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Autore: Kiki87    24/10/2014    5 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non riesco a ricordare come fosse
la mia vita prima di te, e non
so neppure come siamo giunti qui
ma forse questo è esattamente
ciò di cui avevo bisogno. Qualcuno che
mi facesse dimenticare
da dove vengo e qualcuno che
mi potesse far amare senza sapere
come ci si innamora.
R.M.Drake 1

Dicembre
(meno tre mesi al matrimonio)


Capitolo 9


Il profumo di vaniglia lo cullò in quello stato tra il sonno e la veglia: Sebastian non ricordava di aver mai dormito così bene. O in maniera così spensierata, senza che a ciò seguissero i postumi di una sbornia e il suo effetto obliante. C'era ancora un sorriso sulle sue labbra, quasi quella sensazione piacevole non lo stesse abbandonando, neppure con la consapevolezza che tutto stava finendo.
Allungò il braccio per avvolgerlo intorno all'esile figura al suo fianco. Non aveva mancato di notare (e complimentarsi con quel sorriso più lascivo) che l'esercizio fisico ne aveva temprato il corpo, rendendolo più tonico ma, per qualche motivo, appariva ancora minuto ai suoi occhi. Fragile e delicato, come doveva averlo conosciuto la Mezza SegAnderson, nonostante avesse già esperito momenti d’intenso dolore che dovevano averlo fatto maturare anzitempo.
Sebastian avrebbe voluto che il tempo si potesse fermare in quell'istante di completa pace e serenità. Avrebbe voluto poter sostare in quella bolla di sospensione nella quale vi era soltanto quel calore e quella pace e tutto il resto era distante e ridimensionato.
Socchiuse gli occhi, quando sentì Kurt stringersi al suo petto e strofinare il viso contro l'incavo del suo collo e, totalmente rilassato, sprofondò nuovamente nel mondo dei sogni.

Depose il vassoio accanto al letto, mentre Kurt schiudeva gli occhi e lentamente batteva le palpebre: sembrò impiegare qualche istante per mettere a fuoco la camera del coinquilino e ricordare perché si fosse addormentato lì.
Sebastian gli porse la tazza di caffè: “Decaffeinato”, lo informò con un accenno di sorriso, con ancora indosso i pantaloni del pigiama.
Kurt prese la bevanda con un sorriso: “Buongiorno e grazie”, sussurrò con voce ancora impastata di sonno, ma l'espressione completamente rilassata. Parve riflettere, mentre sorseggiava, a giudicare dalle sopracciglia inarcate. “E' la prima volta che lo prepari tu”, convenne.
“E sarà anche l'ultima”, replicò Sebastian con un sorrisetto. “Faceva parte delle condizioni per affittarti la camera”, ricordò ancora una volta il giorno in cui si erano conosciuti. “E poi hai soltanto dormito in questo letto”, aggiunse con un'occhiata più languida.
“Molto comodo”, ribatté l'altro, ignorandone volutamente l'allusione sessuale.
Sebastian annuì e ne osservò i capelli scarmigliati: un alone sbarazzino che, tutto sommato, non stonava, ma sembrava persino risaltarne i lineamenti cesellati del viso.
Sostarono in silenzio per qualche istante e Sebastian si domandò se fosse quella la quotidianità di coppia: piccoli momenti di per sé ripetitivi, banali e scontati ma che, tutti uniti, creavano quel sapore di familiarità e di appartenenza reciproca a qualcosa da considerare soltanto loro.
Per quanto volesse sguazzare in quel piacevole stato d'animo, era consapevole di non poter soffocare il dubbio: la sua parte razionale preferiva una risposta esplicita (per quanto potesse risultare poi sgradita) all'ambiguità.
“Cos'è successo con Blaine?”, si sentì chiedere.
Kurt parve sorpreso per la tempestività della domanda, ma intuì che era finito il tempo di tergiversare e che Sebastian meritava una risposta esplicita. “Abbiamo discusso”, esordì.
“A causa mia?”, chiese con altrettanta sfacciataggine, ma Sebastian sapeva che l'eventuale risposta positiva non gli sarebbe stata di conforto. Non quanto avrebbe sospettato superficialmente fino a pochi mesi prima.
Il suo coinquilino sospirò, ma l'osservò a lungo e le labbra si ammorbidirono in un sorriso dolce. “Ti assicuro che questo non cambia le cose: a prescindere dal nostro litigio, non avrei voluto passare altrove la Vigilia di Natale, devi credermi”.
Malgrado la voce di Kurt fosse stata un sussurro, quelle parole parvero toccarlo in petto, laddove il suo cuore sapeva contrarsi ad ogni gesto che andava oltre l'ordinaria e reciproca ironia. Quella morsa al petto parve allentarsi, ma seppe che non avrebbe potuto crogiolarsi di un'effimera soddisfazione. “Non hai risposto”.
Perché sembrava allontanarlo, anziché profittare di quelle parole per avvincerlo maggiormente a sé? Quale strano e masochistico meccanismo d’autodifesa stava attivandosi nelle sue interazioni con Kurt?
“Anche”, ammise Kurt, infine. “In realtà questo periodo è pieno di alti e bassi”, sorrise con evidente amarezza. “Alcune coppie sembrano ritrovare più armonia che mai, mentre si avvicina il giorno delle nozze, ma noi sembrano emergere i dissapori o le questioni in sospeso”, concluse con tono quasi stanco e rassegnato.
“Stai avendo dei dubbi?”, cercò di celare il modo in cui si fosse teso sul materasso e si scoprì a trattenere il fiato. Contò i battiti del proprio cuore, prima di riuscire a sentirne la risposta.
“Credo che mi nasconda qualcosa”, fu la dolorosa ammissione e gli occhi cerulei parvero farsi più lucidi: un velo di lacrime trattenuto tra le ciglia.
“Posso seguirlo o farlo seguire”, propose istantaneamente.
“Non credo che occorra nulla di così drastico”. Kurt sorrise, suo malgrado. “Ma è spesso nervoso”, continuò a parlare con il cipiglio corrugato. “L'altro giorno, quando sono arrivato, ho trovato a soqquadro la camera da letto. Mi sono offerto di aiutarlo a rimettere in ordine, ma si è rifiutato con una certa foga che ho trovato fuori luogo e senza darmi una plausibile spiegazione su cosa stava facendo. Mi ha praticamente buttato fuori dalla camera”. La sua voce lasciò trapelare l'indignazione, seppur fosse evidente che ancora si crucciava nel cercare di comprendere la natura di quell'insolito comportamento.
Non si rese conto di come lo sguardo dell'altro, al contrario, dardeggiò alla palese realizzazione.
L'anello.
Sebastian sentì il respiro farsi pesante e lo sguardo vagò nell'armadio in cui lo aveva riposto, nascosto in una scatola di scarpe. “E sospetti che questa sia una prova... di cosa, esattamente?”, s’impose di apparire razionale e calmo, una persona alleata con cui confidarsi in un momento di crescente ansia e confusione.
“Non lo so, mi sento orribile a pensarci e ti giuro che l'ho davvero perdonato per il tradimento e ho di nuovo riposto in lui la mia fiducia”, sembrava disperare di riuscire a convincerlo, così da sentirsi lui stesso più sicuro di sé e del loro rapporto.
Sebastian ancora una volta si sorprese dell'ascendente che sembrava avere su di lui e sulle sue certezze. “Ma hai dubbi sulla sua onestà e ti senti in colpa per questo”, concluse la frase al suo posto.
Kurt annuì e si avvicinò per cingerne il braccio: nel suo sguardo vi era una silenziosa supplica che indusse Sebastian a distogliere il proprio, mentre lo sgradevole senso di colpa dilagava in sé.
Sarebbe stato fin troppo semplice approfittare di quel momento, fare pressione e manipolarlo, affinché riuscisse a disintegrare completamente ogni residuo di lealtà e di fiducia nei confronti del fidanzato. Ma la voce da “dottorino” gli chiese beffarda se si sarebbe potuto ritenere migliore di Blaine o se fondare il suo successo su un raggiro non fosse poi così dissimile dal tradimento carnale.
“Sei la persona di cui più mi fido e so che saresti l'unico a parlare in modo spassionato, anche se la risposta dovesse ferirmi”.
Sebastian lo guardò e desiderò riuscire ad essere il solito menefreghista ed opportunista, lo stratega egoista che avrebbe alimentato i suoi timori fino a spingerlo a cadere tra le proprie braccia. Scosse il capo e parve quasi supplicarlo: “Non posso”.
Difficile capire se stesse parlando tra sé o al giovane stesso.
“Sebastian, so che non ti fidi di lui”, lo incalzò Kurt, come a volerlo spronare ad essere sincero e diretto, come in qualsiasi altro ambito nel quale voleva imporre il suo giudizio.
Sebastian scosse il capo e sollevò la mano a cingerne la gota: “Kurt”. Indugiò nel suo sguardo, in quell'attimo di sospensione e rilasciò il respiro, mentre cercava di raccogliere quel nugolo di pensieri che premevano dolorosamente sulle tempie.
Si riscossero entrambi allo scampanellio quasi irruente: percepirono la voce attutita di Blaine e il suo richiamo accorato.
Il tempo parve protrarsi in quel lunghissimo istante nel quale la realtà esterna sembrò richiamarli e ammonirli affinché quella breve parentesi fosse interrotta.
Kurt si alzò dal materasso, guardando l'altro come un'implicita richiesta di perdono, e si mosse verso il soggiorno.
Sebastian lo seguì con lo sguardo, ma lo raggiunse prima che potesse schiudergli l'uscio e lo avvinse a sé. Sospirò ed ignorò l'ennesimo tonfo alla porta, ma lo guardò dritto negli occhi e la sua mascella parve contrarsi. “Qualunque cosa tu decida, ti prego: non sposarlo perché temi di restare solo”, fu la semplice ed accorata richiesta. Un sorriso consapevole, quasi amaro, nello sfiorarne il viso.
“Sebastian”, gorgogliò l'altro in risposta, il viso inclinato di un lato e un verso di rauca sorpresa: quasi realizzando quanto l'altro lo conoscesse a fondo.
“Non sarò io ad andarmene da te”, ne baciò la gota, ma si scostò rapidamente, schiuse l'uscio d’ingresso ed uscì, senza guardare la Mezza SegAnderson.

