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Autore: Non ti scordar di me    23/10/2014    4 recensioni
Può un amore fraterno trasformarsi in altro? In passione? In un’ossessione? In amore?
Damon dopo vent’anni d’assenza ritorna a casa dal padre, dal fratello Stefan e dalla piccola Elena che ormai non è più tanto piccola.
Elena lo odia, lo odia per i suoi modi di fare, lo odia per essere il fratello peggiore al mondo e lo odia perché prova per lui un’attrazione illecita.
E se Damon si stesse spacciando per qualcun altro? Elena è invaghita di un misterioso ragazzo di cui non sa neanche com’è il volto e s’incontra con lui ogni giorno alla biblioteca del college. E se i due, in realtà, fossero la stessa persona?
I due sono veramente fratelli? O sotto si cela un segreto più grande?
Dalla storia:
Le sue labbra erano troppo soffici. Era sbagliato. Noi eravamo sbagliati, quella situazione era sbagliata. I loro sentimenti erano sbagliati.
Si era innamorata di suo fratello. Può una vittima innamorarsi del suo aguzzino? Può una persona innamorarsi di un ricordo? Può una sorella innamorarsi di suo fratello?
“Siamo sbagliati…” Sussurrai.
“Siamo le persone sbagliate al momento sbagliato, eppure non mi sono mai sentito meglio con un’altra persona e in un altro momento.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo diciotto.
Dream of Elena
 
Quale immane stronzata stavo per fare? Ah, già…Stavo per scendere da un aereo che mi portava dritto dritto verso casa di mamma a Londra, una città oltreoceano che fin’ora non avevo mai voluto vedere. Possibile che mi ero lasciata convincere così facilmente?
Non mi sarei mai scordata la faccia di Stefan e papà alla mia richiesta.

Mangiucchiavo controvoglia il cibo che avevo nel piatto e lanciavo sguardi fugaci a Damon che si divertiva a mettermi in imbarazzo. Avevo deciso di andare pochi giorni con lui a Londra, sia perché lui me l’aveva chiesto sia perché…volevo chiarire con mamma. Damon aveva ragione. Non la vedevo da anni e la sua indifferenza mi faceva male, ma non davo a notarlo. Tutto l’odio che esternavo per Damon, preferivo non mostrarlo per la donna che mi aveva messa al mondo.

«Voglio andare da mamma.» Proruppi improvvisamente, posando la forchettata di pasta sul piatto. Damon non fece una piega, anzi mi guardò sorpreso e con un pizzico di ammirazione nello sguardo. Pensava che non avrei accettato.
Stefan mi guardò a bocca aperta, ma non disse nulla. Papà stava mangiando un pezzo di pane, che gli andò di traverso quando sentì la notizia.

Iniziò a tossire e poi bevve un po’ d’acqua. Era diventato bianco come un lenzuolo. Perché suonava così strana come richiesta?
«Co-come mai? Fin’ora non avevi…non volevi parlarle…» Balbettò papà sorridendomi timidamente e pulendosi gli angoli della bocca col tovagliolo.

«Lo so, ma una persona…» Soffermai il mio sguardo poco più del dovuto sulla figura di Damon seduta accanto a me. «Mi ha fatto capire che voglio parlarle…Entrambe abbiamo fatto degli errori giusto? Lei è stata poco presente per i primi dieci anni della mia vita e io non ho voluto provare a ricucire il rapporto con lei nel corso di questi ultimi.» Continuai innocentemente.
Era la prima volta che parlavo di mamma in modo così pacato senza uscire fuori dai gangheri. Guardai negli occhi papà. Era
spaventato, glielo si leggeva in faccia. Forse…aveva paura che preferissi rimanere con mia madre che con lui?


«Si tratta di pochi giorni. Mamma ha insistito a lungo per questo viaggio, ogni volta che le parlavo mi chiedeva sempre se le avessi consegnato quel volo aereo...ho solo avuto ora l’opportunità di dirglielo.» Intervenne Damon. Da sotto il tavolo, posò la sua mano sulla mia coscia. Quel contatto non faceva per me, mi mandava in tilt. Iniziai a diventare rossa quando iniziò ad accarezzare l’interno coscia.

