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Autore: 9CRIS3    24/10/2014    4 recensioni
Amanda è una ragazza madre, non del tutto soddisfatta del suo lavoro, ma deve tenerselo stretto per poter mantenere lei e il suo bambino.
Lei cerca in tutti i modi di dare al figlio più di quanto in realtà possa permettersi, ma la vita non è molto generosa con lei; o almeno non lo è stata fino a quando non fa un incontro piuttosto inusuale dopo un pomeriggio al parco.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Stare seduta con quella sedia le metteva ansia.
Solo in quel momento si rese conto di quanto fossero scomode le poltroncine delle sale d'aspetto degli psicologi e di quanto fossero futili le riviste che venivano lasciate sul tavolino da caffè, che molto probabilmente non aveva mai visto una singola tazza per tutto il tempo in cui era e sarebbe rimasto in quello studio.
Sbuffò, si sistemò meglio sulla poltrona e quasi inconsciamente iniziò ad agitare una gamba, proprio come faceva quando all'istituto le succedeva qualcosa e veniva spedita dalla direttrice.
In quei casi però,  nella maggior parte delle volte, c'era Luca.
La notizia che Amanda si trovava in guai seri gli arrivava alla velocità della luce, in un modo che lei ancora non riusciva a spiegarsi, e in un batter d'occhio, lui si trovava assieme a lei, pronto ad aiutarla.
Adesso Amanda avrebbe dovuto avere una di quelle conversazioni scomode, pesanti e, ne era più che certa, che sarebbero andate a rivangare parti del suo passato che lei sperava rimanessero lì dove si trovavano.
Certo, c'era anche una buona probabilità che la dottoressa Coges le parlasse solo ed esclusivamente di Connor, magari dandole qualche altro consiglio utile su come comportarsi con lui, o magari voleva raccontarle cosa era successo nel loro ultimo incontro, ed Amanda sperò ardentemente che il figlio non avesse detto nulla di inopportuno e che non si fosse spinto troppo in là con la sua lingua lunga.
< Miss Allen? > si sentì chiamare.
Alzò lo sguardo; la segretaria le stava rivolgendo un sorriso di circostanza. < Adesso può entrare > le indicò con il mento la porta della dottoressa Coges.
Amanda prese un respiro profondo e si disse che poteva farcela. Era una donna adulta e stava andando a fare quattro chiacchiere amichevoli con un'altra donna adulta. Niente drammi.
Si blocco proprio prima di entrare nell'ufficio della Coges. Il naso a due palmi dalla porta, il braccio sollevato e il pugno chiuso, pronto a battere per annunciare la sua presenza.
Dio, quanto le sarebbe piaciuto girare i tacchi e andare a lavoro.
Avrebbe potuto prendere in mano la situazione di Tuckson, impuntarsi fino a quando non avrebbe ottenuto quella benedetta intervista con Rogers e scrivere poi l'articolo, presentarlo a Mike ed ottenere il tanto atteso aumento di stipendio.
< Può entrare, Miss Allen. L'ho già annunciata alla dottoressa > la voce della segretaria la riportò alla realtà.
Amanda prese un respiro profondo e poi si girò a guardare di nuovo la ragazza seduta dietro al bancone.
< Certo > fece un respiro profondo e si decise ad entrare.
La dottoressa Coges era seduto dietro la sua scrivania elegante in metallo. Appoggiati sul naso aveva un paio di occhiali con la montatura in sottile metallo argentato. I capelli corti e scuri era pettinati ordinatamente.
Gli occhi intelligenti corsero subito nella sua direzione e le labbra sottili si arcuarono in un sorriso di benvenuto.
Certo, poteva non rappresentare il massimo dell'affettività umana, ma non era poi così antipatica come la definiva Connor.
< Benvenuta, Miss Allen. La stavo giusto aspettando. > chiuse il portatile e le fece segno di entrare.
< Buongiorno > disse Amanda, la gola improvvisamente secca.
< Come sta, oggi? >
< Bene grazie > non aggiunse il "come sta lei? " di cortesia; era ansiosa di arrivare al punto, di sapere come mai la Coges aveva richiesto un incontro con lei.
< Immagino che si stia chiedendo il perchè le ho chiesto di incontrarci oggi e senza Connor >
< Mi è passato per la mente, sì >
La dottoressa fece una breve risata. < Ora capisco da chi ha preso il senso dell'umorismo Connor >
Amanda rimase sorpresa da quel commento. Le era parso di capire che a suo figlio la dottoressa non andassero poi tanto d'accordo, o che perlomeno Connor non fosse un suo grande fan.
"Dio, ti prego, fa che non le abbia detto nulla di inopportuno", pregò.
< Già > disse soltanto.
Eloise Coges guardò per un lungo momento Amanda.  Stava cercando le parole esatte da dire, perchè lei per prima sapeva quanto potessero pesare alcuni vocaboli per certi soggetti in determinati momenti. Voleva tirare fuori l'argomento senza far arrabbiare o innervosire Amanda.
