Scusate la fretta ma devo correre a studiare. In 9 giorni, 9 VERIFICHE + interrogazioni... io dico, manco fossimo a dicembre prima della fine del trimestre!!!
Mi raccomando, leggete e recensite! Spero apprezzerete il fatto che (finalmente) la nostra povera Bella ottenga quello che vuole XD
Che cose che ho scritto!!! Le ho rilette e sn arrossita, ma non avendo il tempo di cambiarle, posto così! Un po' hard ma suvvià, lasciamo che qualche volta si divertano anche loro XD
ps: io amo quel bel vampiro di Emmett anche se è un pazzo totale, soprattutto in questa ff. devo riuscire a dargli più spazio!!!!
ma ora, bando alle ciance! un grazie a voi che leggete e commentante! Così rallegrate le mie grige giornate di studio.
prossimo aggiornamento previsto per... Mercoledì o Giovedì. Spero che questo capitolo vi soddisfi!
Un bacione a tutte!!!
Cassandra, in crisi per il non aver ancora trovato il suo Edward personale!
Bella's POV
< Edward! > Gridai girando a vuoto per casa. Non lo trovavo da nessuna parte. Effettivamente, non riuscivo a trovare nessuno… sembrava che ci fossimo solo io ed Elizabeth…
<
Edward??? > Ero appena uscita dalla vasca.
Quando ci ero entrata tutti erano al piano di sotto a chiacchierare e
adesso
parevano scomparsi nel nulla.
< Mm… se mi state prendendo in giro,
vi assicuro che non mi state facendo ridere. > E mi accorsi che
la mia voce
tremava per la paura. Forse fu proprio per la traccia di terrore nel
mio tono
che Edward decise di venire allo scoperto, per così
dire…
La
prima cosa che avvertii furono le sue
labbra sul mio collo e le sue mani, che potrei riconoscere fra mille,
sui miei
occhi. < Sht, Bella… eccomi. > <
Edward! Ma perché fate tutti i
cretini? >
< Sht… > Mi
bisbigliò ancora, bacandomi la pelle della clavicola
lasciata scoperta dalla
scollatura
In silenzio mi lasciò scivolare dalle
sue braccia ed io poggiai i piedi, con addosso dei sandali di cuoio,
sul
terreno fresco. I fili d’erba mi accarezzavano la pelle.
Sempre
tenendomi le
mani sugli occhi, mi guidò verso un punto indefinito.
Poggiai le
mie mani sulle
sue e mi accorsi di opporre resistenza al suo guidarmi. <
Ehi… non ti fidi
di me? > Mi domandò fingendo di essere offeso ed
appoggiando
la sua bocca
sulla mia tempia. Impacciata balbettai: < No…
no…
cioè, mi fido di te, è di me che non mi fido.
Cadrò sicuramente... cado già con gli occhi
aperti,
figuriamoci chiusi... >
< Bene, anche perché ora puoi aprire
gli occhi. > E tolse le sue mani dal mio volto. Lentamente
socchiusi gli
occhi e la prima impressione che ebbi fu di essere caduta in un mondo
incantato.
Eravamo
nel giardino, ma nella sua parte
più appartata, sul retro. In un punto non visibile dalla
casa in quanto
nascosto dal boschetto del giardino stesso. Un tavolo tondo posto sotto
un
baldacchino di rose rosse mi stava aspettando completamente
apparecchiato. La
stoffa bianca della tovaglia si stagliava nella semioscurità
illuminata dalle
candele che, a centinaia portavano da dove mi trovavo al piccolo angolo
di
paradiso attraverso una sottile stradina tortuosa che si faceva strada
tra i
cespugli di rose bianche.
Un candelabro antico e
probabilmente
d’oro, illuminava la tavola e il pergolato. Con le mani alla
bocca per lo
stupore, mi voltai per guardare Edward negli occhi. Lui sorrise alla
mia
espressione.
< Ti piace? >mi domandò teso.
