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Autore: Impossible Prince    27/10/2014    2 recensioni
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma»
Dream è un giovane di venticinque anni con una grandissima carriera di allenatore alle spalle e un presente da giornalista per il più importante quotidiano nazionale.
Sfiduciato e poco stimolato dal mondo degli allenatori, Dream si ritrova in poco tempo, senza opporre resistenza, in balia di party aristocratici, Campioni incompetenti e amici incapaci di stimolare e risollevare la sua vita dalla noia, che ormai è diventata le fondamenta su cui si basa la sua esistenza.
Il ragazzo dovrà destreggiarsi così in un contesto politico precario, dove il Presidente del Consiglio Giovanni porta avanti politiche sempre più autoritarie e liberticide e ricordi di un passato apparentemente invalicabili che costituiscono una pesante ombra sul suo futuro.
Tutti i capitoli sono stati oggetto di una profonda riscrittura.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, N, Nuovo personaggio, Red, Team Rocket, Vera
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 16 – Tutto muore
 
«Giuly, ma tu lo sai di cosa parla “Born To Die”?» chiese Dream osservando sorridente l’amica, come se non riuscisse a trattenere le risate per quello che aveva in mente.
Era una giornata soleggiata e i due ragazzi erano seduti comodamente su un grande telo posato sul prato del Parco Nazionale. La primavera era ufficialmente iniziata un paio di mesi prima, ma solo in quel primo giorno di Maggio il caldo aveva bussato alle porte della Capitale.
«La canzone di Lana del Rey?» chiese lei, sorpresa dalla domanda ricevuta.
«Esattamente, hai mai analizzato il testo?», la ragazza fece di no con la testa.
«Peccato, è davvero bello. Parla di due ragazzi, fidanzati, che non fanno altro che scopare. Scopano, scopano e scopano. E lo fanno alla grande, tant’è che poi muoiono».
«Muoiono?» chiese accigliata la ragazza.
«Sì – annuì – di infarto. Lo sforzo è talmente grande che il cuore non regge e muoiono. Non trovi che sia ironico?». Dream aveva un sorriso divertito sul volto. I suoi occhi erano allegri, brillavano di vita, curiosi nel sentire cosa pensava la sua amica della sua interpretazione.
«Credo di non seguirti…» continuò la ragazza, rimanendo poco convinta di quanto diceva il suo amico.
«Sì! E’ una fantastica metafora della vita. Quando raggiungi la felicità, quella vera… ZAC! – la mano destra piombò rapidamente sul palmo della mano sinistra, fingendo di tagliarla, proprio come la ghigliottina taglia la testa di una persona – ecco che muori. Perché nulla potrà essere bello come prima».
«Ma chi è?» chiese lei osservando attentamente l’amico.
«“Chi è” chi?» rispose Dream curioso.
«Chi è il tuo pusher, Dream. A me puoi dirlo» e si misero a ridere.
«No, in realtà ieri ho visto “Le Iene” di Tarantino e spiegano all’inizio del film la nascita della canzone “Like a Virgin” di Madonna e non so... mi è venuta in mente Lana Del Rey. Cosa significa “nati per morire”? Nulla, ma poi vai a leggere il testo e niente, questi due vogliono stare assieme e quindi figliano, o almeno, fanno l’atto del figliare e poi muoiono. Muoiono per il troppo sforzo e per la troppa felicità.
Dovresti fare canzoni simili, sai quanto venderesti?» concluse facendole l’occhiolino e prendendosi sigaretta e accendino dal taschino dei pantaloni.
Passarono alcuni istanti di silenzio, lo sguardo di Dream si posò su tutti i suoi pokémon, fermandosi poi su Umbreon: il pokémon Buio riposava con la testa appoggiata alle zampe anteriori.
«Giuly, non ti sembra che Umbreon sia... sia un po’ strano?».
La ragazza lo osservò attentamente, inclinando leggermente la testa verso destra: «In effetti... mi sembra un po’ dimagrito».
 «Ah, ecco, non sono solo io allora. Mangia meno di prima e mi pare che abbia pure il respiro affanoso...».