Ripose l'anello al suo posto e uscì rapidamente dal loft: una parte di sé seppe che non vi sarebbe più entrato, qualunque cosa fosse accaduta.
Se Kurt si fosse tirato indietro e avesse sofferto per quella decisione, rifletté tra sé e sé, non avrebbe voluto esserne il responsabile.

~

“Il tuo caffè fa schifo”, ruppe così il silenzio sceso tra loro.
Hunter Clarington gli lanciò un'occhiata di sbieco. “Dovrò sopravvivere alla consapevolezza”, replicò con aria distratta, carezzando le orecchie del micio che teneva in grembo. Sembrò voler aggiungere altro (e in tono polemico), ma probabilmente il fatto che, durante la fantomatica sera di Natale, fossero entrambi soli coi loro personali crucci, lo fece desistere.
Il trillo del telefono parve riscuoterli e Sebastian osservò l'icona con il nome del mittente del messaggio. Non occorreva aprirlo per immaginare cosa fosse successo in sua assenza. Ma lo fece comunque e il ringraziamento accorato di Kurt per il suo agire come un « vero amico » , gli fece ribaltare lo stomaco.
Sospirò, ma ripose il telefono in tasca senza commenti.
Il padrone di casa lo aveva osservato per tutto il tempo e sembrò facilmente intuire l'evolversi della situazione. “So che non vuoi sentirtelo dire”, esordì con tono cauto, guardandolo di sottecchi. “Ma hai fatto la cosa giusta o te ne saresti potuto pentire”, continuò, scrutandolo con le sopracciglia inarcate.
“Non mi sembra di star facendo esattamente i salti di gioia”, fu la replica secca, senza neppure incrociarne lo sguardo.
“Se il loro matrimonio è destinato a fallire, lo farà che tu intervenga o meno”, ribatté Hunter con insopportabile raziocinio e lucidità, persino in quel frangente. “Se invece Kurt ti guarderà in modo diverso da qui alla data stabilita, dipenderà solo da te”.
“Già”, ribatté l'altro in tono asciutto, fissando il soffitto con le braccia incrociate al petto. Allungò i piedi verso il tavolo da caffè (ignorando lo sguardo di sbieco dell'altro) e sprofondò maggiormente nel divano.
“Lo sai perché lo hai fatto?”, insistette Hunter.
Inutile mandarlo a quel paese: scoprì di non averne la voglia e l'energia. Ed inutile ribadire che non fosse proprio dell'umore adatto ad un dialogo, quando si metteva in testa di filosofeggiare o si compiaceva del ruolo di consulente di coppia.
“Lo ami davvero, più di quanto credessi possibile, anche se questo ti spaventa a morte”.
“Falla finita, Clarington, sono venuto per il caffè e per vederti solo e fallito”.
Hunter scosse il capo, ma sospirò e riprese a carezzare il persiano, come fosse un conforto a cui aggrapparsi. “Sono lusingato”, borbottò ironicamente, ma non insistette e Sebastian gliene fu più che grato.
No, l'idea di amarlo così intensamente non era decisamente una consolazione.



Ciao coinquilino”.
Niente di più bello che giungere alla sua caffetteria ed osservarne l'espressione di stoica rassegnazione o, come in quel caso, sentirlo trasalire, mentre era impegnato a servire una tazza di caffè alla sua amica.
Sebastian, hai già preso il caffè”, lo rimproverò Kurt. “E non dovevi andare a lezione?”, indagò con quell'espressione più sospettosa.
Attraversare il traffico di New York di primo mattino per due ore di diritto di famiglia, o venire qua a guardarti lavorare”, sollevò le mani, come a voler soppesare le due opzioni a confronto, lo sguardo fintamente pensieroso.
Il cameriere sollevò gli occhi al cielo e, senza guardarlo, si sedette al tavolo. “Sono in pausa, chiedi a Samantha”.
L'allupata che vuole portarmi a letto?”, chiese con aria oltraggiata, ignorando le occhiate languide che quest'ultima gli stava lanciando, premunendosi di sistemare meglio la camicetta.
No, grazie, attenderò”, lo scrutò con le braccia incrociate al petto. “Anche se la tua mancanza di professionalità mi delude non poco”, aggiunse per il puro gusto di infastidirlo.
Cambia caffetteria”, gli propose con un sorriso affettato, togliendosi dal grembiule la targhetta con il nome impresso sopra, a rimarcare la sua temporanea indisposizione.
Bene”, scrollò le spalle. “Oh, Ciao Tracy”, aggiunse a beneficio della giovane che aveva seguito il loro battibecco con aria incuriosita.
Mi chiamo Tiffany”, ribatté la giovane con le sopracciglia inarcate.
Come ti pare”, si lasciò cadere al suo tavolo preferito (ad efficiente distanza d'orecchio) e aprì il giornale con aria stoica.
Scusami”, sospirò Kurt. Sorrise poi con evidente soddisfazione, come ogni volta che era in procinto di ascoltare qualche nuovo e succulento pettegolezzo. “Stavi dicendo?”.
Joe mi ha detto che mi ama”, ribatté Tiffany tutto di un fiato, come se non potesse resistere ulteriormente dal riportare quella notizia.
Oh mio Dio”, esclamò l'altro, portandosi le mani alle labbra, come se stesse seguendo una delle sue fiction strappalacrime. “E tu? Come hai risposto? Eravate in un posto romantico? Come eri vestita?”.
La ragazza scosse il capo e parve mortificata, tutt'altro che nell'idilliaco stato d'animo che ci si sarebbe potuto aspettare in simile situazione. “Era tutto perfetto, ma mi ha presa alla sprovvista e... non sono riuscita a dire nulla”, ammise in tono contrito.
La delusione era ben visibile sul volto di Kurt che, tuttavia, non esitò a prenderle delicatamente le mani con un sorriso più dolce e rassicurante.
Capire d’amare qualcuno è uno dei momenti più dolci e al tempo stesso difficili, soprattutto se questo qualcuno non lo sa o non abbiamo il coraggio di confessarglielo. Ma ti capisco”, le disse con tono quasi professionale, per poi sporgersi in sua direzione, come stesse per rivelarle un segreto.
La prima volta che Blaine me l'ha detto, mi sono quasi strozzato con il mio caffè”, confessò e la ragazza ridacchiò, ma lo incalzò perché si spiegasse meglio. Superfluo dire che ciò lo compiacque particolarmente, visto come ondeggiò le spalle.
Eravamo alla nostra caffetteria preferita e gli stavo raccontando di come Rachel e Finn avevano distrutto la nostra possibilità di vittoria alle Nazionali di New York. Ho quasi rischiato di soffocarmi, ma ho capito che era da molto che lo aveva capito, ma in quel momento non aveva potuto fare a meno di dirlo. Siamo soliti attendere il cosiddetto momento perfetto e ci dimentichiamo che qualunque istante potrebbe diventarlo, purché lo desideriamo davvero”.
Sebastian si sarebbe normalmente allontanato anni luce da simili e gratuite dosi di romanticismo soporifero, ma vi era qualcosa nello sguardo di Kurt, nel suo tono di voce che, suo malgrado, lo indussero a restare dov'era, fingendo di leggere con cipiglio annoiato. Qualcosa che andava oltre la mera curiosità su quel suo ostentato sentimentalismo, le sue teorie sull'amore su cui si erano già confrontati in più occasioni. Non seppe spiegarsene il motivo (non in quel momento), ma restò immobile, fingendosi concentrato sulla lettura e continuò ad ascoltare.
Prima di pensare a quando o come dirlo, cerca di capire che cosa provi davvero”, suggerì Kurt con aria meditabonda.
La ragazza annuì, ma non ne lasciò la mano: la scintilla di curiosità ancora non sembrava aver smesso di dardeggiare nel suo sguardo. “E tu? Quando hai capito di amarlo?”.
Kurt sospirò, lo sguardo perso nel vuoto, ma il sorriso sognante.“Credo che non ci sia un momento preciso, non per tutti. Ma guardarlo la prima volta fu speciale. Imparare a conoscere le sue caratteristiche, i suoi difetti, come quegli orribili papillon in serie che sembrano rubati ad un circolo di pensionati e amanti del bingo”.
Sebastian inarcò le sopracciglia e la ragazza rise al suo tono.
Alla fine sono proprio i difetti che si fanno amare di più. Tutte le sue abitudini o tutto ciò che è la sua quotidianità, tutto diventa parte di lui ed è ciò che conosci più d’ogni altra cosa, ciò che riesce a cambiarti la giornata, ciò che sai attenderti dopo ore passate lontani l'uno dall'altro. Ciò che sa farti sentire a casa, qualunque cosa accada. E in qualche modo, quando sei pronto ad ammetterlo a te stesso, capisci che è già tuo, che lui lo sappia o meno”.
Sebastian non avrebbe mai saputo spiegare la semplicità con cui Kurt sembrò delineare un sentimento tanto complesso ed astratto. Soprattutto per come sembrava accettarlo con una pace interiore che gli sembrava altrettanto misteriosa.
Si rimise in piedi, rivolse loro un breve cenno del capo e s’incamminò verso l'uscita.
Ma non volevi un caffè?”, sentì la voce interdetta di Kurt alle sue spalle.
Sollevò appena la mano, ma non si volse: affondò le mani nelle tasche ed accese una sigaretta, passeggiando per le strade familiari del quartiere.
Ancora non ne capiva il motivo, ma sapeva che quelle parole lo avrebbero tormentato a lungo.