< Edward… è splendido! È per
questo che Alice si è inventata l’invasione di
formiche rosse assassine sul
retro del giardino, vero? > Chiesi un pochino in imbarazzo per
esserci
cascata nonostante conoscessi Alice. < Sì…
non credo esistano formiche rosse
assassine in questa zona dell’America
settentrionale… > < Oddio, è
assolutamente splendido… > Poi il mio stomaco
brontolò e lui rise.
Prendendomi per mano mi condusse sotto il pergolato dove fui avvolta
dal dolce
profumo di fiori e anche da quello molto invitante del cibo che si
trovava
celato dai contenitori di argento. Da galantuomo, Edward mi fece
accomodare per
poi cominciare a servirmi. Tutto era a dir poco buonissimo. Da quando
avevo
partorito, e quindi Edward non temeva più che dessi fuoco al
pancione, ero
tornata a cucinare per me, di solito insieme ad Esme o Alice. Rose
preferiva
decisamente stare con mia figlia. < Chi ha cucinato? >
< Esme ed io…
> e poi mi servì l’antipasto. Tra una
portata e l’altra, si sedeva
esattamente davanti a me per osservarmi mangiare. Uno dei suoi sport
preferiti.
Ogni portata era piccola, giusto tre o quattro cucchiaiate per poter
permettermi di assaggiare tutto ma non ingozzarmi.
Arrivati al gelato, chiesi ad
Edward:
< Amore, la bambina come sta? > < Dorme. La sto
tenendo d’occhio, o
meglio, d’orecchio. > e poi mi accarezzò la
guancia. Essendo passati solo
due mesi dal parto l’allattavo ancora al seno ma con mia
somma gioia, la
mocciosetta dormiva moltissimo e adesso le sue poppate erano
drasticamente
calate in numero ma allungate in durata. Grazie a questo cambiamento
nel suo
tempo biologico, anche il mio si era stabilizzato. Non crollavo
più dal sonno
ogni 5 minuti e riuscivo a dormire tutta la notte di fila. Bastava
allattarla
subito prima di andare a dormire e subito dopo essermi svegliata.
Durante il
giorno, tre poppate bastavano. Era una bimba assolutamente adorabile.
Non
faceva i capricci e dormiva tranquilla. L’unica cosa era il
fatto che piangeva
sempre se si accorgeva di essere sola. Io ero la sua compagnia
preferita.
Subito dopo di me venivano Edward e
Rose. Sebbene le piacesse stare tra le braccia di tutti.
Sorridendo, affondai il cucchiaio nel gelato al limone
e alla fragola. Fatto in casa…
< Vuoi anche il caffè? > mi domandò
quando ebbi
finito il gelato al lampone.
< Mm, non so. > Rise e me lo porse, ancora
caldo.
< Certo che tu che mi lasci bere il caffé…
> lo
presi in giro < A cosa devo questa tua apertura alla caffeina?
Non mi lasci
bere neanche la coca cola… e poi, sto allattando…
> < Diciamo che facciamo
un’eccezione. Spero che questa sera tu ti addormenti
tardi… > Disse facendo
finta di osservare il roseto prendendomi un ricciolo tra le dita e
giocandoci
attorcigliandolo su sé stesso. Arrossii ed abbassai lo
sguardo sulla tovaglia
candida.