«Credo che tu debba portarlo a farlo una visita di controllo» sentenziò la ragazza sdraiandosi sulla schiena e ponendo le braccia dietro la testa, con gli occhi rivolti verso le alte nuvole bianche.
«Sì, sì, hai ragione. Più tardi passo dal Centro Medico e vediamo che mi dicono» concluse lui.
 
Dream si sedette sul divano, posando le braccia sulle sue ginocchia.
Erano passati  molti anni da quando passò così tanto tempo in un Centro Medico per Pokémon.
Si guardò attorno, il grande salone dalle pareti gialline era completamente vuoto. Si alzò dal sofà e si avvicinò, camminando lentamente, alla finestra, osservando l’esterno.
C’erano dei bambini che giocavano a palla assieme ad alcuni esemplari di Sentret e Snubbul. Quelli che parevano essere i genitori erano a poca distanza da loro, seduti e sdraiati su un largo telo. Facevano un picnic.
Le porte del Centro si aprirono ed entrò Vera.
Aveva i capelli sciolti, che scendevano sulle spalle assieme ad una borsa di pelle color marrone con dentro materiale medico di vario tipo.
Dream la raggiunse rapidamente e le fece un cenno di stare in silenzio. Poi suonò il campanello sul bancone, per attirare l’attenzione dell’infermiera Joy, che apparve dal corridoio dietro al bancone, mentre indossava una mascherina che le lasciava liberi solo gli occhi.
«Avete bisogno, ragazzi?»
«Joy – fece Dream a bassissima voce – ho bisogno di un favore: mi serve uno stanzino, buio, senza finestre in cui posso parlare con lei».
Joy lo guardò un attimo stupita e perplessa e lo stesso sguardo si formò sul volto di Vera.
«Dream tutto bene?» chiese la dottoressa percependo una forte preoccupazione nel comportamento del ragazzo.
«No, mi trovo in guai grossi» rispose lui lasciando la bocca socchiusa con uno sguardo inquietante. Nessuno delle due ragazze che eppure lo conoscevano da molto tempo, lo avevano visto in quella condizione.
«Quanto grossi, Dream?» domandò Vera.
«Enormi» rispose freddo, poi tornò a guardare l’infermiera «Ho bisogno di un posto dove poter parlare con lei nel massimo riserbo».
Joy annuì con la testa dubbiosa, si girò di spalle e cominciò ad incamminarsi nel corridoio da cui era venuta, facendo un cenno ai due ragazzi di seguirla.
Era un passaggio dai muri bianchi e dal pavimento in marmo lucido, che rifletteva ogni immagine. Era stretto a tal punto che giusto due persone riuscivano a camminarci contemporaneamente. Bianche erano anche le porte su cui erano appese le targhette blu con caratteri bianchi che indicavano la sala che chiudevano: “Sala Operatoria”, “Sala Rianimazione” o ancora “Sala Toelettatura”.
«Joy – proseguì Dream – per il tuo bene e per il bene di Vera, nel caso tu fossi portata in un interrogatorio dalle forze di polizia, dovresti dire che hai chiamato la dottoressa Birch per un consulto medico non dipeso dalla mia persona».
«Dream cominci a farmi paura» rispose il medico.
«Immagino, ma se non ci fosse in ballo la salute e il destino di centinaia di pokémon non vi avrei disturbato».
Raggiunsero la fine del corridoio e Joy aprì la porta del magazzino, uno stanzino illuminato da una piccola lampadina con le pareti ricoperte da enormi scaffali con materiale medico accuratamente posto all’interno di cellophane con grosse etichette con delle misteriose sigle.
Prima che la porta si chiuse alle spalle della dottoressa, Dream riuscì a leggere la targhetta posta sopra alla porta di fronte al magazzino, “Sala radiografie” e il suo cuore ebbe un sussulto.
 
«Ecco Dream, entra» disse con voce tremolante l’infermiera Joy, facendo accomodare il ragazzo nella sala delle radiografie.
