Capitolo Terzo
In fondo la colpa era di
Ginny.
A
che serve una sorella che è la migliore amica della tua ragazza, se non per
ricordarti le date importanti (vedi voce “compleanni”), darti delle buone dritte
sui regali, e fare da ambasciatrice nei momenti di crisi
profonda?
Vada
bene che era impegnata in trasferta con la squadra di Quidditch, ma una soffiata
veloce via camino poteva anche fargliela.
Di
sicuro lei gli auguri a Hermione li
aveva fatti.
Di
sicuro una chiacchierata hot con Harry prima di andare a letto, l’aveva
avuta.
Perché,
allora, non aveva anche solo semplicemente spedito un gufo come memorandum per
lui?
In
fondo poteva immaginarlo che sarebbe finita così. Era sua sorella, porcapaletta!
Bene,
iniziava a imprecare come sua madre. O come Hermione.
Segno
evidente che la sua finta-febbre stava salendo.
Fosse
stato nel pieno delle sue condizioni fisiche avrebbe detto… beh, semplicemente
si sarebbe espresso con una metafora contenete almeno un’allusione a qualche
organo sessuale e al loro utilizzo. Con qualche personaggio della Bibbia in
mezzo, forse.
Qualche
ora addietro, aveva masticato quella cosa
gommosa per un paio di minuti prima di poterla mandare giù. Aveva davvero un
gusto di ciliegia, ma corrotto da qualcosa che ricordava la muffa e il sapore
che avrebbero dovuto avere gli amati calzini del buon vecchio
Dobby.
Aveva
gironzolato un poco per l’appartamento ancora in pigiama, sfogliando
svogliatamente il giornale e poi, alle prime avvisaglie di mal di testa, si era
infilato a letto attendendo l’evoluzione della sua
malattia.
Che
non aveva tardato ad arrivare.
Vampate
di calore, brividi di freddo, tutte le estremità gelate –beh, quasi tutte-, occhi gonfi, pesante
spossatezza, dolori ossei, muscolari e un altro pugno di disturbi dati
certamente più dall’autosuggestione che dalla pillola di
George.
Aveva
abbandonato la testa sul cuscino, mentre i pensieri si facevano via via più
vaporosi e sfuggenti. Tenere districato il reticolo delle sue riflessioni si
faceva complicato come camminare completamente immerso nell’acqua. Non
impossibile, ma di certo lento e faticoso.
A
metà mattina George aveva fatto il suo ingesso nella stanza con un sorriso
trionfale stampato in faccia.
«Ma
bene!» aveva detto, tastandogli la fronte ed esaminandogli la faccia con uno
sguardo critico.
«Io
non userei proprio “bene” come
avverbio» aveva ribattuto Ron con voce impastata e stanca.
«È
quello che ci aspettavamo, no?» George gli stava tastando il polso e,
inspiegabilmente, guardando le unghie prima che il fratello nascondesse
nuovamente il braccio sotto le coperte scosso da un brivido di freddo «Devi
stare male nella maniera più credibile possibile».
«Comincio
a pensare sia stata davvero un’idea cretina» aveva biascicato. «E non è un
qualcosa che si possa vendere. Nessuno starebbe male apposta, nemmeno per
saltare una lezione a scuola».
«Tu
non l’avresti presa per saltare un compito di Pozioni con
Piton?»
Ron
tacque. Piuttosto che fare dieci minuti di lezione con Piton (sempre pace
all’anima sua, in qualunque luogo si trovasse), avrebbe trangugiato una dozzina
di quelle porcherie.
George
non aveva atteso la sua risposta, ma alzandosi dal letto, continuando a
sorridere con espressione beffarda, aveva detto: «Penso sia giunto il momento di
comunicare alla cara Hermione il tuo stato di salute» ed era uscito,
fischiettando un motivetto da osteria.
A
Ron qualcosa di viscido era scivolato pesantemente nello
stomaco.