< Non ti va? > Mi
chiese turbato. < Non
preoccuparti. La mia era solo una proposta. Non sentirti obbligata per
questo…
> E mostrò i resti della cena. Alzai gli occhi e
balbettai: < Ehi, guarda
che a me va… e molto anche, visto che l’ultima
volta mi hai impedito di… >
Lui poggiò le dita sulle mie labbra facendomi segno di stare
in silenzio. <
Sai, speravo proprio che questa volta non mi dicessi di no…
> E sorrise. Lo
guardai confusa e poi gli dissi: < Edward, io non ti ho mai
detto di no. Sei
tu quello che di solito dice di no al sesso. > Lui
continuò dicendo: < Un
anno fa esatto, ti ho portata alla radura, dopo ciò che era
successo con
Victoria… non ricordi? Sdraiata supina sull’erba
hai respinto le mie mani sulla
tua pelle, sotto la tua camicetta. Quella volta sei stata tu a dirmi di
no,
anche se con notevole ed evidente sforzo se mi permetti. Il tuo cuore
sembrava
impazzito e le tue mani nei miei capelli come le tue gambe intorno alle
mie mi
dicevano il contrario delle tue parole… proprio come il tuo
respiro e il tuo
sguardo. > < Il giorno in cui ho deciso che era il
momento di dirlo a
Charlie… > Ricordai io. Con le guance imporporate
sussurrai: < Lo sai
perché ti dissi di no. Io ti ho sempre chiesto di fare
l’amore con me ma tu ti
eri sempre opposto. Volevi il matrimonio… In quel momento
non potevo
acconsentire sapendo che tu in realtà volevi aspettare, che
stavi facendo tutto
quello per me, andando contro ai tuoi desideri. >
Mi accarezzò di nuovo e disse: < Beh, forse non ci
sarebbe Elizabeth adesso se tu allora non mi avessi chiesto di
aspettare. >
Poi si zittì, perso nei ricordi del mio rapimento.
Per distrarlo, mi chinai in avanti
e lo baciai. Lui si
lasciò ampiamente distrarre. Quando le sue labbra di
ghiaccio si allontanarono
per permettermi di respirare, mi accorsi di ansimare.
< Oggi, esattamente un anno
fa, hai accettato di
sposarmi. Ci siamo fidanzati ufficialmente in questo giorno. Mi hai
chiesto
l’anello, là, nella radura. Ricordi? >
< Certo. > Risposi sincera. Lui
mi baciò la mano, la fede e il cuoricino di diamanti fissato
al mio
braccialetto poi sfiorò l’anello di fidanzamento
appeso al mio collo. <
Quello per me è stato uno dei giorni più belli
della mia esistenza.
Paragonabile solo al giorno in cui hai accettato la mia proposta, a
quello del
matrimonio o a quello della nascita di nostra figlia… Gli
unici momenti della
mia vita meritevoli di essere vissuti lo sono stati solo grazie a te.
Voglio
che questo anniversario sia indimenticabile e speciale, proprio come
sei tu per
me. > Poi si alzò rapidissimo e mi prese tra le
braccia. Mi stese sull’erba
e poi si sedette sulle mie gambe. Si chinò a baciare il mio
seno spostando la
stoffa del vestito. Con una mano s’insinuò sotto
il mio vestito, lungo la
spaccatura sulla mia coscia. Me la massaggiava con le dita esercitando
una
leggera pressione. Quando arrivò agli slip, giocò
con il laccetto sul lato per
un po’ spostando la bocca dal mio petto al mio collo.
Strusciai la mia gamba
sul suo fianco e poi la accavallai sulla sua schiena insieme
all’altra. A
questo punto anche l’altra mano s’infilò
sotto i miei vestiti. Dentro di me fui
felice di aver indossato un completino di pizzo. Molto poco
casualmente, una
volta tornata in camera non ero più stata in grado di
trovare della biancheria
“normale”. Aperti i cassetti avevo trovato solo
intimo piuttosto osé. Non era
però la prima volta che Alice sabotava il mio guardaroba. Da
dopo il parto non
avevo più fatto l’amore con mio marito ma Alice mi
aveva praticamente obbligato
a mettere intimo non troppo casto. Diceva che Edward avrebbe
apprezzato. Ed in
effetti, nelle nostre serate non troppo innocenti sebbene fatte solo di
carezze
e coccole, sembrava che mia sorella avesse avuto ragione.
< Edward… > La mia voce arrochita dalle mie
emozioni. < Sì? > La sua bassa e sensuale.
< Ti amo. > E un attimo dopo mi passò le mani
sulla schiena alzando il vestito fino alla mia vita. Mi
accarezzò a lungo e poi
si arrestò.
< Continuiamo in casa? >
Annuii nascondendomi tra i suoi capelli rossi.
