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Autore: A li    18/10/2008    3 recensioni
Dopo Death Note 12.
Una seconda possibilità.
L'ultima, per riscattare le proprie colpe.
- Allora, l’unica risposta…
Una reincarnazione? –
In una delle rare volte, mi sorrise. – Esattamente ciò che pensavo. – disse.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito, Ryuuk
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Over The Mu

Grazie MILLE a:

cicoria

retsu89

che hanno commentato! ^-^

Grazie, pensavo di avervi perse ç-ç

 

In questo quinto capitolo Nate, scoperta la sua identità, deve prendere una decisione difficile: dire tutto a Mihael oppure tenere il terribile segreto per se?

Ed ora che quasi tutti i tasselli sono tornati al loro posto…

…si prepara il gran finale! XD

Buona lettura a tutti! E commentate, vi prego! Ç_ç

 

 

Prima o poi, tutti gli esseri umani muoiono.

Dopo la morte, non vi è nulla.

 

 

V. To Know The Truth (Sapere la verità)

 

Corsi a casa velocemente, più di quanto il mio fisico da bambino potesse reggere. Mi ritrovai ad ansimare in mezzo alla piazza del paese, deserta, con un bruciore intenso in gola.

Ero un assassino.

Assassino.

Continuavo a ripetermi quella parola nella mente, come se abusandone potesse scomparire. Ma più la pensavo, più questa si scolpiva inesorabilmente in me, marchiandomi per l’eternità.

All’improvviso, non mi sentii più così sicuro di voler tornare a casa.

Volevo davvero dire tutto a Mihael, come avevo subito pensato? Volevo davvero che sapesse che ero un assassino?

Non mi sentivo certo di entrare in casa, sudato e sconvolto, gridando come un ossesso contro colpe che sentivo terribilmente mie. Ma sapevo che lo avrei fatto. Forse sarebbe stato meglio stare lontani da casa per un po’.

Scelsi il lago. Lo feci un po’ perché era l’unico posto un po’ isolato che sapessi raggiungere, un po’ perché era lì che era cominciata tutta la storia e la parte meno orgogliosa di me ammetteva che speravo si concludesse in qualche modo.

In realtà, dentro di me, una sempre più grande certezza mi diceva che non si poteva tornare indietro: ero Light Yagami, ero un assassino. E ormai ne avevo preso consapevolezza.

Arrivai al lago di corsa, così come ero giunto in piazza. Mi lasciai cadere sfinito sull’erba che odorava di muschio e pioggia, steso a terra. Con gli occhi ripassavo i contorni di nuvoloni grigi che si stavano addensando al centro del cielo, mentre con le orecchie ascoltavo il ritmo del mio respiro che andava regolarizzandosi.

Chiusi gli occhi quando una goccia di pioggia mi bagnò la punta del naso, senza la forza di alzarmi e mettermi a riparo. Lasciai che la pioggia mi lavasse, sperando che portasse via anche i miei terribili peccati. Ma sapevo che non ci sarebbe riuscita.

Ripensai a quello che avevo scoperto. L’esistenza di un quaderno della morte, della possibilità di uccidere le persone solo scrivendone il nome su una pagina… Tutto questo ora mi appariva dannatamente chiaro, logico, come se lo avessi conosciuto da sempre. Lo sentivo così perché quelle erano le memorie di Light Yagami, di certo.

Terrorizzato ancora dalle atrocità che avevo compiuto, mi coprii il viso con le mani, sotto la potenza sempre più forte dell’acquazzone. Come aveva potuto un ragazzo ammazzare così degli esseri umani? Cosa pensava di fare? Qual’era il suo scopo?

Non sapevo ancora tutta la storia, di questo ero certo. C’erano molte lacune negli avvenimenti. Per esempio, Ryuk cosa c’entrava? Chi era in realtà? E Mihael? Mihael chi era, rispetto a me?

Sperai con tutto il mio cuore che non fosse un mio complice, o qualcosa del genere. Sarebbe stato orribile.

Se lo era, comunque, non doveva assolutamente ricordare il suo passato come avevo fatto io. Sarei andato da lui e gli avrei detto che non volevo più continuare a cercare di scoprire cosa fossimo in realtà. Non avrebbe capito perché, e io non gliel’avrei spiegato, ma non m’importava. Infondo, era un modo di proteggerlo.

Immerso nei miei pensieri, mi chiesi se anche il suo nome non fosse quello vero. Io ero Light. E lui?

Una nuova curiosità s’impadronì all’improvviso di me, ma la feci subito tacere. Non avrei più rivangato nulla. Mi bastava già quello che sapevo.

La pioggia era cessata, quando mi alzai, pochi minuti dopo. Ma le nuvole grigie, che sembravano ancora cariche, non volevano andarsene: probabilmente avrebbe piovuto ancora, quel pomeriggio.

Mi ricordai solo a quel punto che sarei dovuto essere stato a casa già da molto tempo. Forse Deborah si stava preoccupando della mia assenza.

