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Autore: s1mo94    24/10/2014    1 recensioni
Gli occhi fragili di un bambino sono costretti ad osservare ciò che nessuno di noi vorrebbe mai vedere. Ma non tutto è perduto, la speranza c'è sempre, in qualsiasi situazione, perché la speranza vive finché noi viviamo.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardava il panorama scorrere velocemente dal finestrino dell’auto; era un pomeriggio di sole, e nonostante il calendario diceva che l’estate doveva ancora entrare ufficialmente, faceva molto caldo. Non aveva mai visto quella strada, ma sapeva dove stava andando.
Dopo quello che era stato a tutti gli effetti il giorno più brutto della sua vita, era stato per un po’ con i migliori amici dei suoi genitori, visto che non aveva né zii, né nonni, questi ultimi morti quando lui era molto piccolo.
Dal momento in cui suo padre impazzì non aveva più aperto bocca. I due ragazzi erano più piccoli dei genitori di Alessio, non avevano figli e si erano trovati in difficoltà nel gestire di punto in bianco un bambino che, per giunta, aveva subito un trauma così grande. Decisero così che non potevano tenerlo, poiché si trovavano in una difficile situazione economica e abitavano in una casa troppo piccola per poterci vivere in tre, così sentirono varie case famiglia in città. Alla fine una di queste accolse la loro domanda e si disse disposta ad ospitare il bambino.
Loro ne avevano parlato con lui, non sapendo se fosse stato d’accordo o meno visto che non parlava mai.
Era stato all’incirca due mesi con loro, i primi tempi andava a scuola regolarmente, frequentava la quarta elementare, ma la maestra non ci mise molto a convocare i due ragazzi per spiegare loro che il bambino non rendeva più come prima, così nelle ultime settimane che restavano alla fine dell’anno scolastico, non c’era più andato;  decisero comunque di promuoverlo, visto che il suo comprensibile calo era cominciato solo quando mancavano poco più di due mesi alla chiusura della scuola; inoltre era il migliore della classe prima che succedesse quella tragedia.
Non solo con la scuola aveva problemi: mangiava a malapena ed era dimagrito molto. Non sapeva cosa aspettarsi e si sentiva sempre più insicuro. Sapeva che era inutile portare rancore verso i due ragazzi che avevano provato ad occuparsi di lui fino a quel momento, e se fosse riuscito a parlare con loro, gli avrebbe detto che era d’accordo con la loro scelta, tanto suo fratello non c’era più, e senza di lui nessun posto poteva più avere il sapore di casa.
L’uomo al volante svoltò a sinistra, in una strada con molte ville e qualche palazzo verso la fine della via. Dopo qualche metro, si fermarono davanti al cancello di una casa. Scesero tutti e tre dall’auto, l’uomo prese le valigie dal portabagagli e si diressero verso il cancello nero; suonarono al citofono e gli fu aperto.
Mentre si avvicinavano verso la porta, il bambino pensava che era una delle case più grandi che aveva mai visto, inoltre era anche circondata da un bel giardino.  
- Benvenuti - disse sorridendo una donna bionda, che a prima vista sembrava avere all’incirca quarant’anni, mentre andava incontro ai tre - vi stavamo aspettando - poi si accovacciò verso il bambino - Ciao Alessio, io sono Cristina - poi diresse lo sguardo verso la porta d’entrata - questa sarà la tua nuova casa.
Ovviamente non rispose, così la donna si alzò e riprese la parola, senza mai perdere il sorriso: - Bene, saluta pure i tuoi amici così poi ti faccio conoscere la casa e gli altri ragazzi.
La donna che l’aveva tenuto con sé fino ad allora gli mise una mano sulla spalla e disse:
- Vedrai che ti troverai bene qui, mi raccomando fa il bravo.
Lo abbracciò, poi si salutarono, così dopo qualche secondo Alessio rimase con la donna, che ruppe il silenzio: - Allora che ne dici, ti piace?
Il bambino si sentiva un po’ spaesato, si guardò intorno e si limitò ad annuire, così la donna riprese: - Perfetto, adesso chiamo qualcuno per farmi dare una mano con le tue cose e poi andiamo dentro.
Cristina chiamò due ragazzi che, pensò il bambino, abitavano lì ed erano più grandi di lui di qualche anno.
- Lui è Alessio, il bambino di cui vi parlavo - disse Cristina ai due ragazzi, poi si girò verso di lui - loro sono Daniele e Mirco, sono un po’ più grandi di te ma spero che riuscirete comunque a fare amicizia.
La donna si avvicinò ai due ragazzi e disse qualcosa che lui non riuscì a capire, poi parlò a voce più alta: - Adesso aiutatemi a portare le sue cose nella stanza vuota, poi avrete modo di conoscervi.