“Adesso
la farai preoccupare. Per nulla, poi. Sei ancora un
ragazzino!”
Quando
faceva certi pensieri, chi sa perché, la voce che sopraggiungeva nella sua mente
aveva il timbro di quella di sua madre e il tocco isterico di quella di Ginny
quand’era mestruata.
Brutta
davvero, insomma.
In
quel preciso momento se ne stava con la testa sprofondata nel cuscino, per metà
preoccupato, per metà divorato dai sensi di colpa, immerso in una condizione di
pesante disagio.
Non
era stata una buona idea.
Adesso
si sentiva come una pluffa a fine partita.
Adesso
avrebbe fatto preoccupare di brutto Hermione.
E
George aveva dietro la sua faccia da fratello premuroso, l’espressione di un
gatto che ha raffazzonato del buon formaggio da una tavola
imbandita.
“Il
dado è tratto” aveva detto qualcuno prima di lui, da quello che ricordava doveva
essere stato un Troll di montagna deciso a occupare una zona dei Lake District
con un esercito.
Forse
non era proprio il Lake District, forse non era stato un Troll di montagna, ma
l’acqua e l’esercito c’entravano di sicuro.
In
parole povere, doveva solo attendere l’evolversi degli
eventi.
E
nell’attesa era caduto in una sorta di dormi-veglia angoscioso, dove comparivano
gli occhi di Hermione ora delusi, ora preoccupati, ora rabbiosi, dove compariva
Hermione stessa, tutta intera in biancheria intima; accarezzava lascivamente
l’orlo del reggiseno e portava le mani dietro la schiena per sganciarlo: poi
improvvisamente la sua espressione diventava irritata, si rivestiva in fretta e
usciva dal suo campo visivo con aria offesa.
Hermione;
volteggiava davanti ai suoi occhi con mille abiti e colori
diversi.
Hermione;
la sua bocca si muoveva e parlava ma non riusciva a captarne le
parole.
«Ron?»
Il
suo nome nella sua bocca.
Le
sue mani sul suo viso.
Era
vestita di verde bottiglia.
Aveva
i capelli legati alla nuca.
«Ron?
Sei sveglio?»
Ron
sbatté le palpebre un paio di volte.
Non
sognava.
Hermione
era seduta al bordo del suo letto e gli accarezzava dolcemente i
capelli.
*
Hermione,
sistemati velocemente i documenti, gli appunti e i libri sparsi nel suo ufficio,
si rassettò di tutta furia i capelli e chiese a un suo superiore mezza giornata
di permesso.
Scendendo
precipitosamente le scale all’uscita del Ministero s’imbatté nel celebre e suo
quasi-cognato Harry Potter.
«Dove
vai così in fretta?» la apostrofò con un sorriso un po’ disorientato, vedendola
così agitata.
«Harry!»
annaspò la ragazza con il fiato corto fermandosi davanti a lui. «Sapevi che Ron
non sta bene?»
«No»
rispose quello aggrottando le sopracciglia.
Hermione
prese un respiro profondo per recuperare fiato e spiegare chiaramente la
situazione. «George mi ha cercata poco fa via camino e mi ha detto che da ieri
Ron ha la febbre e delle macchie rosse sulla pelle. Sostiene che non sia nulla
di grave, ma mi ha chiesto di andare da lui».
Harry
rimase in silenzio un secondo. «L’ultima volta che ho sentito Ron stava alla
grande. Anzi, siamo andati a bere una Burrobirra insieme due sere fa» disse
scrollando le spalle. «Ma ieri non gli ho neanche parlato. Potrebbe essere stata
una cosa improvvisa. Non è che ha preso il morbillo?»
«Be’,
è una malattia babbana» specificò Hermione
«Non
è detto che i maghi non possano prenderla» ribatté
l’altro.
«Di
solito viene ai bambini».
«Sì
può sempre considerare l’età mentale e non solo quella
anagrafica».