«Tesoro, stai bene? Ti vedo accaldata.» Mi fece notare papà che aveva riacquistato un colorito meno cadaverico. Diedi un leggero calcio alla gamba di Damon per fargli capire di smetterla. Recepì immediatamente il messaggio, ma non spostò la mano dalla coscia. In fondo, mi infondeva coraggio quel piccolo contatto.

«Starò meglio quando mi darai il permesso di volare a Londra.» Cercai d’insistere. «Stefan già lo sapeva...Non credo che tu eri l’unico a non saperlo.» Gli feci notare, incrociando le braccia sotto al seno. Papà sospirò pesantemente, mentre Stefan aggrottò le sopraciglia probabilmente pensando a come facessi a sapere di quel piccolo dettaglio.

«Lo sapevo. Damon me ne aveva parlato, solo non immaginavo che…che tu accettassi.» Dissi incerto. Gli sorrisi speranzosa. Il suo sguardo si addolcì.
«Sarà un’opportunità per aggiustare il rapporto con tua madre…» Sussurrò, versandosi un altro bicchiere d’acqua. «E va bene, mi hai convinto!» Tuonò infine.

Dov’era tutta la mia convinzione? Mi aveva abbandonato nel momento in cui l’aereo stava atterrando. Nel momento in cui realizzai di trovarmi in Europa e non più sul suolo americano che mi era tanto familiare.
Deglutii e rimasi ferma ancora pochi secondi, mentre Damon mi guardava divertito. Si era già slacciato la cintura e si affrettò a prendere i bagagli a mano.

Perché non avevo seguito il consiglio di papà che mi aveva dato prima di partire?
Il nostro volo partiva tra un’oretta circa, ma papà e Stefan erano più impauriti di quanto immaginassi. Erano sempre alle calcagna e ogni momento era buono per ricordarmi che potevo anche cambiare idea, quasi avessi paura di rincontrare mamma.
Perché dovevo avere paura? Cosa poteva farmi? E poi…Il biglietto aereo era stato un suo regalo, un viaggio per due persone andata e
ritorno.


«Credo che dovremo avviarci.» Disse Damon, col borsone in spalla. Era neutro come sempre. Salutò con un cenno del capo Stef e papà e si avvicinò verso le hostess che erano già pronte a mettere le mani sul mio Damon.

«Te l’avrò detto e ripetuto almeno cento volte…Non sei obbligata ad andare, potremo…potremo…» Neanche papà sapeva cosa dire. Sorrisi istintivamente e lo abbracciai d’istinto. Ricambiò l’abbraccio con una stretta forte.

«La mia bambina…» Sussurrò con gli occhi lucidi. O mio Dio, manco dovessi partire per una spedizione in Norvegia.
Sciolto l’abbraccio, deglutii e guardai nella direzione di Stefan. Stava litigando con la macchinetta. Mi avvicinai e gli sorrisi leggermente.

«Sono fiero di te e di questa tua scelta. Condivido tutte le tue scelte…o alcune.» Disse con un sorrisino amaro, alludendo a Damon.
«Stefan, non ho fatto…quello che pensi.» Provai a spiegargli. Avevo pochi minuti, ma l’aeroporto era l’unico posto dove potevamo parlare civilmente senza dare troppo nell’occhio.
«Quindi non sei innamorata di tuo fratello?» Mi chiese, dando un pugno alla macchinetta che finalmente gli restituì gli spiccioli.

«Non…Non l’ho fatto a…Non so come succedono…Quando mi specchio nei suoi occhi, vedo la mia felicità.» Sussurrai. Stefan mi guardò incerto pochi minuti, poi sospirò.
«Attenta a quella hostess.» Disse indicandone una dai capelli biondi raccolti in uno chignon e dal sorriso finto. «Ci sta provando.» Il suo
tono era sia ironico che amaro. Scossi la testa e gli lasciai un bacio sulla guancia.