Umbreon era sdraiato su un piano di quello che sembrava essere alluminio, dietro di lui, posto qualche centimetro più alto era presente uno schermo che mostrava una radiografia. Dream si avvicinò al proprio pokémon e cominciò ad accarezzarne il pelo della nuca, mentre il pokémon lo osservava contento e soddisfatto. Gli occhi della dottoressa, al contrario, erano preoccupati, tesi. Vagavano da una parte all’altra della stanza, mentre si toccava nervosamente l’anulare destro.
«Quindi, cosa è risultato?» chiese l’allenatore.
«Dream, è meglio se richiami Umbreon nella Sfera per qualche istante».
Il ragazzo, nonostante l’iniziale sorpresa, obbedì e richiamò il pokémon Buio nella sua pokéball.
«Dream» improvvisamente il tono di voce della donna diventò serio, fermo, professionale, «Sarò chiara: la situazione è gravissima, forse irreversibile». Non lasciava trasparire nessun’emozione, e altrettanto facevano i suoi occhi azzurri.
Dream trattenne il respiro, sentì l’intero suo corpo cedere all’udire quelle parole. Fece un mezzo passo indietro, e poi torno stabile sul suo posto.
“C-che intendi?” chiese il ragazzo.
La mano dell’infermiera si posò delicatamente sullo schermo, indicando i polmoni del pokémon Buio: “I polmoni di Umbreon non funzionano come dovrebbero. C’è un problema che la radiografia evidenzia in maniera piuttosto chiara e inequivocabile: sono pieni d’acqua” la mano si spostò affianco ai polmoni, questa volta indicavano quella che sembrava essere una massa di forma circolare: «E se ti starai chiedendo, come è possibile che i polmoni di un pokémon, o di un qualsiasi essere vivente, si riempiano d’acqua, la risposta, in questa caso, può essere una ed una sola, Dream. Questa massa che sto indicando. Da questa radiografia non posso capire di cosa si tratta, se di un tumore maligno o benigno, ma di tumore si parla. Direi di fare degli esami del sangue, estrarre il liquido nei polmoni ed analizzarlo e se non si trovano cellule che possano aiutarci a capire cosa succede, direi di fare un ecografia. Lì non ci sono scappatoie, posso procedere?».
Il ragazzo annuì forse influenzato dalla convinzione dal pragmatismo che l’infermiera stava dimostrando in quel momento, sebbene il suo cervello si fosse spento alla pronuncia delle parole “tumore maligno o benigno”.
 
«Allora, Dream, che cos’è questa segretezza?» chiese Vera con tono sospetto, accigliando il sopracciglio destro.
«Vera, in nome dei tempi andati, ho bisogno che tu mi possa aiutare a trasferire tutti i miei pokémon all’estero. Hai conoscenze nella regione di Kalos?».
«Cosa? E perché mai?!» chiese ulteriormente accigliata la ragazza.
«Ho avuto una piacevole discussione con il Governatore di Johto e mi ha confidato che presto verrà emanata una richiesta d’arresto nei miei confronti. Seguirò l’esempio di Rosso, scapperò a Kalos e chiederò asilo politico, lo danno a tutti coloro che provengono da qui. Ma non posso lasciare i miei pokémon in questa gabbia di matti, verrebbero posti sotto sequestro e chissà che altro gli potrebbe capitare. Quindi, se avessi qualche contatto con un professore estero, con la scusa di uno studio, potremmo trasferirli in massa…».
Vera abbassò lo sguardo, mettendosi a fissare per un po’ le mattonelle. La sua mente si mise in moto alla ricerca di una soluzione efficace, rapida e funzionale.
Effettivamente, aveva contatti con diversi laboratori sparsi in giro per il mondo, con cui si scambiavano informazioni, Giappone, Stati Uniti, anche l’Europa, tutti posti in cui la richiesta di estradizione sarebbe potuta esser accettata, almeno in via teorica, dato che negli ultimi i tempi i rapporti tra la Repubblica e il resto del mondo si erano raffreddati parecchio. Dream in ogni caso si sarebbe trovato punto e a capo.
L’unica alternativa era Kalos, ma conosceva qualcuno lì?
«Effettivamente – disse Vera socchiudendo gli occhi e gesticolando con la mano destra nervosamente, cercando di pronunciare tutta la matassa che aveva nella testa – ho ricevuto un dossier proprio la scorsa settimana da un laboratorio di Luminopoli. Stanno testando un nuovo tipo di evoluzione e trovavano interessante il territorio di Hoenn per i loro studi.
