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Autore: Ari_92    26/10/2014    10 recensioni
Blaine e Kurt; un aspirante scrittore che ha perso l’ispirazione e un futuro studente della NYADA con un sorriso abbastanza convincente da mascherare i brutti ricordi. Le loro strade si incrociano per caso e finiscono per intrecciarsi a mezz’aria in un equilibrio precario. È una caduta a farli incontrare; sono le pagine di un quaderno a raccontarli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Santana Lopez, Wesley Montgomery | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera ♥
Spero che questo piccolo fuoriprogramma – aka aggiornamento anticipato – possa rendere meno traumatico il tremebondo passaggio tra domenica sera e lunedì mattina- oh, ma chi voglio prendere in giro? Niente al mondo può renderlo meno doloroso *occhi pieni di lacrime e capelli al vento*
...Okay. Avevamo lasciato un Blaine particolarmente felice e un Kurt che doveva portarlo molto, molto lontano. Non vi trattengo oltre e sparisco nella nebbia: tutti gli scleri le utilissime note le trovate alla fine ♥
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo XI
 
 
Blaine ha sempre avuto la certezza che le giornate di ogni persona – per quanto follemente avventurose possano essere – siano sempre scandite da un numero massimo di avvenimenti straordinari che non può essere superato. Ad esempio, un pirata non può dissotterrare dieci tesori in un giorno: è troppo, va oltre, è fuori dallo schema. Ed è proprio per questa recondita convinzione che è del tutto impreparato al numero di avvenimenti straordinari capitatigli nel tragitto che separa camera sua dalla macchina di Kurt, davanti al cancello.
Prima di tutto l’infrangersi del record dei tre gradini alla volta, accompagnato immediatamente con il probabile infrangersi della sua caviglia destra; poi il quaderno che gli scivola di mano e si apre proprio sull’ultima pagina, quella dello schema “Prima Kurt e Dopo Kurt”. Quelle sono già tre cose straordinarie e sono capitate tutte insieme; e poi c’è Kurt che vuole portarlo “molto, molto lontano” a mezzanotte passata di martedì diciotto novembre ed è il genere di avvenimenti che in una vita come la sua, che di avventuroso ha poco e niente, equivale più o meno a venti tesori dissotterrati in un’ora. Questo se fosse un pirata, ovviamente.
«Due minuti e quindici secondi.» Gli dice Kurt, non appena lui si chiude il cancello di casa alle spalle.
 
Fu quel tipo di realizzazione; quella che ti si palesa nel cervello all’improvviso. Non ci pensi, non la consideri, eppure di punto in bianco lei è lì. Fu il tipo di realizzazione che ti colpisce quando è buio, fa freddo e puoi a malapena distinguere il contorno scintillante di una macchina parcheggiata di fronte a casa tua. Di quando il proprietario di quella macchina ti parla tenendo un braccio fuori dal finestrino e non aspetta altro che tu salga per andare molto, molto lontano. Quando le tue sinapsi si mettono ad allacciare tra loro ognuna delle circostanze casuali, ogni parola, ogni gesto che ti ha portato lì, in quel momento. Sentii la fragilità di quell’equilibrio, la precarietà del mio essere lì e del suo essere lì; la sentii così all’improvviso e così intensamente che per un momento non lo credei possibile. Ma fu solo un momento.
 