Feci qualche passo in avanti e osservai per bene quella hostess. Non era un po’ troppo anziana per Damon? Noi eravamo diretti a Londra, nessuno sapeva del nostro legame fraterno.
A passo spedito, mi avviai verso Damon e la guardai con aria divertita.

«Pronto per il nostro viaggio, amore?» Gli chiesi, sfoggiando uno sguardo trionfante alla bionda.
«Sei pronta, amore?» Mi sfottò. Tutto il viaggio era passato così. Nessuno dei due riusciva a smetterla di prendersi in giro o smetterla di arrabbiarci per cose stupide per poi fare pace dopo pochi minuti.

«Mi prenderai in giro per sempre per quello stupido sopranome?» Gli chiesi slacciandomi la cintura di sicurezza e prendendo in mano il mio bagaglio a mano.

«Oh, andiamo…Vederti gelosa è un evento troppo importante per non essere ricordato.» Continuò a prendermi in giro. Uscimmo dall’aereo e io osservavo nei minimi dettagli l’aeroporto. Eravamo partiti in piena notte, visto che i voli aerei erano molto limitati…E secondo i miei calcoli ora a Londra erano più o meno le due e mezza del pomeriggio, mentre da noi erano le nove del mattino.
«Scombussolata per il fuso orario?» Mi chiese Damon sorridendomi. Scossi la testa…Non l’avvertivo, almeno non ancora. Mi fermai alle macchinette, però mi ricordai che non avevo ancora fatto il cambio di moneta. Mi sarei portata una bottiglietta d’acqua ma non potevo né igienizzante per le mani liquido né alcuna bibita.

Alzai le spalle e frugai nella borsa alla ricerca di uno specchietto. Più di dieci ore di volo in uno scomodo aereo con Damon che scocciava e con un bambino che russava a tutta forza, non erano il massimo per me.
Per fortuna non mi ero truccata molto. Con la mano tolsi quel poco di matita sbavata e mi sciolsi i capelli. Almeno il clima in Febbraio a Londra non era tanto male.

Damon mi aveva ripetuto fino alla nausea che lì, Febbraio è piuttosto secco ma sempre fresco.
Posai lo specchietto e notai che un ragazzo mi fissava in silenzio appoggiato alla macchinetta.
«Tieni.» Disse con tipico accento inglese, porgendomi una bottiglia d’acqua. Sorrisi leggermente in imbarazzo.
«Non dovevi.» Gli risposi, facendogli segno di tenersi la bottiglia. Ridacchiò cercando di non darlo a notare, forse per il mio accento.
«Ho visto che ti sei avvicinata alla macchinetta, ma evidentemente non sei di qui…» Ammiccò e io in pochi istanti lo squadrai. Niente male: capelli ricci e occhi verdi, sorriso smagliante e due fossette a dir poco adorabili ai lati della bocca.

«Tieni la mia. Non l’avevo neanche aperta.» Continuò, porgendola. La presi in mano e gli sorrisi.
«Grazie.» Gli risposi cortesemente. Aprii la bottiglietta d’acqua e bevvi un lungo sorso d’acqua. Mentre bevevo mi guardai attorno nella speranza di vedere Damon, ma era ancora bloccato ai bagagli che probabilmente non erano ancora arrivati.

«Di dove sei? Il tuo accento mi incuriosisce…» Provò ad attaccare bottone il londinese. Chiusi la bottiglietta d’acqua e la riposi nella borsa.
«Mystic Falls, una piccola cittadina dell’America. Tu, londinese, vero?» Gli chiesi appoggiandomi al muro e sorridendogli.
Si mise una mano tra i capelli ricci e li sistemò, ma come effetto ottenne il contrario. Sembrava avesse in testa una massa di capelli che non aveva neanche pettinato, anche se non gli stavano male i capelli al naturale.

«Londinese d’origine. Piacere, sono Gabriel.» Si presentò porgendomi la mano. L’afferrai sicura e gliela strinsi con un grande sorriso. Mi era simpatico dopotutto.
Si sfilò la felpa che indossava e si guardò intorno.

