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Autore: Smaugslayer    26/10/2014    5 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sherlock batté una volta le mani. “Bene” disse. “Suppongo che tu abbia qualche domanda.”
 
Dove sei stato per tutto questo tempo? Perché non ti sei mai messo in contatto con me? Perché non mi hai restituito i ricordi subito dopo l’inchiesta? Dove diavolo ci troviamo? Chi è quest’uomo? Cos’è l’Ordine della Fenice?
 
“Qualche domanda” ripeté John, al limite dello sconcerto. Non riuscì a non trovare l’intera situazione paradossalmente spassosa.
 
“Da dove vuoi iniziare? Black, spieghi tu?”
 
“Oh, no.” L’uomo chiamato Black, oscuro come il suo nome, si diresse alla porta. “Io ero qui solo per fare gli onori di casa, adesso che ci siamo conosciuti ve la vedete voi.” Sembrava più giovane quando sorrideva, come se l’allegria cancellasse il marchio degli anni dal suo volto.
 
“Black? No, aspetta: Sirius Black? Il terrorista?” John spostò il dito da lui a Sherlock e viceversa, come per assicurarsi di aver capito bene. “Sto parlando con un ricercato?”
 
Sirius Black il ricercato sogghignò. “Oh, no. Credo che fosse il ricercato a parlare con te.”
 
John rimase perfettamente immobile per una manciata di secondi dopo che lui fu uscito.
Sempre senza staccare gli occhi dalla porta, disse: “Sono appena stato portato nella dimora di un terrorista per incontrare il mio migliore amico che fino a ieri sera ricordavo morto sei anni fa?”
 
“Già” replicò laconicamente Sherlock.
 
“Sherlock, quell’uomo ha ucciso tredici persone. Io credevo che tu li sconfiggessi, i Mangiamorte come lui.”
 
“Sì, è così.”
 
“E allora come mai ci troviamo nella casa sua gonfiabile?”
 
“Oh, ma lui non è un vero Mangiamorte! Non è stato lui a tradire la famiglia Potter come credono tutti, era un complotto ordito da uno dei suoi migliori amici per incastrarlo” spiegò Sherlock, come se la faccenda fosse del tutto ovvia e irrilevante.
 
“Bene” disse seccamente John. “Quindi in questo momento mi trovo nello stesso edificio di un uomo ingiustamente bollato come psicopatico e di un sociopatico iperattivo che ha finto la sua morte.”
 
Sherlock non rispose subito. “Generalmente corretto” disse infine.
 
“Allora spiega: cos’è l’Ordine della Fenice?” Aveva deciso che, di tutti gli interrogativi possibili, quello era il più innocuo che potesse porre.
 
“È una società segreta fondata per combattere i Mangiamorte e Voldemort.” Notando che John stava per parlare di nuovo, Sherlock lo precedette: “Se hai intenzione di rettificare le tue precedenti constatazioni, penso di essere in grado di farlo anche io: adesso stai per chiedere se per caso ti trovi nel Quartier Generale di una società segreta dal nome altisonante fondata da un sociopatico e uno psicopatico per combattere una setta che il sociopatico (che tra parentesi sarei io, ciao) avrebbe dovuto distruggere anni fa.”
 
“In realtà mi stavo chiedendo perché combattere Voldemort, visto che è morto.”
 
“A quello ci arriveremo più tardi. Intanto ti avverto che metà di quello che hai detto è sbagliato.”
 
“Metà di quello che tu hai detto, vorrai dire.”
 
“Questa società è stata fondata da Albus Percival Wulfric Brian Silente…”
 
“Era la sua grafia, quella sul biglietto!”
 
“…ancora al tempo della Prima Guerra Magica. Io avrei effettivamente dovuto debellare la razza dei Mangiamorte da questo pianeta, ma molti sono riusciti a sfuggirmi… per mancanza di prove.” Sherlock, contrito, cambiò bruscamente argomento: “Hai letto la Gazzetta del Profeta nelle ultime settimane?”
 
“Di sfuggita.”
 
“Trovato nulla sul Torneo Tremaghi?”
 
“No, non mi pare, se avessero decretato il vincitore sarebbe stato in prima pagina.”
 
Quando Sherlock gli mise in mano un trafiletto ritagliato da un giornale, John commise l’errore di guardarlo negli occhi.
 