I due ragazzi e Cristina andarono verso la porta d’ingresso della casa e lui li seguì.
Appena entrarono notò subito che la casa vista dall’interno sembrava ancora più grande. Le pareti erano dipinte di bianco e c’erano molti quadri appesi al muro, tutti con delle foto. A destra della porta c’erano delle scale che portavano al piano di sopra, mentre un corridoio conduceva ad altre stanze. Alessio era orientato a seguire i due ragazzi che stavano andando di sopra e, probabilmente, erano diretti in quella che sarebbe stata la sua stanza, ma Cristina lo fermò poggiandogli una mano sulla spalla:
- Aspetta, loro portano le tue cose in camera, però prima voglio farti vedere la casa, vieni.
Lui la seguì, ed entrarono nella prima porta a sinistra, in cui c’erano anche due bambine intente a disegnare: - Questa è la stanza più grande della casa - disse la donna - qui i ragazzi passano la maggior parte del tempo, ci sono un biliardino, dei videogiochi, un computer, dei libri e tutto ciò che è utile per distrarsi e stare insieme - poi indicò le due bambine - loro invece sono Rebecca e Valentina, hanno la tua età quindi sicuramente starete bene insieme.
Le due bambine lo salutarono sorridendo, ma lui si limitò a guardarle senza lasciar trasparire alcun sentimento dalle espressioni del viso.
La donna poi lo condusse avanti per il corridoio e si fermarono davanti la prima porta a destra: - questa invece è la sala da pranzo.
Oltre al tavolo in legno, il bambino notò che sulla destra c’erano anche due divani sistemati ad angolo e una grande televisione sopra a un camino; in fondo invece, c’era una grande finestra coperta con delle tende quasi trasparenti.
Mentre faceva visitare la casa al nuovo arrivato, Cristina non smetteva di sorridere:
- Questa porta qui invece - continuò indicando alla sua destra una volta usciti dal salone - è uno dei due bagni, l’altro è al piano di sopra, mentre qui c’è la cucina.
Per entrare non c’era una porta, ma semplicemente un’apertura; l’arredamento era molto moderno, forse più del resto della casa: a destra c’era il piano cottura e gli elettrodomestici di ultima generazione, davanti a loro invece c’era un piccolo tavolo in acciaio e vetro appoggiato alla parete, con tre sedie.  
- E adesso preparati perché c’è il pezzo forte - disse Cristina.
Alessio non sapeva cosa aspettarsi, seguì la donna che si diresse verso una porta trasparente che prima non aveva notato poiché era coperta dal piano cottura; la porta dava sul retro della casa, e davanti a sé vide una bella piscina immersa nel giardino della casa, circondata da siepi molto curate e da qualche sedia sdraio:
- Bella vero? - chiese Cristina sapendo di non ottenere risposta - i ragazzi hanno già iniziato ad usarla visto che comincia a fare caldo, poi è un vantaggio avere una piscina visto che qui a Roma non c’è il mare.
Lui guardava davanti a sé, ma nessuno poteva capire cosa stava provando o pensando in quel momento.
- Il piano terra l’abbiamo visto tutto - riprese lei - quindi possiamo andare di sopra.
Tornarono dentro e, prima di salire le scale che portavano al primo piano, Alessio si voltò alla sua destra attirato dalle voci dei ragazzi e vide che Mirco e Daniele erano molto concentrati nella loro attività di giocare ai videogiochi, come se in palio ci fosse un importante premio.
Il piano di sopra era strutturato più o meno come il piano terra: le pareti erano sempre bianche, ma c’erano meno quadri, a destra, al posto delle scale, c’era una stanza.
- Questa è la stanza dove dorme mio fratello Federico - disse lei indicandola - in tutto siamo in tre, stasera a cena ti spiegherò meglio.
Lui era interessato relativamente a sapere chi si sarebbe occupato di loro, gli importava solo che fossero brave persone.
- In quest’altra stanza invece - stavolta indicò la prima porta a sinistra - dormono Rebecca e Valentina, mentre nella seconda camera a sinistra abitano i due ragazzi - Fece una piccola pausa, poi continuò: - Come avrai capito, l’ultima stanza a destra è la tua. In tutto possiamo ospitare al massimo sei persone, così è più facile riuscire a creare un’atmosfera simile a casa. Per ora starai da solo, però si tratta solo di dormire, i ragazzi stanno sempre tutti insieme, eccetto quando sono a scuola o fanno i compiti.
Entrarono nella stanza, era molto grande, circa il doppio della sua vecchia cameretta, e luminosa, grazie a una grande finestra che dava sul lato destro della villa. Subito alla sua destra c’era un armadio, più avanti, sempre a destra, due letti singoli, entrambi con a fianco un comodino; a sinistra completavano l’arredamento una scrivania con una sedia, un mobiletto con sopra una televisione, e un altro armadio con dei cassetti. Le pareti erano dipinte di un giallo chiaro e il pavimento era in parquet.
