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Autore: Thilwen    17/10/2008    3 recensioni
“Poco importava, perché quello che era successo lo avrebbe messo in cima alla lista come peggior fidanzato del nuovo millennio, con tanto di corona artistica che avrebbe ricordato vagamente il palco di corna di un cervo a primavera.
Si era dimenticato del compleanno di Hermione.
Di nuovo.”
Pensate che Ron abbia avuto una buona idea nell’affidarsi all’oroscopo e al fratello George, deciso a brevettare la sua ultima invenzione, per uscire da tale spiacevole situazione?
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Weasley, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo Terzo

 

   In fondo la colpa era di Ginny.

A che serve una sorella che è la migliore amica della tua ragazza, se non per ricordarti le date importanti (vedi voce “compleanni”), darti delle buone dritte sui regali, e fare da ambasciatrice nei momenti di crisi profonda?

Vada bene che era impegnata in trasferta con la squadra di Quidditch, ma una soffiata veloce via camino poteva anche fargliela.

Di sicuro lei gli auguri a Hermione li aveva fatti.

Di sicuro una chiacchierata hot con Harry prima di andare a letto, l’aveva avuta.

Perché, allora, non aveva anche solo semplicemente spedito un gufo come memorandum per lui?

In fondo poteva immaginarlo che sarebbe finita così. Era sua sorella, porcapaletta!

Bene, iniziava a imprecare come sua madre. O come Hermione.

Segno evidente che la sua finta-febbre stava salendo.

Fosse stato nel pieno delle sue condizioni fisiche avrebbe detto… beh, semplicemente si sarebbe espresso con una metafora contenete almeno un’allusione a qualche organo sessuale e al loro utilizzo. Con qualche personaggio della Bibbia in mezzo, forse.

Qualche ora addietro, aveva masticato quella cosa gommosa per un paio di minuti prima di poterla mandare giù. Aveva davvero un gusto di ciliegia, ma corrotto da qualcosa che ricordava la muffa e il sapore che avrebbero dovuto avere gli amati calzini del buon vecchio Dobby.

Aveva gironzolato un poco per l’appartamento ancora in pigiama, sfogliando svogliatamente il giornale e poi, alle prime avvisaglie di mal di testa, si era infilato a letto attendendo l’evoluzione della sua malattia.

Che non aveva tardato ad arrivare.

Vampate di calore, brividi di freddo, tutte le estremità gelate –beh, quasi tutte-, occhi gonfi, pesante spossatezza, dolori ossei, muscolari e un altro pugno di disturbi dati certamente più dall’autosuggestione che dalla pillola di George.

Aveva abbandonato la testa sul cuscino, mentre i pensieri si facevano via via più vaporosi e sfuggenti. Tenere districato il reticolo delle sue riflessioni si faceva complicato come camminare completamente immerso nell’acqua. Non impossibile, ma di certo lento e faticoso.

A metà mattina George aveva fatto il suo ingesso nella stanza con un sorriso trionfale stampato in faccia.

«Ma bene!» aveva detto, tastandogli la fronte ed esaminandogli la faccia con uno sguardo critico.

«Io non userei proprio “bene” come avverbio» aveva ribattuto Ron con voce impastata e stanca.

«È quello che ci aspettavamo, no?» George gli stava tastando il polso e, inspiegabilmente, guardando le unghie prima che il fratello nascondesse nuovamente il braccio sotto le coperte scosso da un brivido di freddo «Devi stare male nella maniera più credibile possibile».

«Comincio a pensare sia stata davvero un’idea cretina» aveva biascicato. «E non è un qualcosa che si possa vendere. Nessuno starebbe male apposta, nemmeno per saltare una lezione a scuola».

«Tu non l’avresti presa per saltare un compito di Pozioni con Piton?»

Ron tacque. Piuttosto che fare dieci minuti di lezione con Piton (sempre pace all’anima sua, in qualunque luogo si trovasse), avrebbe trangugiato una dozzina di quelle porcherie.