 
 
“Abbiamo diciassette anni. Che cosa credevamo? Tu sei il mio migliore amico, e voglio averti intorno ad infastidirmi ancora per parecchio tempo senza preoccuparmi che tu possa perdere interesse.”
“Quindi… amici e basta? …No, hai ragione. Forse quello non era un errore, ma… continuare lo sarebbe.”
 
 
 
“John?”
 
John si affrettò a riabbassare gli occhi sulla carta, rammentando a se stesso di essere ormai cresciuto.
 
Harry James Potter vince il torneo Tremaghi” lesse. “Che cosa? Dopo tutti gli articoli e le interviste… scrivono questo? Sono sì e no tre righe! La coppa e il premio di mille galeoni d’oro gli sono stati consegnati dal Primo Ministro Caramell in persona, che da sempre si occupa dell’istruzione giovanile e favorisce iniziative di scambio culturale tra le scuole. Gli studenti e i Presidi di Beauxbatons e Durmstrang si sono dimostrati entusiasti dell’esperienza condivisa con Hogwarts e dell’andamento del Torneo. Ma se volevano un articolo propagandistico, perché non pubblicarlo in prima pagina? Non dicono nemmeno qual è stata l’ultima prova… e le altre due avevano avuto pagine e pagine di speciali… di quando è?”
 
“Una settimana fa, circa.”
 
“Strano… ma cosa c’entra con l’Ordine della Fenice?”
 
“Vorrei che non ti spaventassi quando ti dirò che… che Voldemort è tornato.”
 
John emise un suono a metà tra una risata, un grugnito e uno sbuffo: “Certo.”
 
“John, riflettici un attimo: c’era un elemento anomalo nel Torneo, ed era Harry Potter. Harry Potter, il ragazzo-che-è-sopravvissuto. Lui ha sempre giurato di non aver mai messo il proprio nome nel Calice di Fuoco, e ha ragione! Non è più dotato di altri della sua età, e non avrebbe mai potuto riuscirci. Eppure in qualche modo il biglietto col suo nome è finito lì dentro, e in qualche modo lui, a soli quattordici anni, è riuscito a superare prove pensate per studenti del settimo anno, ed è arrivato in finale. C’era qualcuno che tirava i fili, è ovvio! E come mai di quella finale è stato scritto solo un misero articoletto? Perché qualcuno ha messo tutto a tacere. John, mi spiace di doverti presentare in questo modo la verità, ma è andata così: Tom Riddle ha rapito Harry Potter e l’ha usato per risorgere durante l’ultima prova del Torneo Tremaghi.”
 
John era ancora scettico, ma era troppo esausto per obiettare. Gli ultimi eventi lo avevano sfinito, prosciugato di ogni combattività. Il suo mondo era crollato, e lui non aveva forze per opporsi al cambiamento.
 
“Conosci Alastor Moody” disse Sherlock. Non era una domanda, stava dando per scontato che fosse così.
 
“Non è quell’Auror mezzo matto che era stato assunto come insegnante di Difesa?”
 
“Già. Be’, è venuto fuori che l’uomo che ha effettivamente coperto la carica di professore per l’intero anno era Barty Crouch Junior, il Mangiamorte. E che era lui a tirare i fili.”
Barty Crouch…”
 
“Già. Il vero Moody è rimasto chiuso in un baule per nove mesi, lunga storia. Comunque, avevo lavorato con lui –con quello vero- e così lui mi ha contattato e portato qui, al Quartier Generale, altresì conosciuto come la dimora della rispettabile famiglia Black, che ora è ridotta a un latitante traditore del suo sangue.”
 
“Credo di avere una qualche parentela con i Black” commentò John; “cugini di secondo grado, forse.”
 
“Naturale; sei un Purosangue, siete tutti imparentati.”
 
“Possiamo saltare tutte le altre premesse e arrivare al punto in cui mi spieghi bene cos’è l’Ordine della Fenice?”
 
“Durante la Prima Guerra Magica, un gruppo di Auror, insegnanti e neodiplomati si riunì sotto Albus Silente per opporre resistenza ai Mangiamorte. Ne facevano parte, fra gli altri, James e Lily Potter, Sirius Black e, come ho detto, Alastor Moody. Erano deboli e disorganizzati, e la maggior parte di loro fu spazzata via.”
 
“E quel gruppo era l’Ordine della Fenice.”
 
