in questo posto, bè in questa villa” lui guardò l’immensità del soffitto e pure io lo feci.
“E vi trovate meglio?” chiesi.
Lui annuì. “Ci troviamo bene e ce la caviamo pure, insomma ormai ho imparato il mio lavoro d’inserviente” rise.
“Già” mi feci contagiare; aveva quel sorriso che era impossibile resistergli…
“Ma quindi quali sarebbero le vostre maestre?”
Sorrise. Era divino. “Sono tre insegnanti e tre di supplenza, e ci hanno portato con loro fino a qui…”
“E vivete tutti assieme?” corrugai le sopracciglia, confusa.
Lui annuì. “Sì, in questa casa… o villa, o come preferisci chiamarla. Ma ognuno ha la sua stanza ovviamente…”
“Ovviamente” mi scappò, rimarcando la sua stessa parola, annuendo convinta.
Sorrise ancora, ma lo trattenne.
“E quanti siete?”
Lui mi guardò strano.
“Dico, voi ragazzi?” mi uscì un’espressione curiosa.
“Una quindicina, credo” lui fece finta di immergersi nei pensieri, ma io ero troppo brava a pensare, per capire
che in realtà non lo faceva davvero.
Annuii. “Però… siete abbastanza”.
“Devi contare che eravamo in un collegio”.
Pensai a mia madre e ai suoi bambini, di nuovo…
“In effetti… come mai solo quindici?”
Rise. “Ma non avevi detto abbastanza?”
“Ho sbagliato, pensandoci…” sorrisi, di strascico.
“Già. Bè in origine eravamo di più…”
“In origine?”
“Sì, dico in Francia”.
“E che è successo? Non ve li siete portati tutti dietro?” inarcai le sopracciglia, ancora più confusa.
“No, in effetti, no”
“Ah e come mai?”
“Non erano idonei a spostarsi” disse lui serio.
Annuii, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
Ma pensa te…
“E quale sarebbe la tua stanza?” chiesi, dando una veloce occhiata all’immensa cucina (più del doppio della mia).
Lui fece cenno di seguirlo. “È al piano superiore” disse. Lo seguii.
Le scale non avevano niente a che fare con quelle di casa mia; erano rinomate, pregiate, di rosso e d’oro, con
rifiniture e abbellimenti.
Pareva di essere in una villa Ottocentesca.
“Ma non avevi detto che dovevamo tornare subito di sotto?” mi disse lui, sorridendo.
“Già…”
Sorrise ancora. “Dunque questa è la mia stanza”.
Entrai, e mi fece passare per prima.
“Wow, è bellissima” ammisi. Le pareti erano di un bianco sporco, che sì, sapeva di francese, nonostante fossimo
in America (magari era per rimarcare le loro origini).
I quadri alle pareti erano di celebri artisti francesi, ed erano tutti in sintonia tra loro. Colsi alcuni quadri che riflettevano
la femminilità e la bellezza della donna.
Il pavimento in legno era ricoperto al centro da un tappeto blu e rosso. L’unica finestra era rettangolare e alta forse
un metro.
Aveva un’armadio striminzito (che per la loro ricchezza, a giudicare dalla casa che possedevano, io avrei sicuramente
ampliato e riempito), e una scrivania sempre in legno, con sopra un sacco di fogli sparsi e accartocciati.
“Appunti?” chiesi, indicando con lo sguardo il tavolo.
Lui seguì i miei occhi e mugugnò qualcosa, annuendo.
“L’hai arredata tu?”
“Io e le mie maestre”
“Ti hanno aiutato loro?”
“Bè, io di certo non potevo permettermi questa roba” allargò leggermente le braccia.
“Ma loro sono ricche?”
“Lo sono diventate” rispose, volendo terminare lì il discorso.
“Ah…” mi mordicchiai un labbro. “Giusto, quando siete arrivati qui eravate anche più piccoli… perciò…”
Lui ci pensò un secondo e poi annuì. “Già”.
“Ha senso”.
Sorrise. “Perché non ne dovrebbe avere?”
“Perché è tutto così strano”.
“Dunque, io sono strano, questa stanza è strana, questa casa è strana, e la mia famiglia è strana…” alzò un sopracciglio,
divertito.
“La tua famiglia?” domandai.
Lui annuì. “Sì, tu come la chiami?”
“Ah… non hai più i tuoi genitori?”
“No, nessuno dei due”.
Guardai a terra, amareggiata. “Mi dispiace. Sono morti?” non volevo essere troppo invadente, ma ora che aveva
cominciato a parlare, perché fermarlo?
Scosse la testa. “Per la verità, non ho più saputo nulla di loro. Mia madre mi ha abbandonato e mio padre credo
avesse abbandonato lei. Nessuno dei due mi ha più cercato” concluse.
“Capisco, bè, mi dispiace, scusa se lo ripeto”.
Mi guardò, facendo segno con la testa che andava tutto bene.
“E Antoine?” ricordai che non avevamo finito il discorso.
Lui alzò un sopracciglio. “Dunque che vuoi sapere?”
“Vorrei sapere la storia…”
“La storia è ampia, e a tratti incomprensibile, magari… comunque, Antoine è una persona emblematica e ambigua.
Lo si vede anche da come si pone e da come si presenta. Dimmi o no se non ti pare avere una certa grazia femminile…?
È perché è sin troppo originale, e sensibile nella sua personalità e nel suo carattere. Io, personalmente, non l’ho
mai capito. Pearl, che è suo fratello, qualcosa in più di certo ci capisce.
Ma Antoine… ecco, abbiamo avuto un episodio non tanto carino, una volta…che ci è capitato insieme, e…
preferirei non parlarne”.
Sgranai gli occhi. “Un episodio? Di che genere?”
“Genere pericoloso” acuì lo sguardo e rabbrividii.
“Ah, capisco”.
Per un momento, mi aveva fatto paura.
“E Pearl? Invece, lui è un santo?”
Sorrise. “Non ho detto che Antoine è un diavolo e non dirò che io e Pearl siamo santi”.
“E quanti altri ragazzi come voi, ci sono oggi in casa?” incurvai le sopracciglia.
“Nessun altro”.
“E come mai?” mi feci sempre più curiosa.
“Sono via”.
“Ah, sono usciti”
Lui vagò per un attimo con lo sguardo nel vuoto, poi annuì.
“E le maestre? Insomma, le vostre insegnanti francesi?”
“Sono via pure loro”.
Annuii di nuovo, un po’ perplessa.
“Dunque, ti va uno spuntino, o preferisci passare un’altra volta?”
Che cosa intendeva con “passare un’altra volta”?
Lo guardai, confusa e feci cenno di sì (non so nemmeno io il perché). “D’accordo, un’altra volta”.
“Sicura, che non vuoi nemmeno uno spuntino?” i suoi occhi brillarono per un istante come fiammelle nei miei e
avvampai di calore.
Sorrise. “Non metterti paura, sono innocuo” disse.
Mmm… non sapevo se credergli, veramente…

*

Ciao a tutti e ringrazio chi legge la mia ff *_* e:
valevre grazie mille che continui a seguire! eh sì ero riuscita a scriverli ravvicinati, spero piaccia anche questo chap, si capisce qualcosa in più! :)
  
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