Sorreggendomi con le sue braccia, mi prese in braccio come fossi una
bambina ed
io appoggiai il capo sulla sua spalla, dopo aver incrociato le gambe
dietro la
sua schiena..
Arrivati in camera. Andai al bagno
mentre lui controllava la
bambina e le rimboccava le coperte.
< La teniamo qui? > Chiesi dopo essermi lavata i
denti. Addosso avevo ancora il vestito.
< Hai paura che si svegli? > Arrossii pensando
al fatto che in quelle situazioni mi lasciavo molto trasportare e
… bhe
insomma… diciamo che non modulavo bene la voce…
< Se vuoi la mettiamo in
camera sua. > Annuii e lui la portò nella stanza
adiacente.
Sdraiata a letto, lo aspettai e lui arrivò subito. Mi
domandò: < Sicura di stare bene? >
< Starò male se dovrò aspettare ancora
prima di
poter amarti non solo con l’anima. > Scosse la testa
fingendo di essere
sconsolato e poi sorrise peccaminoso.
La prima cosa che fece fu di
levarmi l’abito. Le sue
mani erano veloci e precise. Quella sera non ci furono strappi nei miei
vestiti. Per lo meno non quelli non intimi. Questa volta non
aspettò che fossi
io, impacciata, a sbottonargli i pantaloni e la camicia.
Seduto sul mio bacino, senza
realmente sfiorarlo, mi
accarezzava con dita avide. Era persino più impaziente di
me, nonostante
cercasse di non farmelo notare. Una volta in biancheria, volli levarmi
la
soddisfazione di togliergli i boxer. Lui mi lasciò fare ma
poi mi sussurrò
all’orecchio: < Allora quelli… > E
sfiorò i miei glutei fino ad arrivare
agli slip per poi salire fino al reggiseno < Sono compito mio.
> Si chinò
a baciarmi la pelle e poi con la lingua cominciò a giocare
con i laccetti degli
slip. Improvvisamente sentii il freddo dei suoi denti sfiorarmi.
Trattenni il
respiro mentre con i denti tagliavano i cordicini, prima uno e poi
l’altro. Con
il naso scese dall’ombelico fino alla stoffa bagnata che
scostò con delicatezza
poi, con le dita mi accarezzò la schiena e un clic mi
avvisò che mi aveva
liberato dal reggiseno. Quello che accadde nei minuti successivi non
riesco a
ricordarlo con molta lucidità. All’inizio fu molto
gentile e misurato, come
sempre. Cercava di non farmi male nel momento che più gli
faceva paura. temeva
di fare un movimento brusco e di ferirmi. Lentamente si unì
a me stringendo il
lenzuolo. Io invece trattenni il respiro e serrai gli occhi. Un
po’ per
vergogna un po’ per il leggero male. La nostra prima notte di
nozze lui era
stato così delicato, cosi misurato per evitare di farmi male
che quasi aveva avuto
paura a muoversi. Per quello aveva voluto che la prima notte la
passassimo a
casa, dove Calrisle avrebbe potuto intervenire in caso di
necessità. Edward non
sapeva cosa aspettarsi e aveva paura della sua stessa reazione. Neanche
lui
aveva provato prima quelle emozioni. Quando lo avevamo fatto durante la
gravidanza, la paura di perdere per un attimo il controllo e poter
quindi fare
male ad Elizabeth lo aveva tormentato. Sebbene non me lo avesse mai
detto, io
lo avevo capito dal modo in cui mi toccava. Il pancione era troppo
ingombrante
per permettermi molti movimenti e quindi avevo dovuto lasciar fare
tutto a lui.
Adesso invece, nonostante si moderasse per evitare di ferirmi, si
lasciò quasi
subito andare molto di più. Dopo i primi momenti, in cui io
mi abituai alla sua
presenza e lui alla mia tensione, entrambi ci rilassammo. Lui poi
cominciò a
prendere l’iniziativa lasciandosi trasportare dalla passione.