«Sei di nuovo imbambolato, Blaine Anderson.» Sa di esserlo, ma a volte le parole sono così difficili da fermare che non gli resta che lasciarle esplodere nella sua testa. Strizza le palpebre.
«Hai- mi hai cronometrato?» Guarda Kurt oltre il finestrino aperto: ha i capelli spettinati e può quasi giurare che abbia gli occhi lucidi; se non lo fa è solo perché è buio e in generale non ha abbastanza diottrie per dire con certezza di vedere qualcosa, occhiali o non occhiali.
«Cronometrato?»
«Sì. Due minuti e quindici secondi, lo hai detto un attimo fa.»
«Sì, ti ho cronometrato. Ora entra in macchina prima che qualcuno di noi due muoia assiderato.»
Le gambe di Blaine si muovono automaticamente verso l’auto di Kurt, questo perché la sua testa è troppo impegnata a rievocare i due quasi-baci che si erano quasi-scambiati proprio sui sedili di una macchina per poter tenere sotto controllo ciò che fa il suo corpo. Apre la portiera e entra; l’abitacolo si illumina. Kurt è del tutto appoggiato al sedile, con la cintura slacciata, un’aria indecifrabile e una lattina in birra in mano. Blaine sente lo stomaco stringersi.
 
«Dimmi che non hai bevuto di nuovo. E soprattutto dimmi che non hai guidato fin qui dopo averlo fatto.» Kurt inizia a sorridere; piano piano, come se stesse cercando di ricordare come si fa.
«Te l’ho già detto: nessuno si ubriaca con una birra.» Gli dice, e poi gliela allunga. Blaine la prende perché cos’altro può fare? Inoltre, la sua testa e il suo corpo sono ancora in due universi separati. «Questa era solo un incoraggiamento a venire qui. Sai, sono stato indeciso fino all’ultimo.»
«Perché?» Kurt adesso lo guarda con il mento sollevato, come se stesse per dire qualcosa di una certa importanza.
«Perché ho intenzione di fare il grande passo.»
«Ti sposi?» Blaine scherza, ma nemmeno così tanto. Da Kurt potrebbe aspettarsi qualunque cosa. Lui comunque riprova a sorridere: continua a non riuscirgli.
«Per quello ne sarebbero servite una decina, di birre. Comunque ormai sono qui e tu sei qui, quindi partiamo.» Mentre lo dice avvia il motore e in un attimo sono per strada. Blaine lo sta guardando con insistenza perché lo vede, lo percepisce: c’è qualcosa di diverso da tutte le altre volte e vorrebbe solo sapere che cosa gli sta sfuggendo.
«Continui a non volermi dire dove stiamo andando?» Kurt scrolla le spalle, ed è buffo vederlo fare da qualcuno che nel frattempo tiene stretto il volante della propria auto.
«Te l’ho detto: andiamo lontano.»
«Un lontano che devi conoscere bene, visto che non stai usando il navigatore.» Kurt non dice niente, si limita a tenere gli occhi fissi sulla strada con quel suo tentativo di sorriso che gli trema sulle labbra. Blaine stringe la lattina di birra quasi vuota e pensa che vorrebbe baciarle, quelle labbra.
Dopo i primi dieci minuti di viaggio, Blaine inizia a pensare che quel “molto, molto lontano” in realtà sia solo una gran fregatura, e ne ha praticamente la certezza quando Kurt sterza bruscamente e infila il muso della macchina nel vialetto di casa sua. Blaine ci è stato qualche volta, quando hanno fatto quella torta insieme ad esempio; tuttavia non definirebbe casa di Kurt “molto, molto lontano”.
«Siamo arrivati?» Sa che la sua è non una domanda particolarmente intelligente siccome è abbastanza ovvio che sono arrivati, però si sente in dovere di porla lo stesso. Kurt annuisce e riprende la birra dalle mani di Blaine, beve l’ultimo sorso rimasto e lascia la lattina vuota sul suo sedile mentre esce dalla macchina. Blaine lo imita, con il suo quaderno in mano – dalla fretta non si è nemmeno portato una borsa o qualcosa del genere.
 