< So che lei è qui principalmente per Connor e devo ammettere che, anche se abbiamo fatto solo due sedute, il bambino pare aver accettato molto bene i nostri incontri >
< Bene > era quello che Amanda si aspettava, considerando quanto le costavano quelle cure, ma a detta di Connor, Amanda non poteva dire che il figlio era proprio così entusiasta della situazione.
La dottoressa sospirò. < Non la sto per portare sul patibolo, Amanda. Come mai è così nervosa? >
< Non sono nervosa > si mise sulla difensiva.
La Coges annuì. < Allora andrò dritta al punto. >
< Bene >
< Perchè Connor possa effettivamente venire fuori da questa situazione, deve uscirne anche lei > disse in un fiato.
Amanda sgranò gli occhi. < Cosa? >
< Credo che mi abbia sentito >  la dottoressa si sistemò gli occhiali sul naso, senza mai staccare gli occhi da Amanda.
La ragazza stava sinceramente rimpiangendo il non essere andata a lavoro, di aver rifiutato, il giorno prima, la proposta della dottoressa ad incontrarsi quella mattina. Lo sapeva! Lei lo sapeva che sarebbe andata a finire in questo modo, che avrebbe cercato di portare a galla proprio QUEL discorso.
< Cosa dovrebbe significare? >
< Ha mai parlato con qualcuno della sua perdita? >
Amanda rispose d'impulso. < Certo! > sbottò. Okay, probabilmente non aveva fiotti di amici che si davano il turno per tenerle compagnia, forse non andava ad una quantità innumerevole di feste e magari non usciva mai da sola senza Connor, ma  aveva Hanna, aveva le ragazze del bar, più o meno,  e.. basta.
< E con chi, se posso chiedere? >
Con chi aveva parlato della morte di Luca? Aprì la bocca per dare una risposta al vetriolo, ma la richiuse immediatamente, quando si rese conto che aveva parlato sinceramente di quell'argomento solo con la direttrice dell'istituto che sia lei che Luca avevano frequentato e solo perchè si erano trovate a discutere di come impiegare una parte dei soldi che il suo fidanzato aveva deciso di destinare ai bambini meno fortunati.
Aveva accennato qualcosa con Hanna, ma aveva preferito mantenere tutto su un piano molto vago. Inoltre Hanna sapeva, ma non insisteva, cosa per cui Amanda era sinceramente grata.
Elly e Jas, invece, erano tutto un altro discorso. Loro sapevano quasi tutto. Avevano conosciuto Luca, lo avevano visto più volte, ci avevano parlato insieme e a volte le avevano dato qualche consiglio su come comportarsi con lui, ecco perchè Amanda cercava il più possibile di passare quanto meno tempo a stretto contatto con loro.
< Con.. con alcune persone > si ritrovò a dire.
< Per esempio?  >
Amanda spostò lo sguardo. < Con qualche amica > se amica si poteva definire la direttrice.
< E qualcuno di a  lei più vicino? Come, per esempio, un parente? >
Amanda sbiancò e sentì la terra sotto i suoi piedi sparire improvvisamente.
Parenti, ovvero persone con cui si ha un rapporto di parentela. Consanguinei, gente della stessa casata, persone che condividono un cognome e un amore che non chiede, ma riesce a dare molto più di quello che si potrebbe anche solo immaginare.
Amanda fece una rapida ricerca nella sua mente, in cerca di qualcuno che corrispondesse a quella descrizione.
Sì, c'era ed era Connor. Ma non avrebbe mai potuto parlare con un bambino di poco più di un anno di come si sentiva lei per la perdita permanente del suo amore.
< Non ho parenti > disse gelida.
La dottoressa Coges batté le palpebre un paio di volte. < Mi dispiace, non avevo idea che lei fosse un'orfana >
Amanda si morse un labbro. < Non lo sono, non proprio >
La dottoressa piegò la testa di lato e fissò attentamente il volto di Amanda. Capì immediatamente che quello non era un argomento che le piaceva affrontare: le labbra erano arricciate in una smorfia di disappunto, gli occhi erano ora gelidi e non riuscivano a stare fermi.
< Le va di parlarne? >
< Non vedo come questo possa essere d'aiuto per Connor >
< È d'aiuto per lei, e tutto quello che fa bene a lei fa bene a suo figlio >
< Mio figlio ha solo bisogno di realizzare che suo padre non tornerà mai più a casa >
< E ha anche bisogno di sapere che sua madre ha accettato questa cosa >
Amanda fece una risata isterica.
< Trova che sia divertente? > La dottoressa raccolse le braccia al petto.
< Lei è sposata, dottoressa? >
Ci fu un attimo di silenzio, spesso tanto da poterlo tagliere con un coltello. < No >
< Ha un compagno? >
< Sì > la dottoressa annuì una sola volta.