Potevo sentirlo
nel suo respiro, nella pressione, persino dolorosa, delle sue dita
sulla mia
pelle. I suoi baci affamati del mio corpo, il suo stesso corpo
impaziente. Era
tutto così travolgente. Così
coinvolgente… mi ritrovai ad annaspare in cerca di
aria mentre il mio corpo si muoveva totalmente sconnesso dal cervello.
I miei
movimenti non rispondevano alla mia volontà, totalmente
soggiogata dalla
passione. Con le braccia cercavo di tenere Edward attaccato al mio
corpo
sebbene lui a volte cercasse di allontanarsi per guardarmi. Mi eccitava
sentire
il freddo del suo corpo sul mio seno. Quando sentii che stavo per
perdere anche
l’ultimo barlume di controllo, man mano che i suoi movimenti
si facevano più
veloci, scivolai con la mano destra dalla sua schiena ai suoi capelli
ai quali
mi avvinghia. Se fosse stato umano glieli avrei strappati. Era una
sensazione
unica essere una sola anima con Edward. I nostri corpi uniti erano
complementari.
< Ti amo. > Sussurrò con un filo di voce
mentre
stringeva le sue mani sui miei fianchi facendomi male. Io ero troppo
distante
con la mente per rispondergli. Mi limitai a registrare
l’informazione e ad
emettere un ulteriore gemito di piacere. Ormai le mie grida e i miei
ansiti
erano udibili e mi vergognavo ma le mani intraprendenti di Edward sulla
mia
pelle mi fecero presto dimenticare il pudore.
Quando smisi del tutto di pensare, lasciai che fosse
il mio corpo a guidarmi ed Edward, assecondando i miei movimenti,
accentuava
tutte le mie sensazioni. Dimenandomi per il piacere, chiamavo il suo
nome
accaldata e sudata. E ad ogni sua carezza il mio cuore batteva
più veloce. Ad
un tratto mi aggrappai a lui con tutta la mia forza e mi lasciai
andare. Avevo
cercato di ritardare, prolungare quel momento ma non riuscii a
resistere. Poco
dopo Edward fece lo stesso e lasciò che la sua mente
lasciasse spazio al suo
istinto.
Quella era stata fina a quel momento la notte più
travolgente da me vissuta. Fortunatamente non fu l’ultima. Ci
eravamo amati
così intensamente che la sensazione che ebbi dopo fu di
totale pace e gioia. Mi
sentivo felice e bene. Ero completa, appagata. Edward respirava
affannato sulla
mia pelle e il suo respiro mi accarezzava gentile, contribuendo al mio
stato di
beatitudine.
Fosse stato per me, quella notte
avremmo continuato
all’infinito ma il mio corpo pareva avere
necessità diverse da quelle della mia
volontà. Sdraiandomi accoccolata sul fianco tiepido di
Edward, appagato quanto
me, gli accarezzai gli addominali. Le sue dita percorrevano la mia
spina
dorsale avanti ed indietro mentre i suoi occhi dorati erano fissi sul
mio seno,
schiacciato contro il suo corpo di marmo. Rimanemmo a lungo in quella
posizione
rilassante. Cullati dai nostri respiri che andavano tranquillizzandosi,
ci
coccolavamo a vicenda. Fu molto riposante. Presto mi sentii sveglia
abbastanza
per poter provare qualcosa di nuovo. Mi feci scivolare sopra di lui. In
mio
petto sopra il suo.
< Sei una tentazione insostenibile. Come faccio a
trattenermi? > mi domandò sfiorando le mie labbra con
le dita.
< Non trattenerti. Non mi offendo mica… > Gli
dissi maliziosa issandomi su di lui e chinandomi in avanti per poter
leccare
con la punta della lingua le sue labbra bagnate ed amare.
< Non questa sera… adesso riposati. >
< Non sono stanca. Colpa del tuo caffé. Oggi
è un
giorno importante tra l’altro. E poi… >
cercai le parole giuste per
dirglielo senza offenderlo. < Sì? > mi fece
lui curioso.