Hermione
sorrise scuotendo la testa.
«Io
non mi preoccuperei» la tranquillizzò Harry. «Sarà stata qualche indigestione da
dolci. Però credo che anche Ginny non sappia nulla della
cosa».
Hermione
pensò fosse abbastanza probabile che Ginny non fosse informata della malattia
del fratello.
L’aveva
sentita in breve la sera prima, giusto il tempo di ricevere i suoi auguri e
scambiarsi qualche convenevole.
Di
Ron non avevano parlato. Timorosa di colpire qualche nervo scoperto e di doversi
sorbire lunghi e ripetitivi discorsi a proposito delle scaramucce fra Hermione e
il fratello, Ginny doveva avere imparato ad aspettare fosse l’amica a tirare
fuori l’argomento.
Tanto
per non cercarsi grane.
Ma,
se avesse saputo che stava poco bene, di certo glielo avrebbe detto, anche solo
per averne notizie.
«Non
penso lo sappia», confermò Hermione.
«Quindi
un motivo in più per non fare quella faccia preoccupata. Sarà qualche
stupidaggine» Harry ricominciò a salire i gradini del Ministero. «Ho alcune cose
da sbrigare adesso, ma vedrò di fare un salto da Ron stasera. Salutamelo, nel
frattempo».
Le
voltò le spalle dopo averle fatto un cenno di saluto.
Hermione
sospirò continuando per la sua strada, smaterializzandosi discretamente poco
lontana dall’entrata del Ministero.
*
Ron
ci mise qualche minuto per svegliarsi, ma rimase in una strana sensazione
d’intorpidimento, completamente andato a causa della
febbre.
Infine,
quando capì che Hermione era veramente lì con lui, una strana sensazione di
tenerezza gli si propagò in petto.
«Ciao»
mormorò non appena si rese conto che, benché rauca, la voce gli usciva dalla
bocca.
«Non
volevo svegliarti» si scusò lei sorridendogli appena. «Solo che ogni tanto
aprivi gli occhi e mormoravi il mio nome, ero convinta che non
dormissi».
«Non
ero proprio addormentato» borbottò.
«Come
ti senti?»
«Mmm…’somma».
Hermione
gli accarezzò una guancia ruvida con il dorso della mano; non si era sbarbato
quella mattina «Hai dei puntini rossi in faccia e in fronte. Sembra tu abbia il
morbillo».
«Che
diavolo è il morbillo?»
Hermione
rise. «Nulla, non preoccuparti. Vuoi preparato qualcosa di
caldo?»
Ron
sospirò. La febbre lo faceva sentire già abbastanza caldo e tutto quel calore
gli stava cucinando il cervello.
«No,
grazie Hermione, non preoccuparti. Sei stata molto carina a lasciare il lavoro
per venirmi a trovare» stirò le labbra in una specie di sorriso affaticato.
«Immagino tu fossi impegnata».
«Solo
routine, nessun impegno importante».
Benché
intorpidito il cervello di Ron comprese che era questo il momento adatto per
buttar giù la storia della sua orrenda dimenticanza.
«Hermione…»
mise una nota di panico nella sua voce.
«Cos’hai?»
si agitò la ragazza «Non stai bene?»
«Che…
che giorno è oggi?»
Lei
lo guardò un istante perplessa. «Giovedì».
«No»,
Ron scosse la testa sul cuscino. «Intendo la data».
Hermione
si morse per un secondo il labbro inferiore. «Ne abbiamo Venti. È il 20
settembre, Ron».
Ron
emise un gemito teatrale sprofondando la testa di più nel cuscino. «Hermione, ma
ieri era il tuo compleanno, ed io a causa della febbre me lo sono scordato!»
La
ragazza accennò un sorriso, poi gli accarezzò i capelli.
«Oh,
Ron, figurati, non è un problema: sai che non sono particolarmente legata a
queste tradizioni e tu sei più che giustificato per non essertelo ricordato in
queste condizioni».