< E lo ama? >
La dottoressa inarcò le sopracciglia< Credevo di essere io la psicologa. >
< Mi risponda, la prego. Lo ama? >
< Sì > rispose dopo un attimo di esitazione.
< Come reagirebbe se un giorno dovesse tornare a casa e scoprire che non lo rivedrà mai più? Che gli spazi che avete condiviso saranno vuoti? Che non sentirà mai più il suo profumo sulle lenzuola? Che ci saranno momenti in cui crederà di aver sentito la sua voce, quando in realtà è solo il suo cervello che le gioca brutti scherzi? Come reagirà quando si renderà conto che ha davanti un bambino che gli assomiglia così tanto che la prima tentazione sarà quella di chiamarlo Luca e non Connor? > Amanda finì di parlare, rendendosi conto solo all'ultimo di avere il fiatone.
Fece un respiro profondo, cercando di calmarsi. < Non accetterò mai la cosa, dottoressa >
Eloise Coges si passò una mano nei capelli. < Lei ha veramente molta rabbia dentro. >
Amanda non replicò.
< Vorrei farle una proposta >
Amanda continuò a rimanere in silenzio.
< Le ho chiesto di incontrarci oggi perchè credo che anche lei possa aver bisogno di qualcuno con cui sfogarsi, qualcuno con cui non aver nessun freno inibitorio. Vorrei che lei avesse più momenti come quello che mi ha appena spiattellato in faccia. >
La ragazza storse il naso e decise di rispondere con sincerità. < Non posso permettermelo. >
< Miss Allen.. questa è qualcosa che non faccio usualmente, ma si può dire che ho preso a cuore la situazione sua e di Connor. >
Amanda la fissò incuriosita. < Non capisco dove lei voglia arrivare >
< Farò le terapie a lei a Connor, ma lei continuerà a pagare solo per quelle di Connor > strinse le labbra in una linea sottile.
< Oh >
< Non voglio una risposta immediata, capisco che è qualcosa che non si aspettava. > alzò le spalle. < Ci pensi su >
 
 
< Tu hai fatto cosa?! >
Non era la reazione che James si aspettava.
< Ho detto che l'ho appena lasciata in un bar e le ho chiamato un taxi > ripeté James.
< Amico, tu sei fuori di testa. > dichiarò l'altro.
< Oliver, non mi serve un tuo parere. Ti sto dicendo cosa ho appena fatto e lo sto facendo per fare in modo che tu possa limitare i danni! >
Oliver sospirò e si trattenne dall'imprecare profondamente. < Bene. Fantastico. >. Tacque per un momento, cercando di non dare di matto. < Dove sei adesso? >
< Per strada > rispose telegrafico James.
< Dove sei diretto? >
< Non lo so >
< Domani c'è la riunione con i pubblicitari >
< Me lo ricordo >
< Cosa pensi di rispondere se la pollastrella parla? >
< Non parlerà > disse sicuro.
< Come fai ad esserne certo ? >
< Ho detto che non me la sono scopato, non che l'ho lasciata insoddisfatta >
Oliver rise di gusto. < Eccolo, il mio ragazzo. Credevo fossi sparito, invece ti piace ancora far godere le troiette >
< Cristo, Oliver! Gira tutto intorno al sesso per te? >  ora James era disgustato.
Oliver grugnì. < Ci hai fatto roba o no?  >
< No. >
< E cosa intendi con il non averla lasciata insoddisfatta? Ti prego dimmi che non c'entra niente la droga. Ho veramente già troppo lavoro da fare per gestire i tuoi affari di famiglia e il fatto che tu e tuo fratello.. >
James lo interruppe. < Non ho intenzione di parlare delle mie dinamiche familiari >
Oliver iniziava a preoccuparsi. < Allora dimmi cosa cazzo hai fatto >
< Le ho lasciato dei soldi >
Trattenne il fiato. < Quanti soldi? >
< Abbastanza >
< E perchè cazzo le avresti lasciato abbastanza soldi? >
< Per zittirla, per accontentarla, per compiacerla.. Per togliermela di torno >
< Sul serio, amico, non ti capisco. >
< Non c'è niente da capire. Credevo di avere voglia di trombare e invece quando me la sono ritrovata mezza nuda davanti ho solo pensato che avevo voglia di uscire da quella stanza >
Ci fu un momento di silenzio. < Fammi capire bene. Avevi una tizia disponibile, alla tua mercé, e hai deciso che non volevi più stare in quella stanza?  >
< Sì >
< Non è che per caso ti sei accorto di avere qualche sorta di... tendenza? >
James alzò gli occhi al cielo. < Se anche fosse, tu saresti al sicuro: sei troppo grasso >
< Bada a come parli, ragazzino. > rispose minaccioso Oliver. < Piuttosto, vedi di non tornare tardi. Domani mi serve che tu sia sveglio e ricettivo. Tutti devono credere che tu sia.. >
James lo interruppe di nuovo. < Sì, lo so. Tutti devono credere alla favoletta che gli raccontiamo > disse in tono sprezzante.