Arrossita sussurrai: < Voglio provare a stare
sopra. >
Mi guardò a lungo, studiando il mio volto e il mio
corpo. Lo vidi combattere interiormente. La cosa intrigava anche lui ma
allo
stesso tempo pensava che fosse il momento che dormissi. Esultai dentro
di me
quando vidi le sue labbra piegarsi in un sorriso molto poco innocente e
sentii
le sue mani fare presa sul mio bacino. Per tutto il tempo le sue mani
percorsero ogni centimetro della mia pelle come non avevano avuto modo
di fare
nelle nostre esperienze precedenti. Fu più complicato di
quanto
pensassi ma
alla fine entrambi ci lasciammo guidare dai nostri sensi e per quello
che riesco a ricordare di coerente, il non pensare funzionò.
Quando ritornai nel
mondo reale, ero sdraiata su di lui avvolta nelle coperte. Lo sentivo
respirare
il mio profumo.
Poco dopo, mi disse: <
Prendi questo. > Mi misi
a sedere e lo osservai prendere delle pastiglie dal cassetto. Me ne
porse una
insieme ad un bicchiere pieno di acqua appena versata da una
bottiglietta nascosta
nel suo comodino.
Afferrai la pastiglia con due dita e gli domandai:
< Che cos’è? > < Ti ricordi
quello che mi doveva comprare Esme a
Gibson? > Io annuii e lui continuò: < Per
evitare sorprese… >
Avendo capito, annuii. Dentro di me
però mi resi conto
di non voler prendere quella pillola. Senza dirgli niente afferrai il
bicchiere, lasciai che vedesse che mettevo la piccola in bocca e poi
deglutii,
facendo attenzione a tenere la pastiglia tra i denti. Lui mi
passò un
fazzoletto per asciugarmi le labbra ed io, senza farmi notare, ci
sputai dentro
la pillola, poi accartocciai il fazzoletto e lo misi nel mio cassetto.
< Adesso dormi… > Mi bisbigliò
gentile
accarezzandomi il collo e i capelli.
< Nooo > Mi lagnai io. < Ancora, per favore!
> lo implorai e gli
sfiorai il corpo scendendo con la mano a sfiorargli
l’inguine. Lui mi bloccò la
mano prima che raggiungessi il mio obbiettivo. Tenendomi per il polso,
portò la
mia mano alle labbra e la baciò.
Mi obbligò a voltare il
capo e fissarlo negli occhi.
Con le dita tracciò il profilo delle mie occhiaia e disse:
< Devi dormire.
> Stanca, mi abbandonai al suo petto cullata dalla sua voce. Ad
un certo
punto, semiaddormentata, gli sussurrai. < Sarebbe bello poterlo
fare ogni
volta che vogliamo, senza scomodare tutti. Quanto mi piacerebbe avere
un posto
solo per noi… una casetta per noi e la nostra bambina, dover
poter essere una
famiglia… > Lui mi accarezzò i capelli e
mi bisbigliò addolorato: <
Bella, non sai quanto vorrei darti questo, darti tutto ciò
che desideri. Se
potessi, ti giuro che preparerei una casetta per noi. Non sai quanto mi
dispiaccia
non poterti accontentare. Anche io lo vorrei… ma
è solo per la sicurezza tua e
di nostra figlia. La vostra incolumità viene prima di tutto.
Lo sai… > E mi
baciò la fronte. Annuii e
gli dissi che
io ero felicissima anche così. Dopo Volterra,
l’importante per me era stare con
lui e con la bambina, insieme agli altri Cullen, il resto sarebbe
venuto dopo.
Stretta a lui e da lui mi addormentai. Non dormii a lungo dato che
Elizabeth si
svegliò. Edward diceva che aveva il mal di pancia. Mi
suggerì di dormire assicurandomi
che si sarebbe occupato di lei ma io ero certa che non sarei riuscita
ad
addormentarmi sapendo che la mia bambina non si sentiva bene.
Mentre la cullavo cercando di
calmarla, seduta in
salotto verso le quattro di mattina, Edward venne da me e mi prese la
mano.
< Bella, Amore… > < Sì?