«Kurt- »
«Shh.» E Blaine sta zitto. Sta zitto quando i fari della macchina di Kurt lampeggiano un’ultima volta con un doppio beep; sta zitto quando lui fa il giro dell’auto, lo prende per un polso e lo tiene stretto mentre apre il più silenziosamente possibile la porta di casa. Non dice una parola quando proseguono in silenzio per un corridoio stretto, al buio, e nemmeno quando arrivano in camera di Kurt, che accende la luce, chiude la porta dietro di loro e solo a quel punto lascia andare il suo polso. Blaine non ha idea di che cosa sia giusto pensare, ora. Quella situazione potrebbe voler dire talmente tante cose diverse che nemmeno i suoi stupidi viaggi mentali sanno che direzione prendere.
«Okay, ci siamo.» Kurt glielo dice sottovoce: probabilmente qualche stanza più in là suo padre sta dormendo e non ci tiene particolarmente a svegliarlo. «Vieni.»
Il suo polso è di nuovo avvolto dalle dita fredde e forse un pochino tremanti di Kurt, che lo conduce fino al letto. Una piazza e mezzo, a differenza del suo. E non ha idea di come questo possa essere il suo primo pensiero proprio adesso che è in piedi di fianco al letto di Kurt con Kurt vicino a lui eppure sì, una piazza e mezzo.
«Togliti le scarpe e sdraiati. Magari anche la giacca, qui non fa così freddo.» Blaine non capisce. Non capisce talmente tante cose al momento che non saprebbe nemmeno da che domanda iniziare; poi si ricorda del suo precedente divieto.
«Posso parlare, adesso?» Chiede sottovoce, mentre si slaccia le scarpe.
«Sì, ma ricordati di fare piano.» Blaine lo guarda a lungo, sollevando le sopracciglia con ovvietà. Kurt sembra stranito.
 
«Che c’è?»
«Che c’è? Ti presenti sotto casa mia di notte dicendo che andremo chissà dove, insieme. E poi veniamo a casa tua, mi dici di sdraiarmi sul tuo letto senza scarpe e mi chiedi che c’è?» Mentre fa tutto quel discorso il suo quaderno gli scivola da sotto al braccio e finisce tra due degli scatoloni vuoti che riempiono il pavimento della stanza di Kurt. Al momento quello è l’ultimo dei suoi pensieri.
«Era una metafora.» Gli dice Kurt, come se stesse sottolineando una cosa ovvia.
«Cosa?»
«Mettiti sul letto, Blaine. Fidati.» E Blaine si fida, perché non lo ha chiamato “Blaine Anderson” e quindi questo non è un gioco: c’è davvero qualcosa sotto, qualcosa che non capisce. Si sdraia e ha appena appoggiato la testa su uno dei due cuscini quando Kurt spegne la luce. Il buio è totale e il silenzio è rotto soltanto dal fruscio di qualcosa che cade a terra e dal rumore di due scarpe che vengono calciate via. Blaine non sta respirando; non è solo il suo corpo a formicolare, è come se anche il cervello stesse facendo la stessa cosa.
«Quando dicevo “molto lontano” non intendevo geograficamente. Come scrittore dovresti apprezzare queste cose.» Kurt si sdraia affianco a lui e Blaine si volta alla sua sinistra sistemandosi gli occhiali sul naso, come se questo servisse a conferirgli una vista a infrarossi o qualcosa del genere.
«Kurt... Non ricordo nessun punto della lista che dicesse “sdraiati al buio senza scarpe”.»
«Lo so che probabilmente ti sto spaventando, ma vedila così: è servito molto più coraggio a me per decidermi a fare tutto questo che quello che serve a te ora per non scappare urlando.» Gli sussurra.
Blaine vorrebbe dire che potrebbe anche rivelargli di essere un serial killer e che lui è la sua prossima vittima e probabilmente non se ne andrebbe urlando comunque, ma viene preceduto.
 