«Oh…Che bel tatuaggio.» Gli dissi. Il mio sguardo cadde sulla parte interna del braccio. Era un bel tatuaggio e aveva – per me – un significato molto personale.
Era una K scritta in lettere eleganti, avvolta dal filo spinato da cui fuoriuscivano piccoli goccioline di sangue.

«Grazie…» Era curioso. Non avevo mai visto un tatuaggio così particolare. «Sei qui da sola?» Riprese il discorso. Scossi la testa ma non feci in tempo a rispondere, perché già un’altra voce che conoscevo troppo bene rispose per me.
«E’ con me. Giù le mani, Gabriel.» Mi girai e vidi Damon sorridere con un ghigno divertito. Si conoscevano?

«Damon Salvatore. Non pensavo fosse così adorabile la tua ragazza.» La parola adorabile mi fece accapponare la pelle, mentre rivolgevo uno sguardo interrogativo sia a Damon che a quel ragazzo. Come faceva a conoscere Damon?
«Oh, se fosse la mia ragazza non la porterei mai qui con così tanti occhi che possono fissarla. E’ la mia sorellina.» Commentò freddamente. Gabriel strabuzzò gli occhi e alzò un sopraciglio in modo ambiguo.

«Lei è…» Non gli fece finire neanche di parlare che lo interruppe con un gesto secco della mano.
«A maggior ragione devi tenere le grinfie lontano da lei. Ci siamo intesi?» Continuò freddamente. Lui annuì divertito, poi i due si scambiarono una pacca sulla spalla. Ma da quanto tempo si conoscevano per essere così amici?

«Come mai qui, Gabe?» Assunse un tono più confidenziale. Avevo perso qualche passaggio.
«Sono arrivato da poco. Ti avevo parlato di quello scambio culturale un tempo, no?» Disse alzando le spalle. Quei due non me la raccontavano giusta. Si mandavano sguardi eloquenti e il corvino era piuttosto rigido anche se aveva .

«Me lo ricordo.» Rispose prendendo la mia valigia tra le mani.
«Ed Enzo? Tutto bene con lui?» Chiese ancora. Una cosa che mi ero chiesta era come faceva a conoscere Enzo.
«Enzo viveva qui?» Intervenni io. I due mi guardarono leggermente divertiti. Ero completamente nuova da queste parti e rincontrare vecchi amici della vecchia vita di Damon – anche se tanto vecchia non era – mi faceva piacere.

«Oh sì…Originario di Londra, si è trasferito da un po’. Avevo quattordici anni quando se ne andò con i genitori.» Commentò Damon, stringendomi in una forte stretta.
«Noi andiamo, Gabe.» Continuò facendomi segno di muovermi. Lui fece un lieve cenno del capo che fungeva da saluto e sospirò
pesantemente.

«Dovremo rincontrarci tutti…Una riunione? E’ ritornato il grande Damon Salvatore!» Tuonò spostandosi dalla macchinetta e accelerando il passo venendo verso di noi. Il grande Damon Salvatore? Era così gettonato a Londra?
«Mm…Sì, magari. Mi piacerebbe rivedere Rick.» Commentò calmo, ma non degnando di uno sguardo a Gabriel.

«Organizzo tutto io. Magari potremo fare una delle nostre vecchie gare…» Il tono di Gabriel era piuttosto sognante, ma Damon bloccò il passo e troncò quell’entusiasmo sul nascere.
«Non se ne parla. Salutami da parte mia Rick. Non si fa niente.» Disse acido prendendomi per una mano e stringendomela forte. «Elena, andiamo.» Continuò trascinandomi via da lì.

Salutai Gabe e guardai Damon. Passo veloce, occhi sbarrati e colorito pallido. Era agitato, tremendamente agitato.
«Non vuoi rivedere nessuno di loro?» Gli chiesi interrogativa. Damon deglutì.
«Non ci tengo.» Stava chiaramente mentendo. Si vedeva chiaramente che voleva rivederli ma c’era qualcosa che non voleva dirmi o più
semplicemente…non voleva portarmi con sé.