Ritrovata la forza di muovermi, nonostante i vestiti fradici, m’incamminai per ritornare al villaggio. Scosso dai brividi ad ogni minimo soffio d’aria, tentai di fare in fretta, per evitare di ammalarmi. Era gennaio e non era stata certo una buona idea, quella di beccarsi un acquazzone senza ripari.

Giunto all’entrata del villaggio, lo attraversai correndo, perché ormai tremavo da capo a piedi violentemente. Davanti alla porta della casa, dubitai solo un istante del mio coraggio, poi bussai forte. La porta si spalancò.

- Nate! -

Deborah mi aveva letteralmente sollevato di peso e mi stava portando in camera alla velocità di un uragano. Prima di poterlo evitare, pensai che il nome con cui mi aveva chiamato, non mi apparteneva più.

- Nate! – esclamò ancora, nei suoi occhi la preoccupazione si poteva leggere, - Mi hai fatto spaventare! Che hai fatto? Perché non sei tornato subito a casa? -

Mentre mi copriva con la coperta, tutto avvolto nel letto, mi rivolgeva le domande a raffica, senza aspettare le mie risposte, come un distributore impazzito.

- Mike! – disse, ad un tratto, - Vammi a prendere il termometro! -

Solo in quel momento notai Mihael, nascosto dietro la figura snella di Deborah, che mi fissava neutro, come sempre. Ma nei suoi occhi c’era qualcosa di insolito.

Annuì, senza una parola, e uscì dalla stanza. Tornò un attimo dopo, con l’oggetto in mano. Deborah lo afferrò velocemente e me lo diede in mano.

- N-non è necessario…. – cercai di dire, - S-sto bene, davvero… -

- Vedi di tacere, Nate! – esclamò lei, furibonda, - Già mi hai fatto prendere un accidente! Adesso, per favore, vedi di non fare storie e misurati la febbre! -

Ammutolito e rassegnato, misi il termometro sotto un’ascella. Lei, lo sguardo tornato dolce, promise di tornare dopo cinque minuti e uscì. Restammo io e Mihael, mentre lui aveva occupato il suo solito posto davanti alla finestra e io restavo in silenzio.

Passarono diversi minuti prima che parlasse.

- Dove sei stato? – mi chiese.

Non mi aspettavo che se ne interessasse.

- Al lago. -

Rimase in silenzio un secondo, poi tornò a parlare.

- Pensavo che avessi scoperto qualcosa… - sussurrò.

Mi stupii della tristezza che c’era nella sua voce. Forse aveva scoperto già tutto? Forse aveva ricordato di essere stato un mio complice?

Pregai tutti gli dei esistenti che non fosse così.

- Non ho scoperto niente, Mihael. – dichiarai, ma quel nome suonò strano sulle mie labbra, inadatto, - E comunque non voglio più continuare quest’indagine assurda… -

L’ultima parte la mormorai solamente. Lui mi fissò indifferente, ma sapevo che in realtà era sorpreso.

- Perché? – chiese, atono.

- Non mi interessa conoscere il mio passato. – replicai – Lo hai detto tu stesso: perdere la memoria significa avere una libertà enorme, vuol dire avere una nuova possibilità di vivere. Perché adesso dovrei volerla riacquistare? -

Mi guardò sorridendo. Ma era un sorriso triste, tirato. Come i suoi occhi spenti.

- Non avere un passato può rendere liberi, certo. – cominciò, - Ma ti toglie la possibilità di sapere chi sei veramente. -

Non seppi cosa rispondere. La sua frase mi aveva spiazzato.

- Non vuoi sapere da dove vieni? – mi chiese, - Non vuoi capire perché sei fatto così, chi era tua madre? Non vuoi conoscere quello che eri? -

Ancora una volta, non trovai le parole.

- Sapere chi siamo stati ci aiuta a capire quello che siamo e a scegliere chi saremo. -

Calò il silenzio. Quella strana quiete scendeva sempre nelle nostre conversazioni: era uno strano momento fuori dal tempo, una strana parentesi che ci permetteva di essere noi stessi fino in fondo.

Ad un tratto, Mihael sospirò.

Non glielo avevo mai visto fare. Lui aveva sempre una risposta, se non ce l’aveva la cercava. Non si era mai arreso. Perché adesso lo faceva? Era colpa mia, del mio rifiuto?

Mi morsi un labbro, cercando di impedirmi di corrergli incontro e dirgli che lo avremmo cercato insieme, quel passato. Perché io non potevo. Non potevo assolutamente farlo.

Attese ancora qualche secondo, poi si alzò. Fece quattro passi lenti verso la porta e si voltò.

- Pensaci. -

Uscì proprio un momento prima che Deborah entrasse a prelevarmi il termometro e controllarmi la temperatura. Non avevo la febbre, come pensavo, e la cosa mi rallegrò. Volli alzarmi subito dal letto, nonostante gli innumerevoli tentativi della donna di dissuadermi, e corsi in cucina.