Gennaio
(meno due mesi al matrimonio).


Il suono del liquido che scivolava nel bicchiere era quanto di più seducente quella sera: ne osservò il colore alle luci al neon e sentì la gola secca. Desiderò sentirne il sapore sul palato e quel bruciore all'altezza dello stomaco, sciogliendo completamente tutti i propri tortuosi pensieri.
Scosse il capo e lo porse al cliente, prima di passarsi una mano tra i capelli. Lo sguardo torvo saettò ancora una volta in direzione del tavolo della coppia più strana ed inverosimile al mondo. E non perché uno dei componenti era gay.
Sebastian, la bottiglia di birra tra le dita, stava parlando con la sicurezza di sempre. La giovane indugiava con la cannuccia del suo frappé alla fragola, facendola tintinnare contro il calice e osservando il suo interlocutore come se si stesse completamente bevendo le sue parole.
“Cosa diavolo succede?”. Santana Lopez sembrò dare voce ai suoi stessi dubbi. Usò la pochette che teneva tra le mani, dopo essersi tolta i costumi di scena, per indicargli lo stesso punto.
Hunter serrò le braccia al petto: “E' da un quarto d'ora che confabulano e lei non se n'è ancora andata urlando”, spiegò con altrettanto sconcerto. “Si direbbe che Sebastian non la stia insultando”.
Per qualche motivo, ciò sembrò indispettire la ragazza: “Sta giocando sporco, me lo sento nelle tette”.
Il ragazzo sbatté le palpebre, fissandola incredulo, probabilmente più per la personalissima diagnostica che per il sospetto di per sé. Non era la prima volta che percepiva una certa tensione tra Santana e Sebastian: aveva il vago sospetto di un complotto di cui era stato tenuto all'oscuro. Di ciò si era detto grato, per puro spirito di sopravvivenza.
“Prego?”, le chiese con le sopracciglia inarcate.
La ragazza scacciò la domanda con un cenno della mano: “E' colpa tua”, gli abbaiò contro e ciò non fece che accentuare il cipiglio perplesso del barista. “Le ho dato le fragole, la panna, un vestito succinto, un reggiseno imbottito: dillo che sei gay e facciamola finita”, la sua voce si era alzata in quel tono più aggressivo. “Ho perso fin troppo tempo con te”.
Ma non la stava ascoltando, Hunter, un rivolo di sudore freddo gli scivolò lungo le tempie al ricordo di quel particolare episodio. Si era detto che fosse illegale che una giovane ostentasse cotanta voluttuosa provocazione, senza neppure rendersene conto. Bastò ripensare all'abitino rosso e striminzito, in perfetto contrasto con il colore dorato dei capelli. Di una tonalità cremisi, abbinata al rossetto e al colore dello smalto mentre con le dita affusolate prendeva le fragole, una ad una, immergendosele tra le labbra con evidente soddisfazione, dopo averle spolverate nella panna. E senza neppure realizzare quanti sguardi si fosse attirata addosso, soprattutto dopo aver accavallato le lunghe gambe, lasciandone penzolare una. Mangiucchiava con aria assorta, muovendo la testa a tempo con il brano musicale, facendo ondeggiare i capelli e mimando le parole della canzone con le labbra. Una sorta d’innocente e maldestra Afrodite: contraddizione fin troppo suggestiva.
Dovette sbattere le palpebre per riuscire a sottrarsi a quei ricordi fin troppo nitidi, deglutendo a fatica.
“Tu... hai...”, parve lentamente comprendere. Sgranò gli occhi all'idea che dietro l'ingenuità puerile della biondina, si fosse celato un subdolo raggiro dell'ispanica. Sentì un fastidioso calore fargli avvampare il viso solitamente pallido. Sollevò la mano, come ad invitarla ad attendere ed ingollò un bicchiere di tequila, come se ciò fosse utile a distendere i nervi. Si pulì le labbra con il dorso della mano.
“Ti sarei molto grato se evitassi di darle altri suggerimenti”, si sentì dire poco dopo, cercando di apparire composto, articolando le parole una ad una.
Santana lo squadrò con aria evidentemente disgustata e non di meno risentita. “Va' al diavolo, un vestito rovinato per nulla”, sollevò gli occhi al cielo al ricordo di come la sua distratta protetta fosse riuscita a sgualcirlo. Tornò ad osservare l'incredibile coppia, una mano sul fianco.
“Ora ci pensa zia Snix”.
Ma prima che potesse avanzare in loro direzione, Sebastian si era alzato. Non rivolse che un cenno distratto alla ragazza, impegnato a digitare qualcosa al cellulare.
Ancora con il suo calice e la cannuccia con l'ombrellino rosa, Brittany Pierce continuò a degustare la sua bevanda, prima di essere agguantata per il braccio dalla latina che la trascinò con sé con aria battagliera.
Sebastian, l'aria calma, si sedette sullo sgabello che occupava solitamente.
“Allora?”, lo incalzò il barista con la mascella serrata.
“Ah, sì: un'altra birra”, rispose distrattamente, lo sguardo ancora volto al display del proprio telefono.
“Si può sapere che cosa sta succedendo?”, trattenne la birra lontana dalla sua portata, come incentivo a parlare.
Sebastian scrollò le spalle, guardandolo con teatrale sorpresa. “Nulla”.
“Cosa le hai detto?”, insistette Hunter. “Non mi ha guardato male e non è fuggita offesa o piangendo, quindi-”.
Sebastian sbuffò con aria evidentemente annoiata: “Clarinton, il mondo non ruota attorno a te”.
Il barista non si prese la briga di replicare alla provocazione, ma continuò a studiarlo con il cipiglio corrugato: “Quindi non le hai raccontato cose orribili sul mio conto?”.
“Anche volendo, sono sicuro che ci penserai da solo”, gli sorrise Sebastian con aria perfida, dopo avergli strappato di mano la bottiglia che si portò alle labbra.
“Mi stai dicendo che voi due, tu e Brittany, avete avuto una... conversazione normale?”, insistette l'altro, ripetendo quelle parole lentamente, come a voler consentirgli di assimilarle con più semplicità.
“Più o meno”. Sebastian sollevò gli occhi al cielo in un'espressione che gli era più consueta.
“Hai cambiato idea su di lei?”, il tono di Hunter era persino più incredulo.
“Al contrario”, sbuffò con aria ironica. “Continuo a credere che sia una bambola gonfiabile con una vocina insopportabile e che respira”, ribatté senza battere ciglio, per poi sorridere suadente. “La tua donna ideale, insomma”.
Il barista si irrigidì nuovamente, come se finalmente stesse cominciando a farsi largo tra i suoi processi neuronali. “Hai in mente qualcosa”.
“Come sempre”, gli sorrise diabolicamente. “E non sprecare tempo a chiederglielo: abbiamo fatto giurin giurello”, mosse il mignolo con fare eloquente.
Quell'informazione parve offendere Hunter persino più degli epiteti poco lusinghieri. “Lo scoprirò, non so ancora come, ma ti prometto che lo scoprirò”.
Sebastian scrollò le spalle. “Lo so, ma è divertente vederti andare fuori di testa, sapendo in anticipo che non ti sarà cosa gradita e vederti logorare nelle tue congetture malate”.
“Bastardo”, borbottò Hunter in risposta.
Ammiccò con aria divertita. “Ci vediamo, Clarington”, lo salutò con un cenno militare e scomparve tra la folla, il sorrisetto soddisfatto ad incresparne ancora le labbra.


