Note:
Per
non so quale assurda questione informatica o simili, il testo del precedente
capitolo era tanto piccolo da essere particolarmente stancante per la lettura;
praticamente tentando di far funziona quel diavolo di Page Breeze come si deve,
o mi veniva minuscolo o mi veniva enorme.
Che
io di informatica non ci capisca una cippa (infatti mi sto laureando in
lettere…) non è un mistero, quindi
tralasciate tale insensate dichiarazioni.
Visto
che è sempre meglio una grafia meno aggraziata ma non dei lettori ciechi, ho
uniformato il testo di quel capitolo e di questo a tale
carattere.
Eccovi
il secondo capitolo: sono molto più soddisfatta degli ultimi due, parecchio
divertenti, che di questi primi più “introduttivi”, ma ogni storia ha bisogno
del suo equilibrio e della sua contestualizzazione.
Portate
pazienza e ditemi che ve ne pare.
Capitolo
Secondo
Ron avrebbe dovuto capire a
intuito che qualunque proposta del fratello, fatta con quella faccia da ladro di
lecca-lecca, sarebbe stata sicuramente una fonte sicura di
guai.
E
avrebbe dovuto ricordare quanto Hermione fosse scaltra e riuscisse a sentire la
puzza di bruciato lontano un miglio.
Oppure,
semplicemente, avrebbe potuto leggere seriamente ciò che scriveva Bunny
SuperStars nelle sue rubriche di astrologia; che i Vergine apprezzavano a pari
modo con l’intelligenza l’onestà.
Ma
nulla di tutto ciò gli passò per testa.
Purtroppo
per lui.
Mancava
ancora mezz’ora all’apertura del negozio di scherzi magici “Tiri Vispi Weasley”,
ma lui e George si trovavano già al piano di sotto, nel
retrobottega.
Ron
osservava perplesso il fratello tirare fuori da una scatola che giaceva quasi
dimenticata in un angolo del negozio un barattolo di vetro contenente un certo
numero di, si sarebbe detto a prima vista, caramelle dai colori sgargianti.
Caramelle dalla forma leggermente allungata a proiettile.
Anzi,
a guardarle bene, dovette ammettere che somigliavano parecchio a
supposte.
George
si avvicinò a lui con il barattolo in mano e un grande sorriso stampato in
volto.
«Ecco,»
disse poi porgendolo a Ron come se con un solo colpo d’occhio si potesse capirne
uso e funzioni.
«Ecco,
cosa?» domandò a quel punto l’altro,
afferrando il barattolo e scuotendolo un po’; ne uscì solo un tintinnio
ovattato. «Queste, cosa sarebbero?»
George
sospirò, come se fosse un professore costretto a ripetere per l’ennesima volta
la stessa lezione a un alunno particolarmente distratto. «In effetti, non hanno
un nome ben preciso; non le ho mai messe in commercio perché…» si bloccò, fece
spallucce, poi continuò tranquillamente. «Diciamo perché ho sempre pensato che
non avrebbero avuto buon mercato. Sono dei simulatori di malattie sintomatiche:
ti fanno venire giusto per una mezza giornata diverse macchie sul corpo e un
poco di febbre, poi passa tutto così com’è arrivato. Ideale per prendersi un
giorno di vacanza senza che qualcuno indaghi sulla veridicità dei tuoi
sintomi».
Ron
guardò nuovamente il contenuto del barattolo. Poi lo aprì e, avvicinando il
naso, ispirò profondamente; c’era un vago odore di ciliegia, limone e mandarino
dentro.
«Quindi,
io dovrei prendere uno di questi e fingere di stare male?»
«Be’,
non è che fingeresti sul serio: un poco di malessere lo avresti» ci tenne a
precisare George.
Ron
lo guardò per qualche secondo. «È assurdo. Non credo valga la pena fare una cosa
così stupida. Sentirsi male, mentire, per non pagare le proprie
colpe…»
«Mi
sa che tu stai proprio iniziando a somigliare a Hermione» buttò lì l’altro, con
un’espressione vagamente disgustata stampata in viso. «A parlare di cose giuste,
di doveri e di responsabilità».