«Potrei rimanere a casa, se è questo il problema…» Sussurrai con la testa bassa. A quelle parole Damon mi prese il viso tra le mani, facendo combaciare la sua fronte con la mia e i nostri nasi si sfioravano.

«Voglio passare questa vacanza con te. Senza problemi, una sola vacanza senza problemi o litigate. Credi sia possibile?» Mi pregò seriamente. Senza litigate e senza problemi? Oh, era qualcosa di strano…Quasi impossibile per noi due. Le nostre litigate duravano poco, al massimo qualche giorno. Mentre i nostri problemi sussistevano sempre.

«Proviamoci.» Sussurrai. Facemmo qualche altro passo e la porta scorrevole si aprì. Lasciai la mano a Damon e mi guardai attorno. Com’era fatta mia madre?
Avevo visto solo alcune foto di mia madre.

Una donna dai lunghi capelli mori e dagli occhi color cioccolato con poche rughe d’espressione correva a passo spedito verso di noi. Indossava dei jeans scoloriti a zampa d’elefante, sopra un cardigan blu e da sotto s’intravedeva una bella camicia bianca. Gli occhi scuri contornati da una matita verde erano lucidi.

Elisabeth Gilbert in Salvatore era davanti a me e mi guardava con gli occhi che la brillavano.
Una persona normale forse avrebbe odiato una madre del genere, una madre indifferente, una madre fredda…Una donna che mi aveva lasciato e abbandonato per i primi dieci anni della mia vita.

Ora hai quasi vent’anni…Da quanto vuole parlarti e tu non gliel’hai permesso? Mi suggerì la ma coscienza. Era da più o meno sette anni che voleva parlarmi? E ora…Ora non volevo litigare con lei.

Quel viaggio a Londra era la mia opportunità, l’opportunità di chiarire tutto con mia madre. Tutto quello che volevo dirgli, tutto quello che volevo urlarle si era dissolto. Il mio cuore batteva veloce, non me la ricordavo così simile a me.
I suoi capelli erano di una tonalità poco più chiara della mia, la sua pelle era nivea – molto più chiara della mia – e il sorriso…Il sorriso era
la cosa che mi ricordavo di lei. L’unica cosa che non mi aveva abbandonato di lei, il suo sorriso era stampato nella mia mente. Quel sorriso
che a volte mi fermavo a osservare nelle sue foto, ora lo vedevo di fronte a me.

Feci la cosa che mi venne più spontanea in quel momento.
Feci un passo verso di lei col cuore in gola e l’abbracciai. Sentii una lacrima bagnarmi la maglietta, si era commossa.

Gli occhi iniziarono a pizzicarmi e neanche io riuscii a contenermi. Un paio di lacrime sfuggirono al mio controllo mentre la stringevo a me. Era…Era la mamma che volevo sempre con me.

«Mi sei mancata tanto…» Sussurrò. La sua voce era chiara, il tono non era americano…Ormai aveva preso quel buffo tono londinese, ma mi piaceva.

«Io…Ti voglio bene, mamma.» Risposi a bassa voce. Non avrei mai immaginato di dire quelle parole a mia madre. No, mai. Mai avrei pensato di dirle quelle parole, mai. Eppure ora ero lì abbracciata a lei e non mi ero mai sentita così contenta.
 


Londra era diversa da come me la immaginavo. L’avevo sempre immaginata cupa, più triste e le nuvole coprivano sempre il cielo. Si respirava un’aria diversa.

«Ti piace qui?» Mi chiese Damon. Eravamo seduti su una panchina vicino ad uno dei quartieri più chic di Londra, almeno così a detta del corvino.

«Non è l’America. Però…mi piace. Ho sempre sognato di visitarla e ora sono qui…con te.» Continuai accoccolandomi a lui. Damon inspirò il mio profumo e giocherellò con qualche ciocca dei miei capelli.
«E’ bello stare così.» Sospirò guardandosi intorno. Aggrottai le sopraciglia e lo invitai a continuare. «Mettila così…Mi piace poterti baciare per poi litigare con te, senza che qualcuno ci additi come reato.» Spiegò per poi scoppiare a ridere. Scossi la testa divertita e mi alzai dalla panchina.