~
Un suono fastidioso, come una frequenza di una radio mal sintonizzata, ci vollero diversi minuti, prima di riuscire a percepire la voce della giovane, seppur distorta dai rumori in sottofondo del traffico newyorchese. O probabilmente (non era un'ipotesi da escludere) per un mal assestamento dell'auricolare da parte della sua assistente tutt'altro che brillante.
“Alice allo Stregatto, mi senti?”, Brittany cantilenò a voce così alta che Sebastian imprecò e si scostò il telefono dal padiglione auricolare.
“Stiamo parlando al telefono: non c'è bisogno che urli”, ringhiò in risposta. “E da quando abbiamo stabilito dei nomi in codice per noi due?”.
“Mi sembrava un'idea carina”, ribatté la giovane con tono ridente. “E poi quando sorridi, sembri davvero lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie e io invece-”.
“Non è il momento: concentrati”, dovette ricorrere a tutta la sua pazienza per non rimproverarla aspramente, consapevole che così facendo l'avrebbe offesa al punto da perderne la complicità. “Dimmi che sta succedendo, per favore”, aggiunse con un notevole sforzo.
“Puffo Cattivo è entrato in un negozio di vestiti, Puffo Cattivo è entrato... non mi ricordavo che ci fossero puffi cattivi coi capelli ricciolini”, ribatté poco dopo, con aria evidentemente confusa.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo: “Non ti distrarre, leggi il nome del negozio e fai in modo che non ti veda”.
“Ok”, rispose Brittany con aria allegra e Sebastian si domandò se fosse una di quelle persone che sembravano sempre e insopportabilmente di buon umore. Così tanto da destare istinti omicidi a chiunque incontrassero. “S-a-i-n-t L-a-u-r-e-n-t”, lo lesse come scritto e Sebastian sentì che la sua parte francofona stava premendo per gettarsi dal ponte di Brooklyn.
Lo pronunciò come da lingua madre.
“No, non è scritto così!”, insistette l'altra, pronta a riprendere lo spelling.
“Vai avanti”, la esortò con un ringhio appena celato. “Entra nel negozio e comportati normalmente”.
Già sapeva in partenza che si sarebbe pentito di essersi rivolto a Tontittany, ma non voleva essere in debito con la latina ed era l'unica disposta a farlo gratuitamente. L'unica a bersi una balla colossale con cui attirarne l'attenzione, facendo leva sui suoi principi morali.
“Oooh!”, data la dubbia capacità oratoria della ragazza era difficile comprendere la natura di tale esclamazione.
“Che c'è?”, le chiese stringendo la balaustra, come a ricordarsi perché non potesse perdere la pazienza.
“Quel vestito è carinissimo: è tutto rosa!”, esclamò con voce grondante di genuino entusiasmo.
“Non sei lì per fare davvero shopping: tieniti a distanza di sicurezza”, la istruì, massaggiandosi le tempie per il mal di testa che sarebbe sicuramente giunto.
“Altrimenti verrà davvero a rapire Lord Tubbington?”, gli chiese con voce evidentemente angosciata.
Ci volle qualche istante perché Sebastian collegasse il titolo nobiliare all'obeso gatto la cui unica utilità era stata quella di tentare di sfregiare il barista. Un sorriso diabolico gli increspò le labbra: quella se non altro era la parte divertente. “Oh, sì, scommetto che ci farà uno zerbino per la sua nuova casa”, simulò un'intonazione altrettanto angosciata.
“Sta parlando con un signore grasso e pelato”, lo informò con tono nuovamente cospiratore.
“Qualche segno particolare?”, le chiese, scribacchiando distrattamente su uno dei block notes che aveva sgraffignato dalla camera di Kurt, con tanto di logo della sua caffetteria.
“E' grasso?”, ribatté con aria evidentemente confusa.
Sebastian sospirò e parve contare mentalmente fino a dieci, prima di replicare: “Ha un metro in mano? Una targhetta su una giacca elegante?”.
“Oh, sì! Come fai a saperlo? Mi stai guardando?”, gli chiese in tono sospettoso e la immaginò restare immobile nel centro del negozio, facendo un giro su se stessa con gli occhi azzurri socchiusi nell'atto di cercarlo. Evidentemente a metà della sua piroetta, si fermò: “Si allontanano! Sono usciti da una porta sul retro!”.
“Ok, devi seguirli”, la istruì. “Cerca di intrufolarti, ma se ti vedono, fingi di star cercando il bagno e-”.
“Posso aiutarla?”, fu la voce professionale di una commessa ad irrompere nella comunicazione e Sebastian imprecò mentalmente.
“No, grazie”, sentì la biondina rispondere con nonchalance davvero lodevole. “Sono qui in missione segreta, per cui mi ignori, io fingerò di fare shopping”, aveva abbassato la voce e probabilmente doveva persino aver ammiccato.
Sebastian si sbatté la mano sulla fronte.
“Come, prego?”, sentì chiedere dalla commessa.
“Non devi dirlo a nessuno!”, le gridò Sebastian.
“Scherzavo! Volevo... volevo, ecco-”, annaspò.
Sebastian immaginò la contrazione dolorosa degli ingranaggi poco oliati di quel cervello paragonabile ad un uovo. Sospirò, ma si affrettò a suggerirle: “Dille che sei amica di Blaine”.
“Volevo fare una sorpresa al mio amico, quello che è andato da quella parte con il signore grasso”, specificò.
“Oh, quindi è una parente dello sposo?”.
Sebastian tirò un sospiro di sollievo, evidentemente quell'aria angelica riusciva a supplire la poca materia grigia e la commessa non doveva aver motivo di sospettare. “Sorridi ed annuisci”.
“Sorrido e annuisco”, ripeté prontamente Brittany.
“Non devi dirlo”, ringhiò Sebastian tra i denti.
“Cioè...”.
Sebastian immaginò, dal silenzio successivo, che stesse effettivamente esibendo il suo sorriso migliore, dopo aver annuito con foga. Decisamente non invidiava la donna che l'aveva di fronte in quel momento.
“Allora, prego, mi segua: le mostro il reparto di sartoria”, evidentemente la commessa era abbastanza ben pagata e il negozio abbastanza di classe da poter continuare ad assecondare i potenziali clienti, anche quando evidentemente pazzoidi.
“Non deve vederti o tutta la copertura salta e puoi dire addio al tuo gatto”.
“Ma lui non deve vedermi!”, balbettò la ragazza in tono preoccupato, la voce più stridula. “Cioè sono qui per dare una sbirciatina e poi gli farò cucù”.
“Certo”, rispose la commessa dopo quello che a Sebastian parve un lungo silenzio sospettoso. Avrebbe voluto poter coglierne l'espressione del viso: sarebbe stato tutto piuttosto comico, se non ne fosse andato del suo piano. “Attenda qui, torno subito”.
“Si è girata?”, le chiese.
“Sì”, ribatté Brittany in tono sorpreso. “Ma dove sei? Come fai a sapere cosa sta succedendo? Hai poteri magici?”, gli chiese ancora più meravigliata.
“Dimmi esattamente che cosa sta facendo”, ribatté in tono asciutto, ignorandone le farneticazioni.
“Parla con un'altra ragazza e mi guardano strano: forse avrei dovuto mettere un'altra gonna”.
“Ascoltami bene: dille che hai cambiato idea ed esci dal negozio in fretta, ma fingendo di farlo tranquillamente. Continua a sorridere come se sapessi esattamente che cosa stai facendo... o come se avessi un cervello”, aggiunse tra sé e sé, ormai rassegnato.
Sapeva di non poter pretendere troppo da quella dubbia partner in crime, ma l'informazione più importante era stata raccolta, avrebbe agito da solo per la seconda parte del piano.
“Ho cambiato idea!”, la sentì strillare così forte che dovette allontanare il telefono dal proprio orecchio un'altra volta. “Grazie lo stesso!”.
“Ti stanno guardando?”, le chiese in tono vagamente preoccupato. Se si fosse messa nei guai, avrebbe dovuto affrontare l'ira funesta del barista.
“Hanno chiuso la porta e continuano a fissarmi. Oh, ora una delle due ha preso il telefono”.
“Credo che stiano chiamando la sicurezza”, replicò e, suo malgrado, vi era una nota di esasperato divertimento nella voce.
“Oh!!”, esclamò nuovamente e finalmente parve realmente preoccupata. “Quindi adesso sanno anche loro del complotto malvagio di Blaine?”.
“Sì, certo”, ribatté in tono sarcastico, sollevando gli occhi al cielo.
“Allora devo andare a dire loro quello che so!”.
Sebastian sgranò gli occhi. “Non pensarci neppure: trova una panchina nelle vicinanze, apri il giornale che ti ho dato e fingi di leggere, ma continua a guardare il negozio fino a quando lui non-”.
Ma è lui!”, lo interruppe la ragazza, in tono angosciato. “Sta uscendo adesso dalla stanza misteriosa: mi sta guardando. Oh, no, adesso rapirà anche il mio Lord Tubbington!”.
“Sta calma e fai esattamente quello che ti dico: passeggia e non girarti a guardarlo. Allontanati il più possibile”.
“Ok, passeggio, passeggio, passeggio”, ne sentì distintamente i passi, prima che uno dei due piedi sembrasse sprofondare in qualcosa di morbido. “Oh no, è una cacca di cane!”, gemette in tono puerile.
“Continua a camminare!”, la ridestò in tono perentorio: la faccenda sarebbe divenuta ancora più complicata se Mezza SegAnderson avesse cominciato ad interrogarla: dubitava che sarebbe stata in grado di improvvisare meglio del suo spasimante.
“Ma ho la scarpa sporca!”, fu la sofferta protesta.
“Cammina o Lord Tubo sarà in pericolo!”, si sentì quasi urlare.
“Ok”, ribatté con l'aria di chi si stava facendo coraggio, anche se pareva in procinto di piangere.
“Cosa diavolo stai facendo?”, sentì una voce alle sue spalle.
Fu forse la prima volta in vita sua che Sebastian Smythe trasalì al punto di rischiare di far cadere il cellulare nel fiume. Si riscosse alla vista di MasturbHunter le cui braccia erano incrociate al petto. Evidentemente la sua corsa mattutina includeva anche il ponte di Brooklyn. Oppure aveva una sorta d’allarme che si attivava ogni qualvolta qualcuno insidiasse il cervello o le tette della biondina (avevano la stessa consistenza dopotutto).
“Non dovevi ispezionare cadaveri oggi?”, lo accolse con tono seccato.
“Sei al telefono con Brittany?!”, ringhiò letteralmente la domanda.
“No!”, ribatté in tono indignato, scrollando persino le spalle, quasi offeso.