«Hai dei rituali con i tuoi genitori?» Cosa?
«Cosa?»
«Non lo so. Una canzone che ti cantava tua madre quando eri piccolo, o tuo padre che tutte le mattine dice la stessa identica frase al suo bambino prima che esca di casa e vada incontro ai pericoli del mondo.» Gli sembra di cogliere un sorriso nelle parole di Kurt; si chiede se alla fine ci è riuscito davvero, a sorridere.
«Noi non siamo il tipo di famiglia con dei rituali. A meno che non essere mai in casa sia un rituale, perché in questo caso ne abbiamo uno e anche ben consolidato.» Sente Kurt emettere una risatina. Tace qualche secondo prima di continuare.
«Io ne avevo uno, con mia mamma. Quando ero triste e non volevo dire perché lei veniva in camera mia, spegneva la luce e si sdraiava vicino a me. Non so se fosse per via del buio o perché era lei, ma quando lo faceva le dicevo sempre tutto quello che mi passava per la testa. Forse è stupido sperare che funzioni dieci anni dopo e con qualcuno che evidentemente non è lei, ma ho bisogno di provarci. Tu- beh, mi sono appena reso conto di non averti dato molto scelta.»
La sua è una lunga scia di parole continue, lineari. Blaine si sente come sospeso, come l’intervallo troppo lungo tra un battito del cuore e quello successivo. Siccome ciò che vuole dire gli rimane bloccato in fondo alla gola si limita a tendere un braccio: trova il polso di Kurt e stavolta è lui ad afferrarlo.
«Non ti ho mai dato molta scelta, ora che ci penso.» Blaine si schiarisce la voce. Deve farlo tre volte prima di riuscire effettivamente a parlare. Non sa che gli prende, davvero.
«Vedila così: non mi muoverò di qui finché non sfrutterai il buio per dirmi tutto quello che ti passa per la testa. Ora sei tu a non avere scelta.» Kurt rimane in silenzio per un attimo, poi allontana cautamente la mano dalla sua.
 
«In questo caso... Ciao, Blaine. Sono Kurt. Dopo un mese e mezzo che ci vediamo quasi tutti i giorni ci tenevo a presentarmi.» Blaine aspetta un secondo. Ne aspetta due.
«Quante lattine di birra hai bevuto, esattamente?»
«Sono serio. Sai quante persone mi conoscono per davvero? Nessuna. Voglio solo sapere cosa ne pensi di me, del vero me. Perché proprio tu, ti chiederai. E io ti risponderei che è una di quelle grandi domande destinate a rimanere senza risposta, un po’ come “Perché ho chiamato proprio Blaine quando ero ubriaco?” o “Sto davvero dicendo tutto questo a voce alta?”. Lo so che credi di essere noioso e sì, sei strano a volte, con i tuoi quaderni, il tuo startene zitto per interi minuti ad occhi spalancati e tutto il resto. Non so dirti la ragione per cui siamo qui se non per il fatto che tu sei tu, e nella mia testa sembra una buona argomentazione.»
Blaine trattiene il fiato così a lungo che sente il petto andargli in fiamme. È irreale. Ogni singola parola di Kurt viene inghiottita dal buio della stanza e lui non lo sa, non può essere certo che le abbia pronunciate davvero. È come se si trovasse immerso nelle sabbie mobili e dovesse stare il più fermo possibile per impedirsi di sprofondare, così si muove solo il necessario per respirare e parlare.
«Okay. Presentati.» Kurt prende un profondo respiro: lo capisce dal materasso che si abbassa leggermente e beh, dal suono.
 