< La situazione fa comodo anche a te > puntualizzò Oliver.
< Quello che ci guadagna di più sei tu. > il tono sprezzante di James non accennava a sparire.
< Non credo che questo sia il momento della giornata più adatto per discutere di questa situazione. Non dopo che non ti si è rizzato di fronte ad una donna nuda >
< Mezza nuda > lo corresse James.
< N - u - d - a > Oliver scandì bene la parola.
< Ci vediamo domani > disse James esasperato.
< Ti voglio puntuale >
< Non mancherò > James chiuse la conversazione con un gesto secco e poi gettò il telefono sul sedile del passeggero.
Schiacciò di più il piede sull'acceleratore e subito dopo ingranò la quinta marcia, stringendo forte il volante fra le mani.
L'odore di pelle nuova gli riempiva le narici e la forza di gravità che si scatenava in seguito all'eccessiva velocità a cui stava spingendo la Lamborghini gialla, lo schiacciava contro il sedile, procurandogli un vuoto allo stomaco.
Non era pentito di aver risposto con un due di picche alla brunetta che aveva lasciato in quella camera d'albergo. Il suo corpo, sebbene ben proporzionato, mancava di qualcosa..
Gli era  sembrata quasi volgare con quelle curve così provocanti e il suo sguardo costantemente annebbiato, tanto che James non avrebbe saputo dire se era eccitata o semplicemente ubriaca.
I suoi capelli avevano un odore che non gli era piaciuto per niente e la sua pelle era ruvida al tatto.
Non era una brutta ragazza, solo che quella sera non si era sentito dell'umore adatto per potersela portare a letto.
"Già, perchè non ha i capelli biondi e fluidi, vero?",  si trovò a pensare.
Il piede destro schiacciò ancora di più sull'acceleratore e sentì la macchina implorare perchè ingranasse la sesta.
Le strade erano deserte e la totale mancanza di altri automobilisti gli consentiva di sfiorare i trecento chilometri orari con una naturalezza che gli mise i brividi.
Pensò a quanto questo particolare avrebbe potuto far eccitare una qualsiasi donna, una di quelle facili, una di quelle il cui unico scopo era farsi scopare e poi dimenticare.
Si rendeva perfettamente conto che quello era un pensiero maschilista, misogino e anche decisamente cattivo, ma pensandoci per un attimo che razza di donna si fa portare in un luogo che non conosce da un uomo che ha conosciuto solo pochi minuti prima per fare Dio solo sa cosa?
James amava le donne, i loro profumi, i loro occhi civettuoli, i loro modi così sensuali e le labbra morbide fatte a posta da baciare.
Occhi azzurri tendenti al verde, viso pieno con la pelle morbida, ornato da guancie sempre costantemente rosee e quelle labbra così rosse da sembrare ciliege..
< Merda! > imprecò, battendo la mano sul volante dell'auto.
Pochi minuti dopo si trovò a parcheggiare fuori alla discoteca che più andava di moda nell'ultimo periodo.
Perchè avesse deciso di andare lì, James non avrebbe potuto dirlo con precisione.
Aveva già deciso che sarebbe tornato a casa, nella sua vera casa. Si sarebbe addormentato e si sarebbe svegliato riposato e fresco per affrontare la giornata di inferno che lo attendeva il giorno dopo.
Invece ora stava lasciando le chiavi della macchina ad un ragazzo di poco più basso di lui, che stava letteralmente sbavando sulla sua Lamborghini.
Già che c'era, James poteva farsi un giro nel locale e cercare di sollevare la sua serata, visto come era iniziata. Avrebbe magari potuto trovare la "troietta" - come le chiamava Oliver -, da potersi portare a letto e finalmente provare a sé stesso e a chiunque altro che non era interessato a qualcuno in particolare, stava solo passando un periodo strano della sua vita.
Le luci erano scure e cupe, la musica alta rimbombava e rendeva impossibile una qualsiasi tipo di conversazione.
Donne. Tutto quello che cercava quella sera era una donna, perchè il commento sulla sua sessualità, fattogli da Oliver, lo aveva profondamente infastidito.
James non era gay. Non lo era mai stato e mai lo sarebbe stato.
E allora cosa c'era che non andava nella brunetta che aveva lasciato nella stanza d'albergo con una manciata di banconote sul comodino? L'aveva trattata come si fa con le puttane, solo che non aveva approfittato dei "servizi" che una donna di quel tipo poteva offrire.
Quindi ora si trovava in quel locale, con la musica alta che rimbombava per tutta la stanza, alla ricerca di una preda da stanare e da scoparsi. Magari dentro la Lamborghini, giusto per inaugurarla.
 
 
Amanda non aveva fatto altro che pensare a quello che gli aveva detto la Coges per tutta la giornata.
A lavoro era stata distratta, scostante e assente.
Non aveva scritto a Tuckson per ottenere l'intervista ed era stata quanto più lontana possibile da Mike e dalle sue continue domande - più che giustificabili - sullo stato del suo lavoro.