Dato che chiedevano una risposta entro fine mese, non mi sono occupata subito della faccenda, tale Professor Zlatan, possibile?».
Un lieve sorriso si formò sul volto di Dream al sentire la notizia, Vera poi continuò il ragionamento: «Posso mettermi in contatto con lui domattina, leggere rapidamente il documento e trasferire già qualche pokémon…»
«Oh, sarebbe fantastico!» esclamò Dream abbracciando d’istinto Vera, che rimase impietrita da quel gesto da parte del ragazzo.
Vera e Dream uscirono così dal magazzino, e percorsero all’indietro il corridoio per raggiungere la sala d’aspetto.
Fu proprio quando passarono davanti la “Sala Rianimazione” che incrociarono un dottore che era arrivato da poco.
«Signor Dream, buonasera! Come sta?», fece lui. Era un uomo calvo, con un paio di occhiali tondi e una voce profonda. I suoi occhi erano grigi, la sua fronte rugosa e il suo naso, costantemente rosso, era di grosse dimensioni.
«Dottor… Dottor Unter, quanto tempo! Io sto bene, e lei?» rispose Dream.
«Non mi lamento… E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti... Quanti anni sono passati?».
Dream riprese a camminare, scuotendo la testa e sorridendo nervosamente: «Due anni, dottore» si voltò verso l’uomo e fece un tiepido saluto con la mano destra e riprese a camminare. Gli occhi di Dream continuarono a scrutare il pavimento, aggiungendo sotto voce: «Due interminabili anni, dottore».
Si trattava di un medico esterno al Centro di Fiordoropoli, si occupava delle radiografie. Veniva chiamato ogni qual volta ce ne fosse bisogno e si spostava in giro per Kanto e Johto a bordo di un Pidgeot, ottenuto quando era solo un Pidgey all’inizio della sua carriera di allenatore.
 
Il ventre di Umbreon era stato appena rasato del tutto con una macchinetta da toelettatura. Gli esami del sangue non avevano fornito alcuna spiegazione su quello che stava accadendo all’interno del corpo del pokémon Buio e neanche le analisi del liquido estratto dai polmoni li aveva aiutati. L’ecografia non era solo la loro ultima spiaggia ma era anche lo step definitivo per comprendere il tutto.
Quando Dream e Umbreon arrivarono al Centro Medico, il dottor Unter indossava già il camice ed era pronto per visitare il pokémon. L’atmosfera era pesante, ancor prima di cominciare l’esame. Sembrava come se Unter, anche solo osservando la radiografia eseguita qualche giorno prima, avesse già avvertito a che cosa si stava andando incontro, peccato, che l’unico a non saperlo era Dream stesso.
Il medico spalmò così del gel sulla zona rasata, facendolo aderire bene al corpo del pokémon Buio, poi cominciò a passarci sopra quello che Dream pensò sempre essere una sorta di lettore, con la punta ovale che mostrava le immagini sullo schermo a tubo catodico.
Bastarono cinque minuti affinché Unter e Joy si guardarono terrorizzati. «Okay... possiamo terminare qui» disse la donna con voce tremante e il volto pallido.
I due si misero a pulire il ventre del pokémon con delle salviette umide, mentre Dream cercava il loro sguardo per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma entrambi lo stavano con tutto lo sforzo possibile. Anche tra di loro i contatti erano ridotti al minimo, giusto qualche occhiata fugace che comunicava un’insostenibile imbarazzo nel trovarsi in quella situazione. Sì, quei momenti in cui tu hai nelle mani una potenziale bomba e hai talmente ansia che non hai idea di come disinnescarla, quando la prima cosa da fare è rimuovere delicatamente lo sportellino e cominciare a seguire alla lettera il corso che ti hanno fatto all’accademia per artificieri.
«Dream – disse candidamente Joy – puoi far rientrare Umbreon nella sua sfera?», Dream obbedì subito, il pokémon venne ripreso e chiuso nella sua sfera, “Direi che è il caso di andare nel mio ufficio” disse titubante la donna osservando Unter, che sottovoce disse un paio di «sì» e annuendo leggermente con il capo.