Grandi abilità deduttive, John… ora che Voldemort è risorto, Silente ha riunito i sopravvissuti del gruppo originario e ne sta reclutando di nuovi. Ha posto il nuovo Quartier Generale qui in casa Black ed è ben deciso a non commettere i passati errori, creando una resistenza operativa ed efficacie… ed è per questo che ha convocato me e te.”
 
Me?”
 
“Noi due, sì. Io e lui abbiamo elaborato un piano che ci consentirà di guadagnare un vantaggio su Voldemort e i Mangiamorte.”
 
“No, uhm, no, ok…” John spalancò gli occhi, rendendosi conto di stare blaterando a vuoto e cercando di riorganizzare i pensieri. “Tralasciando tutta la parte del te che ritorni e Voldemort che risorge, sono per caso appena entrato a fare parte di un gruppo clandestino di resistenza o è solo una mia erronea impressione?”
 
“Sì, lo sei. Ma tu in realtà servirai solo di copertura.”
 
Servirò? Copertura?”
 
“Già. Tu sei il mio alibi. Oggi vai a vedere un appartamento, vero?”
 
“Sì, alle undici… aspetta, tu come fai a saperlo?” chiese John, sconcertato.
 
Per tutta risposta, i lineamenti di Sherlock gorgheggiarono e si fusero. I capelli si schiarirono e si ritrassero nella testa; il naso si appiattì e si allargò; i suoi meravigliosi occhi assunsero una tonalità grigio-verde.
 
John sentì montare la rabbia dentro di sé: giurò a se stesso che quello era l’ultimo degli affronti che avrebbe subito da Sherlock. “Capisco tenermi d’occhio” sibilò. “Ma trasformarti in Simon…” Simon, oltre a Mary, era l’unica persona che gli fosse stata vicina dopo Hogwarts. Sherlock non aveva alcun diritto di ricopiare in quel modo il suo aspetto, come se questo bastasse a far dimenticare che era stato Simon, e non lui, a ricoprire il ruolo di migliore amico di John negli ultimi quattro anni. Perché era vero, era così: Simon gli era stato accanto, e aveva condiviso con lui ogni piccolo aspetto del lavoro e della vita quotidiana, mentre Sherlock era stato via chissà dove. Quando Sherlock era tornato dal San Mungo, sei anni prima, John era stato preoccupato che il periodo in cui erano stati separati potesse frapporsi tra loro in modo insormontabile, allontanandoli per sempre. Adesso lui aveva sei anni di vita di cui Sherlock non sapeva nulla: come fare a recuperarli? Era impossibile. Per quanto fosse doloroso, Sherlock non poteva più occupare il posto che pure gli spettava di diritto.
 
“Come al solito, stai sbagliando tutto. Io non mi sono trasformato in Simon Church. Io sono Simon Church.”
 
John ci impiegò qualche secondo a processare quella frase. “S-Simon Church” balbettò, “Simon Church… sei tu? Abbiamo lavorato insieme per quattro anni e non mi hai mai detto niente? Simon sei tu?
 
“Credevi che sarei rimasto per sempre nell’ombra? Sherlock Holmes è ufficialmente morto, ma io non lo sono, dovevo pur ricostruirmi una vita. Le mie abilità di metamorfomagus mi sono tornate utili.”
 
“Andremo a vivere insieme?” Non capiva nemmeno lui come mai questo lo sconvolgesse più di ogni altra cosa.
 
“L’idea era quella. Tu e Simon Church fate parte della copertura. Vedi, Simon si infiltrerà tra le fila dei Mangiamorte.”
 
“A-ha. Stai scherzando.”
 
“Perché dovrei? Ci servono delle spie. L’Ordine ne ha già una, ma una sola non basta. Tu sei un Purosangue, quindi vivere con te sarà una copertura perfetta.”
 
“Perciò mi hai restituito i ricordi” realizzò John. “Perché ti servivo.”
 
Con un’ultima occhiata a Simon Church, John si fiondò verso la porta, deciso ad uscire per sempre da quell’edificio infernale e dimenticare tutto ciò che aveva visto e sentito.
 
Una mano gli afferrò saldamente il braccio. John si divincolò ed estrasse la bacchetta dalla tasca dei jeans dove l’aveva riposta, ma quando guardò chi lo stava trattenendo vide il solito Sherlock Holmes, con i ricci scuri e gli occhi verdi. Liberò il braccio con uno strattone. “Ricordi che cosa è successo l’ultima volta che ci siamo parlati?” chiese a denti stretti.
 