La sua testa era troppo impegnata a pensare a quello che le aveva detto la dottoressa. Doveva iniziare a fare terapia, o era forse il caso di continuare con la sua vita, dividendosi tra due lavori e suo figlio?
Di cosa avrebbe dovuto parlare esattamente con quella donna?
E così la sua giornata era andata avanti con uno sbadiglio dopo l'altro.
All'ora di cena ricevette una telefonata di Hanna.
< Ho bisogno di uscire e ubriacarmi! > sbottò la donna.
< Sei incinta > le ricordò Amanda.
< Credi che non lo sappia? >
< E allora perchè mi dici che vuoi andare a bere? >
< Ti prego, Mandy. Non farmi spiegare tutto parola per parola. Ho bisogno di una serata fuori da casa mia e ho bisogno che tu venga con me. >
Amanda andò in cerca di una scusa da poter usare, per evitare di contribuire all'umore nero dell'amica. < Io.. sai, Connor oggi non.. >
< Non provarci nemmeno, Amanda > disse imperiosamente Hanna. < La serata serve anche a te. >
< A me? >
< Sì, a te. Da quanto tempo è che non esci ? >
"Dal primo e ultimo appuntamento con James", avrebbe voluto rispondere Amanda, ma poi Hanna ne avrebbe approfittato per rimarcare sul discorso che le servivano delle distrazioni e bla bla bla.
< Da poco, in realtà > le disse.
< Balle > ribatté Hanna.
< Hanna, sul serio, stasera proprio non è.. >
< Oh, invece lo è eccome. Passo a prenderti dopo cena. Connor può rimanere a casa con mio marito e i suoi figli. >
< Tuo marito e i suoi figli? >
< Esattamente >
Amanda dovette reprimere una risata < Qualcuno qui è molto arrabbiata >
< Non immagini nemmeno quanto >
Sentì un rumore secco in sottofondo e Amanda capì che Hanna doveva aver sbattuto l'anta di qualche mobile.
< Passo a prenderti alle nove e mezza, vestiti carina >
Amanda non disse nulla a proposito dell'ultimo commento, sapeva che avrebbe fatto solo peggio.
Chiuse la comunicazione e finì di preparare la cena per Connor e per lei, scrisse subito un messaggio a Cassy, pregando che la ragazza non avesse nulla da fare e che potesse rimanere a casa con il piccolo visto che  non voleva approfittare della proposta di Hanna, considerando che uscivano proprio perchè lei aveva litigato con il marito.
Fortunatamente per lei, Cassy non aveva nessun impegno e di conseguenza Amanda non poteva proprio più tirare buca alla sua amica.
Si fece forza e fissò il suo armadio, in cerca di qualcosa di carino.
Vide una gonna lunga, in cotone e color crema. La prese subito dalla gruccia, prima di poter cambiare idea e ci abbinò una canotta leggera bianca.
Raccolse i capelli in una coda alta e si truccò alla bell'e meglio.
Il risultato finale era abbastanza soddisfacente, e guardandosi allo specchio, Amanda si concesse anche un sorriso e si meravigliò di notare quanto il suo aspetto migliorasse con il semplice incurvarsi delle labbra.
Represse il sorriso quasi subito, però, quando con l'angolo dell'occhio scorse la fotografia di Luca che teneva nascosto dentro un portagioie.
Spuntava fuori solo un angolo, ma era proprio quello che raffigurava uno dei suoi bellissimi occhi. Un occhio che la guardava, che osservava ogni sua singola mossa.
Ritornò a fissare per un momento la sua immagine nello specchio e si chiese se non fosse sbagliato uscire e lasciare suo figlio a casa da solo con una ragazza che alla fine dei conti era solo un'estranea.
Sentì il campanello suonare e sospirando si guardò allo specchio un'ultima volta prima di decidere di andare ad aprire la porta.
< Ciao, Cassy. Grazie per essere venuta anche se ti ho avvisata all'ultimo momento > Amanda parlò mentre tornava di nuovo nella sua camera, alla ricerca delle scarpe e della borsa da indossare.
< Nessun problema. > Cassandra l'aveva seguita. < Dov'è Connor? >
< In camera sua. Sta guardando per la quinta volta una delle partite che gli hai portato tu > Amanda aveva entrambe le mani poggiate sulle ante dell'armadio e fissava verso il basso, dove teneva le scarpe.
< Metti le zeppe >
< Dici? > ne prese in mano una e la guardò meglio da vicino.
< Dico, dico >
< Mmm >
< Non ti piacciono? >
< No.. Sì.. cioè.. Ah, Dio! È complicato > Amanda sbuffò.
< Sono delle belle scarpe > disse Cassandra, prendendo dalle mani di Amanda la scarpa.