Usciti dalla “Sala Ecografie” tornarono nella sala d’aspetto e la percorsero svoltando a destra una volta usciti dal corridoio e Joy aprì la porta con scritto “Divieto d’accesso” inserendo un codice nel pannello al muro.
L’infermiera si sedette dietro la scrivania, facendo accomodare Dream davanti a lei, Unter si posizionò con le spalle appoggiate alla libreria.
Era un ufficio piuttosto grande, con delle vetrate poste dietro la sedia dell’infermiera che davano su un grande prato con un piccolo laghetto. La scrivania di legno scuro, aveva giusto una foto e una statuetta di un Blissey, era completamente sgombera e priva di polvere. Le immensi librerie, ricolme di libri medici, erano del medesimo colore del tavolo e coprivano tutti i muri dell’ufficio.
«Dream… - cominciò Joy  con le mani entrambe appoggiate al tavolo – la situazione è peggiore di quella che potevamo prevedere. Il Dottor Unter, già visionando la radiografia, con il suo occhio esperto, mi disse che la situazione non sarebbe stata piacevole, ma è ovvio che neanche lui si aspettava questo tipo di situazione e la situazione è che non c’è proprio nulla, assolutamente nulla, da fare. Il tumore è di tipo maligno e da quello che ho visto si è ulteriormente esteso da quando ci siamo visti una settimana fa».
Fu come se un pugnale si fosse infilato dritto nel cuore di Dream, impegnandosi poi ad utilizzare quella ferita per separare nella maniera più cruenta possibile le carni dalle ossa del ragazzo.
Gli occhi divennero lucidi, riuscì a trattenere le lacrime, ma non la voce rotta: «E quindi? Quanto gli manca?».
Intervenne il dottor Unter che sollevò l’infermiera dalla responsabilità della risposta. Si tolse gli occhiali cominciando a pulirsi con il camice: «E’ impossibile da definire. Ma sono abbastanza sicuro da poter dire che manca davvero poco, non più di un mese».
«Ma non si può provare una chemio? Erbe, medicinali? I soldi non sono un problema, santo cielo!».
«Sì, ma non in questo caso. E in tutta sincerità, anche se avremmo riscontrato il tumore a quando era poco più di una cellula, non ci sarebbe stato comunque nulla da fare. Nemici di questo tipo non possono esser combattuti, bisogna conviverci assieme il più lungo possibile, finché si ha la dignità di farlo. Poi bisogna capire che bisogna staccare la spina. In ogni caso, lei è nelle mani della signorina Joy, sono sicuro che saprà cosa consigliarle meglio» concluse l’uomo.
 
Due giri di chiave e la porta si aprì. Entrò prima Umbreon seguito da Dream, che chiuse la porta dietro di sé.
«Allora? Come è andata?» chiese Rosso, che badò ai pokémon dell’amico mentre questi era impegnato con la visita.
Dream non rispose, si lasciò andare, finalmente. Fiumi di lacrime solcavano il viso del ragazzo che singhiozzava silenziosamente, quasi per non farsi sentire dai suoi compagni di avventura che in realtà erano lì, fissi e inermi ad osservarlo.
Rosso lanciò in aria le mani, poi se le mise tra i capelli cominciando ad alternare una serie di “no” a delle imprecazioni.
Da quel momento tutto sarebbe cambiato, da quel momento, ogni giorno passato con Umbreon sarebbe potuto esser l’ultimo.
Maggio passò lentamente e altrettanto fece Giugno, e Umbreon, contro ogni previsione, resisteva al tumore. Sebbene Dream non volesse farlo allenare, il pokémon Buio faceva intendere in più modi di essere intenzionato a continuare a voler essere della squadra e non voler essere sostituito. Capiva, era cosciente della situazione? Decisamente sì. Sembrava volersi più prendere cura lui del proprio allenatore che viceversa, come a dimostrare che era forte e che le preoccupazioni sulla malattia erano solo pensieri inutili, passeggeri.