Mamma era a casa, nella sua nuova casa che si trovava nel centro di Londra. Avevamo molto da dirci, ma entrambe non volevo chiarire questa faccenda ora così quando aveva proposto a Damon di farmi fare un giro a Londra non potei non accettare contenta.
Il fuso orario non era il massimo, anche se ora lo avvertivo ancora per poco.

«Mm…Piace anche a me, sai…» Dissi maliziosa, avvicinandomi a lui e prende dolo per il colletto della camicia.
Il corvino si sedette sulla panchina e mi trascinò completamente su di sé. Eravamo due irresponsabili, mamma poteva passare di là da un momento all’altro e noi ci baciavamo appassionatamente come se fossimo la coppia più normale al mondo.

«La gente ci sta fissando.» Mormorai ridendo. Ero sulle sua ginocchia e avevo le mani nei suoi morbidi capelli.
«Allora diamogli qualcosa da fissare seriamente…» Grugnì infastidito. Combaciò le sue labbra sulle mie. Possibile che ogni volta che lo baciavo sentivo sempre le farfalle nelle stomaco?

Ogni volta che le sue labbra si poggiavano sulle mie sembrava sempre la prima volta. Il sapore di cuoio, tabacco e menta sapevano di lui.
La sua lingua cercava la mia e io la sua. Sentivo mancarmi quasi il respiro, ma ero certa di una cosa: morire per mano di Damon sarebbe stata una morte dolce.

«Forse dovremo rimanere qui per più di quattro giorni…No?» Mi chiese, toccandomi maliziosamente i fianchi.
«Forse dovremo farci una passeggiata…No? Vorrei visitare Londra.» Dissi alzandomi dalla panchina. Perché avevo la sensazione di essere fissata? Anzi non era una sensazione…La gente ci guardava incuriosita, certi invece erano schifati…Altre invece volevano stare
sicuramente al mio posto.

Lui non si tocca. Pensai squadrando attentamente quelle ragazze. Sembravano quasi una coppia normale, anche se sia io che lui sapevamo che non era affatto così.
«Non ti ho mai chiesto…Che college hai scelto qui? A Mystic Falls segui qualche corso di economia, giusto?» Gli chiesi guardandolo.
"Sì...Tu, invece, come mai hai deciso di rimanere in quella mediocre cittadina?" Mi chiese curioso. Sorrisi...Non avevo mai pensato di rimanere a Mystic Falls, eppure ora era lì la mia vita.

«Ho sempre sognato di prendere medicina, ma…equivaleva a lasciare Stefan e papà, non me la sentivo…» Lasciai in sospeso il discorso. Medicina era un sogno, un vero e proprio sogno, tanto più studiarla a Londra. Era un’aspirazione che risaliva fin da piccola, mi documentavo sulle migliori università perché pensavo di raggiungere sia Damon che mamma lì.
Magari avrei dovuto dare una rispolverata a quelle vecchie scartoffie che avevo chiuso in uno scatolone pieno di ricordi nel seminterrato.

«E hai lasciato perdere, giusto?» Mi chiese. Annuii, diventando rossa sulle guance. Non era stata una delle idee migliori che avessi avuto abbandonare il mio sogno per la famiglia, ma non mi pentivo di questa scelta.
«Su, cammina…» M’intimò con finta serietà, gli presi la mano e iniziammo a camminare, diretti chissà dove.
 


«Damon, giuro se mi fai cadere ti uccido!» Gli urlai, facendo lentamente due passi in avanti. Non era così semplice camminare con due mani sugli occhi. Damon aveva tanto insistito per farmi una sorpresa e mi ero lasciata convincere.
Era da più di un isolato che lo minacciavo di morte in qualsiasi momento. Aveva insistito per coprirmi gli occhi, fin da quando eravamo scesi alla fermata dei pullman.