< Già >
< Dove le hai comprate? Ti spiace se me le compro anche io? >
Amanda si morse un labbro e prese anche l'altra scarpa. < Me le hanno regalate un sacco di tempo fa >
< Che peccato  >
< Già >
< E non sapresti in quale negozio? >
Sì, certo che lo sapeva. Quelle scarpe erano costate un occhio della testa ed Amanda ricordava ancora quanto si era arrabbiata quando Luca si era presentato con quella scatola.
< Dolce e Gabbana >
< Che?! > Cassandra spalancò gli occhi.
Amanda ne calzò una e tese la mano per chiedere ad Amanda di passarle l'altra scarpa.
< E sentiamo, chi è che ti avrebbe regalato delle scarpe di Dolce e Gabbana ? > Amanda ammiccò maliziosa.
Amanda rimase in piedi sulle sue scarpe e cercò di vedere se erano comode e se sarebbe stata in grado di camminarci per il resto della serata. Sì, erano ancora dannatamente comode, ma forse era dovuto al fato che praticamente immacolate, visto che le aveva messe sì e no un paio di volte.
Afferrò una pochette nera che si intonava perfettamente alle scarpe e la riempì con le chiavi, telefono e qualche banconota.
< Non me lo vuoi proprio dire? >
Amanda sospirò. < Luca >
< Ah > Cassy spostò per un attimo gli occhi, e quando ritornò a guardarla, Amanda notò una strana luce nei suoi occhi, come se la ragazza si fosse ricordata solo in quel momento di qualcosa di decisamente molto importante e il suo sguardo divenne improvvisamente più caldo.
< Sono molto belle > le disse, con il tono di voce più caldo e un sorriso vagamente familiare sulle labbra.
< Grazie >
< Con chi esci? >
< Con Hanna, la mamma di Josh. Ti ricordi? È un amico di Connor >
< Sì, siamo andati qualche volta al parco > Cassy annuì piano. < È un bravo bambino >
< Mmm - mmm >
Amanda si guardò un'ultima volta allo specchio ed indossò un giubottino leggero in pelle nera. < Allora io vado >  disse guardando Cassy.
< Va bene >
Amanda annuì e andò in camera a salutare Connor.
Inutile dire che il bambino la degnò a stento di qualche sguardo, impegnato com'era a seguire ogni singolo movimento dei calciatori sullo schermo.
Amanda si chiedeva come fosse possibile che non si scocciasse di guardare sempre la stessa partita, con le stesse immagini che si ripetevano per infinite volte, gli stessi goal, le stesse ammonizioni e gli stessi commenti.
Forse quella sua fissazione per il calcio non era poi del tutto temporanea, il che la riportava a pensare che avrebbe veramente dovuto iscriverlo alla scuola calcio. Gliel'aveva promesso e sapeva che le ogni promessa è debito, soprattutto quelle fatte ai bambini, e poi nessuno dovrebbe vedersi portare via un sogno perchè costa troppo.
Amanda voleva che suo figlio crescesse sapendo che lei aveva fatto di tutto per spingerlo a realizzare quello che più gli stava a cuore, che sua madre ci sarebbe stata per lui e l'avrebbe assecondato in tutto quello che lui avrebbe desiderato fare.
 
< Bene, vedo che mi hai ascoltato > le disse Hanna non appena Amanda chiuse lo sportello dell'auto.
< Ciao anche a te > rispose Amanda.
< Per prima cosa andremo al Tamara's. Voglio una di quelle mega fette di torta al cioccolato. >
< VA bene > la assecondò Amanda.
< Poi voglio andare a ballare >
Amanda strabuzzò gli occhi. < Che? >
< Voglio andare a ballare >
Non poteva credere alle sue orecchie. < Sei incinta >
< E tu sei noiosa >
< Noiosa? >
< Noiosa >
< Qualcuno potrebbe venirti addosso, potresti cadere, potrebbero darti una gomitata.. Non è un posto sicuro per una donna incinta > cercò di farle presente.
< Sono incinta di quattro mesi, la mia pancia non si vede nemmeno e il posto in cui intendo andare è un posto per certi tipi di persone.. come posso dire? Elegante, ecco >
< E con questo che vorresti dire? >
< Che non ci entrano cani e porci >
< E noi come facciamo a sperare che ci facciano entrare? >
< Per prima cosa, noi non siamo cani e porci. Secondo, ho dei pass >
Amanda era sempre più allibita. < Pass. Per entrare in quel posto ci vogliono dei pass?  >
< Ti ho detto che è un posto per gente elegante >
< E anche ricca, aggiungerei >
Hanna si strinse nelle spalle. < Il mio capo mi ha passato i pass, e dato che mio marito pare essere più interessato alle partite di basket che a passare una serata diversa con sua moglie, stasera ci andremo io e te >
< O-okay > Amanda non sapeva davvero che dire.