Quando il 25 Luglio, Dream si presentò al Centro Medico per far aspirare ulteriore liquido da Umbreon, Joy rimase piacevolmente stupita nel vedere il pokémon così in forma e lo fu ancora di più nel sapere che non aveva smesso di allenarsi. Era “miracoloso” che qualcuno, affetto da un tumore di tali dimensioni, potesse avere quella forza, sembrava quasi che non ci fosse nessun male.
 
Dream e Vera tornarono nella sala d’aspetto, venendo poi raggiunti dal ragazzino che smarrì il pokémon Buio.
«Come è successo?» chiese Vera, con gli occhi puntati su Adam.
«Cosa?» chiese distrattamente il Campione.
«Come è successo… come è morto Umbreon?», continuò a chiedere la ragazza.
«Perché lo chiedi?» chiese Dream, guardandola.
«Trovi un Umbreon maltratto, lo trovi e poi muore. Smetti di allenare e quando ricominci ad allenare ne trovi uno maltrattato e lo porti al Centro Medico e mentre sei lì riconosci un dottore “itinerante”.
Tu vivi di ricordi Dream. Tutta questa situazione ti sta lacerando dentro, te lo leggo negli occhi».
Dream non rispose subito, stette in silenzio per qualche minuto. Quel dolore non fu mai esorcizzato del tutto, era una ferita aperta, infetta, che spesso sanguinava.
«Era l’otto Agosto, lo ricordo bene.
Qualche giorno prima a Fiordoropoli c’era stata una manifestazione e la città venne riempita di ortensie. Ortensie in tutte le strade, ortensie su tutti i balconi, sui pianerottoli, alle feste. L’aria ne era pregna. Ricordo il tramonto di quella sera, il Sole era così acceso mentre affogava nel mare. Sembrava non voler morire.
Mi vestii di tutto punto, una camicia a maniche lunghe con una cravatta blu scuro, una giacca blu scuro e anche i pantaloni erano della stessa tonalità.
Andai ad un party. Mi ero già prefissato l’idea che avrei portato qui Umbreon il giorno successivo. Aveva subito un tracollo nelle quarantotto ore precedenti ma non ne aveva voluto sapere di lasciare casa.
Vado alla festa, comincio a trangugiare drink su drink, alcol su alcol e rimorchio una tale che si chiama Valentina, quando...
Quando Pidgeot incombe in cielo e comincia chiamarmi, mi faccio strada tra la folla e mi guarda con le lacrime agli occhi. Capisco che c’è qualcosa che non va, voliamo a casa e atterro sul balcone. Sono tutti attorno a lui.
Prova ad alzarsi sulle quattro zampe, ma niente, cade a terra e comincia a piangere. E piange Feraligatr, piange Typhlosion, piange Meganium, piange Espeon, dio quanto piangeva Espeon, piange anche Pidgeot.
Mi metto sulle ginocchia e lo prendo tra le mie braccia, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene.
Ha chiuso gli occhi.
Fine. Andato. Non so dove, non so perché. Andato. E’ morto tra le mie braccia, circondato dai suoi amici.
E quella sera se ne andò anche una parte di me. Sarei voluto scappare, fuggire da tutti e tutto, ma non l’ho fatto. E allora è scappata una parte di me. Il “fortissimo allenatore di Johto” se n’era andato. La mia forza, la mia arroganza, la mia caparbietà andarono in esilio come un processo lento ma costante».
 
Dream osservava Fiordopoli dall’altro del suo balcone. Le braccia erano appoggiate alla ringhiera, mentre la mano destra teneva in mano una sigaretta la cui cenere stava per cadere e frantumarsi al suolo.
Gli occhi erano lucidi, il respiro tremante. Vera lo raggiunse, tenendo in mano due bicchieri pieni di acqua fresca.
«Tieni, non so se sei abituato a questa sostanza» disse ironica, tentando di smorzare la tensione.
Dream sorrise di rimando, bevendo in un solo sorso il bicchiere.
«Stai un po’ meglio?».
Dream fece un tiro alla sigaretta, alzando poi la testa verso l’alto ed emanando fuori il fumo con forza, come un vulcano che sta eruttando: «Tantissimo, sto da Dio».