«Ho sempre impedito a tutti di vederla. Sai, quella cicatrice.» Altra manciata di secondi di silenzio. Blaine non sta nemmeno respirando.
«È un po’ come quando ritrovi il braccialettino dell’amicizia che ti aveva fatto il tuo migliore amico della seconda elementare, hai presente? Lo guardi, lo tieni in mano e ti torna in mente tutto ciò che quel bambino ha significato per te e di colpo ti senti malissimo, perché vi siete persi di vista già da qualche anno. Per me è più o meno la stessa cosa ma è sulla mia pelle, quindi non posso metterla via come un braccialettino dell’amicizia e non vederla più; capisci cosa intendo?»
«Sì. Credo di sì.»
«Per questo non ho mai voluto che qualcuno la vedesse. Mi bastava sentirmi uno schifo per conto mio senza bisogno che arrivasse un altro a chiedermi del mio fottuto braccialetto dell’amicizia personale e a costringermi a dire ad alta voce tutto lo schifo che c’è dietro. Ma poi tu l’hai vista e mi sono detto: è una cicatrice, fine. È una cavolo di cicatrice.»
Blaine non sa quale sia la cosa migliore da dire. Da una parte vorrebbe rassicurarlo del fatto che non è obbligato a dirgli altro se questo lo fa soffrire, ma dall’altra teme che una cosa del genere possa dare a Kurt il pretesto definitivo per non affrontare mai più quella storia. Kurt riprende a parlare prima che lui possa decidere il da farsi.
 
«Tre anni fa, fine del secondo anno di liceo. Il nostro professore di Spagnolo aveva da poco deciso di andare contro ogni buon senso comune e occuparsi del Glee Club della nostra scuola. Io mi sono iscritto subito, naturalmente. Pensavo che andasse tutto alla grande perché sì, d’accordo: c’erano i soliti coglioni che si divertivano a trattarmi da schifo, ma avevo tanti nuovi amici e mi ero appena trovato questo ragazzo- »
«Tom?»
«Sì, lui. Stavamo insieme da meno di un mese quando è successo quello che è successo. Niente di molto diverso da quello a cui ero abituato: qualche spintone e roba del genere, solo che quella volta eravamo vicini a una finestra. Sono inciampato e ci sono finito contro, il vetro si è rotto e mi sono tagliato.»
«Kurt- »
«No, è tutto a posto. Si sono presi tutti una gran paura perché c’era un’infinità di sangue. Io non mi ricordo molto: so di essermi svegliato in ospedale fasciato come un salame e senza la forza di muovere un dito. È stato quello il momento in cui ho realizzato che era l’ultima goccia. Ho pensato a tutte le cose che non avevo fatto e che non avrei mai fatto se per caso mi fossi tagliato più a fondo, o se fossi caduto dalla finestra. Ho pianto come un disperato all’inizio, ma poi mi sono detto: esci da questo lettino schifoso e vivi tutto quello che puoi.»
 
Blaine pensa a come sarebbe potuta andare. Pensa a quel pezzo di vetro che si conficca troppo a fondo o nel punto sbagliato, pensa a un volo dalla finestra. Pensa a una versione di se stesso tre anni più giovane, che accende la tv sul notiziario locale e sente di questo ragazzo che è morto e dopo aver provato un dispiacere superficiale torna ai suoi compiti di algebra e non ci ripenserà mai più.
Sembra così incredibile il loro essere lì, ora; è una realtà così fragile che se la sente sfuggire di mano.
 
«Tom mi è rimasto accanto per tutto il tempo, sempre. Si presentava con un pupazzetto diverso ogni singolo giorno che ho passato in ospedale. Quando sono tornato a casa era lì, era sempre lì e lo amavo così tanto in quei momenti che anche adesso mi sembra di rimanerne come schiacciato, mentre te ne parlo. Una sera mi ha regalato un cd con tutte le canzoni che ci eravamo dedicati da quando avevamo iniziato a uscire in ordine cronologico e l’unica cosa che mi sembrava appropriata da dire è che lo amavo tantissimo e che saremmo stati insieme per sempre.»
Di punto in bianco, Blaine non riesce più ad odiare il ragazzo di Kurt. Odia la persona schifosa che lo fa soffrire così spesso, ma non odia quella che gli porta i peluche quando è in ospedale per colpa di un branco di coglioni. Se deve essere del tutto sincero riesce ad odiare anche quella versione di Tom, ma più che altro odia se stesso perché Kurt aveva ragione quando gli aveva detto “Vorrei averti conosciuto prima”, perché anche lui lo avrebbe voluto.
«Comunque, alla cosa del vivere il più possibile ci ha pensato Santana. Dopo quello che è successo mi ha preso come una sua faccenda personale e ci provava in ogni modo a farmi divertire, a portarmi dappertutto. Naturalmente Rachel diceva che questo mi distoglieva dai miei progetti per il futuro e io non potevo dare il benservito a Rachel: a volte è terribile, ma le volevo un gran bene e avevamo fatto questa specie di patto secondo cui un giorno avremmo realizzato i nostri sogni insieme. C’è stata una litigata all’inizio del terzo anno e da lì in poi ero due persone diverse; una per Santana e una per Rachel. E poi c’era quella terza persona stupida e fragile che mi ritrovavo davanti ogni volta che dovevo farmi la doccia e vedere per forza quella cicatrice.» Kurt prende un altro lungo respiro.
 