«Be’,
insomma, non è che sia proprio una cosa da persone mature da
fare…»
«Visto, come dicevo, Hermione precisa!»
rincarò la dose George.
«Che
palle!» sbottò Ron passandosi una mano nervosamente fra i capelli. «Quindi,
secondo te, io dovrei prendere una cosa di queste, stare male e farlo sapere a
Hermione?»
«La
avvertirò io stesso non appena la pasticca avrà avuto effetto» rispose. Poi
abbassò la voce in un vago tono di falsetto «Le dirò che stai male da ieri, che
hai avuto la febbre tanto alta da delirare e che oggi ti sei ricoperto di strane
macchie rosse. Così non solo non potrà restarci male perché c’è stato un motivo
davvero valido perché tu ti sei dimenticato del suo compleanno, ma accorrerà da
te e ti farà da dolce infermiera scrupolosa».
«Be’,
direi che si preoccuperà anche non poco…»
«Ma
tu lo sai che non ha veramente motivo di farlo».
«E
tu, qui, con il negozio…»
«Me
la caverò da solo con le ragazze».
Ron
si rigirò il barattolo fra le mani, confuso. «Sai, secondo me è una bella
cazzata questa».
«Va
bene», rispose George allungando la mano destra verso il fratello. «Come vuoi
tu, non facciamone nulla. Certo che è una bella carognata scordarsi così il
compleanno della fidanzata. Anche se non te lo dirà mai, chissà come c’è rimasta
male Hermione…»
Ron
sentì un paletto conficcarsi dentro il cuore a quelle parole.
Era
vero, Hermione, in qualunque modo sarebbero andate le cose, doveva esserci
rimasta davvero male. Magari questa piccola bugia l’avrebbe a lungo andare
consolata.
Osservò
il contenuto del barattolo. Le diverse “caramelle” avevano tutte dei colori
molto accesi: rosso, giallo e arancione.
«Perché
hanno colori diversi? »
George
aveva ancora la mano destra tesa verso il barattolo «Hanno essenze e aromi
diversi, ma, fondamentalmente, dànno esito a effetti diversi. Quelle rosse ti
fanno venire delle macchie, quelle gialle delle bolle, quelle arancioni… dei
problemi intestinali».
Ron
continuò a osservarle perplesso.
Certo
che, almeno come forma, somigliavano davvero a delle
supposte.
«Senti»
disse dopo un sospiro. «Queste cose hanno una forma parecchio strana. Se devo
farle passare su per qualche orifizio posto in una determinata zona mi rifiuto
categoricamente di…»
«Tranquillo»
sorrise George ritirando infine la mano. «Si masticano e
basta»
Ron
prese in mano un confetto rosso. Fra diarrea, bolle e macchie, di certo avrebbe
preferito quest’ultime.
«George,
sei sicuro che non dànno effetti collaterali pericolosi,
vero?»
«Ma
no!» rispose quello impassibile. «Qualche macchia e un po’ di febbre per qualche
ora e poi nulla»
«Ma
poi le macchie vanno via sicuro? Hai già sperimentato tutto abbastanza, no?»
continuò Ron, soppesando sul palmo della mano il prodotto rosso
brillante.
«Ma
sì, coraggio: mica avrei potuto far provare qualcosa del cui esito non fossi
sicuro al mio fratellino?» disse George con un’espressione quasi
angelica.
Ron
continuò a guardare la roba che aveva in mano dubbioso.
Improvvisamente
gli apparve in mente la testa boccolosa di Hermione mentre lui era intento a
scusarsi dicendo: “L’ho dimenticato, non so come ho potuto”, e il suo sguardo
carico di rammarico e delusione mentre con voce piatta rispondeva: “Fa’, nulla
Ron. È evidente che non è importante”, e magari lo bandiva dal suo letto per un
paio di settimane.
Chiuse
la mano in un pugno e si strinse nelle spalle guardando il
fratello.
«Mah,
visto che non si usa come una supposta, non sarà tanto brutto
provare».
George
si limitò ad annuire con convinzione.