«Mi spiace che tu abbia dovuto rivivere certe cose, davvero, io...» Dream la interruppe, come se non la stesse ascoltando davvero: « Parole come “fulminante”, “irreversibile” e “non c’è nulla da fare” assumono tutto un significato diverso quando vengono dette a te.
Il terreno sotto i tuoi piedi si sbriciola e le mura della stanza accanto sembrano volerti inghiottire. Ho provato a resistere. Abbiamo provato. Abbiamo cercato anche delle soluzioni. Ma quelle parole, quelle dannate parole, hanno un significato preciso: il tuo destino è segnato e non c’è nulla che tu possa fare perché venga cambiato.
Puoi anche battere mille allenatori nella tua vita, ma la morte non la puoi combattere. Devi sottometterti e sperare che giunga in fretta, per evitare che possa far ancora più danni di quelli ch deve fare a prescindere.
Diventano tue amiche quelle parole. “Irreversibile”diventa un mantra e vivi ogni giorno con l’ansia che possa essere l’ultimo.
Ma paradossalmente non è mai l’ultimo e quindi cominci a pensare che accadrà domani, non oggi. La settimana prossima, non questa. Il mese prossimo. Forse anche l’anno prossimo. Hai tutte le carte in regola per sopravvivere, no?
Sciocchezze. Gli amici spesso ti deludono, ti pugnalano alle spalle e anche questi tre amici lo fanno.
In un colpo la tua schiena ha tre bellissime ferite sanguinanti e quello che pensavi accadesse domani, il mese dopo e l’anno prossimo accade oggi. Tra le tue braccia, senza che tu possa davvero capirci qualcosa.
Mi ha sempre fatto pensare molto quel dialogo tra una bambina e un adulto, dove la bambina, piccola, tendenzialmente dell’asilo, chiede come mai in cielo vadano sempre le persone migliori e l’adulto, ricolmo di saggezza risponde chiedendo se quando lei andasse in un prato strappasse i fiori più belli o più brutti.
Mi fa pensare sai perché?
Perché Dio non vede il mondo con gli occhi di un bambino. Dio è Padre, è un adulto responsabile che sa fare il suo lavoro.
E se Dio fosse un giardiniere? Pensaci bene. I giardinieri non strappano via i fiori belli, ma portano via con sé le erbacce. Siamo sicuri che siano sempre i migliori ad andarsene? Siamo sicuri che non abbiamo sbagliato tutti quanti stile di vita?» chiese sul finale Dream, con gli occhi rossi e un paio di lacrime che scendevano lungo le guance, mentre Vera rimase impietrita da quanto sentito, priva di una risposta da poter dare all’amico.
 
Sei Salamence atterrarono in un piccolo spiazzo di terra poco distante dal grande specchio d’acqua su cui si affacciava Ceneride.
Ogni Drago era ricoperto di un’imbracatura di cuoio a cui era legata una corda agganciata ad una piccola bara nera con delle striature d’oro.
La grande porta di pietra marrone che delimitava l’ingresso alla Grotta dei Tempi, si aprì e uscirono sei Machoke che staccarono delicatamente la bara dalle corde e la presero in spalla e rimasero fermi, in silenzio.
Dream e Rocco atterrarono proprio in quel momento, arrivati davanti alla Grotta grazie a Dragonite, che venne prontamente ritirato dall’allenatore di Johto.
Dream vestiva uno smoking nero, con un paio di occhiali da sole per non lasciar vedere agli altri i suoi occhi rossi e ancora lacrimanti.
Diede una piccola pacca sulla spalla a Rocco, in segno di ringraziamento per avergli lasciato utilizzare la speciale grotta. Il Governatore di Hoenn si mise in coda al piccolo corteo funebre, mentre Dream si mise davanti ai pokémon Lotta e cominciò a camminare, venendo seguito.
Raggiunsero il posto dove era stata scavata la buca e i Machoke lasciarono scorrere la bara al suo interno, lentamente. L’unico suono che si poteva udire era quello delle corde che sfregavano contro la roccia mentre la cassa scorreva verso il basso.