«Con il tempo è diventato normale nascondere la verità, fingere. Perfino con te, all’inizio. Adesso però ci sono in ballo troppe cose e quando hai visto quella cicatrice... Quando l’hai vista ho pensato che fosse finita. Perché devo essere mille persone diverse? Sono stanco di tutto questo. Sono stanco di sentirmi in colpa perché non sono più quel sedicenne innamorato perso, stanco di scappare da tutto- perfino New York! Mi stavo autosabotando, capisci? Avevo paura. Ho passato tutto questo tempo a credere di star vivendo una vita coraggiosa e invece ecco che cosa facevo, scappavo. Mi sembra di aver smesso di correre solo stasera, Blaine.»
Blaine sente il cuore battergli a ritmo serrato contro le costole. È come se stesse per scoppiare e non è nemmeno sicuro del perché.
«Kurt- »
«E per rispondere alla tua domanda dell’altra volta sì, sono vergine. A sedici anni la scusa del non sentirsi pronti può anche funzionare ma a diciannove inizia seriamente ad essere patetica. Anche perché Tom lo sa che il problema è quella dannatissima cicatrice che non voglio che nessuno veda e tra l’altro non è neanche del tutto vero perché sì, è quello, ma è anche che davvero non mi sentivo pronto. E poi arrivi tu, la vedi e wow non era questa cosa così spaventosa e quindi non ho più scuse per non fare l’amore con il mio ragazzo che nel frattempo probabilmente si è portato a letto qualcun altro. Oh, e non posso nemmeno fargliene una colpa.» Dice tutto questo a velocità supersonica, tanto che alla fine ha quasi il fiatone. Blaine comunque stenta a credere a ciò che ha appena sentito.
«È stato con un altro?» Kurt respira piano, adesso. Non è una cosa naturale: è come se stesse imparando o dovesse sforzarsi per ricordare come si fa.
«L’ho visto a una festa con un tizio, un po’ di tempo fa. Io ero con Santana. Ci siamo messi a litigare ma sul serio: con che faccia posso urlargli addosso? Lui c’è sempre stato ed è rimasto con me nonostante tutte le mie stronzate. E io non gli ho mai nemmeno detto di New York. E poi l’altro giorno è venuto a dirmi che esco troppo spesso con te, al che io ho tirato di nuovo fuori la storia del tizio della festa e via a litigare di nuovo. Vorrei davvero, davvero essere ancora quel ragazzino innamorato perso, ma la verità è che ora non ho più scuse per non fare l’amore con lui eppure non lo faccio lo stesso.» Blaine ignora del tutto la parte in cui il ragazzo di Kurt è geloso di lui.
«Perché no?» Lui rimane in silenzio quasi un minuto intero.
«Perché nonostante desideri il contrario con tutto me stesso la verità è questa: non lo amo più. È da un pezzo che non lo amo più e lo so che prova la stessa cosa... E qui arriviamo agli ultimi aggiornamenti.» La capacità di assimilazione di Blaine sta raggiungendo nuovi e inaspettati livelli mentre balbetta a fatica un paio di parole.
 