< E, potrebbe essere una buona serata per te per trovare qualcuno di carino >
Alzò un sopracciglio e si voltò per guardare meglio la sua amica. < Stiamo uscendo perchè tu hai bisogno di una serata fuori, o stiamo uscendo perchè credi che io abbia bisogno di compagnia? >
< Stiamo uscendo perchè io ho molta voglia di bere e invece mi devo limitare ad una fottuta torta al cioccolato e magari un bicchiere di latte! > Hanna sbuffò. < E se tu trovassi qualcuno con cui sballarti stasera, il mondo continuerebbe a girare, tuo figlio a volerti bene e, credimi, la tua passera toglierebbe le ragnatele e riprenderebbe a fare parte del club della mamme single >
Amanda si morse l'interno guancia e contò fino a dieci.
Ricordò a sé stessa che la donna accanto a lei era una donna incita, che era sua amica e che stavano uscendo perchè aveva bisogno di passare qualche ora fuori casa. Eliminò dalla sua mente le risposte acide che avrebbe voluto darle e cominciò a pensare a tutti i possibili modi in cui avrebbe potuto chiedere a Tuckson un incontro, senza dargli possibilità di rifiutare.
 
La musica a palla era assordante e Amanda si domandò come mai si era lasciata convincere da Hanna ad andare in quel benedetto club.
Sì, giusto: si era sentita dire in poche parole che doveva godersi di più la vita.
Sospirò per l'ennesima volta e si sistemò meglio sullo sgabello, senza mai perdere di vista la sua amica che stava ballando su un cubo, dando spettacolo per una decina di uomini che la guardavano come lupi affamati.
Amanda scosse la testa, pensando che non era nemmeno ubriaca e che se il marito l'avesse vista, molto probabilmente si sarebbe infuriato e le avrebbe urlato contro per un bel po'.
La ragazza valutò la possibilità di chiederle di scendere dal cubo, ricordandole la sua condizione e facendole presente che se fosse caduta dal cubo avrebbe potuto farsi molto male e avrebbe potuto mettere in pericolo la vita del suo piccolino, ma rimase ferma dove si trovava, continuando ad osservare Hanna da lontano.
La sua amica aveva bisogno di qualche attimo di follia, di sentirsi libera e giovane di nuovo, di sentirsi senza freno  e leggera, come se i tempi in cui usciva a fare festa tutte le sere non fossero ancora finiti, come se non avesse ancora una famiglia a casa che stava aspettando che lei ritornasse.
Amanda capiva quella sensazione, solo che le sue serate libere avevano un prezzo, ed era quello della baby sitter. Nessun marito, disponibile o arrabbiato, che rimaneva a casa con Connor. Nessun uomo pronto ad accoglierla tra le sue braccia non appena avesse varcato la soglia.
E a dirla tutta, ad Amanda non dispiacevano più di tanto le sue monotone e solitarie serate trascorse sul divano a guardare cartoni animati.
Sorseggiò il suo drink e poi lo posò di nuovo sul bancone del bar.
< Ciao > si sentì dire da qualcuno.
Girò la testa verso la voce, e si trovò un ragazzo di poco più grande di lei a pochi centimetri di distanza dal suo volto.
< Ciao > l'educazione ebbe la meglio su di sé.
< Ti va di ballare? > il ragazzo le indicò la pista con un cenno della testa.
Amanda lanciò uno sguardo ad Hanna. < No, grazie >
< Andiamo, solo un ballo > il ragazzo le accarezzò una guancia ed Amanda dovette reprimere l'impulso di spaccargli le dita con cui l'aveva toccata. Spostò la testa all'indietro, facendo capire al tizio che le sue attenzioni non erano gradite.
< Sei proprio sicura? > insistette.
Amanda si giocò l'unica carte che sperava funzionasse. < Sono qui con qualcuno > 
Il ragazzo fece un sorriso dispiaciuto. < Mi dispiace, dolcezza. Non volevo invadere il territorio di qualcun altro > le disse e poi sparì.
Come se lei fosse una proprietà privata! O come se fosse un albero contro cui un cane avesse fatto pipì, marcando il proprio territorio.
Come era possibile che gli uomini potessero ancora dire delle frasi di quel tipo?
Finì tutto il suo drink e tornò a guardare Hanna.
Le palpebre le stavano diventando sempre più pensanti ed Amanda si ricordò che il giorno dopo avrebbe dovuto presentarsi a lavoro e che quindi aveva bisogno di riposo, di farsi le sue solite otto ore di sonno.
Sapeva già dall'inizio che se avesse detto ad Hanna una qualunque scusa, lei si sarebbe intestardita per rimanere in quel posto per tutta la notte, proprio per farle dispetto. Magari doveva semplicemente dirle che era esausta e che voleva andare a casa a dormire, e chi se ne fregava se sarebbe risultata come una vecchia zitella.
Si disse che avrebbe aspettato altri dieci minuti, al massimo un quarto d'ora e poi se ne sarebbe andata, con o senza Hanna.
< Bene, bene, bene. >
Per la seconda volta, una voce le si avvicinò troppo.
Questa volta Amanda poté sentire l'odore del dopo barba dell'uomo che l'aveva avvicinata e qualche traccia di scotch nel suo alito. Girò il viso e spalancò la bocca quando si rese conto di chi si trattava.