«Stai ripetendo questa cantilena da più di dieci minuti.» Si lamentò. Probabilmente alzò gli occhi al cielo.
«Cosa ti rispondo ogni volta?» Continuò probabilmente stufo di quelle mie assurde minacce che non potevano spaventare neanche una mosca.

«Di fidarmi di te?» Questa scenetta si ripeteva da più o meno dieci minuti e si sarebbe ripetuta all’infinito. Dove diavolo mi stava portando?

«Giusto.» Di solito non replicavo più alla sua affermazione, ma questa volta replicai.
«Dovrei fidarmi di una persona che a malapena riesce ad orientarsi nella città in cui ha vissuto più o meno tutto la sua vita?» Lo provocai. Avevamo preso due di quei pullman rossi a due piani – che di solito vedevo nei film – perché il primo su cui mi aveva costretto a salire ci aveva portati da tutt’altra parte.

«Attenta a destra, c’è un palo.» Mi disse, a piccoli passi ci spostammo verso sinistra. Sbuffai vistosamente, meglio per lui che quella fosse una sorpresa per cui valeva la pena di farmi fare la figura della pazza per Londra.

«Siamo arrivati.» Dalla sua voce era completamente scomparsa la nota ironica e divertita di prima, ora c’era solo un tono serio e fermo. Cosa…Che tipo di sorpresa era?
Feci un passo avanti e aggrottai le sopraciglia. Mi aveva portato al parco? Sentivo del terriccio sotto i piedi, non ero su un marciapiede ma su dell’erbetta o qualcosa del genere.

«Mi hai portato ad Hyde Park?» Gli chiesi con la voce che trapelava curiosità da tutti i pori. Hyde park era uno dei parchi più grandi di Londra, pieno di verde e dalla tipica aria inglese che ti affascinava.
Lo sentii ridacchiare e pensai di aver fatto c’entro.

«Meglio, piccola. Molto meglio.» Mi canzonò. Allora cosa aspettava a togliermi le mani dagli occhi?
«Ah sì? Il London Eyes?» Era la ruota panoramica di Londra, da cui si poteva vedere tutta la città. Era uno spettacolo che ti lasciava senza parole.

«Vuoi sentire cos’ho da dirti? O no?» Sbottò divertito. Annuii. Si alternarono pochi istanti imbarazzanti – almeno lo erano per me – mentre lui rifletteva su quello da dirmi.

«Sai cosa sono i sogni?» Mi chiese. Soffiò sulla parte scoperta del collo facendomi accapponare la pelle.
«I sogni? I sogni sono fantasie strane e irrealizzabili. Qualcosa che t’immagini per cercare di colmare qualche mancanza.» Risposi con la
voce leggermente tremante.

«I miei sogni sono irrinunciabili, sono testardi, ostinati e resistenti. E i tuoi, Elena?» Continuò. Ci stavo veramente capendo poco di quel discorso.

«Sono persistenti, onnipresenti e irrealizzabili.» Dissi concisa incrociando le braccia al petto.
«Ed è qui che ti sbagli. Il tuo sogno non mi sembra irrealizzabile…Devi solo avere il coraggio di realizzarlo.» Commentò col suo tono fastidiosamente sicuro di sé.

«Damon…Non capisco…» Volevo delle spiegazioni, ma tutte le spiegazioni che volevo si dissolsero non appena il corvino tolse le sue mani dai miei occhi.

Aprii la bocca sconcertata. Non poteva aver veramente…Non poteva veramente aver fatto, non poteva avermi portato qui.
«Mio Dio, Damon dimmi che questa non è…» Il corvino – prima mi dava le spalle – si mise davanti a me e mi scosse leggermente per le spalle.

«Lo è. Pensi che non ti conosca? Durante i giorni in cui eri chiusa in camera tua cosa pensavo facessi?» Mi chiese incatenando i suoi occhi color mare nei miei color cioccolato. Scossi la testa e alzai le spalle, non ci avevo mai pensato. Cosa poteva fare quando ero rinchiusa nella mia stanza? Forse viveva la sua vita?