«Ultimi aggiornamenti?»
«Ieri sera ho chiesto a Santana di venire a casa mia e le ho detto che andrò a New York con Rachel. Mi ha insultato in qualunque modo possibile, se n’è andata e non si è più fatta sentire. Dopodomani dopo le prove del nostro copione ho intenzione di dire a Rachel che per tutto questo tempo ho continuato ad andare a tutte le stupide feste esistenti con Santana.» Blaine capisce perché Kurt sta facendo tutto questo. Ha passato così tanto tempo a crogiolarsi in una libertà fasulla che adesso la vuole davvero, la vuole con tutte le sue forze.
Gli servirebbe tempo per assimilare tutto ciò che Kurt gli ha detto, gliene servirebbe tantissimo e probabilmente il loro mese e mezzo non basta, ma se lo farà bastare; si farà bastare una singola notte o anche solo un secondo: non vuole perderne nemmeno uno del loro tempo insieme chiuso nella sua stupida testa.
 
«E quindi è... È tutto?»
«È tutto.»
Blaine vorrebbe dire che un paio di cose le sospettava, di un’altra decina non ne aveva la minima idea e delle restanti è praticamente scioccato. Vorrebbe anche dirgli che lo ama, lo ama e lo ama e che soffrirà come un cane quando se ne andrà a suggellare il suo vecchio patto con Rachel a centinaia di chilometri da lui ma che ne varrà la pena, ne varrà assolutamente la pena. Vorrebbe dire tutto questo, e invece dice:
«Kurt, sembri una persona meravigliosa ed è stato un piacere conoscerti.»
«Blaine?»
«Uhm?»
«Mi ha lasciato.»
«Cosa?»
«Tom. Mi ha lasciato oggi pomeriggio.»
 
Se credesse ancora nel numero massimo e insuperabile di avvenimenti straordinari in una giornata e se fosse un pirata, Blaine potrebbe tranquillamente affermare di aver dissotterrato cinquanta forzieri in mezz’ora, uno dei quali contenente la pietra filosofale, il sacro Graal e un computer che non si surriscalda.
 
 

 
 

 
 
 
 
Well well well.
Si tratta di un capitolo piuttosto intenso, o almeno questa è stata la mia sensazione scrivendolo. Come sempre, procedo per punti:
- Il modo in cui Kurt si è fatto la cicatrice non l’ho propriamente inventato. L’anno scorso è successa una cosa del genere proprio nella mia scuola, anche se in quel caso gli interessati si stavano spintonando per scherzo. Uno di loro è scivolato e ha spaccato la finestra, facendosi un taglio non indifferente. Niente epiloghi tragici, tranquilli: adesso sta bene.
- Un amen per il levarsi dalle palle di Tom, oh yeah.
- Kurt pls. Sei in love.
- Anche io vorrei un computer che non si surriscalda.
No, okay. Tutto ciò per cercare di sdrammatizzare questo capitolo un pochino più “intenso” degli altri. Spero davvero che vi sia piaciuto (ci tengo particolarmente, non si era notato :’D?) e neanche a dirlo sono più curiosa che mai di leggere il vostro parere *-*
Prima di evaporare e darvi appuntamento al dodicesimo aggiornamento – di già? Aiuto ;-;  – ci tengo a ringraziare tantissimo tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, sia per le loro parole sia per la pazienza che hanno avuto nell’aspettare le mie tardive risposte ai commenti – ora sono in pari, woooh! Davvero, per ogni cosa che leggo il mio cuore si ingrandisce di tre taglie... no, purtroppo Natale è ancora lontano Grazie ancora, e un grazie speciale va alla mia adorabile moglie, che probabilmente ora mi odia perché mi sono messa a stolkerarle Tumblr, ma io la amo lo stesso ♥
 
Strano ma vero, Facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
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