*
Hermione Granger era china su di
un grosso e polveroso tomo di Storia della Magia, che trattava dell’ennesima
guerra intestina fra le diverse fazioni di Goblin del Nord Europa; con la mano
destra, ogni tanto, prendeva qualche appunto su di una pergamena poggiata sulla
scrivania del suo piccolo ufficio al Ministero. Nel silenzio di quella mattina
il timido grattare della penna sul foglio sembrava un fastidioso rumore
deconcentrante.
O
forse, dovette ammettere, era lei stessa a essere particolarmente
infastidita.
E
deconcentrata.
Soffocò
uno sbadiglio con la mano sinistra e nel frattempo posò la piuma che teneva con
l’altra vicino alla boccetta d’inchiostro, per potersi stiracchiare bene e
godersi qualche secondo di riposo.
Secondo
utile a ricordarle che ieri era stato il suo ventiduesimo
compleanno.
E
che Ron lo aveva nuovamente dimenticato.
Non
riuscì a non far comparire immediatamente sul volto un’espressione stizzita al
pensiero. La cancellò in fretta, scuotendo stancamente la testa e sospirando;
conosceva Ron, non avrebbe dovuto stupirsi così tanto.
Era
sempre stato un tipo svagato, leggermente rozzo e particolarmente poco attento a
queste cose. Il suo sguardo azzurro sembrava vagare oltre la successione dei
giorni e delle settimane in un perenne stato di
distrazione.
C’era
lui, il negozio da portare avanti con George, il contemporaneo tentativo di
diventare un Auror. Raramente si ricordava che giorno fosse, meno che la
domenica, quando poteva dormire a pancia in su fino a tarda mattina tranne che
non fosse lei stessa, venuta per passare qualche ora libera con lui, a
svegliarlo accarezzandogli lentamente il volto.
Insomma,
di certo non lo aveva fatto per male: Ron era così.
In
fondo il compleanno era solo un numero, un numero che viene affibbiato a
ciascuno per questioni burocratiche.
Una
comodità sociale.
Una
stupida tradizione.
Una
scusa per viziare i bambini.
Nulla
di importante.
Però.
Beh, sì, però…
Lei,
il suo compleanno, non l’avrebbe mai
potuto dimenticare.
Ci
pensava giorni prima e quella mattina il suo primo pensiero era di ritagliarsi
uno spazio di tempo per potergli fare gli auguri come si deve. Anche
impegnandosi, non lo avrebbe mai dimenticato.
Perché
per lei Ron era troppo importante perché potesse non fare caso a una cosa
simile.
Forse
Ron lo aveva dimenticato perché in fondo lei non era tanto importante per
lui.
Scosse
la testa.
Stupidaggini.
Ron aveva dimostrato nelle situazioni realmente serie e importanti quanto
tenesse a lei. Ecco che cos’erano questi pensieri. Solamente
stupidaggini.
Questo
non poteva minimamente dimostrare che non tenesse a lei: semplicemente era una
prova lampante di quanto fosse sbadato.
Insomma,
doveva smetterla di essere delusa e rancorosa: in certe cose lui era un
pasticcione e lo sapeva.
Non
era di certo una cosa bella, ma non era così importante.
Probabilmente
se avessero organizzato qualcosa, com’era stato da lui proposto, non lo avrebbe
dimenticato.
Invece
avevano deciso di posticipare festeggiamenti e tutto, perché lei il giorno prima
aveva avuto alcune riunioni e degli incontri importanti con gli emissari di
alcune comunità magiche “non-umane”. Come aveva previsto aveva finito tardi e
sarebbe stata troppo stanca per ogni festeggiamento; l’unica cosa che avrebbe
voluto festeggiare era la carezza calda delle sue coperte.
Probabilmente
nella giornata odierna Ron si sarebbe reso conto del suo fallo e, costernato, le
avrebbe portato a testa bassa le sue scuse, insieme a una qualche proposta per
farsi perdonare.
In
fondo era anche una prospettiva divertente: doveva smetterla di angustiarsi
tanto e covare dispiacere per riuscire a tirar fuori il comico da quella
situazione.