< Non ti facevo tipo da club privati > le disse James.
Amanda era ancora incapace di parlare.
< Infatti mi chiedo come tu abbia fatto ad entrare >
La ragazza riprese velocemente coscienza di sé stessa. < Potrei chiedere la stessa cosa a te >
James la guardò enigmatico. < Ci sono molte cose di me che non sai >
< Proprio come tu non ne sai molte di me > gli rispose a tono.
< Due sconosciuti che si rincontrano > disse ironico James.
< Già >
Rimasero in silenzio, entrambi a fissarsi profondamente negli occhi.
James sentiva uno strano tumulto dentro di sé, come se improvvisamente di fosse risvegliato da un sonno profondo, come se in quel momento avesse ritrovato il suo posto nel mondo.
Serrò forte la mascella e si diede mentalmente del cretino, elencando i peggiori epiteti per descriversi. Fino a qualche ora prima pensava alle donne come a dei semplici oggetti e adesso si sentiva innalzato verso il paradiso solo perchè poteva vedere la perfezione del viso di Amanda, perchè poteva sentire il suo profumo delicato e il calore della sua pelle a poco distanza dai palmi delle sue mani.
Ancora ricordava il sapore dei suoi baci e si chiese come avrebbe reagito lei se si fosse avvicinato tanto da poterle sfiorare un'altra volta le labbra con le sue.
< Oh, eccoti qui! > sentì dire.
James fece un passo indietro e fissò la persona che aveva parlato.
< Andiamo? > chiese la donna, rivolgendosi ad Amanda.
< Sì > la ragazza afferrò la sua borsa e il giacchino e lanciò un'ultima occhiata a James.
Amanda ed Hanna stavamo camminando verso l'uscita, ed Amanda si rese conto che l'umore dell'amica era decisamente migliorato, mentre il suo era peggiorato ogni minuto di quella serata.
Si avvicinarono alle casse e porsero le loro piccole schede e tirarono fuori i portafogli per pagare quello che avevano consumato.
< Le signore sono mie ospiti > disse una voce profonda alle loro spalle e Amanda non ebbe bisogno di girarsi per scoprire di chi fosse quella voce.
Hanna invece si voltò. < Oh, beh grazie > le sorrise civettuola.
< Bene. > disse Amanda. < Andiamo? > disse, afferrando un braccio di Hanna per catturare la sua attenzione.
Hanna annuì, capendo che l'amica non era dell'umore per fare quattro chiacchiere con il tipo carino che aveva visto qualche settimana prima al bar, quello che l'aveva aiutata con le colazioni e con cui era uscita.
Salutarono James con un sorriso. Quello di Hanna riconoscente e quello di Amanda tirato e finto.
Ormai erano quasi arrivate all'auto di Hanna, mancavano solo pochi passi, ma James era più che determinato a farsi dare determinate risposte.
L'uomo afferrò il braccio di Amanda e la costrinse a girarsi con una leggera spinta.
< Vorrei parlarti > le disse.
< Non abbiamo nulla da dirci > gli disse lei dura.
Hanna lanciò un'occhiata di rimprovero all'amica, che la ignorò bellamente.
< Solo qualche minuto >
< Devo tornare a casa >
< Allora domani > propose lui, maledicendosi mentalmente. Da quando supplicare qualcuno era diventato parte del suo agire?
< Lavoro >
Hanna decise di intervenire. Per tutta la serata era stata una pessima amica e di certo non si era dimenticata delle risposte che aveva dato ad Amanda. Era stata indelicata e anche un pochino maleducata, quindi ora doveva rimediare.
< Bé, io devo andare e devo andare subito. Non posso fare nessuna deviazione per portarti a casa, Mandy, quindi credo che dovresti chiedere a questo giovanotto se può farti un passaggio a casa. Mandami un messaggio quando torni a casa per farmi sapere se sei viva, e tu > disse indicando James. < Conosco la tua faccia e potrei fornire un ottimo identikit alla polizia. Inoltre, sono cintura nera di karate, quindi se mai dovesse capitarle qualcosa ti verrei a prendere e rimpiangeresti il giorno in cui tua madre ha pensato di metterti al mondo. > gli lanciò un'occhiata severa.
James sgranò gli occhi. Nessun donna, forse solo sua madre, gli aveva parlato in quel modo.
Hanna rivolse un sorriso carico d'affetto ad Amanda. < Non c'è bisogno di ringraziare. Ci sentiamo, Mandy >
Detto questo, sparì a bordo della sua auto, lasciando Amanda e James con le loro questioni irrisolte.  
 


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questo capitolo ha delle conversazioni decisamente poco implicite e ci sono parole anche abbastanza forti, quindi se vi hanno infastidite vi chiedo scusa fin da ora!! 
Spero di leggere tante vostre recensioni ;) 
Bacio, 
Cris

 
  
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