George non aveva atteso la sua risposta, ma alzandosi dal letto, continuando a sorridere con espressione beffarda, aveva detto: «Penso sia giunto il momento di comunicare alla cara Hermione il tuo stato di salute» ed era uscito, fischiettando un motivetto da osteria.

A Ron qualcosa di viscido era scivolato pesantemente nello stomaco.

“Adesso la farai preoccupare. Per nulla, poi. Sei ancora un ragazzino!”

Quando faceva certi pensieri, chi sa perché, la voce che sopraggiungeva nella sua mente aveva il timbro di quella di sua madre e il tocco isterico di quella di Ginny quand’era mestruata.

Brutta davvero, insomma.

In quel preciso momento se ne stava con la testa sprofondata nel cuscino, per metà preoccupato, per metà divorato dai sensi di colpa, immerso in una condizione di pesante disagio.

Non era stata una buona idea.

Adesso si sentiva come una pluffa a fine partita.

Adesso avrebbe fatto preoccupare di brutto Hermione.

E George aveva dietro la sua faccia da fratello premuroso, l’espressione di un gatto che ha raffazzonato del buon formaggio da una tavola imbandita.

“Il dado è tratto” aveva detto qualcuno prima di lui, da quello che ricordava doveva essere stato un Troll di montagna deciso a occupare una zona dei Lake District con un esercito.

Forse non era proprio il Lake District, forse non era stato un Troll di montagna, ma l’acqua e l’esercito c’entravano di sicuro.

In parole povere, doveva solo attendere l’evolversi degli eventi.

E nell’attesa era caduto in una sorta di dormi-veglia angoscioso, dove comparivano gli occhi di Hermione ora delusi, ora preoccupati, ora rabbiosi, dove compariva Hermione stessa, tutta intera in biancheria intima; accarezzava lascivamente l’orlo del reggiseno e portava le mani dietro la schiena per sganciarlo: poi improvvisamente la sua espressione diventava irritata, si rivestiva in fretta e usciva dal suo campo visivo con aria offesa.

Hermione; volteggiava davanti ai suoi occhi con mille abiti e colori diversi.

Hermione; la sua bocca si muoveva e parlava ma non riusciva a captarne le parole.

«Ron?»

Il suo nome nella sua bocca.

Le sue mani sul suo viso.

Era vestita di verde bottiglia.

Aveva i capelli legati alla nuca.

«Ron? Sei sveglio?»

Ron sbatté le palpebre un paio di volte.

Non sognava.

Hermione era seduta al bordo del suo letto e gli accarezzava dolcemente i capelli.

*

Hermione, sistemati velocemente i documenti, gli appunti e i libri sparsi nel suo ufficio, si rassettò di tutta furia i capelli e chiese a un suo superiore mezza giornata di permesso.

Scendendo precipitosamente le scale all’uscita del Ministero s’imbatté nel celebre e suo quasi-cognato Harry Potter.

«Dove vai così in fretta?» la apostrofò con un sorriso un po’ disorientato, vedendola così agitata.

«Harry!» annaspò la ragazza con il fiato corto fermandosi davanti a lui. «Sapevi che Ron non sta bene?»

«No» rispose quello aggrottando le sopracciglia.

Hermione prese un respiro profondo per recuperare fiato e spiegare chiaramente la situazione. «George mi ha cercata poco fa via camino e mi ha detto che da ieri Ron ha la febbre e delle macchie rosse sulla pelle. Sostiene che non sia nulla di grave, ma mi ha chiesto di andare da lui».

Harry rimase in silenzio un secondo. «L’ultima volta che ho sentito Ron stava alla grande. Anzi, siamo andati a bere una Burrobirra insieme due sere fa» disse scrollando le spalle. «Ma ieri non gli ho neanche parlato. Potrebbe essere stata una cosa improvvisa. Non è che ha preso il morbillo?»