“Ti ho proposto di essere il mio coinquilino.”
 
“Non con Simon Church. Con Sherlock Holmes.”
 
“In tal caso, sono successe molte cose.”
 
“Ti ho detto che tu facevi sempre accadere l’inaspettato.”
 
“Ah, già.” Sherlock abbassò lo sguardo. “Non si può dire che non avessi ragione.”
 
“No, decisamente non si può dire.”
 
Una parte di John desiderava imparare di nuovo a conoscere giorno per giorno il suo migliore amico. Una parte di lui, però, non poteva che essere delusa e ferita; aveva sempre accettato le decisioni di Sherlock perché era lui quello intelligente, quello che sapeva sempre cosa fare, ma era stanco di sentirsi così poco considerato. Da Sherlock non provenivano che menzogne e menzogne, ed era sempre più difficile accettarlo e volergli bene comunque; anche se si sforzava di dimenticare tutte le volte in cui gli aveva mentito o gli aveva nascosto qualcosa, non poteva eliminarle completamente. E Sherlock di certo non dava segno di aver cambiato abitudini.
 
“Mi spiace, Sherlock, ma… vorrei davvero che tutto questo non fosse accaduto.”
 
Il volto deluso di Sherlock somigliava a quello di un bambino di otto anni a cui vengono negati i biscotti. “Vorresti ancora credere che io sia morto?” azzardò, senza poterci credere.
 
“Sì” rispose semplicemente lui. “Sarebbe più facile.”
 
“Più facile?” ripeté.
 
“Hai sentito perfettamente.”
 
“E da quando vuoi che le cose siano più facili?”
 
Da quando quelle difficili ti hanno strappato via da me. Da quando la mia vita è diventata ordinaria, perché tu non c’eri. Da quando ho smesso di credere che i tuoi occhi potessero davvero cambiare colore, perché li ho dimenticati. Da quando ho accettato che non ti avrei più rivisto e ho deciso di passare oltre. Da quando ho capito che non ci sarei riuscito. Da quando ti conosco, Sherlock Holmes, desidero solo che le cose possano essere maledettamente facili, perché stare con te non ha mai significato altro che provare dolore, e non so se potrò sopportarlo ancora.
 
“Forse ti sei dimenticato come sono realmente. Capita, quando si sta via per sei anni.”
 
“Tecnicamente, sono solo due.”
 
“Tecnicamente, sei un coglione, però io non te lo faccio pesare.”
 
“Come posso farti cambiare idea?” chiese Sherlock.
 
“Be’, potresti iniziare con… con… con il mostrarmi questo posto.”
 
“Oh, lo farò. Prima, però, credo che sia ora di andare a visitare il nostro nuovo alloggio.”
Mentre Sherlock assumeva le sembianze di Simon Church, John distolse lo sguardo.
 
“Puoi guardare, adesso.” Persino la voce di Simon era diversa: era più acuta e nasale, aggettivi che in effetti erano applicabili a tutte le voci, comparate a quella di Sherlock.
 
Simon controllò l’orologio. “Undici meno dieci. Io vado lì, tu raggiungimi tra qualche minuto, o sembrerà troppo sospetto.” Detto questo, si Smaterializzò.
 
John si sedette su una delle sedie scalcagnate, facendola scricchiolare.
 
Non riusciva ancora a credere a ciò che era successo, e allo stesso tempo trovava l’intera situazione assurdamente ovvia. Insomma, sapeva benissimo che Sherlock era sopravvissuto: l’unico problema era che l’aveva ricordato solo quella mattina…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Sono sicura al 99% che non vi aspettavate quella cosa di Simon.
Be’, diciamo 75% (wow, la percentuale è calata di un buon 24%). Il motivo è semplice: DOVEVO ambientare la storia durante il ritorno di Voldemort e la Seconda Guerra Magica, però non volevo farli seriamente restare lontani per sei anni, perché sarebbe stato davvero troppo, così ho tenuto i due anni della serie e poi ho fatto arrivare Simon. *ta-daaa*
Comunque sì, era proprio Sirius Black. Ho deciso di inserire molti più elementi dell’universo di Harry Potter, perché insomma, Guerra Magica eccetera.
Uhm, quello che ho detto non ha senso vero?
 
 
 
 
  
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