«Ti
giuro che fino al giorno prima lo sapevo…» continuò Ron con un annaspante tono
lamentoso «Ti ho pure comprato un regalo!»
Hermione
gli afferrò una mano nascosta sotto le coperte. «Lo apriremo insieme quando
starai meglio. Non preoccupartene adesso».
Ron,
nonostante sentisse freddo, tirò fuori la mano dalle coperte, per afferrare e
accarezzare quella di Hermione.
Aveva
uno sguardo davvero dolce in quel momento. Era tanto affettuosa che dimenticò il
senso di colpa e di ansia che gli avevano pizzicato il cuore fino a quel
momento.
Fra
qualche ora sarebbe stato meglio, Hermione sarebbe stata contenta del regalo e
avrebbe dimenticato tutto.
Ogni
cosa sarebbe andata al posto giusto e nessuno avrebbe mai saputo
nulla.
Afferrò
con la sua grande mano le dita piccole e sottili di
Hermione.
In
qualche modo quel gesto lo faceva sentire importante, in grado di
proteggerla.
Sempre.
Hermione
era visibilmente rasserenata. Abbassò lo sguardo sulla sua mano per vedere le
loro dita intrecciate teneramente.
Improvvisamente
sbarrò gli occhi inorridita. «Ron!» disse con voce
stridula.
Ron
saltò in aria per lo spavento. «Che c’è?»
«Da
quando metti lo smalto alle unghie?» lo guardò in volto con aria arrabbiata,
lasciandogli la mano.
Il
ragazzo se la portò davanti agli occhi e dovette ammettere che Hermione aveva
ragione.
Le
sue unghie erano tinte di rosso.
Anzi,
per la precisione, rosso baldracca.
Pensò
nei confronti di George una cosa che un fratello non dovrebbe mai osare pensare
nei confronti di un altro.
«Io
non lo-» boccheggiò, notando diverse macchie sulla mano e sul braccio e
rendendosi conto che avevano la stessa sfumatura di colore delle unghie. «Io non
le ho mai tinte!».
Hermione
lo guardava severa, le labbra strette in una morsa.
«Oh,
guarda, di questo ne sono certa. Forse è l’unico punto dove ti
credo».
«Ma
io non so come-»
La
ragazza si alzò ponendo le mani ai fianchi. «Di certo è un caso che siano rosse
allo stesso modo delle tue macchie della tua rocambolesca
malattia…».
«È
un caso di certo, sarà un altro effetto della mia
malattia!»
«E
che tutto ciò» proseguì Hermione alzando la voce per ridurre al completo
silenzio quella di Ron. «Abbia davvero l’aria di una fattura venuta
male».
Egli
rimase in silenzio un attimo.
«Non
so dove tu voglia andare a parare» borbottò poi.
Le
labbra di Hermione divennero ancora più sottili. Strinse di più anche gli occhi.
Un ciuffo di capelli sfuggito dalla coda vibrava pericolosamente poco sopra il
suo orecchio.
Sembrava
sul punto di esplodere in una giusta e accorata
recriminazione.
Invece,
improvvisamente esplose qualcos’altro, che costrinse Ron a stringersi sotto le
coperte e Hermione a voltarsi verso la porta e a spianare l’espressione
omicida.
Con
un crak! sordo qualcuno si era
materializzato in soggiorno e adesso correva verso la sua camera urlando con
voce lacrimosa: «Il mio bambino! Cos’è successo al mio
bambino?»
Qualcuno
che, senza nessun’ombra di dubbio, doveva essere Molly
Weasley.
***
Nota dell'autrice:
Si
presenta una guest star d’eccezione per il prossimo –ultimo-
capitolo!
Un
caldo ringraziamento va a hermione_06, che ha recensito il precedente
capitolo: come vedi la faccenda è decisamente sfuggita di mano, ma a pagarne le
conseguenza più che George, sarà il povero Ron; grazie mille per la
recensione!