«Be’, è una malattia babbana» specificò Hermione

«Non è detto che i maghi non possano prenderla» ribatté l’altro.

«Di solito viene ai bambini».

«Sì può sempre considerare l’età mentale e non solo quella anagrafica».

Hermione sorrise scuotendo la testa.

«Io non mi preoccuperei» la tranquillizzò Harry. «Sarà stata qualche indigestione da dolci. Però credo che anche Ginny non sappia nulla della cosa».

Hermione pensò fosse abbastanza probabile che Ginny non fosse informata della malattia del fratello.

L’aveva sentita in breve la sera prima, giusto il tempo di ricevere i suoi auguri e scambiarsi qualche convenevole.

Di Ron non avevano parlato. Timorosa di colpire qualche nervo scoperto e di doversi sorbire lunghi e ripetitivi discorsi a proposito delle scaramucce fra Hermione e il fratello, Ginny doveva avere imparato ad aspettare fosse l’amica a tirare fuori l’argomento.

Tanto per non cercarsi grane.

Ma, se avesse saputo che stava poco bene, di certo glielo avrebbe detto, anche solo per averne notizie.

«Non penso lo sappia», confermò Hermione.

«Quindi un motivo in più per non fare quella faccia preoccupata. Sarà qualche stupidaggine» Harry ricominciò a salire i gradini del Ministero. «Ho alcune cose da sbrigare adesso, ma vedrò di fare un salto da Ron stasera. Salutamelo, nel frattempo».

Le voltò le spalle dopo averle fatto un cenno di saluto.

Hermione sospirò continuando per la sua strada, smaterializzandosi discretamente poco lontana dall’entrata del Ministero.

*

Ron ci mise qualche minuto per svegliarsi, ma rimase in una strana sensazione d’intorpidimento, completamente andato a causa della febbre.

Infine, quando capì che Hermione era veramente lì con lui, una strana sensazione di tenerezza gli si propagò in petto.

«Ciao» mormorò non appena si rese conto che, benché rauca, la voce gli usciva dalla bocca.

«Non volevo svegliarti» si scusò lei sorridendogli appena. «Solo che ogni tanto aprivi gli occhi e mormoravi il mio nome, ero convinta che non dormissi».

«Non ero proprio addormentato» borbottò.

«Come ti senti?»

«Mmm…’somma».

Hermione gli accarezzò una guancia ruvida con il dorso della mano; non si era sbarbato quella mattina «Hai dei puntini rossi in faccia e in fronte. Sembra tu abbia il morbillo».

«Che diavolo è il morbillo?»

Hermione rise. «Nulla, non preoccuparti. Vuoi preparato qualcosa di caldo?»

Ron sospirò. La febbre lo faceva sentire già abbastanza caldo e tutto quel calore gli stava cucinando il cervello.

«No, grazie Hermione, non preoccuparti. Sei stata molto carina a lasciare il lavoro per venirmi a trovare» stirò le labbra in una specie di sorriso affaticato. «Immagino tu fossi impegnata».

«Solo routine, nessun impegno importante».

Benché intorpidito il cervello di Ron comprese che era questo il momento adatto per buttar giù la storia della sua orrenda dimenticanza.

«Hermione…» mise una nota di panico nella sua voce.

«Cos’hai?» si agitò la ragazza «Non stai bene?»

«Che… che giorno è oggi?»

Lei lo guardò un istante perplessa. «Giovedì».

«No», Ron scosse la testa sul cuscino. «Intendo la data».

Hermione si morse per un secondo il labbro inferiore. «Ne abbiamo Venti. È il 20 settembre, Ron».

Ron emise un gemito teatrale sprofondando la testa di più nel cuscino. «Hermione, ma ieri era il tuo compleanno, ed io a causa della febbre me lo sono scordato!»

La ragazza accennò un sorriso, poi gli accarezzò i capelli.