«Passavo un po’ di tempo nello scantinato. Una bambina Elena voleva fare il medico, giusto? Ho trovato tante foto ed opuscoli di università…Avevi dei bei sogni…» Lasciò il discorso in sospeso, perforandomi lo stomaco con quegli occhi. Era quasi impossibile sorreggere il suo sguardo, ti faceva sentire in colpa senza il minimo problema…Anche se non avevo fatto niente. Ti metteva troppa soggezione.

«E ora? Che fine hanno fatto i tuoi sogni?» Continuò. Sembrava tanto la mia coscienza, sembrava si stesse comportando da grillo parlante.

«Li ho messi da parte per vedere la realtà.» Risposi calma. All’apparenza ero normale, composta ma dentro di me stavo esultando dalla gioia. Damon passava i pomeriggi a scartavetrare i miei vecchi ricordi?

«Tu li hai messi da parte e io te li porgo ora su un piatto d’argento.» Disse spostandosi in modo teatrale. Fece un mezzo inchino e indicò l’enorme edificio che s’innalzava davanti a me. Era enorme ed imponente, di dimensioni mastodontiche di un bianco gesso.

«Questa è l’University College of London.» Sussurrai con la bocca spalancata. «Era il mio sogno.» Continuai stupefatta.
Avete presente quando da bambina ti chiedevano cosa avresti voluto fare da grande? Ecco, quell’università era il mio sogno da bambina.

Ed ora io mi ritrovavo quel sogno davanti ai miei occhi.
 
 
 




Grazie a NikkiSomerhalder, Bea_01, Smolderina78 e PrincessOfDarkness90.
Grazie ai 42 che hanno inserito la storia nelle preferite, grazie ai 5 che l’hanno inserita nelle ricordate e ai 59 che l’hanno inserita nelle seguite.
Grazie a tutti I LETTORI SILENZIOSI!
 
Angolo di Non ti Scordar di me:
Sono tornata! Forse avrete notato che ho sgarrato di un giorno, ma non è una casualità perché ho iniziato la storia in estate e mi era più semplice aggiornare ogni cinque giorni…Ora con la scuola e le attività mi è tutto più difficile, perciò…Vi arrabbiereste se posterò ogni 6/7 giorni?
Poi…Passo al CAPITOLO.
Be’….Lo trovo scialbo e abbastanza insignificante, è solamente un capitolo di passaggio nel prossimo ci sarà la cosiddetta rimpatriata di amici di Damon e lì casca l’asino! XD
Poi…Piccoli flashback ci fanno capire come ha reagito la famiglia Salvatore alla grandissima notiziona di Elena. Ed ecco…Compare mamma Salvatore. Forse avrete notato un particolare…Il cognome è ELISABETH GILBERT IN SALVATORE. Cosa vorrà dire? Vi ho confuso le idee? Cosa ne pensate di questo mistero ancora aperto? AHAHAHAHAHAHA.
Questo Gabe…Boh. Non ho idea da dove sia saltato fuori. E’ un personaggio abbastanza fondamentale, perché più o meno aiuterà Elena. Non fa parte di TVD, perciò voi potete immaginarlo come volete, lui per me sarebbe la fotocopia spiccicata di Harry Styles (^-^) so che non c’entra molto però volevo metterlo LOL.
E poi TADAAAAN! Ecco che salta fuori un’altra cosuccia: il sogno di Elena. E voi? Voi cosa rispondevate al famoso cosa farai da grande? Io rispondevo sempre dicendo di voler diventare ballerina XDXD
Così…il nostro bellissimo Damon la porta all’University College of London. Per chi non lo conoscesse è l’università più prestigiosa di Londra, dove si è laureato anche Gandhi.
Ho concluso. Spero di sentirvi nelle recensioni!
Ah…Mi auto sponsorizzo (XD) dicendovi che ho pubblicato una OS romantica da un po’ e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate.
Mi farò viva prestissimo, vi amo!
Bacioni,
Non ti scordar di me.
 
 
PS Quasi dimenticavo, cosa fondamentale: QUALCUNA DI VOI STA SU WATTPAD? 
  
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