Cercai Mihael in tutta la casa, ma non lo trovai. Questo mi mise in agitazione, anche se non capivo perché. La sua assenza mi aveva sempre messo in ansia, ma questa volta era diverso: avevo paura. La paura infondata che non tornasse più.

Rassegnato, mi sedetti sulla sua sedia, nella mia camera, e osservai il cielo. Era diventato plumbeo ora, con l’arrivo della sera e le nuvole non sparivano. Incombevano sempre al centro della volta celeste, minacciando di rovesciare l’acqua da un momento all’altro.

Dov’era Mihael? Non era sicuro che se ne stesse fuori casa a quest’ora, con questo tempo.

Dovevo cercarlo.

Tornai in cucina e presi un coltellino dalle stoviglie messe in un cassetto. Non so perché decisi di portarlo con me. Forse speravo che si rivelasse una buona arma in caso di pericolo, non so. Mi coprii con una giacca a vento appesa in corridoio e spalancai la porta che dava in strada.

- Esco a cercare Mihael! – gridai, sperando che Deborah mi sentisse.

Uscii fuori nel freddo della sera inoltrata e mi accorsi di non sapere affatto dove andare. Non conoscevo bene il paese quanto Mihael, né sapevo dove andasse di solito quando usciva. Non avevo alcun punto di riferimento.

Seguendo l’unica pista che avessi, mi diressi al lago. Mihael mi ci aveva portato il giorno prima, quando non ero andato a scuola, perciò forse era un posto che frequentava spesso.

Scrutando preoccupato le nuvole sulla mia testa, cominciai a correre attraverso il paese, verso il basso. La strada verso il lago mi sembrò più lunga delle altre volte, ma probabilmente era la paura che avevo di trovarmi nuovamente inzuppato che mi dava quest’impressione.

Quando lasciai il sentiero sterrato, però, cominciarono a scendere le prime gocce.

Affrettai il passo, per fare più in fretta. Ma, arrivato sulla riva, mi accorsi che non c’era nessuno. Era buio e di certo non era la condizione migliore per trovare qualcuno, ma ero sicuro che Mihael non ci fosse.

Feci alcuni passi lungo la sponda del lago, analizzando l’erba davanti a me, in lontananza, ma ancora non vidi nessuno. Intanto, aveva iniziato a piovere davvero. Mi girai indietro, per andarmene, ma fui bloccato da un corpo che mi sbarrava la strada.

- Finalmente sei arrivato… - mormorò.

Guardando verso l’alto, vidi gli occhi rossi del mostro fissarmi, ardenti.

- Ryuk? -

Quello ghignò. – Esatto. –

- Dov’è Mihael? – chiesi. Non so perché lo domandai, fu istintivo: me lo impose una parte nascosta di me.

Mi obbligò Light Yagami, a chiederlo.

- Perspicace come sempre, eh? – sghignazzò il mostro.

Spalancai gli occhi. – Cosa? – esclamai, - Cosa c’entra Mihael? –

Non rispose. Mi fissò sorridendo, soddisfatto per qualcosa che non sapevo.

- Stanotte – sussurrò – Saprai tutto.

Tornerai ad essere quello che eri. Come desideravi, Kira non morirà. –

Non capii le sue parole. Ma sentii dentro di me che stava per succedere qualcosa di orrendo.

Fu quando le immagini e le urla iniziarono, che compresi la verità: quella notte, effettivamente, avrei rivoltato il mio vero passato e l’avrei conosciuto.

Gridai di dolore, stringendomi, un’altra volta, la testa tra le mani. Le mie urla si unirono a quelle che sentivo nella testa, alte e forti.

In mezzo a quella sofferenza atroce, sperai che Mihael non arrivasse, pregai con tutto me stesso che almeno a lui questo venisse risparmiato.

Mi sentii barcollare, in preda alla confusione e al dolore. Caddi in acqua.

Il gelo mi avvolse, mi strinse in una morsa mortale. Come il giorno prima al lago, sentii il terrore impadronirsi di me.

Non voglio morire. Ma non ero io a dirlo.

Era Light Yagami.

Affondando sempre di più negli abissi del lago e della reminiscenza, mi preparai ad affrontare il me stesso che sarebbe venuto a galla, a tenere testa ad un assassino senza impazzire.

Ma già la mia testa mi gridava qualcosa che non riconoscevo.

Già iniziava ad abbandonarmi.

Sarò il Dio di un nuovo mondo.

 

Fine V

 

 

Bene, bene! XD

Spero che l’ultima frase abbia dato la giusta suspence… Non temete, nel prossimo ultimo capitolo tutto verrà chiarito! Prima di postarlo, però, aspetterò di avere qualche recensione… Quindi, prima recensite, prima posterò!

Vi prego, fatemi questo piacere… ç_ç

Alla prossima! XD

 

Aki

   
 
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