Forse non avrebbe dovuto sottovalutare i bicipiti del ragazzo che gli torse il braccio per mettere il vivavoce alla telefonata ancora in corso.
“Ciao Hunter!”, la giovane parve aver ritrovato la sua consueta allegria. “Ho sentito la tua voce”.
“Sta zitta e cammina”, ribatté Sebastian.
Sbatté le palpebre, Hunter, fissando da lui al telefono per qualche istante, prima che il cipiglio sulla fronte si accentuasse. Ringhiò la domanda successiva: “Ha a che fare con Kurt, vero?!”.
“Chi è Kurt?”, sentirono la domanda provenire dal cellulare.
“Zitta e cammina!”, la istruì nuovamente Sebastian.
Parve respirare a fatica. “Si sta avvicinando, mi sta seguendo!”, sentirono i passi farsi ancora più rapidi.
Hunter boccheggiò, guardando il telefono come se stesse trattenendo un ordigno in procinto di esplodere sul suo palmo. Fissò Sebastian incredulo: “Chi diavolo la sta seguendo?”, chiese in tono mortalmente serio.
“La Mezza SegAnderson”, ribatté con uno scrollo di spalle. “ Ma non è in pericolo!”, si affrettò ad aggiungere, mentre l'altro assumeva un colorito sempre più tendente al violaceo.
“L'hai coinvolta nei tuoi casini”, lo additò con aria feroce e soltanto in quel momento Sebastian dovette riconoscere che aveva mani enormi. “Come hai potuto?”.
“E' stato semplice: si beve ogni cosa”, ribatté in tono sferzante.
Hunter sollevò la mano come a dirgli di attendere di essere gettato dal ponte, ma trasse un respiro profondo e si portò il telefono all'orecchio. “Brittany, dimmi dove sei, per favore”, si intuì che stesse cercando di mantenere il controllo, malgrado le iridi verdi parvero trafiggere Sebastian sul posto. “Vengo a prenderti subito”.
“Non lo so”, gemette la biondina, la voce che sembrava ancora incrinata per la voglia di piangere. “Non conosco questa strada, ho solo seguito Puffo Cattivo e non mi ricordo a quale fermata della metro sono scesa”, ribatté in tono evidentemente angosciato.
“D'accordo, stai calma”, la incoraggiò Hunter, ancora fissando Sebastian come se gli avesse confessato un efferato crimine, malgrado il cipiglio interdetto al nome in codice.
“Smettila di fare il paranoico, mi ha dato l'informazione che mi serviva, è tutto apposto”, ribatté con uno scrollo di spalle. “E ora posso riavere il mio telefono?”.
“Tutto apposto un accidenti! Non volevo arrivare a questo punto, ma sono stanco di tutte le tue... stronzate”.
Sebastian trovò incredibilmente patetico che, persino in quel momento di tensione, abbassasse la voce perché la biondina non lo sentisse ricorrere a termini più volgari. Se mai le sue minacce potessero avere una qualche fondatezza, il suo essere semplicemente se stesso facevano scemare l'effetto in pochi secondi.
“O parli tu con Kurt o lo farò io!”, aggiunse Hunter in tono perentorio.
“Non oseresti”, replicò Sebastian con la consueta arroganza.
“Anche Kurt rapisce gatti?”, chiese Brittany, evidentemente ancora ascoltando la loro conversazione, un espediente per non lasciarsi andare al panico.
Ehi, tu, biondina!”.
I due contendenti parvero immobilizzarsi nel riconoscere la voce di Blaine Anderson.
“Chi, io?”, ribatté, Brittany, in tono di genuina confusione.
“Non rispondere”, ribatté prontamente Sebastian, prendendo di nuovo il proprio cellulare tra le dita. “Continua a camminare e se lui continua a seguirti, comincia a gridare e chiedere aiuto”.
Il barista parve imprecare tra i denti e Sebastian sapeva che parte della rabbia era dovuta al fatto di non poter soccorrerla neppure volendo, rischiando di esporsi nuovamente alla vista del fidanzato di Kurt, soprattutto dopo la questione dell'anello momentaneamente scomparso.
“Tu, ragazzina, fermati!”, la voce di Blaine ne tradiva la crescente irritazione e la prossimità guadagnata.
“Non posso”, ribatté la ragazza caparbiamente. “Devo andare e se continui a seguirmi, mi metto a chiedere aiuto”. Un netto contrasto tra il tono puerile e le implicazioni di una simile minaccia.
“Si può sapere chi diavolo sei?”, doveva essersi parato di fronte a lei, perché non li sentirono più camminare.
“Jennifer”, rispose Sebastian per lei.
“Chi è Jennifer?”, chiese evidentemente confusa, mentre Hunter si sfregava una mano sulla fronte, come ad invocare la pazienza.
“Digli che ti chiami Jennifer... Jennifer Brown ”, la istruì nuovamente, cercando di trattenersi dall'urlarle contro, con il rischio che la Mezza SegAnderson riuscisse a sentirlo.
“Cioè, io sono Jennifer. Jennifer Brown”, spiegò in tono fintamente allegro. “Ciao”.
“Bene, Jennifer Brown, posso sapere per quale motivo mi hai seguito fino in negozio? Non ricordavo che fossimo amici, tanto meno parenti”, fu la domanda sferzante di Blaine Anderson con intonazione fortemente sarcastica.
“Digli che sei una modella e-”.
“E' tutta colpa tua, smettila di creare problemi!”, inveì Hunter, quasi non fosse più in grado di contenere la sua rabbia.
La risposta bieca di Sebastian non arrivò ed ascoltarono la biondina ripetere esattamente la frase del barista, con la stessa intonazione seccata ed irritata.
“Come hai detto, scusa?” le chiese Blaine in tono evidentemente incredulo.
“Stai rovinando tutto!”, ringhiò Sebastian e la biondina lo ripeté, cercando ancora una volta di riprodurre lo stesso timbro.
“Di cosa stai parlando?”, insistette, Blaine che parve persino preoccupato. “Ci conosciamo?”.
“Non avresti neppure dovuto iniziare!”, ribatté Hunter senza ascoltarlo e la biondina parve attuare uno sforzo persino maggiore nel cercare di imitare nuovamente il barista.
“Sta zitto, coglione, sta ripetendo tutto!”, borbottò Sebastian.
“Ehi, io non dico le parolacce!”, fu la protesta della biondina che era giunta a ripetere soltanto la parte che non era necessario censurare.
“Con chi stai parlando?”, le chiese Blaine Anderson, evidentemente sconcertato. Ed evidentemente essendosi accorto soltanto in quel momento dell'auricolare all'orecchio della ragazza.
Sebastian ringraziò la propria mente lucida, persino in situazioni d'emergenza e improvvisazioni. “Digli « sorpresa! » e sorridi. Poi ripeti esattamente tutto quello che dico io, soltanto io”. Sottolineò nel modo più chiaro ed esplicito possibile.
“Sorpresa!”, la sentì ripetere.
“Sto cominciando a stancarmi: o mi dice subito che cosa sta succedendo o andremo insieme alla polizia”.
“Lei è su Candid Camera: un sorriso per la telecamera!”, ripeté fedelmente le parole di Sebastian.
“Non vedo cineprese”, ribatté il moretto e Sebastian lo immaginò guardarsi attorno con aria persino più stolida della sua presunta inseguitrice.
“Bene, scappo, addio!”, fu la frettolosa risposta della biondina.
“Aspetti!”, la incalzò nuovamente Blaine. “Chi mi ha fatto lo scherzo? Su quale canale andrà in onda?”.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo: quell’overdose di Tontittany e della versione attention whore di Blaine Anderson era stata decisamente superiore alla propria capacità di sopportazione.
Non ebbe neppure il tempo di compiacersi dello scampato pericolo, perché Hunter Clarington non sembrava affatto aver superato la questione. “Non posso crederci che tu l'abbia coinvolta! Tra tutte le persone-”.
Sospirò, con aria evidentemente stanca. “Un faccino angelico come il suo, chi la crederebbe pericolosa?”, roteò gli occhi, come se la spiegazione fosse del tutto superflua.
Lo additò di nuovo con aria torva. “Sta lontano da lei o racconterò tutto quanto a Blaine e Kurt”.
“Le tue minacce non mi spaventano”, rimarcò con uno scrollo di spalle.
La mascella di Hunter si contrasse pericolosamente: “Non mettermi alla prova”.
“Sebastian?”, intervenne la voce di Brittany, in tono mite e preoccupato.
“Che c'è?”, le rispose brusco, non immaginando che fosse rimasta in linea.
“Non so come tornare a casa”, confessò in tono contrito.
Passò il telefono al barista con aria stoica. “Va' a trarla in salvo: non ti rinfaccerò l'appuntamento che ti ho appena procurato”, aggiunse con un sorriso suadente.
Hunter prese il telefono, ma gli riservò un'altra occhiata di sbieco: “Spero che tu sia soddisfatto”.
“Ho l'informazione che mi occorreva e non coinvolgerò più la tua adorata, hai la mia parola”, ribatté con uno scrollo di spalle. E come avrebbe potuto sopportare un'altra disastrosa missione come quella?
“Pronto?!”, insistette la ragazza. “Qualcuno mi vuole aiutare? Per favore!”.
“Sto arrivando, Brittany: cerca il nome dell'incrocio e ti raggiungerò subito”, le rispose Hunter in tono conciliante.
La ragazza gli fornì l'indirizzo (dopo averlo chiesto ad un passante) e il ragazzo annuì, ma ella parve voler aggiungere qualcosa: “Non essere arrabbiato con Sebastian, ha solo qualche problema a contenere la rabbia ed essere gentile, ma non è cattivo-cattivo”.
Nonostante tutto, sembrò che sentirne la voce avesse un effetto benefico su Hunter Clarington, perché la mascella sembrò ammorbidirsi dalla contrazione assunta negli ultimi dieci minuti. Abbozzò persino un sorriso e la sua voce si fletté in un timbro più vellutato: “Arrivo subito”.
Porse di nuovo il telefono al proprietario.
“Sentito? Non sono cattivo-cattivo”, ripeté quest'ultimo in tono provocatorio.
“Mai più”, lo avvisò, sollevando un dito con aria ammonitrice.
“Va' a fare il Principe”, ribatté insofferente.
Hunter sospirò e scrollò il capo.
“Sebastian, non so cosa tu abbia in mente”, si volse dopo pochi secondi. “Ma ricordati che la soluzione ce l'hai sempre di fronte e non hai davvero bisogno di sotterfugi. Sei la ragione per cui Kurt non dovrebbe sposarlo, lo sei sempre stato, ma non capisco perché fatichi tanto a crederlo”.
Sospirò e lasciò cadere le mani lungo i fianchi. Non parve, tuttavia, cercarne una risposta: dopo un'ultima occhiata esasperata, si allontanò rapidamente.