Avrebbe
pure potuto divertirsi nel costringere Ron a trovare un modo per farsi
perdonare…
I
suoi pensieri furono interrotti da un improvviso rumore proveniente nei pressi
del piccolo camino situato alle sue spalle. Un improvviso baluginio di fiamme
verdi colse la sua attenzione e la costrinse ad alzarsi; di sicuro si trattava
di qualcuno desideroso di mettersi in contatto con lei “via
camino”.
“Probabilmente
sarà Ron,” pensò Hermione mordendosi un labbro e sperando di aver razionalizzato
l’evento abbastanza a fondo per non fare una faccia da maschera tragica al
momento delle sue scuse.
Attese
qualche secondo aspettando di vedere fra le fiamme baluginanti la sua testa
rossa.
In
effetti, appena qualche istante dopo, vide proprio apparire una testa rossa
all’interno del camino, ma il volto dell’avventore, per quanto vagamente simile,
non era quello di Ron, ma di George Weasley.
«George?»
commentò infatti Hermione nel vederlo apparire, con un tono abbastanza sorpreso;
non riusciva a trovare un motivo valido per la mistica apparizione nel suo
ufficio.
«Ehilà,
Hermione!» commentò allegramente quello dopo averla scorta. Poi, come se si
fosse ricordato solo in quel momento di qualcosa di molto brutto e grave,
trasformò la sua espressione leggera in un cruccio cupo, e si scusò dicendo.
«Perdona la mia intrusione nel tuo ufficio, spero di non averti disturbato, ma
volevo dirti una cosa…»
Istintivamente
Hermione si preoccupò: quando George tirava fuori quella faccia o stava giocando
un brutto tiro a qualcuno o era davvero successo qualcosa. Entrambe, le opzioni,
comunque, la mettevano in preallarme.
«Che
cosa è successo?» chiese quindi, vendendo che il ragazzo non continuava
spontaneamente.
George
sospirò. «Non so se sia il caso di disturbarti per questo, so che sei molto
impegnata in questo periodo,» fece una pausa che risuonò vagamente teatrale
.«Ma, vedi, pensavo fosse necessario avvisarti che da due giorni Ron sta
parecchio male: ha una brutta febbre, molto alta, e stamattina gli sono
improvvisamente comparse diverse macchie rosse sparse per il corpo. Credo abbia
preso qualche brutto virus».
Hermione,
mentre George parlava, era visibilmente impallidita. Quando quello aveva
accennato alle macchie, si era portata entrambe le mani alla bocca e aveva
singhiozzato un «Ron!» molto accorato, mentre gli occhi le diventavano
lucidi.
«Oh,
Hermione!» continuò George, aprendo il viso in un sorriso tranquillo, alla vista
dello spaesamento della ragazza. «Non sarà nulla di grave! Pensavo solo di
doverti avvertire. Non volevo farti preoccupare» scosse la testa in mezzo alle
fiamme smeraldine. «Forse avrei fatto meglio a non disturbarti a lavoro per
questo…»
«No,»
lo fermò Hermione con voce ansiosa. «No, hai fatto bene a dirmelo. Oggi non ho
molto lavoro da sbrigare, dovrei solo documentare gli incontri di ieri, ma posso
farlo in un altro momento. Chiedo un permesso e corro da
Ron».
La
testa di George si mosse avanti e indietro in un movimento di decisa
affermazione in mezzo alle fiamme. «Non è una cosa indispensabile, ma se vuoi
puoi portargli la tua assistenza, penso gli farebbe
piacere».
Hermione
si era già voltata verso la scrivania a risistemare le sue pergamene di appunti
e tutta la sua roba; un crampo di senso di colpa colpì lo stomaco di George
appena la vide chiudere il suo libro con un colpo secco e riporlo in un
armadio.
Se
le sue parole erano state capaci d farle posare un libro e interrompere gli
studi, doveva essersi preoccupata davvero.
«Allora
ci vediamo dopo,» si affrettò quindi a salutarla, aggiungendo, fra sé e sé, una
volta fuori dal camino: «E speriamo che la cosa non ci sfugga di
mano».