> Sbadigliai io. Lui mi accarezzò la guancia
e cercando le parole giuste e mi disse: < Perché non
me lo hai detto? >
< Cosa? > < Che vorresti un altro
bambino… > Mi zittii e svegliai
completamente nel giro di pochi istanti. Mi ero dimenticata di buttare
il
fazzoletto e lui aveva scoperto la pillola. Mi si gelò il
sangue temendo che si
arrabbiasse con me. Prima arrossii e poi impallidii. Lui mi
accarezzò gentile e
mi disse: < Non sono adirato. Solo, perché non me lo
hai detto? Non ti avrei
dato la pillola… > < Temevo che tu non avresti
voluto … un altro bambino.
> Ammisi capendo solo in quel momento la sensazione che avevo
provato prima.
Cercai di discolparmi dicendo: < Pensa poi ad Elizabeth, unica
bimba in
questa casa di vampiri… tutta sola. >
Lui mi baciò e mi disse: < Questa volta
però, che ne dici di un
maschietto? > Sorrisi sollevata e lui mi baciò con
passione, mentre le sue
mani mi accarezzavano le guance. < Questo dipende da
te… > gli sussurrai
felice che avesse accettato il mio desiderio. Rimasi sveglia tutta la
notte e,
quando la mattina dopo gli altri tornarono, Emmett mi guardò
in faccia mentre
in cucina stavo mettendo in frigo il latte che avevo tenuto via per
Elizabeth e
mi disse: < Oddio, cosa avete combinato questa notte voi due? Ci
andate
pesante! Hai una faccia, Bella… > Io
arrossì e cercai di balbettare qualcosa
riguardo Elizabeth ma lui non me ne lasciò il tempo.
< Dovrò ricordare ad
Edward che sei ancora umana… non può mica pensare
di fare come faccio io con
Rose… > non riuscì a continuare la frase
dato che Rosalie, apparsa davanti
alla porta, gli diede uno scappellotto e gli sibilò qualcosa
riguardo al futuro
prossimo delle loro nottatine piccanti. Lei svanì in
giardino dopo avermi fatto
un cenno di saluto con la mano. Vidi Emmett ignorarmi e correrle dietro
gridandole delle scuse e dicendo che era dispiaciuto, pronto a fare
tutto ciò
che lei voleva, come lo voleva...
Chiaramente esisteva solo un modo
per tenere in riga
gli uomini…
Edward e Carlisle andarono al piano
di sopra dove la
nostra bambina si era appena addormentata dopo avermi tenuto sveglia
tutta la
notte. Li seguii e mi lasciai rassicurare da Carlisle riguardo
Toccai la macchia violacea sul mio bacino e trattenni un
gemito. Per
evitare di angosciarlo, non gli avrei detto niente e avrei cercato di
non fargli sapere nulla. Prima di giocare ancora, avrei
aspettato
che fossero spariti. Un po' di attesa sarebbe stata ripagata da un
Edward privo di remore nel toccarmi, temendo di farmi del male.
Esausta, andai a sedermi sul
divano e lì mi
addormentai appoggiata alla spalla di Alice, immaginando di dare un
fratellino alla mia bambina.
Il
bambino che avremmo voluto però non arrivava. Secondo
Carlisle il problema non era mio (Il mio ciclo era regolarissimo) ma di
Edward.
La teoria di mio suocero era piuttosto strana ma, dato che non riuscivo
a
rimanere incinta nonostante avessi aspettato un po' prima di riprovarci
seriamente, doveva essere giusta. Edward ovviamente, come da sua
natura, si sentiva in colpa e
diceva che era colpa sua se io non potevo essere felice. Mi dovetti
impegnare
per convincerlo che ero felice lo stesso e comunque, non disperammo,
impegnandoci molto per raggiungere il nostro obbiettivo.
Emmett se la rise vedendo che li
cacciavamo tutti di casa almeno quattro volte a settimana...
Io di questo certo non mi lamentavo. Potevo avere Edward tutto per me senza sguardi od orecchie indiscrete, il che è sempre un bene quando si fanno certi giochi...