«Oh, Ron, figurati, non è un problema: sai che non sono particolarmente legata a queste tradizioni e tu sei più che giustificato per non essertelo ricordato in queste condizioni».

«Ti giuro che fino al giorno prima lo sapevo…» continuò Ron con un annaspante tono lamentoso «Ti ho pure comprato un regalo!»

Hermione gli afferrò una mano nascosta sotto le coperte. «Lo apriremo insieme quando starai meglio. Non preoccupartene adesso».

Ron, nonostante sentisse freddo, tirò fuori la mano dalle coperte, per afferrare e accarezzare quella di Hermione.

Aveva uno sguardo davvero dolce in quel momento. Era tanto affettuosa che dimenticò il senso di colpa e di ansia che gli avevano pizzicato il cuore fino a quel momento.

Fra qualche ora sarebbe stato meglio, Hermione sarebbe stata contenta del regalo e avrebbe dimenticato tutto.

Ogni cosa sarebbe andata al posto giusto e nessuno avrebbe mai saputo nulla.

Afferrò con la sua grande mano le dita piccole e sottili di Hermione.

In qualche modo quel gesto lo faceva sentire importante, in grado di proteggerla.

Sempre.

Hermione era visibilmente rasserenata. Abbassò lo sguardo sulla sua mano per vedere le loro dita intrecciate teneramente.

Improvvisamente sbarrò gli occhi inorridita. «Ron!» disse con voce stridula.

Ron saltò in aria per lo spavento. «Che c’è?»

«Da quando metti lo smalto alle unghie?» lo guardò in volto con aria arrabbiata, lasciandogli la mano.

Il ragazzo se la portò davanti agli occhi e dovette ammettere che Hermione aveva ragione.

Le sue unghie erano tinte di rosso.

Anzi, per la precisione, rosso baldracca.

Pensò nei confronti di George una cosa che un fratello non dovrebbe mai osare pensare nei confronti di un altro.

«Io non lo-» boccheggiò, notando diverse macchie sulla mano e sul braccio e rendendosi conto che avevano la stessa sfumatura di colore delle unghie. «Io non le ho mai tinte!».

Hermione lo guardava severa, le labbra strette in una morsa.

«Oh, guarda, di questo ne sono certa. Forse è l’unico punto dove ti credo».

«Ma io non so come-»

La ragazza si alzò ponendo le mani ai fianchi. «Di certo è un caso che siano rosse allo stesso modo delle tue macchie della tua rocambolesca malattia…».

«È un caso di certo, sarà un altro effetto della mia malattia!»

«E che tutto ciò» proseguì Hermione alzando la voce per ridurre al completo silenzio quella di Ron. «Abbia davvero l’aria di una fattura venuta male».

Egli rimase in silenzio un attimo.

«Non so dove tu voglia andare a parare» borbottò poi.

Le labbra di Hermione divennero ancora più sottili. Strinse di più anche gli occhi. Un ciuffo di capelli sfuggito dalla coda vibrava pericolosamente poco sopra il suo orecchio.

Sembrava sul punto di esplodere in una giusta e accorata recriminazione.

Invece, improvvisamente esplose qualcos’altro, che costrinse Ron a stringersi sotto le coperte e Hermione a voltarsi verso la porta e a spianare l’espressione omicida.

Con un crak! sordo qualcuno si era materializzato in soggiorno e adesso correva verso la sua camera urlando con voce lacrimosa: «Il mio bambino! Cos’è successo al mio bambino?»

Qualcuno che, senza nessun’ombra di dubbio, doveva essere Molly Weasley.

***

Nota dell'autrice:

Si presenta una guest star d’eccezione per il prossimo –ultimo- capitolo!

Un caldo ringraziamento va a hermione_06, che ha recensito il precedente capitolo: come vedi la faccenda è decisamente sfuggita di mano, ma a pagarne le conseguenza più che George, sarà il povero Ron; grazie mille per la recensione!

 

  
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