Quando il feretro fu completamente deposto, Dream si avvicinò al mucchietto di terra sollevato per lo scavo e lo prese in mano. La strinse forte tra le dita e poi lo lancio sulla piccola bara.
«Il silenzio cala su di noi, per sempre».
Fece un passo indietro, segno che poteva iniziare l’ultimo passo della sepoltura.
 
Un silenzio irreale era piombato nella casa.
Un silenzio freddo, di quei silenzi che ti tagliano la pelle, ti strappano l’anima di dosso. Quella sensazione assurda in cui ti senti accoltellato una, dieci, trenta, cinquanta volte di fila, senza che il tuo aguzzino mostri la minima intenzione a fermarsi.
No, no, era tutto in preda ad un feroce silenzio, che rendeva ogni angolo della casa un posto quasi estraneo, quasi irriconoscibile. Non sentirsi a casa propria nella propria casa, nella propria dimora. Sentirsi un forestiero.
Dream non piangeva. Seduto sulla punta del divano, con i palmi delle mani sulle ginocchia e la schiena dritta. Non batteva neanche le palpebre, forse non respirava neanche.
Era tutto finito.
Giorni, mesi, anni di avventure se n’erano andate per sempre, avevano lasciato il mondo terreno e avevano varcato le soglie del dopo.
Umbreon non c’era più, aveva esalato l’ultimo respiro tra le braccia del suo allenatore ed era passato avanti. Aveva smesso di soffrire, aveva finalmente terminato la sua battaglia contro il male, uscendone in qualche modo vincitore, perché lo aveva fatto silenziosamente, senza dare troppe preoccupazioni ai propri amici, ai propri cari.
“E’ morto.” sarebbe stato il messaggio che la mattina dopo avrebbero letto Rosso, Giuly e i genitori di Dream. Due parole, un passato prossimo che rendeva bene l’idea, che conteneva al suo interno tutta la tristezza e la solitudine che una persona poteva comunicare.
Già, “è morto” continuava a ripetersi Dream nella testa, quasi per auto-convincersi che quello che stava vivendo era frutto della realtà, non era semplicemente un brutto sogno da cui si sarebbe svegliato e avrebbe riabbracciato i suoi pokémon.
No, le cose brutte non avvengono mai per finta. Le cose brutte accadono sempre, nella realtà, le percepiamo su di noi come una sorta di condanna, di punizione per qualcosa di fatto o di non fatto. E te lo chiedi, e te lo domandi e quasi ti vorresti punire, provi la sensazione di volerti strappare l’anima dal corpo pur di non avere quella sensazione.
Che cosa devi fare per tenere al sicuro i tuoi cari? Che cosa devi fare per tenerli al sicuro dal mondo, quando il mondo li getta in mezzo ad un deserto? Che cosa devi fare per dimostrargli il tuo amore, stringendogli forte e mostrandogli terre nuove e facendogli assaporare il significato di quella parola?
Che cosa devi fare per tenerli al sicuro da loro stessi?
Potevi fare tutto, ma il tutto si riduce sempre a niente. Non si può fare niente, non si può fare sempre qualcosa. E allora lasci che gli eventi della vita ti scorrano addosso come l’acqua del mare quando sei sdraiato sul bagnasciuga, fermando il respiro quando l’acqua copre il tuo viso e tentando di resistere. Non hai molta scelta, alla fine. Perché hai la necessità di resistere, perché lo devi far vedere a chi ti sta attorno che tu ci sei sempre per loro.
Ma arriva un momento in cui l’acciaio si fonde e il grattacielo crolla. E lo fa dopo che è stato in tensione, che ha sopportato elementi fisici che lo hanno consumato fino al midollo. Si frantuma, si piega su se stesso e crolla, portandosi dietro tutto. E per quanto il grattacielo voglia resistere, per quanto non voglia finire a terra, per quanto abbia fatto il possibile, alla fine crolla, senza che se ne sia davvero reso conto. Smette di essere un imponente costruzione ammirata e si trasforma in un cumulo di macerie su cui piangere.
E quando la prima lacrima solcò il viso inespressivo di Dream, lo fece senza qualcuno la fermasse.
Il crollo era iniziato.
   
 
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