~

Quando Sebastian schiuse gli occhi, quel mattino, ebbe l'impressione di esser stato investito ripetutamente da un camion in retromarcia. Forse aveva persino sognato quella scena con tanto di Mezza SegAnderson al volante, durante una sua pessima imitazione dei Queen, mentre SfinterHunter e la sua biondina ballavano una sorta di valzer.
No, non era un buon segno. La gola secca e la vista appannata, avrebbe voluto alzarsi, ma ricadde stancamente sul cuscino e si addormentò poco dopo, malgrado il martellare doloroso delle tempie.
Schiuse gli occhi quando, dopo quelli che parvero pochi minuti, Kurt spalancò le tende della sua camera. “Sebastian!”, lo rimproverò, le mani sui fianchi. “E' quasi mezzogiorno! Rachel e Finn verranno dopo pranzo, devo aerare la casa e-”.
Di fronte al silenzio dell'altro, che a stento sembrava riuscire a tenere gli occhi aperti e mettere a fuoco la sua sagoma, si avvicinò al letto come se volesse testarne la sobrietà.
Allungò la mano verso la sua fronte e Sebastian emise un sospiro di puro piacere nel percepirne la temperatura fresca sulla pelle che pareva ardere.
“Ma hai la febbre!”, gemette Kurt che parve andare in iperventilazione, dando sfoggio ad un mix complicato tra moglie devota, inflessibile dottore e sgomento visitatore.
“Ok, niente panico”, parve ammonire se stesso, mentre teneva le mani sollevate, quasi a voler contenere le proprie paranoie. “Dobbiamo abbassare la temperatura e devi bere acqua, molta acqua, torno subito”.

Non amava sentirsi vulnerabile, soprattutto se ciò avveniva in presenza di Kurt. Ma, al contempo, persino il bruciore era sopportabile, se significava avere un pretesto valido per sentirne la mano sul viso. O il timbro più dolce della sua voce (anche quando continuava a farneticare circa l'importanza vitale dell'idratazione, soprattutto in quel momento), percepire il suo profumo o i suoi passi leggeri sulla moquette, quasi timoroso di disturbarne i brevi momenti di riposo.
La temperatura si era già abbassata nel pomeriggio, ma solo a sera si arrischiò a rimettersi in piedi, pur percependo la debolezza muscolare e le vertigini che neppure la migliore delle sue sbronze gli aveva mai procurato. Si era avvolto in una vestaglia da camera (“Una fortuna che te ne abbia comprata una”, era stato il commento compiaciuto di Kurt) e si era sgranchito le gambe, prima di lasciarsi cadere sul divano, giunto in tempo perché il coinquilino potesse assistere alla sua fiction serale.
“Non doveva venire la Berrysterica?”, gli chiese Sebastian, la voce più roca del solito e le sopracciglia inarcate, domandandosi se non avesse sognato anche quel dettaglio.
“E rischiare che i tuoi germi le contaminino il talento?”, non era inverosimile che quelle fossero state le testuali parole della ragazza. Sorrise e scrollò le spalle: “No, ho disdetto tutto”.
“Se devi vedere Blaine-”.
“Te l'ho detto: ho disdetto tutto”, ribatté in tono fin troppo tranquillo.
“Non era necessario”, bofonchiò, non riuscendo a celare del tutto un alone più compiaciuto.
“Forse”, gli concesse Kurt, pur guardandolo con aria dubbiosa. “Ma non sarei andato comunque”.
“Il che conferma il tuo bisogno patologico di accudire il prossimo, a discapito di te stesso”.
Kurt sorrise di quelle parole. “Stai sebastianando: è un buon segno. Ma se vuoi che me ne vada-”
“No”, fu la replica spontanea.
Kurt si specchiò nel suo sguardo, quasi stesse scavando e cercando le motivazioni più profonde che si celavano dietro quella risposta più frettolosa.
“Chi mi passerebbe l'acqua?” aggiunse Sebastian, quasi a voler correggere il tiro, dopo essersi schiarito la gola, l'ombra del suo sorriso più ironico.
Kurt scosse il capo, ma continuò a sorridere e si limitò a sollevare la coperta su entrambi.
L'altro lo guardò con il sopracciglio inarcato: “E al tuo talento non pensi?”, alluse alla vicinanza, cercando di nascondere quella nuova aritmia e il sospiro con cui avrebbe voluto lasciarsi sommergere dall'essenza di vaniglia.
“Correrò il rischio”.