- Spero ti troverai bene qui con noi - gli si rivolse lei - ceniamo alle otto, i ragazzi vengono in cucina sempre un’oretta prima per aiutarmi a preparare, se vuoi puoi venire anche tu, altrimenti ci vediamo direttamente per mangiare.
Stava per uscire, ma quando si trovava sulla porta si rigirò verso di lui: - Dimenticavo, se vuoi puoi andare a farti una doccia, adesso ti porto un asciugamano, il bagno, come puoi immaginare, è questa porta.
Indicò l’ultima porta in fondo al corridoio, poi uscì; dopo qualche secondo rientrò e gli porse l’asciugamano:
- Scegli pure il letto che vuoi, ci vediamo dopo.
Gli sorrise e se ne andò lasciandolo solo.
La prima cosa che fece fu sedersi sul letto, scelse quello vicino alla finestra, non per un motivo particolare, era comodo e decise di sdraiarsi. Provò a chiudere gli occhi, ma come ogni volta che ci provava, la sua mente veniva invasa dalle immagini di quel giorno: lo sguardo d’odio di suo padre, la paura che si impadroniva del suo corpo e di quello di suo fratello, gli spari, il sangue sparso dappertutto, e infine lui, che rimase impietrito davanti a quella scena da film horror.
Poi riaprì gli occhi, era passato del tempo, ma era tutto così nitido che sembravano passate soltanto alcune ore.
Scelse di andare a lavarsi, prese l’asciugamano e dei vestiti puliti da una delle sue due valigie, che avrebbe disfatto più tardi.
Entrò in bagno, anche questo era grande, ma se l’era immaginato. Pensava che quella casa era un sogno per chiunque, ma lui non riusciva ad essere felice, non gli importava di vivere in quello che sembrava un paradiso, voleva soltanto tornare nella sua vecchia casa vicino al suo migliore amico e, soprattutto, con la sua famiglia che però non c’era più. La persona che gli mancava di più non era sua madre, come si potrebbe intuire, era stata sempre distante e non gli aveva mai dato un segno di affetto, né tantomeno suo padre, un uomo violento e orribile, ma suo fratello, con il quale aveva un legame speciale: Quando i loro genitori litigavano era sempre presente, gli diceva che non doveva aver paura e che qualsiasi cosa sarebbe successa, lui l’avrebbe sempre protetto; gli promise che non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male. Ora però non c’era più, e Alessio si sentiva terribilmente solo.
Si spogliò e guardò il suo riflesso nello specchio sopra il lavandino: era così magro che gli si vedevano chiaramente le ossa, i capelli neri non erano molto lunghi, ma lo stesso un po’ spettinati; i suoi occhi verdi non avevano versato neanche una lacrima, e se prima avevano l’aspetto di due smeraldi, dopo quel giorno sembravano due lampade spente in una stanza abbandonata da troppo tempo; occhi così vuoti da far paura, che lasciavano soltanto intuire a chi li guardava quello che potevano aver visto. Era come se fosse entrato in uno stato di trance; i due ragazzi al quale era stato affidato l’avevano portato da un dottore, ma egli disse che in certi casi si doveva seguire una terapia psichiatrica e serviva del tempo per poter assorbire il trauma.
Alessio sentì le parole del dottore, aveva solo nove anni ma era intelligente, sapeva chi erano gli psichiatri, ed era consapevole anche del fatto che non sarebbero bastati migliaia di anni per dimenticare quello che era successo.
Mise fine a quei pensieri e iniziò a lavarsi, pensando a quanto odiava suo padre per ciò che gli aveva fatto.
 
Una volta finita la doccia tornò in camera sua, l’orologio tondo sopra la porta segnava le sette meno dieci. Rifletteva su quello che gli aveva detto Cristina, e cioè del fatto che se voleva poteva andare in cucina ad aiutarli a preparare, ma poi si disse che non era una buona idea. Così accese la tv e cercò un canale dove stavano trasmettendo dei cartoni animati; lo trovò, ma non riuscì a seguire molto attentamente, così dopo un po’ spense.
Aspettò l’ora di cena sdraiato sul letto, poi, quando si fecero le otto, uscì dalla stanza e andò verso il salone.
 
 
 

Eccoci qua, primo venerdì, primo capitolo.
La storia comincia un po’ a prendere forma dopo il prologo che non lascia intendere bene come proseguirà il racconto.
Spero sempre che lo seguiate e che mi lasciate una recensione, anche negativa.
A venerdì con il secondo capitolo!!
Simone.

  
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