“Ecco che cosa succede, quando Kurt Hummel corre un rischio”, neppure si premunì di cercare di nascondere il ghigno divertito, mentre estraeva il termometro dalle labbra dell'altro. Inarcò le sopracciglia: “Mhm, niente male, potrei cuocerci un pancake sulla tua fronte”.
Kurt emise un rantolo: “Non parlare di cibo”, gemette e si lasciò cadere sul proprio cuscino.
“Hai bevuto abbastanza acqua?”, gli chiese, imitandone il tono vellutato, le mani sui fianchi. “Oh, ma è un brufolo quello che vedo?”, si portò una mano alle labbra a simulare un'espressione di sgomento.
“Smettila!”, piagnucolò il malato in tono puerile.
Sebastian sorrise ma si sedette sul materasso e scostò i ciuffi dalla sua fronte: “Prendo la bacinella d'acqua”, sussurrò con voce più dolce.
“Non hai una lezione da saltare questa mattina?”, gli chiese l'altro con aria fintamente offesa.
“Forse”, gli concesse Sebastian con un sorriso. “Torno subito”.
Stava prendendo la stessa bacinella che Kurt aveva usato con lui, quando sentì bussare alla porta d'ingresso. Si irrigidì alla vista di Mezza SegAnderson.
“Come sta?”, gli chiese con la stessa foga con cui si sarebbe informato in seguito ad un incidente stradale.
Dovette trattenersi dal sollevare gli occhi al cielo, immaginando il tono dei messaggi del suo prezioso fidanzato, conoscendone la proverbiale drammaticità. “Ha la febbre”, replicò con voce secca, ancora la mano sulla porta, quasi a volergli celare l'interno.
“Posso entrare?”, chiese Blaine con aria estremamente formale.
“Chi è?”, chiese Kurt dalla sua camera.
Sebastian serrò la mascella, ma si costrinse a schiudere la porta e, con un gesto secco, lasciò tra le mani del nuovo arrivato la bacinella e la spugnetta.
“Pensaci tu, ho di meglio da fare”, fu il commento irritato, prima di sbattersi la porta alle spalle.


“Scusa se te lo dico, ma certe volte sei davvero un coglione”, commentò il barista, dopo aver allineato tutte le bottiglie dello scaffale dei liquori. Il tutto con un sopracciglio inarcatissimo, mentre ascoltava il breve resoconto del suo cliente più fedele.
Sebastian inarcò un sopracciglio. “Non mi sembra che tu sia così dispiaciuto”.
“Perché te ne sei andato?”, lo incalzò con un sospiro, incrociando le braccia al petto, il cipiglio persino più corrugato, quasi il torto fosse stato fatto a lui.
“Ha il suo Blaine, no?”, rimarcò Sebastian con tono enfatico, quasi a volersene scollare di dosso la responsabilità. E il senso di colpa.
Hunter sospirò. “Sei passato dal voler sabotare ogni fase del matrimonio a lasciare a Blaine campo libero... da quando lo chiami per nome, a proposito?”, lo chiese con la stessa aria con cui un commissario avrebbe posto la domanda trabocchetto che gli avrebbe fatto accertare la colpevolezza o meno dell'indagato.
Sebastian distolse lo sguardo, un nervo guizzò all'altezza della mascella.
“Ti sei arreso, Sebastian?”, gli chiese esplicitamente.
“Da quanto ti interessa, a meno che tu o la tua bambola gonfiabile non siate coinvolti in prima persona?”, ribatté in tono pungente. Quasi il suo reale interessamento fosse gravoso da sopportare, quando in prima persona stava cercando semplicemente di evitare la questione.
Un modo puerile, tuttavia, di evitare di rispondere alla domanda che lui stesso si era posto più volte, soprattutto quando il sonno tardava a giungere e i suoi pensieri non erano confusi dall'alcol.
“Solo perché non approvo i tuoi metodi, non significa che io non creda che sareste felici o che siate così stupidi da meritarvi a vicenda”, malgrado l'ironia, si poteva intuire quanto Hunter Clarington, suo malgrado, credesse fermamente in un loro possibile futuro insieme.
“E la Mezza SegAnderson?”, ribatté in risposta, a mo' di provocazione, da che probabilmente tra i due contendenti, normalmente si sarebbe schierato da quella del legittimo fidanzato.
“Tra i due mali preferisco quello che si sbronza di più e manderà in fallimento il locale con il crescere del suo debito”, rispose con la medesima semplicità, ma non mancando di sorridere.
Sebastian scosse il capo, cercando di non ricambiarne il ghigno. “Versa e sta zitto”.
“No”, rifiutò in tono pacato ed incrociò le braccia al petto. Gli indicò l'uscita con un cenno del mento: “Va' da lui o te ne pentirai”.
“Di fare il terzo incomodo? Non credo proprio”, sbuffò senza tuttavia incrociarne lo sguardo.
“Kurt sarebbe felice di vederti, a prescindere dalle mezze seghe in circolazione. E, incredibilmente, proprio perché sei tu nelle tue centinaia di sfumature di malvagità e di manipolazione”, spiegò con la stessa praticità con cui avrebbe risposto ad una domanda di un esame. “E Messa Sega non può farci nulla”.
Sebastian sorrise, quasi quelle parole lo avessero davvero colpito, o probabilmente era l'effetto del giocherellare con la piastrina affissa al bracciale che non si era mai tolto dall'ultimo Natale.
“L'astinenza dal sesso ti fa bene ai neuroni”, lo informò a mo' di apprezzamento.
Il barista inarcò il sopracciglio con aria perplessa: “Era un complimento?”.
“Una non offesa nonché un triste dato di fatto per la tua cosiddetta mascolinità”, sollevò le mani come a dire che era stata la sua domanda ad indurgli quella precisazione poco lusinghiera. “Ci vediamo”.


Sebastian non avrebbe dimenticato il momento in cui aveva realizzato quella verità.
Era entrato di soppiatto nella sua camera e lui già dormiva, probabilmente dopo aver pianto per l'ennesima volta, pensando a quel coglione.
L'anello che gli aveva regalato a Natale era stato lasciato sul comodino e, per quanto cercasse di spronarlo e farlo reagire, sembrava che quel dolore non avrebbe trovato presto pace.
Suo malgrado, Sebastian non aveva potuto fare a meno di constatare di non aver mai esperito, neppure per esperienza indiretta, un amore intenso e totalizzante come quello che Kurt aveva nutrito per molto tempo. E dalle cui cicatrici, probabilmente, non si sarebbe mai del tutto ripreso.
Restò ad osservarlo dormire, quasi così facendo potesse impedire che quelle immagini oniriche gli procurassero altro dolore.
Ricordò la prima volta che quel viso d'elfo aveva incrociato il suo sguardo. Cercò di pensare obiettivamente a tutti i suoi difetti: l'insicurezza cronica, l'isteria, la fissazione inutile per gli arredi e lo stare chiuso in bagno per ore intere per i suoi trattamenti al viso. Il suo essere permaloso, polemico, il suo ironizzare sulla sua vita promiscua e su come dovesse perseguire un vero amore che gli riempisse la vita.
E poi pensò a quanto di buffo celasse: la paura del vuoto, il sostare di fronte all'armadio e cambiarsi d'abito almeno due volte al giorno, la lacrima facile davanti ad un film o durante la lettura di un libro, il tono stridulo quando era arrabbiato o triste. La paura di non essere mai abbastanza.
E poi vi era quel suo mondo fatto di musical, cheesecake, cartamodelli, nastro da sarta, i ricordi di sua madre e della vita stretta in Ohio, la vaniglia di cui era impregnata la sua pelle e la passione per i dolci da cucinare e con cui accoglierlo di tanto in tanto.
Il sorriso che ne increspava le labbra, quando era realmente sereno e le miriadi di sfumature delle sue iridi di zaffiro, ognuna con una sfaccettatura diversa, a comporre l'intensità di un suo sguardo con il quale fin troppo facilmente sembrava scavare nella sua anima.
Il tremito interiore che aveva sorpreso più volte Sebastian, da ragazzino ai primi approcci sessuali, quando percepiva la pressione della sua mano o la foga con cui si era stretto al suo petto, alla ricerca di un conforto, scoprendosi lui stesso quasi tremante.
Lo amava. Ed era già troppo tardi per negarlo.


Entrò in casa quasi di soppiatto, avvicinandosi alla camera di Kurt con circospezione, guardandosi attorno e cercando segni della presenza o assenza del fidanzato.
Kurt era steso sul letto e sembrava assopito, i capelli umidi e le labbra screpolate, le guance più rosate del solito.
Fu sorpreso di constatare che Blaine se ne era davvero andato, ma si sedette sul letto e allungò la mano verso la fronte del dormiente.
Parve destarsi al contatto, gli occhi azzurri erano lucidi e lievemente arrossati, i suoi lineamenti si contrassero in un'espressione confusa.
“Ehi”, lo salutò, cercando di simulare un'espressione tranquilla. “Dov'è Blaine?”.
“Doveva andare”, commentò con voce rauca, prima che un attacco di tosse lo sopraffacesse. “Avrà un esame importante domani, non voleva e ho dovuto insistere parecchio”, spiegò tra un colpo di tosse e l'altro.
“E perché non mi hai chiamato?”, si sentì chiedere con voce irritata, più con se stesso che con il malato in verità. “Non saresti dovuto restare solo”, aggiunse con voce più calma.
Kurt lo osservò attentamente, prima di rispondere in modo pacato. “Pensavo che tu ne avessi bisogno, visto come te ne sei andato”. Curioso come, persino in quel momento, fosse lui a guardarlo come riuscisse a leggergli dentro e strapparne il respiro. Non vi era stata alcuna traccia di biasimo nella sua voce, la semplice e pura constatazione che fece sentire Sebastian persino più sporco ed indegno di stargli vicino in quell'istante. Ma, come gli aveva promesso in occasione dello scambio di regali natalizi, non fece domande scomode.
Sebastian sospirò pesantemente e scosse il capo. “Hai bevuto?”.
“Ho la gola secca”, ammise, alludendo alla brocca ormai vuota sul comodino.
Tornò pochi istanti dopo e versò l'acqua nel bicchiere, lo aiutò a sollevarsi con il torso e lo osservò bere con evidente foga e sollievo, prima di stendersi nuovamente, con aria stanca.
Sebastian ne scostò il ciuffo scombinato dalla fronte, percependone la pelle umida, ma il bruciore si era decisamente attenuato. “Cerca di dormire”.
Kurt annuì, ma ne trattenne la mano: “Puoi restare?”, chiese senza indugio o senza imbarazzo, e Sebastian dovette controllarsi perché il suo viso non lasciasse trasparire l'emozione di quel contatto improvvisato. “Non mi è mai piaciuto dormire da solo, quando ho la febbre”.
Sentì il sorriso sfiorarne le labbra, ma annuì. Si tolse rapidamente le scarpe per stendersi a sua volta sul materasso, appollaiandosi di un fianco, sostenendosi il viso con il gomito. “Ma non provarci con me”, lo ammonì, strappandogli uno sbuffo divertito.
“Mi tratterrò”, sussurrò Kurt per risposta, ponendosi a sua volta di un fianco.
Sebastian seppe che era soltanto il disagio delle sue condizioni fisiche ad impedirgli di valicare quella distanza per accoccolarsi contro il suo petto.
Fu lui a muoversi in sua direzione e attrarlo a sé, perché potesse trovare quel piacevole rifugio, affondando il viso contro la sua spalla esile, strofinandovi il naso.
Poteva immaginare il sorriso sul volto di Kurt, anche se appoggiò debolmente le mani al suo petto: “Non profumo di rose”, protestò con tono evidentemente mortificato che indusse, tuttavia, Sebastian a stringerlo più forte e baciarne la guancia.
“E perché dovresti cambiare profumo?”, domandò in tono casuale, quasi fosse quello il reale significato dell'osservazione. Sorrise nel sentirlo rilassarsi contro il suo corpo, abbandonandosi docile, facendo pressione sulla sua camicia, non per scostarlo ma per trattenerlo. “Non me ne sarei dovuto andare”, sussurrò dopo qualche istante di silenzioso torpore, carezzandone delicatamente i capelli sulla nuca.
“So che non sopporti di stare nella stessa stanza con Blaine”, nonostante la voce rauca, Kurt parlava con evidente consapevolezza dei fatti e una tranquillità che doveva attribuirsi alla stanchezza.
Sebastian si domandò quanto effettivamente capisse di quell'inevitabile antagonismo.
“Ma adesso sei qui e finalmente posso dormire tranquillo”, sembrò parlare tra sé e sé con tono che ne tradì il sollievo, la gratitudine e il semplice ed evidente bisogno.
Sebastian continuò a sfiorarne i capelli, osservando come il bracciale riluceva al chiaro di luna: aveva detto che sarebbe stato il simbolo del loro legame e che lo avrebbe ricondotto a lui. Perse lui stesso la cognizione del tempo, trattenendolo a sé e realizzando che, malgrado le circostanze poco idilliache, quello era uno dei momenti più intensi della loro quotidianità.
“Non farlo”, si sentì dire e il suo cuore parve fermarsi, mentre quelle parole ne sfioravano le labbra. “Non sposarlo”.
Sembrò che il silenzio circostante lo assordasse. Si scostò quasi timorosamente, consapevole che non avrebbe potuto fuggire, ma avrebbe dovuto affrontarlo.
Ne cercò il viso, ma soltanto allora si accorse che si era profondamente assopito.
Sospirò amaramente, ma quel nodo in gola sembrò placarsi nell'osservarne l'espressione beata e pacifica, nello sfiorarne la pelle vellutata.
Vi era un'amara dolcezza nel capire che quel sorriso fosse proprio, che erano state sue le braccia che, finalmente, lo avevano condotto al riposo di cui disperava.
Si chinò sulle sue labbra per un tocco sfiorato, quando non fu più capace di resistere a quella vicinanza. Erano screpolate e ruvide per la febbre. Il suo profumo di vaniglia era soffocato dagli intrugli alla menta che doveva essersi propinato in sua assenza. Ma sapeva, in cuor suo, che quello sarebbe stato l'unico bacio che non avrebbe mai dimenticato.
Silenzioso, segreto ed egoistico.
Perfetto. Ma solo proprio.


To be continued...


Salve a tutti :)
Spero che abbiate avuto una buona settimana: la mia è sembrata particolarmente lunga, ma finalmente siamo arrivati al weekend e potrò recuperare sonno ed energia.
Una fortuna che ci siano fiction e fanfiction ad accompagnare le giornate di studio e di lezioni universitarie.
Il matrimonio è decisamente alle porte, ma diamo una sbirciatina al prossimo capitolo:

Dimmi che non stai per farlo”. “D'accordo: pensavo alle rose rosse, ma considerando quanto ama il rosa”.
Per quand'è?” “Il 14” “San Valentino?” “E' una festa commerciale, no?” “Blaine è troppo superiore?” “Non ha un bel ricordo di quel giorno”.
Nessuno ha mai fatto qualcosa di simile per me”. “Non avrai intenzione di commuoverti? Non ho ancora cominciato a usare il mio charme: ci vogliamo sedere?”.
Che cosa provi per Sebastian?”.


Come sempre, un ringraziamento di tutto cuore a voi che seguite, le cifre sono davvero molto lusinghiere e non posso che esserne fiera. Come sempre disponibile per chiarimenti, critiche od osservazioni e grazie di cuore a tutte le mie splendide recensitrici, che rendono i miei weekend Kutbastian ancora più piacevoli.
Un abbraccione a tutti, al prossimo capitolo!

Kiki87





1 Non avendo trovato la traduzione ufficiale, ne ho fatta una a mia discrezione (come per la maggior parte delle canzoni che ho usato). Se volete consultare il testo originale:  qui
Come noterete la traduzione letterale dell'ultimo rigo sarebbe “senza sapere come cadere /come si cade”, ma credo dal contesto che si riferisca al “fall in love”. Ma potreste interpretarlo anche come una caduta in senso metaforico, a vostra discrezione :D In ogni caso lo ritengo un estratto molto Kurtbastian :)
   
 
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